XXVIII Settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz

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IX settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Lunedì 13 Ottobre (Feria – Verde)
Lunedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Rm 1,1-7   Sal 97   Lc 11,29-32: Non sarà dato alcun segno a questa generazione, se non il segno di Giona.

Martedì 14 Ottobre (Feria – Verde)
Martedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Rm 1,16-25   Sal 18   Lc 11,37-41: Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro.

Mercoledì 15 Ottobre (Memoria – Bianco)
Santa Teresa d’Avila

Rm 2,1-11   Sal 61   Lc 11,42-46: Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.

Giovedì 16 Ottobre (Feria – Verde)
Giovedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Rm 3,21-30   Sal 129   Lc 11,47-54: Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.

Venerdì 17 Ottobre (Memoria – Rosso)
Sant’Ignazio di Antiochia

Rm 4,1-8   Sal 31   Lc 12,1-7: Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.

Sabato 18 Ottobre (FESTA – Rosso)
SAN LUCA

2Tm 4,10-17   Sal 144   Lc 10,1-9: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.

Domenica 19 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Es 17,8-13   Sal 120   2Tm 3,14-4,2   Lc 18,1-8: Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.

Lunedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,29-32: Non sarà dato alcun segno a questa generazione, se non il segno di Giona.

Continuiamo a chiedere segni, viviamo la fede come una forma di superstizione che poco ha che vedere con la sobrietà e l’equilibrio dei Vangeli. Anche noi, come i contemporanei di Gesù, corriamo il rischio di correre dietro le apparizioni e i miracoli invece di interpretare i tanti segni che il Signore ci manda nella quotidianità. La richiesta del miracolo e dell’apparizione rivela una piccola fede che ha bisogno di prodigi miracolosi senza riconoscere il grande prodigio della presenza del Figlio di Dio in mezzo a noi! In particolare Gesù chiede di prestare attenzione a due grandi segni: quello della profezia dei tanti che, come Giona, ancora ci invitano a conversione e quello della ricerca della sapienza che mise in moto la regina di Saba e la spinse a verificare la fama del re Salomone. Ascoltare la profezia e la sapienza, accogliere chi ci invita a conversione e chi parla con saggezza, dote sempre più rara nelle nostre verbose ma superficiali società. Ben più di Giona e di Salomone abbiamo qui: la Parola di Dio stessa incarnata e resa accessibile ad ogni uomo che cerca Dio. Smettiamola di chiedere segni a e accorgiamoci del grande segno che è Cristo fra di noi!

Martedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,37-41: Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro.

Il fariseo che invita Gesù non sa in che vespaio si è andato ad infilare… Gesù non le manda certo a dire e non capisce la ragione per cui chi ti invita a pranzo poi pretenda che tu segua le sue norme e prescrizioni. Mancanza di educazione che rivela la piccola statura morale dei farisei, convinti che l’unico modo di vivere autenticamente la fede sia il loro. Succede così anche fra noi bravi cattolici abituati a piccole tradizioni devozionali che poco hanno a che vedere con la grandezza della fede cristiana che mette sempre al centro la persona e non la norma. Sappiamo mettere ordine nelle nostre convinzioni, allora, senza confondere i piani: abbiamo accolto il Vangelo, abbiamo accolto la libertà dei figli di Dio, non facciamo l’errore di diventare schiavi di nuovi precetti e abitudini che poco hanno a che vedere con l’unica legge dell’amore voluta da Cristo! Le abluzioni dei farisei erano degli strumenti che ricordavano a tutti la necessità di prepararsi interiormente prima dell’incontro con Dio. Così tutte le devozioni che ci aiutano a incontrare Gesù sono solo degli strumenti che non vanno assolutizzati e, soprattutto, non vanno usati per giudicare la fede altrui!

Santa Teresa è stata riconosciuta dottore della Chiesa perché nei suoi scritti ha saputo esprimere i segreti della vita spirituale e spiegarli agli altri, parlando veramente dall’abbondanza del cuore. E un piacere leggere i suoi scritti, per la spontaneità dello stile che li fa assomigliare non a dei trattati di teologia, ma ad una viva conversazione con una donna colma di Dio e che appunto racconta come ha incontrato Dio su tutte le sue strade, come ha lavorato con Dio per fondare ovunque carmeli che fossero centri di intensa vita spirituale.
Il passo della lettera ai Romani evoca la fecondità interiore della santa e capiamo che tutta la sua dottrina veniva proprio da un cuore formato dallo Spirito Santo. Ella stessa parla della forza delle sue aspirazioni spirituali, della loro profondità; si tratta veramente di gemiti, come dice san Paolo: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, intercede per noi con gemiti inesprimibili”. “Salvàti nella speranza”, noi gemiamo verso Dio.
Questa vita “spirituale” nel senso più forte del termine, unisce santa Teresa alle tre Persone divine, e lo si comprende meglio leggendo i versetti successivi a quelli riportati, che già parlano dello Spirito di Dio che prega in noi con gemiti inesprimibili. La nostra preghiera è in noi stessi l’attività di Dio, del suo Spirito, se è preghiera autentica, se è preghiera cristiana. Non sono parole di sapienza umana, non sono un’invenzione umana: è l’attività dello Spirito in noi, che cerca di penetrare il nostro essere, di trasformarlo per slanciarci in Dio, per approfondire in noi il desiderio di Dio, per dare uno slancio fortissimo verso il Padre. Questo grido dello Spirito in noi è espresso nel salmo di ingresso: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente”, anela a Dio, perché già abbiamo gustato la vita di Dio, perché siamo abitati da Dio. “E Dio che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito”: c’è una corrispondenza tra ciò che Dio vuole per noi e ciò che in noi lo Spirito realizza secondo la volontà di Dio.
Ora tutto questo continua la lettera di Paolo – è affinché diventiamo simili al Figlio, perché “quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo”.
Lo Spirito ci è dato per mezzo del Figlio. È per la parola del Figlio che possiamo ricevere in noi lo Spirito; è per il sacrificio del Figlio che otteniamo in noi la vita di Dio, che è vita dello Spirito: l’acqua viva, simbolo dello Spirito Santo, è ormai unita al sangue uscito dal fianco di Cristo; è dunque attraverso Cristo che riceviamo lo Spirito che ci slancia verso il Padre, trasformandoci a immagine del Figlio.
E il nostro cuore diventa un cuore buono perché in esso vive la Trinità. Dice un passo del Vangelo che l’uomo buono estrae cose buone dal suo cuore. Noi non possiamo pretendere che il nostro cuore sia buono: è lo Spirito che venendo vi porta la vita di Dio e lo trasforma, in modo che possiamo estrarre dal suo tesoro cose buone per coloro che avviciniamo. E ciò che ha fatto Teresa d’Avila. Ha spalancato il suo cuore a tutta la forza della vita divina che veniva a lei da Cristo e dallo Spirito e che la lanciava verso Dio e da questo cuore colmo di Dio ha estratto tesori di vita spirituale per tutti quelli che le erano affidati e per le generazioni successive.
Domandiamo al Signore la stessa fiducia di santa Teresa e di aprire il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo che ci viene da Gesù e ci conduce al Padre.

Mercoledì  della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,42-46: Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.

Quanto ha ragione il Signore! A volte anche noi cattolici facciamo come i farisei: facciamo diventare gigantesche piccole questioni in modo da ridimensionare quelle vere! Certo: è importante l’idea della decima, cioè l’attenzione al tempio e ai poveri a partire dalle proprie disponibilità finanziarie, ma giungere a pagare la decima sulle spezie era una forma (non richiesta) di devozione decisamente eccessiva… Ma non è quello il problema reale: il fatto è che questa attenzione ai dettagli finiva col trascurare le cose vere e autentiche della Legge, quelle essenziali: l’attenzione al prossimo e l’esercizio costante dell’amore. Quante volte nelle nostre parrocchie succede la stessa cosa: si litiga per gli orari della messa o su chi deve fare la catechista e poi non ci si rende conto della povera testimonianza che diamo nel quartiere… Gesù non risparmia nemmeno una feroce critica ai dottori della Legge, coloro che avevano il difficile compito di spezzare il dono della Parola al popolo e che, invece, complicavano la vita a tutti con astruse interpretazioni. Difficile non ammettere, con dolore, che a volte nelle nostre prediche sentiamo la stessa cosa: invece di avvicinarci alla comprensione della Parola ci confondono le poche idee chiare che abbiamo!

Giovedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,47-54: Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.

Non conosce decisamente l’arte della diplomazia, il Signore. Ne ha per tutti, per ogni categoria, per ogni modo di intendere la fede. Ma non lo fa con rabbia o astio, non gioca a fare il distruttore: ha talmente a cuore la verità che desidera togliere ogni ruga dal volto del Padre e mette a fuoco gli atteggiamenti che allontanano da Dio e che tradiscono la vera fede. Così rimprovera coloro che celebrano i profeti del passato costruendo loro dei monumenti e non sanno riconoscere i profeti del presente, anzi li perseguitano (tristissimo richiamo alla nostra Chiesa!). E accusa i devoti di complicare talmente la fede da allontanarne i semplici. Gesù stigmatizza gli atteggiamenti religiosi fuorvianti che, in nome della fede, finiscono con l’allontanare le persone da Dio invece di avvicinarle. Discorso valido per i suoi contemporanei ma rivolto ancora oggi a noi, suoi discepoli. Se le nostre regole, le nostre interpretazioni, le nostre priorità allontano i semplici, scoraggiano i peccatori, mortificano l’uomo, stiamo tradendo il progetto del Maestro. Vigiliamo su noi stessi, convertiamo il nostro cuore per non allontanare nessuno dall’abbraccio col Padre!

Nelle tre virtù teologali la speranza si trova tra la fede e la carità: si appoggia alla fede e dà slancio alla carità. Avere molta speranza è come orientarsi verso la cima di una montagna: chi vuoi raggiungerla desidera superare tutti gli ostacoli per poter contemplare il meraviglioso panorama che si gode dall’alto.
Sant’Ignazio d’Antiochia era colmo di un’immensa speranza; non assomigliava a quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza perché sono “tutti intenti alle cose della terra”. Nella lettera agli Efesini san Paolo attribuisce alla mancanza di speranza tutta l’immoralità del mondo pagano: non avendo speranza, si sono abbandonati ai loro desideri impuri, che li trascinano in basso. I cristiani invece sono uomini e donne ricchi di una grande speranza, sanno di essere cittadini del cielo “e di là aspettano come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”.
Anche il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre: “Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”. “Chi ha questa speranza dice san Giovanni si conserva puro”. E la speranza a dare la forza di resistere alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà. Nella Colletta della messa di oggi chiediamo a Dio che la passione di sant’Ignazio di Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant’Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli dice:
“C’è in me un’acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!”. E l’espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”, leggiamo nel Vangelo. Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido; scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la più grande grazia di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere accanto a Cristo.

Venerdì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 12,1-7: Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.

Non dobbiamo temere, valiamo molto più dei passeri… Con questa scanzonata affermazione Gesù ci mette di buon umore, ci rassicura; siamo preziosi agli occhi di Dio. Se diventiamo discepoli, se davvero accettiamo l’enorme sfida del vangelo e del mondo nuovo non dobbiamo temere nulla. I devoti contemporanei di Gesù sono molto attenti all’esteriorità, pensano che la fede consista nell’osservare con scrupolo le tante prescrizioni della Legge orale, nessuno ha mai fatto loro un discorso di autenticità, nessuno mai li ha richiamati alla verità. Gesù, invece, ci ammonisce: solo se siamo autentici possiamo incontrare Dio, solo se siamo veri possiamo incontrare il Dio vero. Quante volte, purtroppo, la nostra religiosità si confronta con l’apparenza, quante volte facciamo o non facciamo delle cose per timore del giudizio di chi ci osserva! Nessuna doppiezza, anche santa, anche cattolica, fra di noi: Dio vede continuamente il nostro cuore, lo scruta. Non come un ficcanaso importuno ma come colui che ci conosce meglio di quanto noi stessi possiamo conoscerci e che, perciò, sa come farci crescere. Fidiamoci, affidiamoci con assoluta lealtà, con trasporto, con passione. Come i passeri.

L’evangelista Luca può esserci particolarmente caro perché è l’evangelista della Madonna. Solo da lui ci sono state tramandate l’annunciazione, la visitazione, le scene del Natale, della presentazione al tempio di Gesù. E si può anche dire l’evangelista del cuore di Gesù, perché è Luca che ci rivela meglio la sua misericordia: è l’evangelista della parabola del figlio prodigo un tesoro che troviamo soltanto nel suo Vangelo, della dramma perduta e ritrovata. E’ l’evangelista della carità: lui solo ci racconta la parabola del buon samaritano, e parla dell’amore di Gesù per i poveri con accenti più teneri degli altri: ci presenta il Signore che si commuove davanti al dolore della vedova di Nain; che accoglie la peccatrice in casa di Simone il fariseo con tanta delicatezza e le assicura il perdono di Dio; che accoglie Zaccheo con tanta bontà da cambiare il suo esoso cuore di pubblicano in un cuore pentito e generoso.
San Luca è dunque l’evangelista della fiducia, della pace, della gioia; in una parola possiamo dire che è l’evangelista dello Spirito Santo. Negli Atti degli Apostoli è lui che ha trovato la formula tanto cara alle comunità cristiane: “formare un cuor solo e un’anima sola”, che è ripresa anche dall’orazione della Colletta di oggi:
“Signore Dio nostro, che hai scelto san Luca per rivelare al mondo il mistero della tua predilezione per i poveri, fa’ che i cristiani formino un cuor solo e un’anima sola, e tutti i popoli vedano la tua salvezza”. E la comunità cristiana, fondata sull’amore di Gesù e anche sull’amore alla povertà: solo persone non attaccate ai beni terreni per amore del Signore possono formare un cuor solo e un’anima sola.
Il Vangelo di san Luca lo rivela pieno di zelo. Soltanto lui riporta l’invio in missione dei settantadue discepoli (gli esegeti pensano che questo sia un numero simbolico e rappresenti le settantadue nazioni dell’universo) e alcuni particolari di questa missione: “Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”. San Gregorio Spiega: “Bisogna che i discepoli siano messaggeri della carità di Cristo. Se non sono almeno due la carità non è possibile, perché essa non si esercita verso se stessi, ma è amore per l’altro”.

Con gioia oggi la Chiesa ricorda san Luca evangelista, discepolo di Paolo di Tarso, nativo di Antiochia e riconosciuto come autore del terzo vangelo. Un grandissimo.
La Chiesa, nella sua saggezza, ci propone di festeggiare la memoria dei santi, di sentirli vivi accanto a noi, di pregare insieme a loro e di imitare la loro vita e la loro ricerca spirituale. Luca lo conosciamo bene anche se corriamo sempre il rischio di mettere i santi dentro le nicchie… e di lasciarceli! Scordandoci il fatto che sono state persone reali, che hanno vissuto le loro emozioni, i loro sentimenti, i loro fallimenti, la ricerca interiore con passione e forza. Luca aveva un carattere, una storia, una famiglia, dei sogni e, ad un certo punto, ad Antiochia, nella terza città più popolosa dell’antichità, ha incontrato Saulo di Tarso che parlava di un ebreo vissuto a Gerusalemme che predicava il vero volto di Dio. Non sappiamo come sia andata ma dalle pagine del vangelo emerge chiaramente lo stato d’animo e il temperamento del grande Luca. Abituato ad un cielo abitato da rissose divinità pagane, Luca deve essere rimasto profondamente colpito e ammirato dal volto misericordioso e compassionevole del Dio predicato da Gesù. E questa misericordia emerge in tutta la vita di Luca e nel suo splendido vangelo…

Sabato della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 12,8-12: Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire.

Possiamo tapparci le orecchie e chiudere gli occhi davanti all’evidenza, possiamo drammaticamente e ostinatamente chiudere il nostro cuore all’accoglienza della Parola, possiamo girare lo sguardo dall’altra parte e rifiutare la presenza di Dio. Dio opera ed agisce con discrezione nella nostra vita, certo, ma possiamo trovarci davanti all’evidenza e non accogliere la sua proposta di amore. Allora il nostro cuore si chiude all’azione dello Spirito Santo e non siamo più capaci di volare alto, di scoprire la nostra vera identità, il grande progetto che Dio ha sul mondo… che peccato! Il peccato contro lo Spirito è l’ostinato rifiuto di aprire gli occhi davanti alla misericordia e ci precipita in una cecità insormontabile che Dio rispetta. Anche Dio fa quel che può e non forza mai la nostra libertà. Possiamo scegliere di non conoscerlo, di non incontrarlo, di non stare con lui. Vegliamo su noi stessi, allora, guardiamoci con quanta più onestà possibile e restiamo disponibili alla conversione del cuore. E non spaventiamoci se, discepoli, saremo chiamati a rendergli testimonianza in un mondo sempre più intollerante verso la nostra Chiesa!

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