XXVII Settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz

Lunedì 6 Ottobre (Feria – Verde)
Lunedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Gio 1,1-2,1.11 Gio 2 Lc 10,25-37: Chi è il mio prossimo?
Martedì 7 Ottobre (Memoria – Bianco)
Beata Maria Vergine del Rosario
Gio 3,1-10 Sal 129 Lc 10,38-42: Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.
Mercoledì 8 Ottobre (Feria – Verde)
Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Gio 4,1-11 Sal 85 Lc 11,1-4: Signore, insegnaci a pregare.
Giovedì 9 Ottobre (Feria – Verde)
Giovedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Ml 3,13-20 Sal 1 Lc 11,5-13: Chiedete e vi sarà dato.
Venerdì 10 Ottobre (Feria – Verde)
Venerdì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Gl 1,13-15; 2,1-2 Sal 9 Lc 11,15-26: Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Sabato 11 Ottobre (Feria – Verde)
Sabato della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Gl 4,12-21 Sal 96 Lc 11,27-28: Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio.
Domenica 12 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
2Re 5,14-17 Sal 97 2Tm 2,8-13 Lc 17,11-19: Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.
Lunedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario
Lc 10,25-37: Chi è il mio prossimo?
Siamo tutti disposti a discutere di religione. Soprattutto se, come noi, abbiamo qualche cartuccia nel fucile, se da anni frequentiamo preti e parrocchie, se abbiamo fatto qualche corso di spiritualità o cose del genere. Allora diventiamo dei draghi nel discutere di catechesi o di pastorale, dei limiti dei preti e dei vescovi e di cosa dovrebbe fare la Chiesa per scrollarsi di dosso il peso della storia. E se ci capita di incontrare qualcuno in ricerca o disposto ad ascoltare ecco che sfoderiamo le nostre capacità di evangelizzazione. Ma sempre e solo in teoria. La teoria che nutre le riunioni, che allunga i tempi, che contrappone le posizioni. Teoria che nutre le lunghe dispute rabbiniche su come organizzare i tanti precetti da rispettare. Teoria che il dottore della legge conosce bene e che vuole sfoggiare davanti al falegname improvvisatosi profeta. La questione che pone era una di quelle classiche dibattute con i rabbini. E Gesù risponde a modo, secondo la prassi più diffusa. Ma si tratta pur sempre e solo di teoria. Allora Gesù scende nel dettaglio, stana il religioso: tu cosa faresti? Dio fa così: ci obbliga a rendere concreta la teoria.
Martedì 7 Ottobre (Memoria – Bianco)
Beata Maria Vergine del Rosario
La memoria del Rosario conduce il pensiero alle prime parole dell’Ave Maria: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”, che ripetiamo tante volte quando preghiamo il Rosario. E un modo di metterci alla presenza di Maria e nello stesso tempo alla presenza del Signore, perché “il Signore è con lei”, di rimanere in maniera semplice con la Madonna, rivivendo con lei tutti i misteri della vita di Gesù, tutti i misteri della nostra salvezza.
Il racconto dell’annunciazione a prima vista ci presenta un solo mistero, ma se guardiamo bene vi si trovano tutti i misteri del Rosario: l’annunciazione, ma anche la visitazione, perché vi si nomina Elisabetta, e il Natale di Gesù: “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Anche i misteri gloriosi sono annunciati: “Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore gli darà il trono di Davide suo padre… e il suo regno non avrà fine”. E nella risurrezione e ascensione che Gesù riceve la dignità di re messianico, la gloria eterna nel regno del Padre. Dunque, misteri gaudiosi e misteri gloriosi. Sembra che manchino quelli dolorosi, ma troviamo anche quelli, non descritti, ma nel loro principio. Pensiamo alla risposta di Maria all’annuncio dell’Angelo: non è un grido di trionfo, ma una parola di umiltà: “Eccomi, sono la serva del Signore”, che la mette in profonda consonanza con il Servo del Signore annunciato da Isaia, il Servo che sarà glorificato, ma prima umiliato, condannato, ucciso, “trafitto per i nostri delitti”.
Maria sa, per ispirazione dello Spirito Santo, che i misteri gloriosi non possono avvenire senza passaggio attraverso l’obbedienza fiduciosa e dolorosa al disegno divino.
I misteri del Rosario sono una sola unità, ed è importante sapere che in ogni mistero gaudioso ci sono in radice tutti i misteri gloriosi e anche i dolorosi, come via per giungere alla gloria.
Chiediamo alla Madonna di aiutarci a capire profondamente l’unità del mistero di Cristo, perché esso si possa attuare nei suoi diversi aspetti in tutti gli eventi della nostra vita. Rinnoviamo, se è necessario, la nostra stima per il Rosario. Certo, bisogna pregarlo con rispetto, ed è meglio dirne due decine senza fretta che cinque di corsa. Ma detto con tranquillità è un modo di essere in compagnia di Maria alla presenza di Gesù.
Martedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario
Lc 10,38-42: Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.
Betania è un piccolo villaggio che sorge sul monte degli ulivi, poco distante da Betfage. Ci si passa salendo da Gerico, la strada che abitualmente i galilei percorrevano per andare a Gerusalemme. Ed era il secondo villaggio che si incontrava passando dal torrente Cedron attraverso gli ulivi, a meno di mezz’ora dalla spianata del tempio. A Betania Gesù si rifugiava, spesso, per stare con questa famiglia conosciuta chissà come: un fratello e due sorelle coetanei del Maestro. E a Betania, spesso, Gesù si rifugia, da solo, senza i suoi discepoli. Forse Gerusalemme è una città troppo dura per uno come lui, abituato alla minuscola Nazareth. Una città caotica, aggressiva, dura, ostile alle novità, specialmente in ambito religioso. A Betania Gesù si rilassa, trova chi lo ascolta, smette i panni del profeta per indossare quelli dell’amico. C’è chi lo ascolta senza entrare in polemica, c’è chi lo coccola preparandogli un buon pasto. Che bello sarebbe fare della nostra vita una piccola Betania, un luogo in cui Gesù possa venire senza imbarazzo, a sedersi in casa nostra senza problemi. Un luogo dove poter stare in amicizia…
Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,1-4: Signore, insegnaci a pregare.
Insegnaci a pregare, Signore, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Siamo affascinati dalla preghiera, da quella finestra sul mondo interiore che è la preghiera e che può cambiare la qualità della vita di una persona. Affascinati da chi, come i monaci, vive la preghiera come dimensione quotidiana e continua. Affascinati da chi ci indica un mondo altro, alto e un modo altro, alto. Ma non sappiamo pregare, siamo onesti. Non sappiamo fare altro che balbettare qualche richiesta, bussare timidamente (a volte sfrontatamente) alla porta del Signore, poco convinti di ciò che chiediamo, convinti erroneamente che la preghiera si riduca ad una richiesta. Non è così: guardando il Maestro ci accorgiamo che la preghiera, intimo dialogo con Dio, è anche ringraziamento, lode, intercessione, richiesta di perdono… E ci accorgiamo di quanto sia piccina la nostra preghiera, senza orizzonti, senza fiato, senza fede. Insegnaci a pregare, Signore, cioè insegnaci ad avere una corretta idea di Dio e di noi stessi, insegnaci a vedere le cose come tu le vedi. E il Signore risponde: quando pregate dite padre…
Giovedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,5-13: Chiedete e vi sarà dato.
Come pregare, allora? Come fare per non ridurre la preghiera ad una lista della spesa cui Dio, gentilmente, dovrebbe adeguarsi? Gesù inizia una splendida catechesi sulla preghiera, sullo stile e sul modo di pregare del discepolo. La preghiera va rivolta con insistenza. Ma, attenzione bene, nella parabola il giudice iniquo non è Dio ma il mondo che non fa giustizia ai discepoli. L’insistenza, però, è essenziale. Quante volte abbiamo una vita di preghiera a dir poco altalenante: ci rivolgiamo a Dio solo quando abbiamo bisogno, in caso di necessità, e nella stragrande maggioranza del tempo che avanza non pensiamo proprio mai a Dio. La preghiera è un atteggiamento continuo, dell’anima, del cuore che guarda verso Dio. Ma, e questa è la grande lezione dataci dal Signore, ci rivolgiamo ad un padre, non ad un despota. Un padre che sa bene di cosa abbiamo bisogno, non scherziamo. E che non si sognerebbe di dare una serpe ad un figlio che gli chiede un uovo! Allora perché chiedere, se Dio sa? Perché il nostro cuore si apra al desiderio di ricevere ciò che chiediamo.
Venerdì della XXVII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,15-26: Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Bella storia: Gesù viene accusato di essere… un indemoniato. Geniale, vero? Visto che caccia i demoni e i farisei non sono disposti ad ammettere il potere che ha, ecco che si inventano l’assurda storia dell’indemoniato. E Gesù invece di mandarli a stendere come avrei fatto io, argomenta. E ci dice due cose magnifiche. Anzitutto che non dobbiamo temere perché abbiamo un uomo forte che protegge la nostra casa interiore, il Signore Gesù. E va bene ribadirlo in questi tempi in cui demonio fa molto tendenza, anche fra i cattolici, ahimè. Esiste il demonio, e ci mancherebbe, ma molto spesso non è lui che va coinvolto per le nostre scelte quanto piuttosto la nostra scarsa combattività. Lasciamo stare il demonio ai santi, noi mediocri facciamo peccati da noi stessi! Non abbiamo paura del demonio perché il Signore custodisce la nostra casa. In secondo luogo Gesù ci ammonisce a non voler essere troppo perfetti nella fede: quando pensiamo, finalmente, di avere superato un limite, un peccato che ci tormenta, ecco che rischiamo di finire travolti dalla tenebra! La consapevolezza del nostro limite ci permette di dimorare nell’umiltà!
Sabato della XXVII settimana del Tempo Ordinario
Lc 11,27-28: Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio.
Cuore di mamma mediterranea quello che interrompe Gesù nel mezzo della predicazione lasciandolo spiazzato. Tipico di chi, ingenuamente, un po’ invidia una mamma per il fatto di avere un figlio così famoso! E Gesù ne approfitta per catechizzare e per ricordare a tutti che la beatitudine non nasce dalle gratificazioni (legittime e oneste) che possiamo avere ma dall’avere scoperto la volontà di Dio in noi e nell’osservare la Parola. Troppo spesso puntiamo tutte le nostre risorse nel conseguire degli obiettivi lavorativi o affettivi, nell’essere apprezzati e riconosciuti. È una cosa normale, e legittima se le cose che desideriamo sono buone. Ma non bastano a colmare il nostro infinito desiderio di infinito. Solo riconoscendoci cercatori di Dio, solo diventando uditori della Parola che si manifesta nella Scrittura e negli eventi possiamo scoprire in quale disegno di Dio possiamo essere inseriti. Chiediamo al Signore la grazia dell’ascolto, la capacità di diventare uditori della Parola. Così che anche noi possiamo gioire dell’appartenere alla grande famiglia dei discepoli del Signore!
Domenica 12 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
2Re 5,14-17 Sal 97 2Tm 2,8-13 Lc 17,11-19: Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.
Da appestati a uomini liberi
Sale a Gerusalemme Gesù, tutta la sua vita è proiettata all’incontro con quella città, la culla della fede ma anche il nido delle vespe della religiosità aggressiva e ottusa. Sale con determinazione, col volto indurito, scrive Luca.
Attraversa la Samaria e la Galilea. Cammina verso l’assoluto. Cammina verso la resa dei conti. Cammina verso la Santa. Ma intanto attraversa la vita, le città. Incontra la gente, si confronta, agisce. Vive. La sua vita interiore non è a parte, lontana, inaccessibile. Non lo rende un alieno. È presente, il Signore. A sé e al mondo. Vede. Si accorge. Ha compassione. Avrebbe di che starsene chiuso in se stesso, a meditare e a riflettere.
E invece. Sulla strada gli si fanno incontro dieci lebbrosi che urlano a distanza.
Se siamo in cammino l’intera umanità ci si fa incontro, gridando. Possiamo fare come il ricco che non vede Lazzaro, o raccogliere la sfida di chi attende salvezza. Gesù ha fatto la sua scelta. Da tempo.
Gridano
Gridano, i lebbrosi. Devono fermarsi a distanza. Per farsi ascoltare urlano.
Come accade ancora oggi, nelle nostre caotiche vite, nelle nostre grandi e anonime metropoli in cui il rumore, l’opinione, i confronto sovrastano ogni parola pronunciata sottovoce. È un tempo in cui si urla, il nostro. Devono urlare per chiedere pietà. Perché se si tace nessuno si accorge di loro.
I rabbini dicevano che un lebbroso era come un morto e poteva solo contaminare chi lo toccava. E che la lebbra era la massima punizione che Dio infliggeva al peccatore.
Sono dieci. Dieci sono le dita di una mano, il numero dieci indica, in Israele, la totalità. Siamo tutti malati, tutti lebbrosi, tutti bisognosi.La loro vita si consuma nel vedere il loro corpo cadere a pezzi, marcio. La loro anima, da tempo, è morta, divorata dal giudizio della gente e dai sensi di colpa che li fanno credere colpevoli davanti al Dio impietoso dei farisei. Appesi al giudizio impietosi degli altri, come noi, spesso.
Dei dieci uno è straniero, nemico, un samaritano.
La malattia e il dolore accomunano ogni uomo, senza distinzioni di religione o di etnia. La sofferenza è e resta l’esperienza più comune del vagare umano. Ce ne ricordassimo. Urlano il loro dolore, il loro abbandono, il loro lento ed inesorabile imputridire. Chiedono pietà, la compassione che nessuno offre loro. E, forse, sperano in un’elemosina.
Gesù chiede loro di andare dai sacerdoti per essere guariti. A volte Gesù ci guarisce a rate, ci chiede di metterci in cammino per vedere dei risultati.
A volte Gesù, simpaticone, ci chiede di andare da un prete per essere guariti. Ma dai.
Il Tempio
È un retaggio dell’antico Israele, quando il sacerdote fungeva anche da ufficiale medico: solo lui poteva attestare la guarigione e il reinserimento di un lebbroso.
Li manda dai sacerdoti, il Signore, porta rispetto per il passato di Israele, non è venuto a cambiare un iota o un segno, ma a dare compimento, a riportare alla propria origine il progetto di Dio.
La guarigione non è istantanea, richiede un cammino, obbliga a fidarsi; Dio non ama i miracoli eclatanti, chiede sempre consapevolezza, cammino, fiducia, mediazione.
Ci vuole tutta la vita per guarire dalla lebbra del peccato e della solitudine. Non esistono cambiamenti definitivi che non richiedano tempo e pazienza, costanza e fiducia.
I dieci vanno, forse delusi dal non avere visto la propria pelle risanarsi all’istante e, mentre camminano, si accorgono di essere guariti.
Anche a molti di noi accade di guarire per strada, quando la smettiamo di porre condizioni a Dio e a noi stessi. Solo camminando verso il tempio veniamo purificati da ogni lebbra del cuore.
Stupiti, straniti, sconvolti, i lebbrosi guariti adempiono la richiesta di Gesù e vanno dal sacerdote. Eccetto uno, colui che non ha tempio, che non ha sacerdoti, non ha religione.
Il suo tempio, sul monte Garizim, è stato raso al suolo dagli ebrei. Non sa dove andare e torna sui suoi passi. Non ha un tempio dove andare. Torna al Tempio.
Vedendosi guarito
Vedendosi guarito racconta Luca. Si vede, infine. Vede cos’è, sul serio. Si vede con uno sguardo nuovo, infine. Vede che è cambiato, che non è più lo stesso.
È guarito, ora. Dentro e fuori. La pelle è risanata, ora sta per risanare lo sguardo. Abituato a considerarsi un maledetto da Dio, vittima prescelta, destinatario di un orribile destino.
Il suo pensiero guarisce. La sua anima guarisce. Si scopre amato.
Vedendosi guarito.
È quello che possiamo fare anche noi. Dio ci guarisce, certo, ma solo se ci mettiamo in strada, solo se ci vediamo dentro, solo se ci osserviamo, solo se prendiamo consapevolezza. Non è la nostra vita che cambia, è lo sguardo che abbiamo su di essa. Da vittime a protagonisti. Da appestati a uomini liberi.
Lodando
Uno solo torna a ringraziare, pieno di fede. Gesù, sconfortato, constata che dieci sono stati sanati, ma uno solo salvato. Il samaritano torna indietro lodando Dio a gran voce, non può tacere, urla la sua gioia, la sua solitudine e la sua emarginazione sono finalmente finiti. E gli altri? Chiede Gesù.
Nulla, spariti, scomparsi. Guarire gli uomini dalla loro ingratitudine è ben più difficile che guarirli dalle loro malattie.
Essere guariti non significa essere salvati.
I nove ingrati sono la perfetta icona di un cristianesimo molto diffuso, che ricorre a Dio come ad un potente guaritore da invocare nei momenti di difficoltà. Che triste immagine di Dio si fabbricano coloro che a lui ricorrono quando c’è bisogno, che lasciano Dio ben lontano dalle loro scelte, dalla loro famiglia, salvo poi arrabbiarsi e tirarlo in ballo quando qualcosa va storto nei loro (badate, non nei suoi) progetti. I nove sono guariti: hanno ottenuto ciò che chiedevano, ma non sono salvati.
Rimasti chiusi nella loro parziale e distorta visione di Dio, guariti dalla lebbra sulla pelle, non vedono neppure la lebbra che hanno nel cuore.
Il Dio che hanno invocato è il Dio dei rimedi impossibili, non il Tempio in cui abitare, il Potente da corrompere e convincere, non il Dio che, nella guarigione, testimonia che è arrivato il tempo messianico.
È tempo di camminare, fidandoci del Signore. È tempo di vederci con uno sguardo diverso, guariti, infine. È tempo di tornare indietro gridando a gran voce la gloria di Dio e le opere che compie in noi.