Riflessione di un ex sindacalista che ha imparato che la libertà non si misura in ore di lavoro, ma nel tempo che si sceglie di vivere”

Il lusso della lentezza: riscoprire il tempo perduto
Di: Savino Pezzotta
Data: 7 Novembre 2025
Per gentile concessione di
https://labarcaeilmare.it
Per una vita intera ho difeso il valore del lavoro. Ho lottato per i diritti, per i contratti, per la dignità delle persone. Oggi, però, mi chiedo se la battaglia più urgente non sia un’altra: quella per il tempo. Perché abbiamo conquistato ferie, tutele, sicurezza, ma intanto abbiamo perso il controllo di ciò che dovrebbe essere la base di tutto — la nostra libertà di vivere il tempo come esseri umani, non come ingranaggi.
Immersi in una corsa continua
Viviamo immersi in una corsa continua. Ogni giorno scorre con la stessa frenesia: riunioni, scadenze, notifiche, obiettivi. Non c’è più distinzione tra orario di lavoro e tempo personale. Lavoriamo anche quando non dovremmo, rispondiamo a messaggi la sera, ci sentiamo in colpa se ci prendiamo un pomeriggio di calma. Il tempo, che un tempo apparteneva alle persone, oggi appartiene alle aziende, agli algoritmi, ai ritmi imposti da un mercato che non dorme mai.
Da sindacalista, ho sempre pensato che la conquista più grande fosse quella delle otto ore: otto per lavorare, otto per vivere, otto per dormire. Un equilibrio semplice e umano. Ma guardando la realtà di oggi, quel principio sembra un ricordo lontano. Le otto ore non bastano più, e spesso non bastano neppure le ventiquattro. Il lavoro si è infilato in ogni spazio della nostra vita: nella casa, nei pensieri, persino nei momenti di riposo.
Una nuova misura del valore
La velocità è diventata la nuova misura del valore. Chi va piano è superato, chi rallenta rischia di essere escluso. Ma a forza di correre, abbiamo perso la capacità di capire dove stiamo andando. Ci riempiamo la vita di attività, di obiettivi, di scadenze, ma la qualità di ciò che facciamo — e di chi siamo — si assottiglia. Lavoriamo per accumulare tempo libero che poi non sappiamo più vivere, perché la testa resta agganciata a quel ritmo incessante che ci ha plasmati.
Il paradosso è che questa frenesia non nasce solo dall’alto. È diventata un’abitudine collettiva. Anche chi potrebbe rallentare, spesso non ci riesce. Ci sentiamo in dovere di “essere produttivi” perfino nel tempo libero: corsi, sport, impegni, viaggi programmati come progetti. Abbiamo interiorizzato la logica della performance fino a trasformarla in stile di vita.
Fermarsi , non arrendersi
Eppure, fermarsi non significa arrendersi. Rallentare non è un lusso, ma un atto di resistenza. È dire no a un sistema che riduce l’essere umano a una somma di risultati. È un modo per ricordare che la produttività non può essere l’unica metrica della vita.
Quando penso ai lavoratori che ho incontrato nel mio imegno sindacale— operai, insegnanti, impiegati, infermieri — mi rendo conto che la richiesta più profonda, sotto ogni rivendicazione, era sempre la stessa: avere tempo. Tempo per sé, per la famiglia, per respirare. Tutte le lotte, in fondo, girano attorno a questo: il diritto di vivere senza essere schiacciati dal ritmo.
Forse oggi il sindacalismo, oltre alle battaglie contrattuali, dovrebbe tornare a parlare anche di questo: il governo del tempo, del diritto alla lentezza, alla disconnessione, alla qualità della vita. Perché non basta avere un lavoro: bisogna avere anche la possibilità di viverlo in modo umano. Il futuro del lavoro non può essere solo digitale, agile o automatizzato — deve essere anche sostenibile per le persone.
La vera ricchezza
Il tempo è la nostra vera ricchezza, ma lo trattiamo come un bene di consumo. Lo sprechiamo, lo rincorriamo, lo vendiamo. Dovremmo imparare a considerarlo invece come un bene comune, da proteggere, da condividere, da rispettare.
Forse la vera libertà comincia quando smettiamo di inseguire la produttività e torniamo a inseguire il senso. Quando capiamo che la vita non è una gara da vincere, ma un equilibrio da costruire. Quando riscopriamo che il tempo, più che una risorsa, è la sostanza stessa di ciò che siamo.
Perché alla fine, la lentezza non è solo un modo di vivere. È una forma di dignità. È il diritto di ogni persona di abitare il proprio tempo, senza doverlo giustificare a nessuno.
Savino Pezzotta
Sono nato nel 1943 a Scanzorosciate. Prima operaio, poi mi iscrivo alla CISL. Sono eletto segretario generale dal 2000 al 2006. Partecipo a iniziative per la cooperazione internazionale e il volontariato sociale. Nel 2008 sono stato eletto al Parlamento per una legislatura. Sono tuttora impegnato in attività culturali e sociali.