Questo Corso Biblico è stato tenuto alle Monache Carmelitane di Genova nei mesi di ottobre-dicembre 2011. Riccardo Becchi ha trascritto con diligenza il testo dalla registrazione

Introduzione storica

  • Ambiente storico del libro
  • I poveri e fedeli di Dio: „anawîm e chassidîm
  • Le armi dei chassidîm
  • Ambiente storico del racconto

Daniele alla corte del re (cap. 1)

  • Il problema del cibo
  • Una prova superata

Il sogno di Nabucodonosor (cap. 2)

  • I maghi di corte
  • A Daniele è rivelato il mistero
  • Il sogno
  • Una profezia apocalittica

L’adorazione della statua d’oro (cap. 3)

  • La “schifezza che svuota
  • La preghiera di Azaria
  • La protezione divina
  • Il cantico dei tre giovani
  • Una esperienza “bizantina”
  • Una felice conclusione

Sogno e follia di Nabucodonosor (cap. 4)

  • Il sogno
  • Il “vigilante
  • La spiegazione
  • La follia

L’empio banchetto di Baldassar (cap. 5)

  • Una scritta inquietante
  • Daniele interpreta la scritta

Daniele nella fossa dei leoni (cap. 6)

  • Daniele accusato perché prega
  • Una condanna con speranza di salvezza
  • L’intervento dell’angelo di Dio
  • La punizione degli accusatori

La visione apocalittica di Daniele (cap. 7)

  • Le quattro bestie
  • Il Figlio dell’uomo
  • L’interpretazione della visione

La visione del montone e del capro (cap. 8)

  • Due animali in lotta
  • Fino a quando?
  • L’intervento prodigioso di Dio

La profezia delle settanta settimane (cap. 9

  • Daniele cerca di capire la Scrittura
  • La preghiera di Daniele
  • Gabriele, l’angelo interprete
  • Sette settimane di anni
  • L’abominio della desolazione

Una visione di rivelazione (cap. 10)

  • Il prologo
  • Il digiuno di Daniele
  • L’apparizione dell’angelo
  • Gli angeli delle nazioni in conflitto

Il libro della verità (cap. 11)

  • Rivelazione della storia “futura”
  • L’autentica profezia

Il gran principe Michele e la salvezza alla finale (cap. 12)

  • L’ultima rivelazione di Daniele
  • Un finale apocrifo

La storia di Susanna (cap. 13)

  • Due anziani perversi
  • Il pericolo delle cattive compagnie
  • Una situazione senza via di uscita
  • La falsa testimonianza
  • L’intervento di Daniele

La statua di Bel e l’inganno svelato (cap. 14)

Daniele il drago (cap. 14)

È un libro molto vario al proprio interno, ci sono delle pagine decisamente strane. Noi lo cataloghiamo insieme ai profeti maggiori: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, però effettivamente Daniele non è un profeta. Non dovrebbe proprio nemmeno essere adoperato il termine profeta e infatti il libro non appartiene al genere profetico. Il Libro di Isaia, quello di Geremia, quello di Ezechiele contengono gli oracoli, gli insegnamenti, i detti di questi profeti e, anche se sono testi rielaborati da loro discepoli, di fatto contengono gli insegnamenti di quel profeta, personaggio storico. Daniele non è l‟autore del suo libro e non è nemmeno un personaggio storico, è invece una figura di fantasia, è un personaggio letterario che ha il nome di un antico sapiente. I grandi saggi dell‟antichità, come dice il profeta Ezechiele, erano Daniele, Noè e Giobbe, le grandi figure dei sapienti antichi.

Il nome appartiene alla tradizione cananea e vuol dire “Dio è il giudice”; “dan” è il giudice, il giudizio, l‟azione del giudicare, “el” finale è il riferimento al nome comune di Dio. L‟opera è stata scritta durante la rivolta dei Maccabei, cioè tra il 167 e il 164 a.C.; si riesce a dare una datazione così precisa perché nel libro ci sono dei riferimenti molto esatti.

Ambiente storico del libro

Per poter introdurre il Libro di Daniele dobbiamo riprendere brevemente il problema della persecuzione dei Maccabei. Israele, ritornato dall‟esilio, con grande fatica ricostruì Gerusalemme, riorganizzò la città e la struttura del popolo. Con Esdra e Neemia il popolo di Israele, che era concentrato nella città di Gerusalemme, uscì praticamente dalla storia, nel senso che si chiuse in una vita di monastero religioso, di grande luogo sacro dedito solo al culto di Dio e allo studio e non ebbe più contatti con il mondo esterno.

Per alcuni secoli non abbiamo quindi notizie, nessuna informazione di quello che avvenne a Gerusalemme, perché non avvenne nulla di particolare, tutto normale in una cittadina di tipo religioso con la vita regolata dagli schemi liturgici.

All‟inizio del II secolo, diciamo intorno al 190, l‟ambiente di Israele era ormai in piena epoca ellenista. Dopo Alessandro Magno tutto l‟oriente fu conquistato dai greci e in un primo tempo Gerusalemme fu dipendente dai Tolomei, cioè dai greci che regnavano sull’Egitto e le cose andarono bene, in modo abbastanza pacifico.

La cultura però permeò tutto l’ambiente di Israele, la lingua greca divenne molto importante, tantissimi ebrei andarono ad abitare ad Alessandria d’Egitto che era una nuova città, costruita ex novo da Alessandro Magno e chiamata Alessandria proprio in onore del grande re. Gli ebrei che vivevano ad Alessandria erano più numerosi di tutti quelli della Palestina, quindi la comunità ebraica di Alessandria era molto consistente, era la comunità che parlava greco e che tradusse la Bibbia in greco; i LXX appartengono infatti a questo ambiente. Tutti costoro restano fedeli all‟ebraismo, ma parlano greco e usano la Bibbia in greco.

Anche a Gerusalemme è avvenuto qualcosa del genere, finché una nuova classe di arricchiti volle prendere il potere e l‟unico modo per comandare a Gerusalemme era diventare sommi sacerdoti. Non potendo però entrare in una casta chiusa – perché la cerchia dei sommi sacerdoti era una famiglia ristretta – tentarono le vie della corruzione, cioè comprarono dal re di Siria la possibilità di fare i sommi sacerdoti. C‟era stata una guerra e Gerusalemme era passata sotto il controllo della Siria, sempre regno greco.

Quando salì al trono Antioco IV Epifane fondarono la città di Antiochia, perché i re si chiamavano Antioco: Antiochia città di Antioco, Alessandria città di Alessandro, Cesarea città di Cesare.
I re Seleucidi di Antiochia regnavano sulla Siria, erano greci ed erano un p’ fissati con la civilizzazione greca. Ritenevano cioè che tutti quelli che non erano greci fossero barbari, per cui dovevano civilizzare gli incivili e gli ebrei erano considerati incivili e barbari. Il mondo greco sentì quasi l’obbligo di civilizzare questi barbari.

I ricchi di Gerusalemme ben volentieri accettarono di essere civilizzati per adattarsi alle mode; divennero volentieri greci e costruirono a Gerusalemme teatro e palestra, due simboli della grecità: il teatro per gli spettacoli pubblici e la palestra per lo sport e la ginnastica.

I poveri e fedeli di Dio: ‘anawîm e chassidîm

Rimasero contrari a questa situazione molti gruppi di piccoli e di poveri, gli ‘anawîm e i chassidîm. Il circolo dei chassidîm è un circolo di fedeli, di persone religiose, devote, attaccate alla tradizione di Israele e contrarie a ogni compromesso. Noi oggi diremmo che erano dei conservatori, degli uomini all’antica, dei tradizionalisti. Di fatto rimasero ai margini della società e finirono per essere emarginati, diventando poveri perché non contavano niente.

Si arrivò al punto – dicevo prima – che qualche ricco imprenditore comperasse la carica di sommo sacerdote. Abbiamo addirittura due casi ricordati di sacerdoti con nomi greci: Giasone e Menealo; sono degli ebrei che assumono nomi greci e diventano sommi sacerdoti, non perché interessasse loro il culto del tempio, ma perché volevano mettere le mani sul tesoro del tempio ed essere padroni di Gerusalemme.

Anche noi, purtroppo, nella nostra storia della Chiesa abbiamo avuto dei secoli in cui i signori di Roma diventavano papi, le grandi famiglie si spartivano il papato: Farnese, Colonna.
Questo fu un momento veramente buio della storia di Israele perché il problema era interno a Israele. Quando nel 167 Antioco IV occupò militarmente Gerusalemme fece erigere nel tempio una statua a Zeus Olimpio, dedicando il tempio di Gerusalemme a Zeus per uniformare la religione. Queste autorità di Gerusalemme accettarono tranquillamente, ma i chassidîm assolutamente non accettarono e si ritirarono.

Alcuni sacerdoti scapparono nel deserto seguendo il maestro di giustizia e nacquero così gli esseni. Esseni è un altro modo per dire chassidîm, è la forma greca asidei dell’ebraico chassidîm; questi fondarono il monastero di Qumran. Qualcuno scappò in Egitto e il figlio del sommo sacerdote legittimo, che era stato spodestato, ebbe paura che gli facessero la pelle e scappò via, si ritirò in Egitto e sparì; suo padre infatti l’avevano ammazzato.

La famiglia dei Maccabei prese allora le armi e si mise a combattere. Furono reazioni diverse: chi fonda un monastero nel deserto, chi scappa in Egitto, chi combatte. Il gruppo dei chassidîm fece un po’ una cosa e un po’ l’altra: scapparono, si ritirarono nel deserto preparandosi, vissero ai margini della civiltà e della società di Gerusalemme, oppure divennero militari, partigiani per combattere contro i greci.

In questa fase di lotta armata tra i piccoli gruppi di partigiani ebrei fedeli alla tradizione biblica e le truppe greche, vennero scritti dei libri di esortazione, di incoraggiamento alla resistenza e alla lotta. I libri dei Maccabei furono scritti dopo, parecchio tempo dopo: a guerra finita si fece infatti il racconto di quello che era capitato. Invece, durante la guerra, furono scritti i due testi che noi abbiamo nella Bibbia come esortazione al combattimento: sono Giuditta e Daniele.

Il Libro di Giuditta è una favola dove Giuditta è la Giudea, è infatti il femminile di Giuda, ed è la donna che rappresenta la Giudea. È come se noi presentassimo una eroina che si chiama Itala o Italia, è l’incarnazione delle virtù della nazione italiana che combatte contro questo terribile nemico a difesa di Betulia, la vergine del Signore. La città di Betulia   non esiste, è tutta fantasia: è una donna debole che combatte contro il fortissimo nemico e vince, come Davide vinse contro Golia: con la spada del nemico gli taglia la testa. È un racconto per esortare i piccoli, i deboli, i poveri, ad avere il coraggio della lotta, perché Dio si serve dei piccoli per sconfiggere i grandi. Avere fiducia nel Signore è l’arma per combattere.

Le armi dei chassidîm

Il Salmo 149, la festa dei chassidîm, che è un po’ la sigla finale del salterio, dice espressamente quali sono le armi per combattere a fianco del Signore; lo sappiamo a memoria perché lo ripetiamo in tutte le feste: Sal 149,6-9

Le lodi di Dio sulla loro bocca e la spada a due tagli nelle loro mani, 7per compiere la vendetta fra le nazioni e punire i popoli, 8per stringere in catene i loro sovrani, i loro nobili in ceppi di ferro, 9per eseguire su di loro la sentenza già scritta. Questa è la gloria dei suoi chassidîm.

In ebraico c’è la parola chassidîm, celebrate il Signore, cantate al Signore nell’assemblea dei santi “ecclesia sanctorum” “qehal chasîdîm”. Noi abbiamo tradotto in latino con “santi chassidîm”, la Chiesa dei santi, l’assemblea dei chassidîm. Tutte le volte che trovate nei salmi il riferimento all’assemblea “Ti loderò nell’assemblea, nella grande assemblea”, quello è il termine tecnico per indicare la loro congregazione: è la grande assemblea. Quando fanno il capitolo generale allora si ritrovano e uno promette di raccontare nella grande assemblea quello che è capitato.

Che cosa vuol dire “Le lodi di Dio nella loro bocca e la spada a due tagli nelle loro mani”? Vuol dire che i chassidîm combattono con la preghiera. Le lodi di Dio sulla loro bocca corrispondono alla spada a due tagli. È la parola di Dio la spada a due tagli per eseguire sulle genti il giudizio già scritto. Scritto dove? Nel Salmo 2: secondo e penultimo salmo, 2 e 149 sono collegati.

Sal 2,1Perché le genti sono in tumulto e i popoli cospirano invano? 4Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro. 7Voglio annunciare il decreto del Signore. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. 9Le spezzerai con scettro di ferro, come vaso di argilla le frantumerai».

I chassidîm sono gli eredi del re, è la comunità messianica; loro combattono con le lodi di Dio sulla bocca e a forza di dire i salmi stringono in catene i capi delle genti ed eseguono il giudizio. Il Signore infatti lo ha già scritto: questa è la gloria dei suoi chassidîm, vincere pregando. Così si capisce molto meglio, per questo il salmo è così importante e ripetuto tante volte. Con la prima lettura non lo comprendiamo e non ci piace, sembra violento, in realtà è una lettura pacifista della violenza: i chassidîm sono quelli che combattono pregando, questa è la buona battaglia di cui parla san Paolo: “Combattete la buona battaglia”, “ho combattuto la buona battaglia”. San Paolo è rappresentato con la spada in mano e non è semplicemente la spada che gli ha tagliato la testa, ma è la parola di Dio. San Paolo ha parlato e ha combattuto, la sua è stata una buona battaglia.

L’autore del Libro di Daniele è un chassid, uno dei chassidîm che – per incoraggiare i suoi confratelli in questo impegno di resistenza – raccoglie storie, raccoglie testi, narrazioni, sogni, leggende, speculazioni apocalittiche. Mette cioè insieme diversi testi, li cuce e costruisce questo racconto che nel tempo è anche cresciuto. Il capitolo 13, ad esempio, Susanna, è aggiunto; c’è solo in greco, non c’è nell’originale. Daniele è quasi tutto in aramaico, un pezzo in ebraico, il pezzo centrale in aramaico. Il canto dei tre fanciulli: “Benedite il Signore, opere tutte del Signore” non c’è né in ebraico, né in aramaico, è una aggiunta del greco. Gli ultimi due episodi, cioè il capitolo 14, erano addirittura considerati libretti indipendenti, erano racconti che giravano e furono cuciti poi con il Libro di Daniele.

Ambiente storico del racconto

Il personaggio di Daniele, quindi, è un personaggio fittizio; qualche volta è un ragazzo, qualche volta è un consigliere, a volte un vecchio ministro, un giovane paggio, un veggente, uno studioso della Bibbia: è quindi una figura eclettica che rappresenta un po’ le varie categorie di persone.
Non ci preoccupiamo assolutamente di questo, non succede proprio nulla: siamo davanti a un testo ispirato, è parola di Dio, dobbiamo capire il genere letterario. Non ci vuole molto ingegno, infatti, a capire che è tutt’altra cosa rispetto al Libro di Isaia o di Geremia.

Le storie raccontate in questo libro sono ambientate durante l’esilio in Babilonia. L’esilio a Babilonia avviene nel VI secolo, comincia nel 597 e noi parliamo della guerra maccabaica che è del 167, ci sono più di quattrocento anni di distanza; è come se io oggi scrivessi un libro, ma raccontassi una storia del 1500. D’altra parte, se io racconto oggi le storie di una suora di Castiglia, che si chiamava Teresa, vi racconto una storia del 1500, però va benissimo per voi oggi, perché – a seconda di come la racconto – voglio comunicarvi un messaggio. Elementare. Il testo parla quindi di un’altra vicenda, di un’altra epoca, parla di re antichi vissuti quasi cinquecento anni prima, però si rivolge a quelli contemporanei che stanno vivendo il grave problema della oppressione dei greci.

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Corso Biblico tenuto da Don Claudio Doglio alle Monache Carmelitane di Genova nei mesi di ottobre-dicembre 2011