Pur portando lo stesso titolo, i due libri non sono la continuazione l’uno dell’altro, anzi si presentano come due scritti paralleli, che rivelano un’origine e concezioni religiose diverse. Anche il genere letterario, pur essendo in ambedue quello della storia edificante, assume connotati diversi, più sobrio nel primo e più portato al miracolismo e all’esortazione il secondo.
I DUE LIBRI DEI MACCABEI
Presentazione
I due libri dei Maccabei prendono nome dall’appellativo «Maccabeo» (dall’aramaico maqqaba’, «martello») dato a Giuda e, per estensione, agli altri capi della rivolta giudaica contro il potere della Siria. I due libri sono stati composti in greco e quindi fanno parte del gruppo dei deuterocanonici. I fatti che essi raccontano si situano nel periodo che fa seguito alle campagne militari di Alessandro Magno (336-323 a.C.) il quale, dopo aver provocato la caduta dell’impero persiano, conquista la Siria-Palestina (333 a.C.) Alla sua morte (323 a.C.) il suo impero è diviso fra i suoi generali (diadochi), dei quali Seleuco, capostipite della dinastia seleucide, prende possesso della Siria e della Mesopotamia, mentre sovrano dell’Egitto diviene Tolomeo, dal quale deriva la dinastia dei Lagidi.
Dopo un periodo politicamente incerto, la Palestina cade sotto il dominio di questi ultimi (301-198 a.C.), i quali si mostrano rispettosi della religione e delle istituzioni giudaiche. La situazione cambia nel 198 a.C., quando il sovrano seleucide Antioco III, a seguito della vittoria di Panion, riesce a conquistare la Palestina. A lui succede nel 175 a.C., Antioco IV, che prende il titolo di Epifane ([dio] manifesto). In questo momento inizia l’ellenizzazione accelerata della Giudea, a cui collaborano i sommi sacerdoti Giasone e Menelao. Dopo alterne vicende Antioco prende possesso di Gerusalemme (168 a.C.), la saccheggia e impone con la forza l’ellenizzazione dei suoi abitanti. Tutto ciò provoca la rivolta del popolo giudaico di cui narrano appunto i libri dei Maccabei.
Pur portando lo stesso titolo, i due libri non sono la continuazione l’uno dell’altro, anzi si presentano come due scritti paralleli, che rivelano un’origine e concezioni religiose diverse. Anche il genere letterario, pur essendo in ambedue quello della storia edificante, assume connotati diversi, più sobrio nel primo e più portato al miracolismo e all’esortazione il secondo.
La storia che essi narrano, pur riportando notizie attendibili, ha un innegabile carattere romanzesco e chiare finalità religiose. Più che l’oggettivo svolgersi degli eventi interessa agli autori mettere in luce la continua assistenza di Dio che guida il suo popolo e lo libera dai suoi nemici, ma pretende da esso la fedeltà rigorosa alle sue leggi. La composizione dei due libri ha avuto luogo probabilmente qualche decennio dopo gli avvenimenti narrati, quindi verso il 100-125 a.C.
1. Primo libro dei Maccabei
Nel primo libro si raccontano le gesta valorose dei capi della rivolta: Giuda Maccabeo (1Mac 1,1–9,22); Gionata (1Mac 9,23–12,53); Simone (1Mac 13-16). Questo libro inizia con un accenno alle conquiste di Alessandro Magno (333 a.C.) e alla divisione dell’impero tra i suoi generali (1Mac 1,1-9) passando poi subito dopo a raccontare le vicende riguardanti Antioco IV, denominato Epifane ([dio] manifesto) e le pressioni da lui esercitate sui giudei per far loro accettare la cultura e le religione ellenistica (1Mac 1,10- 64): la circoncisione è proibita e la Tôrah è abrogata. Sulla collina a Nord-Ovest del tempio è costruita una cittadella (Acra), mentre il tempio stesso è dedicato a Giove Olimpio (1Mac 1,1-10). 118.
L’impatto con la cultura e la religione greca 1Mac 1,10-15
In quel tempo ci furono in Israele alcuni traditori i quali cercavano di ingannare gli altri con questi ragionamenti: «Su, facciamo un’alleanza con le nazioni che stanno attorno a noi. Da quando non abbiamo più voluto avere relazioni con loro ci sono capitati addosso molti guai». Questa proposta piacque a molti. Anzi, alcuni del popolo si incaricarono di andare dal re ed egli permise loro di vivere secondo le abitudini dei gentili. Allora costruirono una palestra nella città di Gerusalemme, secondo le usanze dei gentili. Cancellarono anche i segni della circoncisione e rinnegarono l’alleanza con Dio. Si associarono così ai gentili e, come loro, caddero in balia di ogni male.
La cultura greca esercitava un profondo influsso anche sui giudei. L’ascesa al trono di Antioco fornisce a molti di loro l’occasione di rivolgersi a essa in modo più deciso, spingendo in questa direzione anche i più riluttanti. L’intento di Antioco però non è tanto religioso quanto piuttosto politico: egli intende sopprimere le identità nazionali, in modo da dare unità e coesione al suo immenso impero. Per i giudei, che sotto i persiani avevano goduto di particolari esenzioni, l’intervento del re rappresentava non solo un pericolo religioso, ma anche una minaccia alla loro stessa esistenza come gruppo autonomo.
L’autore prosegue descrivendo gli interventi di Antioco e mette in luce la diffusione delle pratiche ellenistiche in Gerusalemme, introducendo poi i personaggi che saranno protagonisti delle vicende successive (1Mac 1,16–2,14). In questa situazione si fa strada tra i ceti più osservanti un senso di profonda insofferenza di cui si fa interprete Mattatia, un sacerdote residente a Modin, villaggio della Giudea.
La rivolta di Mattatia 1Mac 2,15-28
Intanto arrivarono nella città di Modin alcuni funzionari inviati dal re Antioco con l’incarico di costringere la gente a tradire la religione e a offrire sacrifici agli idoli. Molti Ebrei aderirono al volere del re; Mattatia e i suoi figli si tennero invece in disparte. Allora i rappresentanti del re si rivolsero a Mattatia e gli dissero:
«In questa città tu sei un uomo autorevole, stimato e grande. Figli e parenti tutti ti ascoltano e ti seguono. Su allora, fatti avanti per primo e ubbidisci al comando del re. Così hanno fatto anche tutti i popoli, gli abitanti della Giudea e quelli che sono rimasti a Gerusalemme. Tu e i tuoi figli diventerete amici del re, sarete da lui onorati con doni d’argento, d’oro e molti altri regali».
Mattatia rispose a voce alta: «Anche se tutti i popoli che stanno sotto il dominio del re gli ubbidiscono, anche se tutti accettano i suoi ordini e tradiscono la religione dei loro antenati, io, i miei figli e i miei parenti resteremo fedeli all’alleanza che Dio ha fatto con i nostri padri». Dio misericordioso ci aiuti a non abbandonare la legge e le tradizioni. Noi non ubbidiremo al re e non passeremo mai dalla nostra religione a un’altra.
Quando Mattatia ebbe finito di parlare, si fece avanti un Ebreo. Di fronte a tutti, in ossequio al comando del re, offrì sacrifici sull’altare che era stato costruito nella città di Modin. Mattatia, appena lo vide, non riuscì a frenare la sua ira. Furente, per amore della legge, si scagliò su di lui e lo sgozzò lì sull’altare. Uccise anche il rappresentante del re che costringeva la gente a offrire sacrifici e distrusse l’altare. L’amore della legge lo spingeva a fare questo, come a suo tempo aveva fatto Finees contro Zambri, figlio di Salom. Per tutta la città echeggiò allora il grido di Mattatia: «Tutti quelli che amano la legge di Dio e vogliono rimanere fedeli all’alleanza, vengano con me!». Poi con i figli fuggì sui monti, abbandonando tutto quello che possedevano in città.
La decisione presa da Mattatia e dai suoi seguaci di lottare con le armi contro i loro nemici rappresenta una scelta nuova e gravissima: è la prima volta infatti che i giudei combattono non per motivi politici e territoriali, ma in nome di Dio e della religione. Ciò implica un’interpretazione «bellicosa» della religione di YHWH, che ne accentua la tendenza integralista ed esclusivista. La fuga di Mattatia e dei suoi figli nel deserto dà inizio alla resistenza armata contro i siriani. Ai rivoltosi si uniscono gli asidei.
Intanto Mattatia giunge al termine della sua vita e designa Giuda Maccabeo come capo della rivolta (1Mac 2,29-69). Dopo alterne vicende, Giuda sconfigge Lisia, luogotenente di Antioco, nella battaglia di Emmaus (165 a.C.). L’anno successivo (164 a.C.) ha luogo la battaglia di Bet-Zur, in seguito alla quale Giuda conquista e purifica il tempio, consacrandolo nuovamente a YHWH (dicembre 164 a.C.) (1Mac 3-4). Continuano intanto i successi militari di Giuda (1Mac 5).
Antioco IV intanto muore e gli succede Antioco V il quale, dopo nuove azioni militari, accorda ai giudei la libertà religiosa (1Mac 6). Gli succede Demetrio I, il quale invia in Giudea Bacchide e Alcimo proponendo la pace. Giuda rifiuta, mentre gli asidei accettano l’offerta del re, ma subito dopo 60 di loro sono massacrati. Demetrio invia successivamente in Giudea un esercito con a capo Nicanore che però viene sconfitto (cfr. 1Mac 7). Giuda fa alleanza con i romani (1Mac 8) ma subito dopo, nel 160 a.C., muore nella battaglia di Berea (1Mac 9,1-22).
A Giuda succede suo fratello Gionata il quale nel 152 diventa sommo sacerdote (1Mac 9,23–12,53). Alla sua morte nel 143 assume il comando suo fratello Simone il quale ottiene dai re siriani la dignità di sommo sacerdote e di capo dei giudei (1Mac 13,1–16,10). Gli succede suo figlio Giovanni Ircano (134-104 a.C.), il cui figlio Aristobulo (104-103 a.C.) assumerà il titolo di re (1Mac 16,11-23), dando origine alla dinastia asmonea, nella quale si uniscono il potere regale e sacerdotale. Sorge così in Giudea un regno autonomo che durerà fino alla conquista romana (63 a.C.).
2. Secondo libro dei Maccabei
Questo libro si presenta come il riassunto dell’opera (andata persa) in cinque libri di Giasone di Cirene. In esso viene preso in considerazione un periodo storico più breve, quello che va dal 180 al 160 a.C., cioè dal tempo del sommo sacerdote Onia III fino alla morte di Nicanore, generale di Demetrio I re di Siria. In pratica vengono prese in considerazione solo le gesta di Giuda Maccabeo, narrate nei capitoli 1-9 del primo libro dei Maccabei.
Il libro si apre con due lettere che sarebbero state inviate dai giudei di Gerusalemme ai loro fratelli dell’Egitto: in esse si annunzia la ripresa del culto del tempio e la morte di Antioco Epifane (2Mac 1,1–2,18). Dopo una prefazione dell’autore (2Mac 2,19- 32) vengono narrati alcuni episodi riguardanti i rapporti con la Siria e l’introduzione degli usi greci da parte di Antioco IV (2Mac 3,1-6,17). Vengono poi presentati due episodi di fedeltà alla fede: il primo narra del vecchio Eleazaro, uno scriba novantenne, che accetta di morire soffrendo atroci dolori pur di non mangiare carni suine (2Mac 6,18-31). All’episodio di Eleazaro fa seguito il racconto della storia di sette fratelli che hanno preferito morire piuttosto che tradire la loro fede.
Il martirio di sette fratelli 2Mac 7,1-41
Furono arrestati sette fratelli insieme con la loro madre. Il re voleva costringerli a mangiare la carne di maiale, che era proibita dalla legge di Mosè e li fece picchiare e frustare. Ma uno di loro si fece avanti e disse a nome di tutti: «Che cosa ti aspetti da noi? Piuttosto che disubbidire alla legge dei nostri antenati, noi siamo pronti a morire». Il re si arrabbiò e fece mettere sul fuoco alcune caldaie di bronzo e quando scottarono ordinò di prendere il fratello che aveva parlato per primo. Davanti alla madre e agli altri fratelli gli mozzarono la lingua, gli strapparono la pelle del capo e gli tagliarono mani e piedi poi lo gettarono vivo nel fuoco. Mentre il fumo si diffondeva, gli altri fratelli si esortavano tra loro e con la madre a morire con coraggio dicendo: «Il Signore ci vede e certamente ci manda il suo conforto. Lo dice anche Mosè nel suo cantico quando proclama: il Signore avrà pietà dei suoi servi».
Morto il primo fratello, portarono al supplizio anche il secondo che, arrivato ormai all’ultimo respiro, disse: «Tu, scellerato, ci togli da questa vita, ma Dio, re dell’universo, ci farà risorgere per una vita che non finisce dato che moriamo per le sue leggi»; fu poi torturato il terzo fratello, il quarto, il quinto e tutti in punto di morte pronunziarono parole di fede e di pentimento per i peccati commessi, causa delle terribili prove che subivano. Prima di morire il sesto fratello, rivolto al re, disse: «Anche tu, hai osato combattere contro Dio e non resterai senza castigo». Con lo stesso coraggio e sostenuto dalla fede della madre subì il supplizio anche il settimo fratello.
La madre vide morire in un sol giorno i suoi sette figli e sopportò con grande eroismo la prova per la speranza che aveva nel YHWH e ai figli, mentre soffrivano, diceva: «L’inizio della vostra vita dentro di me è stata una cosa meravigliosa che continua a sorprendermi. Non sono stata io a darvi il respiro e la vita. Non sono stata io a formare le membra di ciascuno di voi. Il Creatore del mondo, che sta all’origine di tutte le cose, forma anche l’essere umano. Voi offrite voi stessi per amore delle sue leggi, ma lui, nella sua bontà, vi darà di nuovo il respiro e la vita».
In questo brano appare per la prima volta il tema della resurrezione dei morti. È precisamente nell’ambito della persecuzione che si comincia a pensare che i giusti, i quali hanno dato la vita per la loro fede, alla fine dei tempi, quando il popolo entrerà nella pienezza della comunione con Dio, usciranno dal regno dei morti e torneranno in vita per partecipare alla felicità dei loro fratelli. In questo contesto il martirio viene visto come l’unico mezzo che consente di essere fedeli a Dio e di preservare il popolo dalla rovina.
Alla fine la violenta persecuzione lascia il posto alla rivincita. Anche a questo proposito l’autore ricorda tre episodi: la vittoria di Giuda Maccabeo su Nicanore (2Mac 8,1-36); la morte di Antioco IV (2Mac 9) e la purificazione del tempio (2Mac 10,1-8).
Nella seconda parte del libro sono raccontate, con più particolari e in tono più patetico del racconto parallelo di 1 Maccabei, le gesta vittoriose di Giuda. Anzitutto Giuda deve far fronte all’attacco di Lisia, generale di Antioco V Eupatore (163-161 a.C.) (2Mac 10,9- 23), che viene da lui sconfitto a Bet-Zur (2Mac 11,1-12).
Lisia allora propone a Giuda di sottoscrivere un accordo di pace (2Mac 11,13-38). Ma la situazione non cambia e i giudei continuano a essere oggetto di vessazioni da parte sia dei greci sia delle popolazioni circonvicine: Giuda perciò scende nuovamente in campo contro di lui e lo sconfigge (2Mac 12). Dopo la battaglia, quando vanno a seppellire i loro morti, gli uomini di Giuda si accorgono che ciascuno di essi portava sotto la tunica oggetti sacri agli idoli.
La preghiera per i morti 2Mac 12,38-45
Tutti quanti, benedicendo l’operato di Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte, ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei caduti. Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.
In questo testo riaffiora, assieme all’idea che una disgrazia è sempre effetto di un castigo divino, la fede nella risurrezione finale, e al tempo stesso la convinzione che le preghiere e i sacrifici dei giusti possano espiare anche le pene dovute a coloro che sono morti in stato di peccato.
Antioco V prende allora personalmente l’iniziativa e cinge d’assedio Bet-Zur, ma non riesce a conquistare la città ed è sconfitto da Giuda. Alla fine, essendo giunta la notizia di problemi scoppiati in patria, offre la pace ai giudei (2Mac 13). La lotta prosegue poi contro Demetrio I (161-150 a.C.). Questi usurpa il trono di Siria, uccidendo Antioco e Lisia (2Mac 14). Egli invia poi contro Giuda il suo generale Nicanore, il quale, dopo aver fatto con lui un accordo, esige dai sacerdoti di Gerusalemme la sua consegna, pena la distruzione del tempio. Per dare una lezione ai giudei, Nicanore ordina di arrestare Razis, un giudeo molto stimato, ma questi, per non cadere nelle loro mani, si dà la morte.
Finalmente si giunge al conflitto decisivo (2Mac 15,1-36). I giudei attaccano Nicanore e lo sconfiggono. Egli viene ucciso e il corpo orrendamente mutilato è esposto a pubblico ludibrio. Quel giorno è dichiarato festa nazionale. Conclude il libro un breve epilogo dell’autore (2 Mac 15,37-39).
CONCLUSIONE
I due libri dei Maccabei mettono a fuoco un periodo in cui per la prima volta l’identità culturale e religiosa dei giudei viene sottoposta a dura prova da un potere politico avverso, ma prima ancora da una profonda spaccatura all’interno del popolo stesso. La soluzione del problema viene cercata nella lotta armata. Gli eventi narrati nel primo libro dei Maccabei mostrano come l’esclusivismo sconfini facilmente nell’uso della violenza per difendere la propria identità culturale e religiosa. Appare così la faccia guerriera del giudaismo, che aveva preso forma soprattutto nell’epopea della conquista e dell’insediamento nella terra di Canaan e che riprenderà vita un giorno nella rivolta armata contro Roma.
Il ricorso alla violenza per difendere la propria identità etnica, religiosa e culturale mostra però, proprio nella vicenda dei Maccabei, tutta la sua debolezza: infatti saranno proprio gli asmonei, i re discendenti dei gloriosi maccabei, i principali responsabili della successiva ellenizzazione della Giudea.
Da questi libri appare però che la violenza non è stata la soluzione adottata da tutti i giudei. Nel primo libro infatti si ricordano i gruppi degli asidei, i quali accettano di deporre le armi contro i nemici del popolo e sono barbaramente trucidati (1Macc 7,13-16); nel secondo libro affiora l’idea della resistenza passiva e del martirio, mediante il quale il popolo si rinnova e si riconcilia con il suo Dio.
In questa fase della storia di Israele Gerusalemme e la legge restano i punti di riferimento più significativi dell’identità minacciata. L’autore mette in evidenza i compromessi della classe dirigente giudaica e la costanza dei martiri che si oppongono all’imposizione dei governanti con coraggio e costanza, nella speranza di ottenere un giorno da Dio la resurrezione dei loro corpi.
In questo periodo appare per la prima volta, proprio in funzione della difesa non violenta dei valori tradizionali, l’idea della risurrezione finale. È significativo che nei libri canonici questa concezione sia attestata solo in 2Maccabei e in Daniele. Essa farà poi molta strada nell’ebraismo, ma ancora all’inizio dell’era volgare essa non sarà accettata da tutti: gli appartenenti alla casta sacerdotale (sadducei) infatti non la ritenevano parte del deposito rivelato, mentre i cristiani, al seguito dei farisei, ne hanno fatto un punto qualificante della loro fede.
Alessandro Sacchi
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