Elisabetta

Figlia di Andrea II d’Ungheria, a quattordici anni fu data in sposa al ventenne Luigi IV di Turingia: “Se io amo tanto una creatura mortale – confidava Elisabetta alla sua serva Isentrude – quanto dovrei amare di più il Signore, immortale e padrone di tutti!”. E la serva ricordava: “Si amavano di un amore meraviglioso, e s’incoraggiavano dolcemente, l’uno con l’altra, nel lodare e servire Dio”. E saranno proprio queste convinzioni religiose a farle condurre una vita sobria tanto da suscitare nelle donne del suo rango, un certo disprezzo.

A quindici anni dà alla luce il primo figlio, a 17 una figlia e a 20 anni un’altra figlia, ma venti giorni prima era morto il marito! Nel 1227, infatti, mentre si trovava ad Otranto pronto per salpare verso l’Oriente, viene colto da un malore e more.

Terziaria francescana

La morte di Luigi creò non pochi disagi e dissapori ad Elisabetta, tanto che fu cacciata dal castello e le furono tolti i tre figli, per i quali lei rinunzierà all’eredità. Affascinata da san Francesco d’Assisi, morto nel 1226, Elisabetta si lascerà ispirare dalla spiritualità del terz’Ordine francescano, da lui fondato. Se da sposa e madre si era dedicata ai poveri, ora abbraccia “sorella povertà”. Con la dote lasciatele, farà costruire un ospedale e un lebbrosario, dove si dedicherà con tutta se stessa fino al 17 novembre 1231 quando muore. Scrive al riguardo il vescovo di Marburgo, dove Elisabetta svolse il suo servizio: “Oltre a queste opere attive a favore dei poveri, dico davanti a Dio che raramente ho visto una donna più contemplativa; ritornando nel luogo appartato dove andava a pregare, fu vista più volte col volto mirabilmente risplendente, mentre dai suoi occhi uscivano come due raggi di sole”.

Sarà proclamata santa il 1° giugno 1235 da Gregorio IX.

Elisabetta divenne ispiratrice e modello delle donne di Germania e a quante desideravano dedicarsi ai poveri e alla contemplazione: tra queste, le più conosciute le suore Terziarie francescane Elisabettine, fondate dalla beata Elisabetta Vendramini (1790-1860).

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Dalla «Lettera» scritta da Corrado di Marburgo,
direttore spirituale di santa Elisabetta
Elisabetta conobbe ed amò Cristo nei poveri

Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. Ella aveva sempre consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si dedicò interamente alla cura dei bisognosi. Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito. Arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri. Aveva preso l’abitudine di visitare tutti i suoi malati personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in contrasto con suo marito.
Dopo la morte di lui, tendendo alla più alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di chiedere l’elemosina di porta in porta. Un Venerdì santo, quando gli altari sono spogli, poste la mani sull’altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità del mondo e a tutto quello che nel vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare. Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non volessi. Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più derelitti. Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.
Prima della morte ne ascoltai la confessione e le domandai cosa di dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili. Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser seppellita. Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. Poi, fino a sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione, tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi dolcemente.
(Al pontefice, anno 1232; A. Wyss, Hessisches Urkundenbuch I, Lipsia 1879, 31-35)