XXXIV Settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz



Lunedì 24 Novembre (Memoria – Rosso)
Santi Andrea Dung-Lac e compagni

Dn 1,1-6.8-20   Salmo da Dn 3   Lc 21,1-4: Vide una vedova povera, che gettava due monetine.

Martedì 25 Novembre (Feria – Verde)
Martedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dn 2,31-45   Dn 3   Lc 21,5-11: Non sarà lasciata pietra su pietra.

Mercoledì 26 Novembre (Feria – Verde)
Mercoledì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dn 5,1-6.13-14.16-17.23-28   Dn 3   Lc 21,12-19: Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

Giovedì 27 Novembre (Feria – Verde)
Giovedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dn 6,12-28   Dn 3   Lc 21,20-28: Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.

Venerdì 28 Novembre (Feria – Verde)
Venerdì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dn 7,2-14   Dn 3   Lc 21,29-33: Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.

Sabato 29 Novembre (Feria – Verde)
Sabato della XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dn 7,15-27   Dn 3   Lc 21,34-36: Vegliate, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere.

Domenica 30 Novembre (DOMENICA – Viola)
I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)

Is 2,1-5   Sal 121   Rm 13,11-14   Mt 24,37-44: Vegliate, per essere pronti al suo arrivo.


The New-born
*oil on canvas
*76 × 91 cm
*1600-1652

Nella regione del Tonchino, Annam e Cocincina – ora Vietnam – ad opera di intrepidi missionari, risuonò per la prima volta nel sec. XVI la parola del Vangelo. Il martirio fecondò la semina apostolica in questo lembo dell’Oriente. Dal 1625 al 1886, salvo rari periodi di quiete, infuriò una violenta persecuzione con la quale gli imperatori e i mandarini misero in atto ogni genere di astuzie e di perfidie per stroncare la tenera piantagione della Chiesa. Il totale delle vittime, nel corso di tre secoli, ammonta a circa 130.000. La crudeltà dei carnefici, non piegò l’invitta costanza dei confessori della fede: decapitati, crocifissi, strangolati, segati, squartati, sottoposti a inenarrabili torture nel carcere e nelle miniere fecero rifulgere la gloria del Signore, «che rivela nei deboli la sua potenza e dona agli inermi la forza del martirio» (M.R., prefazio dei martiri). Giovanni Paolo II, la domenica 19 giugno 1988, accomunò nell’aureola dei santi una schiera di 117 martiri di varia nazionalità, condizione sociale ed ecclesiale: sacerdoti, seminaristi, catechisti, semplici laici fra cui una mamma e diversi padri di famiglia, soldati, contadini, artigiani, pescatori. Un nome viene segnalato: Andrea Dung-Lac, presbitero, martirizzato nel 1839 e beatificato nel 1900, anno giubilare della redenzione, da Leone XIII. Il 24 novembre è il giorno del martirio di alcuni di questi santi.

Lunedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Lc 21,1-4: Vide una vedova povera, che gettava due monetine.

L’abitudine di praticare l’elemosina facendosi ben vedere è molto antica, evidentemente. Soccorrere i poveri è qualcosa che ci rende onore, che ci rende più uomini. Purtroppo, però, molti non hanno letto tutto il vangelo e pretendono di vedere il proprio nome pubblicato in qualche bell’elenco pubblico con tanti di sentiti ringraziamenti. In tutta assoluta e cattolica umiltà. Così doveva accadere al tempo di Gesù quando l’offerta al tempio, una tassa imposta a tutti gli ebrei per il mantenimento del ricostruito edificio sacro, confluiva in un grande contenitore e dava l’occasione ai benestanti di Gerusalemme di manifestare pubblicamente e rumorosamente la loro generosa offerta. Generosi benefattori che, probabilmente, nemmeno hanno notato la povera vecchina che stava gettando uno spicciolo, qualche centesimo, nell’immenso contenitore. Gesù, invece, la nota e la indica come esempio di discepolato. Perché il gesto che compie ha una caratteristica eccezionale: è autentico. Ciò che questa donna offre è donato a Dio, non alla crescita della sua fama. Imitiamola nel donare a Dio ciò che abbiamo di necessario per vivere, non di superfluo.

Martedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Lc 21,5-11: Non sarà lasciata pietra su pietra.

Se solo ascoltassimo quanto ci dice il Signore! Tutte le cose sono destinate a scomparire, anche il magnifico tempio che ha ridato lustro e gloria alla decadente Gerusalemme. Erode il grande, con grande intuito politico, aveva dato il via ai lavori di ampliamento nel 19 a.C. e sarà finito solo nel 62 d.C.: ottant’anni per costruire uno spazio capace di accogliere quasi centocinquantamila persone. E ne durerà solo dieci prima di essere raso al suolo da Tito e dall’esercito romano giunto nella capitale per sedare la rivolta. Quante opere d’arte, frutto dell’ingegno umano vengono distrutte dall’idiozia umana e dalla violenza! Quante volte nella storia la cultura e la bellezza sono spazzate via dalla bramosia di potere degli uomini! Ma, ci ammonisce il Signore, gli sconvolgimenti non sono il segno della fine dei tempi. Nessuno sa quando sarà tale fine, nemmeno il Figlio dell’uomo; ciò che possiamo fare è non scoraggiarci e continuare a costruire il Regno di Dio là dove viviamo, con fede e semplicità. Davanti agli eventi drammatici degli uomini siamo invitati a proclamare la salvezza che proviene da Dio e a vivere da salvati.

Mercoledì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Lc 21,12-19: Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

Una cosa negativa e brutale, essere condotti davanti ai tribunali, essere perseguitati, diventa l’occasione per manifestare la potenza di Dio, per parlare del vangelo, per annunciare l’inatteso volto di Dio. Gesù è davvero straordinario nel suo ottimismo! Ma ciò che dice è assolutamente vero: senza essere degli eroi, senza essere particolarmente preparati o bravi, senza avere lauree e dottorati in teologia possiamo dare testimonianza al Signore con la nostra fede e le nostre parole anche in contesti di disagio e di persecuzione. E tale testimonianza, da sempre, porta a nuove conversioni, a nuove scoperte, a nuovi cristiani. Stiamo vivendo un momento in cui l’odio verso i cristiani cresce esponenzialmente e non solo nei paesi musulmani ma anche nella nostra Europa tollerante con tutti eccetto con gli insopportabili cristiani! Forse succederà di dover rendere testimonianza al Signore con la vita, Dio non voglia. E non sappiamo se saremo in grado di mettere la sua Parola al centro e di essere capaci di rendergli onore con le nostre parole e i nostri gesti. Certamente lo saremo se fin da ora spalanchiamo il nostro cuore all’accoglienza ardente della sua presenza…

Giovedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Lc 21,20-28: Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.

Ci avviciniamo agli ultimi giorni dell’anno liturgico e nelle letture che ci vengono proposte prevalgono le pagine apocalittiche del vangelo di Luca. Il linguaggio apocalittico, che conosciamo perché ampiamente usato dall’evangelista Giovanni, era molto in voga al tempo di Gesù: attraverso una serie di immagini iperboliche e fantasiose gli autori volevano richiamare l’attenzione del lettore per aprirla ad una particolare visione della realtà. Così Luca si serve di questo linguaggio per parlare degli ultimi tempi, della pienezza che sta per arrivare. È straordinaria la sua visione: davanti al caos di eventi catastrofici, di guerre, di carestie, di instabilità politica, Luca invita i suoi fratelli ad alzare lo sguardo. La fine del mondo non è una tragedia somigliante ai filmetti catastrofici del cinema americano, ma la manifestazione definitiva della tenerezza di Dio sugli uomini. Il mondo non sta precipitando nel caos ma nella braccia di un Padre che tutti vuole accogliere e salvare. Con questa certezza viviamo operativamente e fattivamente in questo mondo senza aspettare rassegnati ma senza farci prendere da inutili ansie. Sappiamo bene come andranno a finire le cose!

Venerdì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Lc 21,29-33: Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.

Le parole del Signore non passano. Con questa certezza concludiamo l’anno liturgico, certi della promessa fattaci dal Maestro. E con questa certezza possiamo leggere gli eventi del mondo e della Chiesa, senza paura, senza dietrologie, senza visioni approssimative e piccine ma con lo sguardo ampio che solo la fede ci può donare. Il discepolo guarda al mondo con realismo ottimista: senza cedere alle lusinghe di chi periodicamente trova delle soluzioni definitive, sa che nel cuore portiamo un’ombra, il peccato originale e che tale ombra rode dall’interno ogni utopia, ogni progetto, ogni rivoluzione. Ma questo non significa che restiamo immobili senza far nulla, che ci rassegniamo ma che aspettiamo cieli nuovi e terra nuova in cui avrà stabile dimora la giustizia. Qui e ora costruiamo il Regno dove viviamo, con semplicità, con ostinazione, con gioia. Qui e ora realizziamo il sogno di Dio di un mondo in cui ci si accoglie nel rispetto delle diversità cercando insieme il senso ultimo della vita che Cristo ci ha rivelato. E l’attesa è colma della presenza e delle parole di Cristo che non passano e che diventano pane quotidiano.

Sabato della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Lc 21,34-36: Vegliate, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere.

Può appesantirsi il cuore, diventare troppo lento, rallentare fino quasi a fermarsi. Ne è consapevole, il Maestro, e ammonisce noi, suoi discepoli, a contrastare la pesantezza della vita e delle emozioni. Chissà cosa direbbe oggi, vedendoci correre come dei pazzi tutto il giorno, cercando di sfangare la vita peggio dei nostri nonni! Certo, abbiamo molte più comodità, mangiamo meglio e possiamo dialogare in tempo reale con l’Australia, ma a che prezzo! Ci svegliamo all’alba e, assonnati, ci infiliamo in auto per metterci in coda e raggiungere gli uffici. Saltiamo pranzo, usciamo sudaticci e stanchi per passare ancora a fare la spesa e rientrare giusto in tempo per cenare e dormire! Che vita è? Sì, ha ragione il Signore, possiamo appesantire il cuore con le dissipazioni, cioè spendendo tutta l’energia che possiamo con le ubriachezze, cioè gli eccessi che ci concediamo per sopravvivere (il cibo, l’alcool, il fumo, il gioco d’azzardo…) e per stordirci, con gli affanni della vita. Reagiamo con forza allo stordimento generale, vegliamo con forza, strappando alla nostra giornata poco tempo per prendere consapevolezza di ciò che siamo.

Questo testo non fa parte di quelli che si scelgono deliberatamente per trovarvi un conforto e risollevarsi il morale. Eppure la Chiesa mette un tale ostacolo all’inizio dell’anno liturgico. Si tratta di abbandonare il trantran, le abitudini, le usanze, di convertirsi e ripartire da zero. Al di là della gioiosa novella del Vangelo che annuncia la venuta redentrice di Dio, si dimentica e si respinge facilmente l’eventualità del giudizio, anche se non la si contesta assolutamente “in teoria”. È il pericolo che corrono i discepoli di tutte le epoche. Se non si aspetta ogni giorno la sentenza di Dio, non si tarda a vivere come se non esistesse giudizio. Di fronte ad una tale minaccia, nessuno può prendere come scusa lo stile di vita “degli altri”: nessuno può trincerarsi dietro agli altri per sottrarsi al pericolo di essere dimenticato dal Signore. Salvezza e giudizio sono affini uno all’altro, ci scuotono nel bel mezzo della nostra vita: sia nel momento delle grandi catastrofi (la grande inondazione è qui evocata) sia nel corso del lavoro quotidiano nei campi o in casa. Uno è preso, trova scampo, è salvato; un altro è abbandonato. Ma non essere tratti d’impiccio non dipende chiaramente dal beneplacito degli altri. È l’uomo stesso che ha nelle sue mani la propria salvezza o la propria perdizione. Ecco perché, come spesso nel Vangelo, questo brano si conclude con un appello alla vigilanza.

Cominciamo l’avvento; tempo di preparazione alla venuta del Signore.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo.
 Gesù dichiara che lui viene come figlio dell’uomo, e non come figlio di Dio, anche se lo è, perché non vuole che lo confondiamo con i potenti di questo mondo, che si comportano da belve sanguinarie e oppressive. Lui ha deciso di presentarsi come un uomo umile, che desidera condividere la nostra realtà, perché vuole essere nostro amico e rivelarci un Dio amico dell’uomo.
Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, come facciamo anche noi oggi.
fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, Per me entrare nell’arca è un po’ come metterci nelle braccia di Dio, per poter navigare sulle onde delle tempeste della vita, accompagnati da lui.
e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Tutti i giorni la vita ci travolge, con tutte le sue urgenze e necessità varie. Come arrivo a sera? Contento di quello che ho fatto o sfinito?
Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Uno viene preso perché è in sintonia con il Signore mentre l’altro no. Non importa che lavoro o attività sta svolgendo, ma con quale cuore lo fa. Tutto posso fare per amore, con uno spirito di servizio, come Gesù, oppure con un altro spirito, distante da quello di Gesù. Da questo dipende l’esito della mia giornata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». L’ora che non immagino, se sono distratto, è adesso! Gesù viene adesso e sempre nella mia vita. Se sono in preghiera, me ne accorgo, e gioisco di questa venuta; se sono distratto, il treno passa, ma io rimango a piedi. Ringraziamo il Signore per questa sua venuta e stiamo attenti a tutte quelle catechesi che presentano questa sua venuta come uno spauracchio, deformando l’immagine di Dio che Gesù ha voluto rivelarci. Signore pietà! Continua a rivelarci il volto bellissimo di tuo Padre e donaci di innamorarci di questa sua presenza nel nostro quotidiano.
Buon avvento.
Paul Devreux

Oggi celebriamo la festa dell’Apostolo Andrea, fratello di Simon Pietro e amico di Giovanni e di Giacomo. Il Vangelo ci narra come Andrea ha ascoltato la parola di Dio che gli era rivolta: “”Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono”. E questa adesione pronta che ha permesso agli Apostoli di diffondere la parola, la “buona notizia” della salvezza. La fede viene dall’ascolto e ciò che si ascolta è la parola di Cristo, che anche oggi la Chiesa diffonde fino alle estremità della terra.
Siamo dunque sollecitati ad ascoltare la parola, ad accoglierla nel cuore. Essa è un rimedio salutare. E una parola esigente, ed è questo il motivo per cui facilmente vorremmo chiudere le orecchie a Dio che ci parla: capiamo che l’ascolto avrà delle conseguenze. Dobbiamo pensare che la parola di Dio è davvero un rimedio, che se qualche volta ci fa soffrire è per il nostro bene, per prepararci a ricevere i doni del Signore.
Ma la parola non è solo un rimedio, è un cibo, il cibo indispensabile per l’anima. E detto nei profeti che Dio metterà nel mondo una fame, non fame di pane, ma di ascoltare la sua parola. E di questa fame che abbiamo bisogno, perché ci fa continuamente cercare e accogliere la parola di Dio, sapendo che essa ci deve nutrire per tutta la vita. Niente nella vita può avere consistenza, niente può veramente soddisfarci se non è nutrito, penetrato, illuminato, guidato dalla parola del Signore.
Nello stesso tempo la parola di Dio è una esigenza. Gesù ne parla come di seme che deve crescere e diffondersi Ovunque. Da questa parola viene la fecondità di Ogni apostolato. Se si dicono parole umane, non è il caso di considerarsi apostoli, ma se abbiamo accolto in noi la parola di Dio, essa ci spinge a proclamarla, a diffonderla dappertutto, per mettere gli uomini in comunicazione con Dio.
Da san Giovanni sappiamo che non è facile ascoltare la parola di Dio, che non è opera umana.
Domandiamo a sant’Andrea di insegnarci ad ascoltare, ad accogliere la parola di Dio molto generosamente, molto semplicemente, molto fraternamente, per essere in comunione con Dio e gli uni con gli alt
ri.
Il primi fra i chiamati, secondo l’evangelista Giovanni. Andrea si ricorda anche l’ora in cui il suo maestro, Giovanni Battista, gli ha indicato quel penitente che aveva appena ricevuto il battesimo: le quattro del pomeriggio. Ci ricordiamo sempre gli eventi importanti della nostra vita. Figuriamoci l’incontro con Dio! da allora la vita di Andrea è cambiata: è lui a condurre Pietro a Gesù. È lui ad essere contattato dai greci per vedere Gesù. È lui che interloquisce col Signore durante la moltiplicazione dei pani e dei pesci. E non sappiamo molto di più, ma tanto basta. Talmente nascosto all’ombra di Cristo che, secondo la tradizione, una volta condannato a morte ha chiesto di essere inchiodato ad una croce che richiamasse il nome di Cristo. Secondo la leggenda, che conserva un riferimento alla storia, così avrebbe pregato Andrea prima della morte: «Salve Croce, santificata dal corpo di Gesù e impreziosita dalle gemme del suo sangue… Vengo a te pieno di sicurezza e di gioia, affinché tu riceva il discepolo di Colui che su di te è morto. Croce buona, a lungo desiderata, che le membra del Signore hanno rivestito di tanta bellezza! Da sempre io ti ho amata e ho desiderato di abbracciarti… Accoglimi e portami dal mio Maestro».