Sapienza:
nell’intimo dei cuori e nella storia
Dio si rivela e chiama l’uomo ad aprirsi al suo Mistero
Pino Stancari sj
Supplica per ottenere la Sapienza che guida la storia
Cap. 9-10
Cap. 9: Supplica per ottenere la Sapienza
Il cap. 9 che contiene il testo conclusivo della seconda sezione del discorso ed è un testo relativamente famoso perché riporta a noi la supplica per ottenere la Sapienza. Assume l’andatura di un cantico e si sviluppa in tre strofe; la prima strofa dal v. 1 al 6; la seconda dal v. 7 al v. 12, la terza dal v. 13 al v. 18.
La prima strofa ruota attraverso attorno a quell’invocazione che ricorre nel v. 4: “Dammi la sapienza”; la seconda ruota attorno a quello che leggiamo nel v. 10: “Inviala dai cieli santi”; la terza non ci propone un imperativo ma un’espressione equivalente in forma ipotetica, nel v. 17: “se tu non gli hai concesso la sapienza” (concedi la Sapienza).
La supplica procede, da una strofa all’altra, in modo tale da raccogliere tutte le tensioni che si sono man mano configurate nell’intimo dell’uomo, così segreto, misterioso, impenetrabile, nella relazione con la Sapienza, fino a giungere al momento in cui il suo cuore si esprime con il linguaggio dell’invocazione; non ne ha un altro che sia opportuno, adeguato alla situazione nella quale si trova se non questo. Quanto più si pratica la relazione con la Sapienza, il mistero di Dio che si rivela, tanto più il cuore umano scopre di essere maturato nell’esperienza della propria radicale povertà, e scaturisce la supplica.
Siamo alla fine della seconda sezione, quella centrale, e all’inizio della terza. Non c’è dubbio per il nostro maestro che è erede di tutta una tradizione sapienziale: Dio si è rivelato in modo tale da metterci in grado di intendere e accogliere la sua volontà e da coinvolgerci in una relazione con lui che ci consente di procedere positivamente, operativamente, nel tempo e nello spazio, così da corrispondere alla sua volontà. Dio si è rivelato in modo tale da fare di noi e della nostra libertà di creature umane l’offerta, la risposta a lui gradita.
Cap. 10: L’azione della Sapienza nella storia
Ci troviamo già introdotti nella terza sezione del discorso che ci aiuta a riflettere sulla storia degli uomini in modo tale da decifrare – è questo l’obiettivo a cui il nostro maestro si dedica con grande assiduità – quali sono le costanti dell’agire di Dio nella vicenda umana; come si rivela Dio nella storia? Il criterio determinante è quello che è avvenuto nella storia della salvezza, quella storia particolare di cui il nostro maestro non parla mai usando nomi propri; lo notiamo per quello che già abbiamo letto; lo noteremo ancora per quello che leggeremo. Parla sempre in termini che rispettano l’anonimato; ma parla di quelli che sono i grandi avvenimenti della storia della salvezza e ne parla non per il gusto di ricostruire quei fatti o rievocare quelle pagine dei testi antico-testamentari che gli sono ben noti; ne parla per fornirci strumenti di analisi, di discernimento, strumenti ermeneutici in base ai quali possiamo renderci conto di come Dio si rivela, sempre e dappertutto: ecco la volontà di Dio ed ecco come Dio ha operato per aprirsi la strada; non ha riservato questo regalo ad alcuni privilegiati, ma ha aperto la strada a tutti, sempre, dovunque. Il nostro maestro vive ad Alessandria in Egitto, parla greco, è educato nelle accademie dell’arte retorica; dimostra, dunque, di essere un giudeo perfettamente istruito nelle scritture sacre, ma sviluppa il suo discorso ben sapendo di avere a che fare con un uditorio che tende ad ampliarsi sempre di più e a coinvolgere ecumenicamente coloro che non appartengono affatto al popolo dell’alleanza.
All’inizio della terza sezione del discorso (cap. 10), troviamo una specie di carrellata panoramica che consente al nostro maestro di passare in rassegna certi personaggi che non vengono mai citati per nome; noi, però, li riconosciamo perché siamo già esperti nella lettura di quelle pagine dell’Antico Testamento che sono dedicate a costoro. Personaggi che vengono rievocati, uno dopo l’altro; ritratti quanto mai sintetici messi qui in colonna per arrivare a un personaggio che ci rimanda a uno snodo della storia della salvezza che, per il nostro maestro, acquista un rilievo ricapitolativo di tutto: questo personaggio è Mosè e l’evento ricapitolativo è la Pasqua, la traversata del mare, del deserto, tutto quell’insieme di avvenimenti che segnano in modo indelebile la nascita del popolo di Dio. Tra l’altro, anche da un punto di vista logistico, il nostro maestro dimora in Egitto. Mosè e l’uscita dall’Egitto; lì ci vuol portare e proseguirà per tutto il seguito del discorso. Sono sei tappe per arrivare alla settima (la sequenza settenaria non è casuale) che coincide con la figura di Mosè.
L’Esodo, evento paradigmatico:
la vicenda di un mondo pagano diventa storia della salvezza
cap. 11-12
Nel cap. 11 il nostro maestro ci propone alcune considerazioni fondamentali che valgono come regole interpretative della storia della salvezza, che poi sono le regole interpretative della storia umana.
Cap. 11,1-14 Primo poema: L’Esodo come chiave interpretativa
All’interno della terza parte (considerando il cap. 10 come introduttivo), ecco una sequenza di poemi che servono a mettere a fuoco quali sono stati i comportamenti del Signore. Come si è manifestata la Sapienza del Dio vivente (la Tua Sapienza), come si è espressa, come siamo in grado di corrispondere alla Tua iniziativa? In quei primi 14 versetti il nostro maestro ha impostato una chiave interpretativa che tornerà poi molto utile in seguito, per quanto riguarda l’avvenimento dell’Esodo, molto complesso, con tutta una serie di elementi collaterali e di significati interni che non emergono immediatamente ma devono essere man mano scavati ed evidenziati. L’Esodo ci fornisce un suggerimento, per quanto riguarda l’interpretazione di quel che è avvenuto, che diventa una chiave per capire il senso di ogni altro avvenimento della storia umana.
Cap 11,15-12, 2 Secono poema: L’economia di Dio, potenza di amore
Questo secondo poema richiama la nostra attenzione su quella che potremmo definire la “misura dell’economia divina”. Qual è la misura che è applicata dagli interventi di Dio nella storia umana, Sapienza di Dio e il suo rivelarsi, dal momento che le cose vanno come il nostro maestro ci ha appena illustrato? Se le cose vanno in quel modo per cui la stessa acqua che punisce è acqua che redime, qual è la motivazione intrinseca che dobbiamo trarne? La stessa acqua che punisce redime: che cosa ci insegna questo? Sembra un dialogo intimo del nostro maestro, un’esperienza contemplativa a tu per tu con il Signore: “ma tu che cosa vuoi dirci in questo modo?”. E’ un discorso di per sé pubblico, encomiastico, da rivolgere alla folla, ma il maestro è impegnato con tutta la partecipazione del suo mondo interiore, di quel colloquio che lo coinvolge nell’intimo di se stesso.
Cap. 12,3-27 Terzo poema: Dio è indulgente con tutti perché è onnipotente
Cap. 12, v. 3. Si aggiunge un terzo poema che ha un’andatura ancora più contemplativa di quanto abbiamo potuto constatare leggendo gli altri due. Il nostro maestro si interroga: “Chi è come te, Signore?”. Se le cose stanno così “chi sei tu?”. Tutto quello che ci sta dicendo adesso non è il frutto di una riflessione teologica che mette a fuoco contenuti che riguardano Dio; qui “ci sei di mezzo tu, chi sei tu, e chi è come te? Perché il Tuo rivelarsi significa che quel che di Te si rivela, sei Tu; quel che di Te noi cogliamo nella Sapienza, che apre e illumina le strade della nostra conversione alla vita, sei proprio Tu nel tuo segreto, nel tuo intimo, nel tuo mistero, nel tuo profondo; non butti fuori qualcosina tanto per accontentare i curiosi tenendoli lontani dal tuo segreto, da custodire a modo tuo e con chi vuoi tu; ma questo è esattamente il Tuo segreto, il Tuo essere nell’intimità della tua vita. Tu riveli te stesso”. Quella Sapienza che è rivelazione di Dio non è soltanto l’illustrazione di un modo suo di procedere tecnicamente, operativamente nell’organizzazione delle cose, ma quella Sapienza di Dio è Lui, nel suo intimo.
Dal v. 22 al v. 27 la conclusione del poema. Il nostro maestro chiude ora il poema accennando al fatto che c’è di mezzo tutta la pedagogia sapientissima di Dio che vuole la conversione, la salvezza, perché tutto è dominato da una Sua intenzione d’amore. L’intenzione d’amore rimane sempre più fortemente confermata man mano che urta contro l’opposizione: gli uomini sono come dei bambini irragionevoli, testardi; si irrigidiscono.
Man mano che l’idolatria emerge, affiora, viene a galla in tutta la sua macroscopica tragedia, Dio si rivela. E questa storia degli uomini che sono protagonisti della loro idolatria è una storia distruttiva, dice il nostro maestro: è così che gli uomini si distruggono perché in quel loro peccato c’è anche la loro pena e in quel loro modo di idolatrare se stessi e la propria iniziativa umana, la propria volontà proposta e imposta come volontà assoluta, c’è anche la loro pena. Si autodistruggono gli uomini. E Dio lì rivela se stesso. Man mano che noi abbiamo a che fare con quella serie di riferimenti che nella storia della salvezza danno risalto sempre più massiccio, imponente, spaventoso (l’idolatria)… è il manifestarsi di Dio che ci viene incontro. E là dove l’idolatria appare in tutta la sua mostruosa gravità, è il Dio vivente che si rivela.
L’idolatria: un orizzonte di stoltezza e infelicità
cap. 13-14-15
Nei capp. 13, 14, 15 il nostro maestro inserisce un’ampia digressione sull’idolatria. E’ il nucleo centrale di tutta la terza parte. L’idolatria che emerge in tutta la sua gravità più spudorata nel contesto di quella rivelazione che ci spiega chi è Dio e come la Sua potenza è vittoriosa: la potenza che salva, che redime, che riscatta e questa esplosione dell’idolatria umana in tutta la sua capacità di contraddire è tutta interna alla rivelazione della misericordia di Dio; ci converte.
Siamo alle prese con la terza parte del libro che è la terza parte di un discorso elogiativo dedicato alla Sapienza, ossia al rivelarsi di Dio. La parte centrale, la seconda, è quella che contiene il vero e proprio elogio della Sapienza, fino a tutto il cap. 9; dal cap. 10 la terza parte che ci conduce fino alla fine.
I capitoli 13, 14, 15 sono un intermezzo piuttosto ampio dedicato all’idolatria. E’ l’idolatria degli egiziani, ma anche degli ebrei che in tanti momenti della loro storia ne sono diventati complici. L’idolatria non abita solo in Egitto; è dilagante, ricorrente; rispunta di luogo in luogo e di tempo in tempo nel corso della storia umana con inflessibile e spietata capacità di inquinamento.
Nei capitoli 13, 14 e 15 il maestro individua tre fondamentali modalità di idolatria. In realtà è la seconda di questa terna che verrà soprattutto messa in evidenza. Prima modalità: la divinizzazione della forza della natura; sono i primi nove versetti nel cap. 13. Seconda modalità: la divinizzazione dei prodotti dell’attività umana; è la modalità che occupa lo spazio principale; uno svolgimento amplissimo che va dal v. 10 del cap. 13 al v. 17 del cap. 15. Terza modalità: la divinizzazione degli animali; questa terza tipologia si condensa in soli due versetti (18-19 del cap. 15).
Cap. 13,1-9: Prima modalità – Stolti, perché incapaci di vedere l’autore della bellezza
La stoltezza degli uomini sta in questa dimostrata inettitudine a passare dalle creature al Creatore; e gli uomini si sono fermati a considerare il fuoco, il vento, l’aria, il movimento delle stelle, l’acqua che scorre impetuosa, il sole, la luna come dèi, reggitori del mondo. Gli uomini, dice il versetto 1 “vivevano nell’ignoranza di Dio”; sono ancora estranei a una relazione con Lui perché l’ignoranza di Dio non è solo un fatto che riguarda semplicemente le capacità concettuali, intellettuali, raziocinanti dell’uomo: è il mancato coinvolgimento in una relazione vitale con Dio, ed ecco come gli uomini si sono rivolti alle realtà grandiose, impressionanti, a loro modo sconvolgenti, registrate nell’ordine naturale, e hanno identificato queste realtà come dèi reggitori del mondo.
Cap. 13,10-15,17: Prima modalità: Infelici, perché adoratori di oggetti umani
Seconda tipologia e qui abbiamo a che fare con un testo ampio (dal cap 13, v. 10 fino al cap. 15, v. 17). Tenete presente che il testo può essere ulteriormente suddiviso in sei svolgimenti; sono sei momenti di una riflessione che il nostro maestro mette insieme con la solita delicatezza e energia intellettuale.
13,1-14,11 – Primo svolgimento: in questo primo svolgimento ci dà una sommaria descrizione di quello che è il culto degli idoli, intesi ora non come forze della natura che stanno al loro posto e attraggono l’attenzione e la commozione degli uomini, ma oggetti fabbricati. “Infelici sono coloro (ricordate che la sezione precedente si apriva con “stolti”, v. 1, del cap. 13; adesso “infelici”; questa tipologia dell’idolatria umana viene inquadrata sotto una sentenza che già anticipa quello che sarà l’esito finale di tutta la disamina come un cammino che è tutto proteso all’infelicità.
La cosificazione delle persone e il culto dell’inesistente
14,12-21 – Secondo svolgimento: l’idolatria sta per prostituzione; prostituzione per il nostro maestro vuol dire la vanità di una relazione umana cosificata, quella relazione interpersonale in cui la persona umana è ridotta a cosa. Questa cosificazione della persona umana è l’origine dell’idolatria. L’idolatria è un fenomeno di prostituzione; è la prostituzione per eccellenza. E’ il modo per impiantare la vita degli uomini, la società umana, e dare dall’interno di questa pretesa umana un senso alla storia che poi è un senso odioso, portatore di maledizione, che è determinato da questo ripiegamento originario per cui la persona umana è ridotta a una cosa. E’ la relazione interpersonale che è originariamente deviata.
Anche l’arte può sviare
V. 18: c’è di mezzo anche il “teknitis”, l’artista; anche lui deve farsi spazio, “cosificare” le sue qualità che sono di per sé dono di Dio al servizio delle relazioni interpersonali; ma se l’artista riesce a ridurre le sue qualità, così importanti nel contesto della vita sociale, a “cose” funzionali a tutto il meccanismo che produce “cose” in questa maniera impone l’esercizio di un potere sacro, per cui non si ha più a che fare con il sovrano ma con una cosa.
La conseguenza dell’idolatria: l’altro è nemico
14,22-27 – Terzo svolgimento: le conseguenze dell’idolatria. L’idolatria produce una grande guerra – dice il nostro maestro – ma subito aggiunge che questa grande guerra viene comunemente barattata come una pace: è una grande guerra, che porta con sé mali grandiosi, ma a tutto questo vien dato il nome di pace. Questa menzogna che trasforma la grande guerra nella quale di fatto gli uomini si sono inseriti in seguito all’instaurazione dell’idolatria, viene proclamata, annunciata, vagheggiata, esaltata come pace. Imbroglio.
14,28-31 – La negazione di sé e della parola data
Quarto svolgimento: vv. 28-31. Il nostro maestro dice qualcosa di più perché non sono soltanto i riti della negazione della vita che devono essere registrati: l’altro deve essere, proprio in termini liturgici, destinatario di tutto l’impegno che è necessario, perché scompaia. L’idolatria procede inesorabilmente verso il disastro. Disordine nei rapporti interpersonali, nel discernimento della propria personale vocazione; grande guerra. Sono cose di una potenza straordinaria e di un’attualità che è proprio micidiale. L’obiettivo di chi si interroga circa la propria vocazione è raggiungere una cosa, non l’autenticità nella propria coscienza che risponde a una vocazione.
Gli amanti del male
Quinto svolgimento: l’estrema conseguenza dell’idolatria: l’amore per il male, non soltanto sperimentato come conseguenza inevitabile delle proprie scelte, non soltanto come un riscontro estrinseco del proprio vissuto, ma il male come il vero contenuto della scelta, il vero obiettivo dell’amore.
Il massimo della stupidità: scegliere la morte anziché la vita
Sesto e ultimo svolgimento, vv. 14-17: il massimo della stoltezza. Ci aspetteremmo che, giunti a questo punto, non c’è altro da aggiungere e invece c’è ancora qualcosa perché quel vasaio sa di peccare, sa di fabbricare oggetti di poco conto, mentre – dice adesso, massima stoltezza – gli egiziani, non citati per nome, sono come dei bambini stupidi e capricciosi che considerano gli idoli che condizionano tutto della loro vita, come realmente le divinità a cui devono sottostare. Almeno il vasaio sa che ha fabbricato oggetti che non valgono niente, che servono all’interno del discorso che anche il male deve essere usato per il proprio interesse.
Questa divinizzazione delle cose. Quest’uomo mortale ha prodotto una cosa morta; alla resa dei conti è il massimo della stupidità, una stupidità tragica: l’idolatria è il culto della morte, è una scelta di morte divenuta criterio unico, assoluto e definitivo in base al quale si interpreta tutto).
Cap. 15,18-19Il culto delle bestie
Cap. 15, vv. 18-19. Terza sezione di questa analisi dedicata all’idolatria: il culto delle bestie, l’idolo come animale. Ritorniamo allo spunto originale, quello riguardante le bestiole venerate dagli egiziani e d’altra parte attraverso le bestiole sono stati puniti.
La storia intrecciata dei giusti e degli empi
16-17-18-19
Abbiamo letto nel nostro ultimo incontro, nei capp 13-15, un’ampia digressione dedicata al tema dell’idolatria. Ora proseguiamo dal cap. 16.
Capitolo 16
Gusto e disgusto
Cap. 16, vv. 1-4, il richiamo alla cosiddetta “piaga delle rane”.
Un dolore terapeutico
Dal v. 5 al v. 12: “Quando infatti li assalì il terribile furore delle bestie e perirono per i morsi di tortuosi serpenti, la tua collera non durò sino alla fine”. E’ un richiamo alla cosiddetta piaga delle cavallette e a quell’episodio – che leggiamo nel libro dei Numeri, cap. 21 – dei serpenti che mordono e il serpente innalzato su un’asta.
Solo Dio ha il potere sulla vita e sulla morte
I versetti 13-14 costituiscono una specie di intermezzo immediatamente legato ai versetti appena lettti. Ci sei di mezzo Tu, Signore della vita e della morte, perché Tu sei Signore sulla morte per instaurare la vittoria della Tua volontà di vita.
Dalla Sua mano asprezza e dolcezza
Vv. 15-23. Si aggiunge un altro svolgimento con un richiamo alla piaga della grandine in Egitto che viene messa in relazione con il dono della manna nel deserto. C’è un’immagine, che sta sullo sfondo e collega i due episodi, relativa a quel che la mano del Signore fa cadere dal cielo. Che cosa cade dal cielo? La mano del Signore. Il nostro maestro non fa altro che ribadire questa sua visione delle cose che è la sua chiave interpretativa della storia umana in quanto è la storia della salvezza, dove, a questo punto, non è più nemmeno così importante precisare se la grandine ha devastato o cos’era veramente la manna; qui è in questione quel modo di stare sotto il cielo per cui qualunque cosa succeda ci sono quelli che si ritengono schiacciati sotto una cappa di violenza mentre altri “gustano” la dolcezza della vita. Questo diventa un messaggio per i primi e motivo di condivisione e compassione per i secondi.
La creazione a servizio del Suo disegno
Dal v. 24 al v.29 una riflessione che ricapitola queste battute. La creazione è al servizio di questa rivelazione che è la Sapienza – il rivelarsi di Dio – ed è al servizio di questo itinerario di conversione per cui gli eventi prendono significati così discordanti a seconda di come l’animo umano si apre ad accogliere il gesto della mano di Dio. L’obiettivo del nostro maestro non è tanto quello di arrivare a elaborare una dottrina; sta dicendo che l’obiettivo di tutto questo discorso è instaurare un disegno di comunione che poi è il senso della storia umana, così come essa rivela il protagonismo di Dio. Dio si rivela nella storia umana – ecco la Sapienza – in quanto è promotore di comunione. Questo è fondamentale.
Capitolo 17
Prigionieri delle tenebre
Cap. 17, vv. 1-10: il richiamo a un’altra piaga, quella delle tenebre, la nona piaga. E’ quel che è avvenuto in Egitto, laddove gli egiziani, aggrediti dalle tenebre di fuori e di dentro, si sono ritrovati prigionieri di una coscienza che si è imposta ad essi come motivo di condanna irreparabile; una coscienza che presume sempre il peggio.
Come uscire dall’insopportabile paura: aprirsi al Mistero
Dal v. 11 al v. 14 si apre una piccola digressione circa la paura collegata con l’irrazionalità laddove viene rifiutato il linguaggio che è proprio del Mistero; laddove l’irrazionalità appare in tutta la sua evidenza, lì si scatena la paura. Il guasto non sta nell’irrazionalità, ma nell’aver rifiutato il linguaggio del Mistero.
Capitolo 18
Luce per i giusti
Cap. 18, vv. 1-4. La prospettiva si ribalta perché, mentre gli egiziani sono alle prese con le tenebre gli ebrei no e gli egiziani restano meravigliati.
Preannuncio pasquale: notte di morte e di nascita
Vv. 5-19. Si arriva ora all’ultimo grande quadro che il nostro maestro rievoca con molte sottolineature. Si tratta dell’ultima piaga: la piaga dei primogeniti. Dalla notte, nel senso delle tenebre che dilagano sul territorio dell’Egitto e che si infiltrano nei ricettacoli più segreti dell’animo umano, alla notte dei primogeniti: è la notte di Pasqua.
L’intercessione di un giusto
Vv. 20-25: il popolo con cui Dio ha fatto alleanza è ancora un popolo che si trova coinvolto in vicende terribili, sconvolgenti; ed ecco l’intercessione è comunque operante e l’intercessione – qui attribuita ad Aronne, capostipite di tutti i sacerdoti, ma anche a Mosè, grande figura di intercessore – ha il significato di quel sangue che è stato usato per segnare le porte delle case in cui abitano gli ebrei in Egitto. E’ quello stesso significato che si perpetua; è il sangue dell’Agnello che ferma lo “sterminatore”. Ma quello che vale adesso per gli ebrei nel deserto, vale per gli egiziani perché in Egitto il sangue dell’Agnello, ma adesso la situazione è analoga: l’intercessione svolta da Aronne è equivalente al sangue dell’Agnello.
Capitolo 19
Oblio e memoria
Cap. 19, vv. 1-12: si va di seguito, dalla notte dei primogeniti, all’inseguimento fino a quando gli ebrei sono raggiunti ed ecco che il mare si apre. Gli egiziani dimenticano. C’è questo oblio che è conseguente alla loro disperazione e il faraone lancia all’inseguimento la sua gente per raggiungere gli ebrei. Anche gli ebrei nel deserto ricordano, in contrapposizione all’oblio degli egiziani: gli egiziani dimenticano; gli ebrei ricordano.Questa loro memoria non soltanto rievoca il passato ma è in grado già di decifrare il futuro. Gli ebrei portano con sé la memoria di questa novità che è opera di Dio, che coinvolge tutte le creature in obbedienza alla Sua volontà di vita. Gli ebrei hanno imparato ad accogliere questa rivelazione che piega tutti gli eventi nell’ordine naturale, in obbedienza alla sua volontà di vita. Gli egiziani se ne sono dimenticati, gli ebrei se ne ricordano e se ne ricorderanno. Questa memoria degli ebrei diventa pedagogica per gli egiziani, diventa testimonianza, evangelo per gli egiziani, perché i destinatari dell’Evangelo sono proprio gli egiziani.
Odio per lo straniero
Vv. 13-17: Il nodo che rende così penosa, così dolorosa la storia umana: la misoxenia, l’odio per gli stranieri. In realtà il nostro maestro va esattamente nella direzione opposta, cioè dice che il senso della storia umana sta nel rivelarsi di Dio in quanto promotore di comunione. Quello che riguarda la relazione tra egiziani ed ebrei viene esattamente sintetizzato così: l’odio verso lo straniero, ma gli egiziani dimenticano e quante altre volte ancora gli uomini dimenticheranno e quante volte continuano a dimenticare. E, d’altra parte, gli ebrei “ricordano” e ricordano che la nostra è una storia unica, dove non si tratta di trovare lo schieramento vincente e finalmente potersi collocare all’interno di una situazione garantita, a scapito di tutto il resto e a danno di tutti gli altri. Non è così. Qui, il mistero di Dio che si rivela a noi porta con sé lo spappolamento e la disgregazione degli schieramenti, lo svuotamento di tutte quelle contrapposizioni a cui gli uomini sono abituati. E’ in atto un processo pedagogico per cui gli eventi si succedono con tanti riscontri; ma poi si dimenticano. E “riemerge l’odio contro lo straniero”.
Nuova creazione: un disegno di comunione
Vv. 18-22. E’ proprio la fine di quel mondo che si esprime con il linguaggio della misoxenia, dell’odio per lo straniero, dell’odio per l’altro, della prepotenza che vuole dominare ed espellere, che vuole instaurare percorsi esclusivi che debbono affermarsi espellendo; e in realtà le conseguenze cui si va incontro sono quelle che sono state descritte in tanti modi. E’ la storia delle piaghe, ma è la storia di oggi, è la storia di sempre; è la storia del grande fallimento, del grande disastro, della grande sofferenza, della tribolazione che sconvolge tutto e tutti; ma è esattamente questo il contesto nel quale la Sapienza è presente e operante: il mistero del Dio vivente si rivela e non in termini dottrinali, teorici, con un insegnamento astratto, ma trasformando dall’interno questo grande crogiuolo di sofferenza in una nuova creazione. Per questo esiste il suo popolo, per questo esistiamo noi, non per fare la bella figura di quelli che sono migliori degli altri e che possono vantare la propria vittoria sulla sconfitta altrui. Noi esistiamo per celebrare la lode della Sua Sapienza.
P. Pino Stancari sj
http://www.incontripioparisi.it