Il 19 novembre 1925 nacque a Poznan il sociologo che descrisse l’indebolimento delle strutture durevoli a favore di forme di esistenza transitorie, mobili e reversibili

di Massimiliano Padula
19 novembre 2025
Per gentile concessione di
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Esistono intellettuali così significativi da trascendere il ruolo di semplici studiosi per diventare delle vere e proprie icone del tempo contemporaneo. Uno di questi è Zygmunt Bauman, di cui oggi ricorre il centenario dalla nascita. La sua città natale, Poznan in Polonia, era una sorta di predestinazione. Ricca di storia e miscuglio di stili architettonici, il suo nome deriverebbe dal verbo polacco poznac, ossia conoscere. E della conoscenza, Bauman è stato uno straordinario divulgatore, rendendo l’analisi della società un esercizio “pop”, prêt-à-porter e quindi alla portata di (quasi) tutti.

Dello studioso morto nel 2017 si potrebbe scrivere tanto. A partire dalla sua continua ricerca di libertà. Nato in una famiglia ebraica, emigrò dal suo Paese più volte a causa delle persecuzioni naziste prima e poi in seguito alle epurazioni antisemite del regime comunista. Il suo approdo definitivo fu Leeds, in Inghilterra, dove insegnò Sociologia all’università fino alla pensione. Le radici ebraiche e i continui esodi plasmarono profondamente le idee del giovane Zygmunt, che abbandonò le seduzioni del marxismo ortodosso (pur non rifiutandone la matrice critica) convinto dell’impossibilità che una sola idea potesse plasmare e garantire l’ordine sociale.

È in questo quadro che si colloca il contributo teorico di Bauman alla comprensione della transizione tra modernità e postmodernità. La prima, radicata nei paradigmi ottocenteschi del progresso, della razionalità e della libertà, aveva fornito alla sociologia un repertorio concettuale relativamente stabile. Con la postmodernità, invece, tali certezze si dissolvono: le istituzioni perdono rigidità, le identità si fanno fluide, i legami sociali diventano meno vincolanti. Bauman elabora questa trasformazione attraverso la celebre metafora della “liquidità”, che descrive l’indebolimento delle strutture durevoli a favore di forme di esistenza transitorie, mobili e reversibili.

La liquidità non è, però, soltanto una constatazione interpretativa, ma un cambiamento strutturale che richiede un ripensamento epistemologico della sociologia, chiamata a dotarsi di strumenti capaci di cogliere l’instabilità come cifra costitutiva della contemporaneità. La sua vasta produzione scientifica opera precisamente in questa direzione, proponendo un ampliamento del campo sociologico oltre i confini universitari. Accanto a figure come Ulrich Beck, Anthony Giddens e Manuel Castells, Bauman contribuisce a delineare una sociologia “pubblica”, orientata non solo alla diagnosi dei fenomeni sociali, ma anche alla formulazione di prospettive normative. Tale orientamento comprende la denuncia delle disuguaglianze prodotte dalla globalizzazione, l’attenzione per le soggettività marginalizzate, la promozione della tolleranza e la ricerca di strategie per la gestione dei conflitti. Questa attenzione per la dimensione etica del vivere collettivo favorì, negli ultimi anni, una significativa convergenza con alcuni temi centrali del magistero di papa Francesco. I due si incontrarono ad Assisi nel 2016 in occasione di un meeting interreligioso sulla pace. In quell’occasione Bauman tenne un discorso su “migrazioni e integrazione” spiegandone le cause e le conseguenze come la “globalizzazione dell’indifferenza”, concetto più volte espresso da Bergoglio. In tale contesto il sociologo individuava, tra i possibili antidoti alla deriva individualistica, il recupero del sacro come ambito capace di offrire riferimenti valoriali non soggetti al flusso delle mode e della volatilità culturale. La sua riflessione si intrecciava anche con considerazioni sulla sfera privata, in particolare sul tema dell’amore e dei legami affettivi. La lunga e stabile relazione con la moglie Janina costituiva, nella sua testimonianza personale, una risposta concreta alla tendenza delle relazioni “liquide” alla precarietà e al disimpegno. Attraverso queste analisi Bauman mostrava che la liquidità non deve essere interpretata come un destino inesorabile: è possibile istituire spazi di solidità, restituendo centralità alla dignità delle persone e alla loro felicità. Che per Bauman è un’esperienza che nasce nella quotidianità, nei rapporti, nel confronto e nella negoziazione. È in questa dimensione micro-sociale che egli intravedeva le premesse necessarie per la tenuta della convivenza nella società contemporanea. Nel contesto post-pandemico e in un’epoca segnata da guerre diffuse, il suo pensiero invita a ripensare le forme della comunità e della responsabilità reciproca. Richiamarsi oggi alla lezione di Bauman significa, forse, esplorare la possibilità di restare umani in un mondo ipercomplesso e sempre più difficile da decodificare.