Alberto Maggi è un noto biblista. Il testo che segue è la trascrizione di alcune conversazioni tenute nel 1995 e non rivisto dall’autore. Si invita pertanto il lettore a tenerne conto, cogliendo il messaggio al di là delle forme e delle modalità con cui è stato trasmesso.
Padre Alberto si esprime in uno stile colloquiale, provocatorio e talvolta ironico. Alcune espressioni e idee possono risultare personali e non sempre condivisibili, ma lasciano comunque trasparire l’amore per la Parola di Dio e la sua freschezza.

Per gentile concessione dell’autore
dal vecchio sito www.studibiblici.it

Lo sconcerto provocato ieri sera da quell’esempio paradossale usato da Gesù, del fariseo che sale al tempio assieme al pubblicano, è uno sconcerto normale, perché, se non si capisce quali colpe può avere il fariseo per rimanere escluso dal raggio d’azione dell’amore di Dio, non si comprende nemmeno quali meriti potesse avere il pubblicano per essere completamente assolto dalla sua vita di peccato. Il problema è tutto qui. Questa mattina ho origliato un po’ i discorsi, i commenti, c’era qualcuno che diceva: ma come, con tanti sforzi che uno fa per conquistarsi il paradiso, poi si vede passare davanti dall’ultimo delinquente, non è giusto! E’ il tema della conquista del paradiso, del merito, della giustizia; sono tutti termini che appartengono al bagaglio della religione e che Gesù è venuto a cancellare. Il paradiso non si conquista con i propri meriti.

Proprio nel vangelo di Luca abbiamo un episodio, anche questo scandaloso: al momento della crocifissione, (capitolo 23). Gesù viene inchiodato sul patibolo insieme a due malfattori. La condanna alla croce non era una condanna normale; normalmente l’esecuzione capitale per un ebreo era la lapidazione o, nel caso in cui l’esecuzione venisse comandata dai romani, la decapitazione. La crocifissione era una tortura lenta che veniva riservata per i più grandi criminali, per i maggiori crimini. Per questo Gesù è stato condannato alla croce; Gesù agli occhi della società civile e religiosa, sovverte tutti i valori.

Sapete che Giovanni, nel suo vangelo, ci descrive una gigantesca operazione di polizia per catturare Gesù: ben 800 poliziotti, per catturare Gesù! Perché questa sproporzione? Per far comprendere la pericolosità di Gesù. E quindi, Gesù è stato condannato ad una morte riservata per i peggiori criminali. Gesù viene crocifisso come elemento pericoloso e, assieme a lui, vengono condannati a questa tortura altri due criminali, quindi gente che ha compiuto dei delitti efferati.

Uno di questi, scrive il vangelo di Luca, si rivolge a Gesù e dice: Gesù ricordati di me, quando sarai nel tuo regno. Gli chiede di ricordarsi di lui, di non dimenticarlo. E Gesù va oltre la richiesta di questo criminale e gli dice: io ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso. Questo butta all’aria, se ancora ce n’era bisogno, il concetto di religione alla quale la gente, purtroppo ancor oggi, è abituata. Cosa ha fatto questo criminale (perché lo ripetiamo è un criminale, doveva aver commesso qualcosa di veramente orribile), per meritarsi di essere con Gesù in paradiso?

Gesù entra in paradiso, sottobraccio con un criminale; non si è detto che si sia pentito delle sue malefatte, non ha nemmeno chiesto perdono per il suo comportamento. Vede Gesù e gli dice: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. E Gesù risponde: non solo mi ricordo, ma ti assicuro che tu, con me, entrerai nel regno. Il paradiso è inaugurato con Gesù che entra con un criminale. Come dicevamo, tutto quel bagaglio della religione che è basata sulle virtù delle persone, sui propri meriti per ottenere una ricompensa, viene cancellato. Questo è il bagaglio della religione, il bagaglio della fede, invece, è l’accoglienza dell’amore di Dio, per poi trasformarlo in dono per gli altri.

C’è una parabola che Luca non ha, ma che è presente in Matteo, che ci può far comprendere meglio questo e anche la sensazione di disagio, che non è solo la nostra, ma anche quella di quando Gesù proclamava queste cose. Al capitolo 20 di Matteo, c’è la parabola degli operai della vigna. Scrive che un proprietario terriero andò, all’alba, in cerca di operai giornalieri per la sua vigna. Ne incontra alcuni e pattuisce con loro il salario di una giornata, un denaro. Venite a lavorare nella mia vigna e vi darò un denaro; era un buon salario. E’ l’alba.

Poi, continua la parabola, esce di nuovo alle nove della mattina, esce ancora a mezzogiorno e chiama sempre altri operai; esce di nuovo al pomeriggio, alle tre ed ancora al tramonto. I primi li assume all’alba e gli ultimi alle cinque del pomeriggio, che coincide con il tramonto. Gli operai assunti al tramonto, in pratica non lavorano nemmeno un’ora.

Terminata la giornata, il padrone dice al suo fattore: consegna la paga cominciando dagli ultimi. Agli ultimi, a quelli che non hanno lavorato nemmeno un’ora, che hanno lavorato al tramonto in condizioni favorevoli, non hanno dovuto sopportare il caldo e la fatica della giornata, a questi il fattore consegna un denaro; cioè il salario di una giornata. Quelli che avevano iniziato il lavoro fin dall’alba, quando vedono che gli ultimi prendono il salario intero di una giornata, pensano: chissà a noi quanto ci darà, perché se questi, che hanno lavorato neanche un’ora e con il fresco, prendono il salario completo, noi otterremo di più.

Ma, quando vedono che il fattore a tutti quanti dà il salario prefissato di una giornata, si lamentano, c’è la rivolta. Protestano con il padrone e gli dicono: sei ingiusto, perché noi abbiamo lavorato sin dal mattino, abbiamo sopportato tutta la fatica e il caldo della giornata e ci hai pagato come questi che hanno lavorato meno di un’ora. Allora il padrone dice: “Ma cosa avevamo pattuito? Un denaro? E un denaro avete avuto”. Qui c’è un’espressione molto importante che Gesù usa in questa parabola: sei tu forse invidioso (che nel linguaggio ebraico significa cattivo), perché io sono buono?

Cosa vuol dire? Che è finita la religione con i suoi sensi di merito, di virtù, per conquistare ed avere la ricompensa per la buona condotta; questo, con Gesù non esiste più. Con Gesù c’è un Dio d’amore, che chiede soltanto di essere accolto. Non c’è più la ricompensa per i propri meriti, per le proprie virtù, non esistono gli sforzi incredibili per ottenere questo amore di Dio; l’amore di Dio non dipende dal comportamento e dalla condotta dell’uomo, ma dipende dalla sua bontà.

Per continuare con il ritornello con il quale abbiamo iniziato questi incontri, ma allora non c’è più religione! Sì, non c’è più religione! Perché, se la religione ha bisogno di tutto questo, con la fede per Gesù si elimina tutto, tranquillamente. Quella qualità di vita che era promessa come ricompensa nell’aldilà, Gesù la presenta ora, per la nostra vita. Chi vive e accoglie questo amore e lo trasforma in atteggiamenti e in segni concreti di amore verso gli altri, ha sin d’ora una qualità di vita che è quella che gli altri avrebbero ottenuto come ricompensa nell’aldilà. Con Gesù la ricompensa si può vivere subito. Questo, per avere chiara l’idea della differenza tra la religione e la fede. Ma se questo messaggio, vedete che questo è strano, ma indicativo, dopo 2000 anni ancora ci sconvolge, ci disturba nell’intimo, figuriamoci quando Gesù lo ha proclamato.

Terminiamo la nostra lettura del vangelo di Luca, vedendo quali sono le difficoltà e quali sono, soprattutto, i pericoli e i nemici che si frappongono alla realizzazione di questo messaggio d’amore, del disegno di Dio sull’umanità e cioè che ogni uomo, indipendentemente dalla sua condotta, venga raggiunto dal suo amore. Questo messaggio incontra degli ostacoli. Leggiamo e commentiamo il capitolo 4 del vangelo di Luca, dove c’è l’episodio importante delle tentazioni di Gesù nel deserto e, soprattutto, il rifiuto a Gesù da parte della sua patria.

Scrive l’evangelista, che Gesù è pieno di spirito, è stato appena battezzato. Il battesimo di Gesù è l’impegno di essere manifestazione visibile di questo Dio, che lui stesso aveva sperimentato come padre. Si legge: “Venne trasportato dallo Spirito nel deserto”. Questa non è un’indicazione geografica, non viene indicato, come per esempio per Giovanni Battista, il deserto di Giuda, o il nome di un altro deserto. Il deserto, nella simbologia della religione ebraica, indicava il luogo dell’esodo, cioè quando gli ebrei, lasciata la schiavitù egiziana, lo percorsero per tutta la loro esistenza, per quarant’anni, prima di entrare nella terra promessa.

L’esodo, questo va ricordato, fu uno dei più grandi fallimenti che la storia ricordi, perché nessuno degli ebrei fuggiti con Mosè dalla schiavitù egiziana, entrò nella terra della libertà. Quindi il famoso esodo, tanto pompato, tanto propagandato, in realtà è stato un fallimento enorme. Per questo gli ebrei, durante l’esodo, si rivolgono a Mosè e gli dicono: ma senti, non era meglio stare in Egitto, almeno là si campava! Nessuno degli ebrei schiavi degli egiziani e “liberati” (tra virgolette) da questa schiavitù, nessuno è entrato nella terra promessa. Questo lo dice la bibbia, nemmeno Mosè l’ha vista. Egli vede la terra promessa dal monte Nebo, la vede da lontano.

Allora Gesù inizia il nuovo esodo, quello vero, che non significa il passaggio da una zona geografica ad un’altra, ma il passaggio dalla sfera dell’egoismo e quindi del male, a quella di Dio. Scrive l’evangelista, che Gesù va nel deserto per quaranta giorni. Per comprendere il brano che segue bisogna rifarsi, anche in questo caso, alla simbologia dei numeri. Nessun numero nella bibbia e tanto meno nei vangeli, ha valore matematico, aritmetico; tutti i numeri hanno un valore figurato, simbolico. Il numero 40, significa “una generazione”. L’evangelista ci vuol dire: non ti sto presentando un match, un incontro tra Gesù e il diavolo (tipo: Gesù vince ai punti al quarantesimo giorno); quello che ti sto dicendo, usando il numero 40, (una generazione) è che tutta l’esistenza di Gesù è stata così.

Abbiamo visto ieri sera, come uno dei dottori della legge svolse la funzione di tentatore di Gesù. Gesù, durante tutta la sua esistenza, è stato tentato sia da agenti esterni, i farisei e i dottori della legge, ma soprattutto, la tentazione più subdola, più infima e quella più pericolosa, si trovava all’interno del suo gruppo. Sono stati gli stessi discepoli che hanno svolto la funzione di tentatori. Adesso vedremo queste tentazioni.

Gesù sta nel deserto 40 giorni per essere tentato dal diavolo. Quando abbiamo parlato di angelo, o angeli del Signore, abbiamo visto che non sono tanto degli esseri spirituali, degli esseri celesti, quanto una maniera ebraica per indicare l’azione di Dio nella storia. Angelo è ogni individuo, o ogni situazione, o emozione in cui Dio agisce per cambiare il comportamento dell’uomo e spingerlo a fare scelte positive, scelte di vita. Diavolo, il termine ebraico “satana”, significa, semplicemente, “avversario”. Satana, termine ebraico, fu tradotto in greco con “diavolo”. Quindi satana e diavolo, sono la stessa cosa; significa “avversario”. Questo termine non è da confondere con il termine “demonio”. Nel nostro linguaggio, purtroppo, facciamo una grande confusione; per noi diavolo, o demonio, sono due nomi per intendere la stessa realtà. Non così nei vangeli!

Nei vangeli è netta la distinzione. Il diavolo, o il satana, è l’avversario, che non indica una realtà extra terrena, una realtà spirituale, ma chiunque si oppone a questo piano di amore portato da Gesù. Nel vangelo di Matteo, l’unica persona alla quale Gesù si rivolge apostrofandolo con il nome di satana, è Pietro. Simon Pietro, quando contrasta la linea di Gesù, viene da questi richiamato: sei un satana, mi sei avversario, torna a metterti dietro di me. I demoni sono tutta un’altra cosa. Questa mattina, naturalmente, possiamo soltanto accennare qualcosa, perché non c’è tempo.

Cosa sono i demoni? Quando fu scritta la bibbia, naturalmente in epoche remote, si credeva a tutto quel mondo che noi abbiamo conosciuto attraverso la mitologia classica: l’esistenza dei centauri, dei fauni, delle sirene. Quando la bibbia dall’ebraico è stata tradotta in greco, e quindi la società era già più evoluta e non si credeva più all’esistenza di questi esseri, ogni qualvolta il traduttore ha incontrato uno di questi personaggi mitologici, lo ha tradotto sistematicamente con il termine demone, demonio. Allora, il demonio appartiene, nel linguaggio simbolico della bibbia, a tutta una realtà che impedisce all’uomo di accogliere il messaggio di Dio.

Il diavolo, o il satana, invece rappresenta qualunque individuo, o qualsiasi situazione che si oppone affinché l’amore di Dio giunga, con il dono della vita di Gesù, ad ogni individuo. Quindi, Gesù viene tentato dal diavolo e vedremo quali sono queste tentazioni, che corrispondono a periodi ben determinati dell’esistenza di Gesù.

Il diavolo gli disse: giacché sei figlio di Dio… Quando nei vangeli incontriamo questa espressione “figlio di Dio”, non si intende una partecipazione di Gesù alla condizione divina, nella loro mentalità non significa questo. Figlio di Dio significa uno che è protetto da Dio. Nella bibbia “figlio di Dio” è il popolo di Israele, è il re, è la persona giusta; figlio di Dio si intende che Dio lo protegge. Qui, il diavolo, non mette in dubbio la condizione divina di Gesù, ma gli dice: giacché sei il figlio di Dio, cioè Dio ti protegge, Dio è con te, dì che queste pietre diventino pane. Gesù stette nel deserto senza mangiare per 40 giorni, ebbe fame e venne tentato.

Questo è importante da comprendere, perché l’evangelista con questo episodio non ci vuole raccontare una storiella di tanti anni fa, ma vuol darci delle indicazioni teologiche valide per ogni individuo e per ogni comunità cristiana, per tutti i tempi. Queste tentazioni non sono qualcosa di negativo; una tentazione apertamente negativa, apertamente contraria al bene dell’uomo, si fa presto a rifiutarla. La tentazione a Gesù è proprio tale in quanto è subdola, si presenta come forma di aiuto per l’individuo e per la comunità. Per questo Gesù ci dà ora delle indicazioni molto chiare per riconoscerla.

Gesù ha fame e il tentatore gli propone di trasformare le pietre in pane, cioè di usare le proprie capacità per il proprio bene. Hai delle virtù, hai delle capacità normali o straordinarie, usale a tuo vantaggio. Di contro, Gesù risponde che non di solo pane vive l’uomo. Questa tentazione di Gesù corrisponde ad un periodo preciso della sua esistenza che culminerà con la divisione dei pani, il famoso fatto dei pani e dei pesci.

Il tentatore gli dice usa le pietre, trasformale in pane per salvare te stesso, la risposta che Gesù darà, sarà di diventare lui stesso pane per salvare gli altri. Cioè, non usare le tue capacità per il tuo prestigio, per il tuo bene, ma usa e dona tutte le tue capacità per il prestigio e il bene degli altri. Non pietre che diventano pane per salvare sé stesso, ma Gesù che si fa pane per salvare tutti gli altri. La prima tentazione è l’uso dei doni e delle capacità che ognuno di noi ha, per il proprio vantaggio, per il proprio prestigio: io adopero quello che ho per innalzarmi al di sopra degli altri.

La risposta a questa tentazione sarà: i doni e le capacità che uno ha, le metta al servizio degli altri affinché vadano a vantaggio di tutti. Ripeto: queste tentazioni che sono in numero di tre (il numero 3 in ebraico significa “la completezza, la totalità”), sono indicazioni valide per le comunità cristiane di tutti i tempi. In tutti i tempi ci sarà la tentazione e per il singolo e per la comunità, di usare le proprie capacità e le qualità per emergere sopra gli altri. La risposta di Gesù è di usare le proprie qualità e capacità per metterle al servizio degli altri, in modo che tutti ne possano usufruire. Notate che alla prima tentazione Gesù risponde mettendosi sotto gli altri, facendosi dono.

Nella tentazione seguente, il diavolo lo portò in alto e gli mostrò tutti i regni del mondo. Gli disse: guarda, tutto questo, con il suo potere e con la sua gloria, è mio; io lo dò a te. Qui, Luca sta facendo una affermazione molto importante: il potere, la gloria e la ricchezza di questo mondo, sono del diavolo e lui le dà a chi vuole. Non importa al diavolo chi detenga il potere, l’importante è che si detenga il potere! Perché, fintanto che c’è il potere, ci sono ingiustizie e questo, per l’avversario di Gesù, va bene. Allora lo porta in alto, gli mostra tutti i regni di questo mondo e dice: guarda, tutto questo è mio e io lo dò a chi voglio; c’è soltanto una condizione, ti devi prostrare a me. L’offerta del regno universale da conquistare con la potenza, ripeto, non è una tentazione negativa, ma subdola. Il diavolo dice: vuoi essere il re, sei venuto ad inaugurare il regno di Dio? Guarda, per inaugurare il regno di Dio ci vogliono soldi, quindi la ricchezza, la gloria e il potere. Se vuoi inaugurare il regno ti devi far conoscere e per farti conoscere ci vogliono questi strumenti; sono miei e io te li dò. Vedete la tentazione subdola, il diavolo si mette al servizio di Gesù. Hai predicato che vuoi inaugurare il regno di Dio; guarda, per inaugurare il regno di Dio ho quello che ci vuole, te lo dò, soltanto mi devi rendere omaggio.

A questa tentazione Gesù risponde, prendendo dal Deuteronomio: renderai omaggio soltanto a Dio, soltanto Lui adorerai. Cosa ci vuol dire Gesù? Alla proposta di inaugurare il regno di Dio, usando il potere, Gesù risponde indicando proprio nel potere il grande avversario del regno di Dio. Il regno di Dio non si instaurerà con il potere di un uomo sopra gli altri, ma con il dono della propria esistenza, affinché gli altri abbiano vita. Cos’è il potere, il potere che è subdolo, che è sempre satanico nei vangeli? Il potere è il dominio di una persona, o di un gruppo di persone sopra altre persone; è basato sulla paura: io ti domino, perché poi ti posso fare del male. E’ basato sulla ricompensa: io ti domino, perché nella tua ambizione tu ti assoggetti a me, perché sai che poi ti posso ricompensare.

Infine, il potere più satanico è basato sulla persuasione: io ti domino, perché ti ho persuaso e ti ho convinto che per te, essere dominato, non solo non è un fatto negativo, ma è pure positivo. Per te, essermi schiavo è fonte di benessere. E non soltanto essermi schiavo, ma addirittura, (qualche potere lo fa), ti schiavizzo in maniera tale che tu ritieni, perché fonte di salvezza, di venirmi a confidare anche i tuoi pensieri e sentimenti più nascosti. Si può arrivare fino a schiacciare il corpo di una persona, ma il potere basato sulla persuasione, arriva a dominarti in una maniera tale che tu credi che, confidarmi anche i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti più intimi, sia per te fonte di bene.

Quindi il potere è basato sulla paura, sulla ricompensa e sulla persuasione, e Gesù rifiuta questo triplice aspetto del potere. Il regno di Dio, il regno universale, non si instaurerà attraverso l’uso del potere, o della ricchezza, ma, al contrario, attraverso il dono della propria esistenza.

A questo secondo aspetto, risponde nel vangelo l’episodio dei 72 discepoli samaritani. Visto che aveva fallito con i 12, perché erano andati in giro a propagare le loro idee nazionalistiche, Gesù ne manda 72 (settantadue era il numero delle nazioni a quell’epoca conosciute). E quando costoro tornano, ecco la risposta, dicono: abbiamo annunziato il tuo messaggio, la gente lo ha accolto. E Gesù: infatti ho visto satana cadere, precipitare come una folgore. Mentre qui il diavolo chiede a Gesù di prostrarsi a lui, Gesù risponderà vedendo l’immagine del diavolo che cade. Il dono della vita è in contrasto con l’uso del potere.

Nella terza tentazione il diavolo portò Gesù a Gerusalemme, la città santa, la città sacrale, sul pinnacolo del tempio e gli disse: giacché sei figlio di Dio, buttati giù, perché gli angeli ti aiuteranno, ti proteggeranno. Qual è il significato di questa tentazione? C’era una grande attesa, al tempo di Gesù, della venuta del messia e la fantasia della gente si era sbizzarrita. La fantasia si era concretizzata nella tradizione e la tradizione diceva così: il messia apparirà all’improvviso nella città santa, sopra il pinnacolo del tempio.

Perciò questa terza tentazione vuole dire: fai quello che la gente si aspetta. La gente si aspetta un messia che compie dei prodigi, che compie delle meraviglie e, soprattutto, un messia secondo la linea della tradizione. Alla terza tentazione, Gesù risponderà scontrandosi frontalmente proprio con la tradizione. Con la sua azione, farà in modo di liberare la gente dalle tradizioni che impediscono loro di vedere la novità che Gesù rappresenta.

Ripeto, che queste tre tentazioni non rappresentano un periodo di quaranta giorni nella vita di Gesù, ma l’intera sua esistenza; tanto è vero che le stesse tentazioni si ripresenteranno, poi, al momento della crocifissione. Quando Gesù è inchiodato in croce, ecco di nuovo le tentazioni. Sei il figlio di Dio? Scendi da questa croce, usa la tua potenza, usa i tuoi doni e tutte le capacità che hai, per un gesto prodigioso che ti renda libero.

Gli ostacoli che si frappongono affinché il cambio dalla religione alla fede non prenda corpo, sono l’uso del potere, l’uso personale delle proprie capacità e, soprattutto, l’assecondare quello che la gente si aspetta. Non c’è niente di più facile, è una tentazione sempre ricorrente. Ma chi ce lo fa fare di andare contro corrente, di andare a turbare gli animi delle persone! Vuoi un applauso, dì quello che la gente si aspetta e la gente ti applaudirà; anzi, vai incontro ai loro desideri. Gesù, invece, è andato contro corrente per liberare le persone da questa tradizione. Ripeto, che non sono tentazioni isolate nella vita di Gesù, ma l’evangelista individua in questa triplice tentazione, le difficoltà nella vita del singolo e nella vita della comunità in ogni tempo.

L’altro aspetto che è strettamente legato alla terza tentazione, cioè di fare quello che la gente si aspetta, è l’episodio che segue, quello di Gesù che si reca finalmente a Nazaret. Gesù aveva abbandonato la sua città, aveva incominciato la sua azione prendendo casa a Cafarnao e, finalmente, al capitolo 4, versetto 16, torna a Nazaret. Dice: …e tornò a Nazaret, dove era cresciuto e secondo il suo solito, il giorno di sabato entrò nella sinagoga. Gesù non entra mai nelle sinagoghe e nel tempio per partecipare al culto, ma per insegnare e il suo insegnamento, vedremo, susciterà l’ostilità degli ascoltatori.

Ricordate, ieri sera poteva quasi sembrare una battuta paradossale, ma vedremo che è vero: Gesù evita accuratamente, per le sue azioni e per i suoi messaggi, luoghi e persone religiose. Sono i luoghi più pericolosi per Gesù. Gesù per tre volte, nel vangelo, entra in un luogo di culto, in una sinagoga e vedremo che già la prima volta tentano di fargli la pelle. Quando Gesù si presenta tra le persone pie e le persone religiose, queste cercano di ammazzarlo. Quando Gesù va con i delinquenti della società e con la feccia della società, il suo messaggio viene accolto e fiorisce. Ma vediamo il perché.

Entrò di sabato e si alzò per leggere. Anche a quell’epoca c’era l’anno liturgico; la bibbia era suddivisa in tre anni e ad ogni Sabato corrispondeva una lettura. Gesù, che capisce poco di liturgia, oppure non gli gusta la liturgia fissata dai liturgisti, non è d’accordo; gli danno il rotolo del profeta Isaia e Gesù, anziché leggere la lettura che quel giorno presentava, ne cerca una particolare. E questo fatto già sconcerta, perché le regole liturgiche erano sacrali. Gesù cercò il passo di Isaia al capitolo 61, che parla dell’investizione dell’unto del Signore.

Cosa significa “unto”? Sapete che da un po’ di tempo non si può più parlare di unto del Signore; facciamo un piccolo break così vi spiego. Ho qui una schedina, che da anni uso, una scaletta su Erode, ma sapete che da un paio d’anni non la posso più usare perché la gente scoppia a ridere? Fino a tre, quattro anni fa, quando leggevo queste notizie su Erode, nessuno rideva; sono dei particolari tutti presi dalla bibbia, ma soprattutto da Giuseppe Flavio, lo storico dell’epoca. Quindi, tutti particolari autentici e la scaletta mi serviva per indicare le particolarità di Erode. Oggi non si riesce più a leggerla.

Vi dico chi era Erode. Erode arrivò al potere in maniera illegale, perché diventò re di Giudea pur non potendo, in quanto era arabo; arrivò a diventare re in maniera oscura, non si sa ancora bene come fece. C’era l’ostilità da parte del gruppo dirigente e lui capì, furbescamente (Erode è stato chiamato il grande), che per farsi accettare doveva occupare quelli che all’epoca erano i mezzi di informazione. Si informa: chi può dire alla gente che io non posso essere re? Questo gruppo di farisei? E li elimina tutti quanti. Attraverso il suo segretario, il suo storiografo, era riuscito a farsi propagandare come unto del Signore. Per questo, quando Gesù nasce, Erode comincia ad allarmarsi. Erode era riuscito a farsi propagandare, a farsi pubblicizzare dal suo storiografo, come unto del Signore, cioè l’inviato del Signore.

Era megalomane, aveva cinque sfarzosi castelli e una particolarità che ci descrive Giuseppe Flavio, è quella che si tingeva i capelli. Giuseppe Flavio scriveva: Erode è un vecchio svergognato che si tinge i capelli di rosso. E aveva un fratello, sul quale scaricava tutte le sue malefatte (la platea scoppia a ridere). Vedete che non è più possibile parlare di Erode? Aveva promesso, perché la folla e la gente non lo amava tanto, diecimila posti di lavoro e, comprendendo l’importanza dello spot, finanziò le olimpiadi dell’epoca. Quello che è tragico è che Erode ha regnato per quarant’anni! Questa scaletta è da anni che ce l’ho e, fino a qualche tempo fa, era una curiosità per indicare il tipo; da due anni non è più possibile leggerla!

Torniamo alle cose serie. Gesù, contravvenendo alle regole della liturgia, sceglie il brano dove si parla dell’unto del Signore, dell’inviato, e lo legge: lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha unto, per portare la buona notizia ai poveri, (e fino a qui, tutto bene) per annunciare la libertà agli oppressi e ai prigionieri, (e va ancora bene) e a proclamare il periodo dell’amore del Signore. L’evangelista scrive, che chiuse il libro e l’arrotolò. Tra le regole liturgiche, c’era quella che stabiliva che i versetti non si potevano troncare a metà; il profeta Isaia, faceva seguire alla proclamazione dell’anno dell’amore del Signore, un versetto che era più atteso, cioè “e il tempo della rivincita, della vendetta sui nostri nemici”.

Qui siamo a Nazaret, ambiente di nazionalisti; la Galilea, il nord del paese, era un luogo di rivoluzionari, di gente che si sollevava spesso contro il potere romano e l’attesa dell’unto del Signore, del messia, era soprattutto concentrata su quest’ultimo versetto: proclamare il tempo dell’amore del Signore per noi, popolo sottomesso e la rivincita contro gli oppressori. Gesù non è d’accordo; Egli, arrivato a proclamare l’anno della venuta del Signore, chiude il libro.

Luca descrive magistralmente questo episodio e qui la tensione cresce. Si sedette e gli occhi di tutti, nella sinagoga, erano fissi su di lui. Già Gesù ha scelto un brano che non andava letto; comunque, una volta letto, la gente era d’accordo perché c’era l’attesa del messia. C’è un’atmosfera carica di tensione. Gesù non si è messo in linea con quello che la tradizione presenta del messia, cioè come colui che viene a compiere la vendetta contro gli oppressori.

E incominciò a dire loro: oggi si è chiusa (o si è realizzata) questa scrittura davanti a voi. E qui succede il putiferio. Scrive l’evangelista: tutti gli erano contro, sconvolti dalle parole d’amore che uscivano dalla sua bocca e si chiedevano, ma questo non è il figlio di Giuseppe? Vediamo un po’ di comprendere questa reazione. Essere figlio di qualcuno, nel mondo ebraico, significa comportarsi secondo il padre. Qui non viene messa in dubbio la paternità di Giuseppe, che ne vangelo di Luca non viene mai messa in dubbio, ma Gesù non si comporta come il padre e, probabilmente, anche il padre condivideva queste idee nazionalistiche. Comunque, scoppia tutta l’assemblea contro Gesù.

Forse, qualcuno di voi che sta seguendo il vangelo, trova una traduzione leggermente diversa; la CEI traduce con “tutti gli rendevano testimonianza”, ma ormai da anni questa traduzione è stata abbandonata, perché si può rendere testimonianza a favore della persona, o si può rendere testimonianza contro. In questo brano è una testimonianza contro Gesù; ora non faccio tutta l’analisi grammaticale del testo, ma lo vedremo poi, perché lo scacciano dalla sinagoga. Tutti gli sono contro, sconvolti dalle parole d’amore.

Ecco che ritorniamo all’inizio del nostro incontro di questa mattina: che Dio parli di amore per gli oppressi si può capire, ma che lo stesso Dio parli d’amore pure per gli oppressori, questo è troppo e tutta l’assemblea insorge contro Gesù. E Gesù non tenta affatto di calmare questa assemblea, ma peggiora la situazione e dice: “Voi direte, medico cura te stesso, quello che hai fatto a Cafarnao (era una città mista, popolata da pagani e da ebrei) fallo, a maggior ragione, presso di noi; ma io vi dico (e Gesù qui calca la mano e riporta due episodi della storia di Israele che gli ebrei preferivano sorvolare), ricordate al tempo di Elia, ci fu una spaventosa carestia, eppure Elia da chi fu mandato per curare questa carestia? Da una pagana, a Sidone, l’attuale Libano”. Questo è troppo: c’è la carestia in Israele e Dio aiuta i pagani! E continua Gesù: “Non ricordate al tempo di Naman, il siro? C’erano tanti lebbrosi in Israele e l’unico che fu curato fu proprio lui, un siriano, un pagano”.

Allora, scrive l’evangelista, scoppiò il finimondo nella sinagoga, esplosero tutti quanti, ribollenti d’ira ascoltando queste parole e lo cacciarono fuori dalla città per gettarlo dal monte dove la città era posta. Il termine “monte dove la città era posta”, è uno dei termini tecnici con i quali si indica la città di Gerusalemme. L’evangelista, con questo episodio iniziale della vita di Gesù, non fa altro che anticipare quello che sarà il destino di Gesù.

Qui siamo in una sinagoga e c’è il rifiuto totale proprio dal punto di vista delle persone religiose, delle persone pie. Perché Gesù è venuto a distruggere le basi stesse della religione, con le categorie del merito e delle virtù e proclama un Dio che dimostra il suo amore a tutti quanti, perché non ha altra maniera di essere; essendo un Dio d’amore, ogni sua manifestazione sarà soltanto d’amore. E questo suscita il risentimento da parte di tutti gli ascoltatori.

Concluderemo con la messa; ci saranno le tre parabole sulla misericordia e con queste raggiungeremo il culmine dello scandalo di questo Dio d’amore, di cui non si capisce il comportamento.

Domenica 17-9-1995
Testo non rivisto