Alberto Maggi è un noto biblista. Il testo che segue è la trascrizione di alcune conversazioni tenute nel 1995 e non rivisto dall’autore. Si invita pertanto il lettore a tenerne conto, cogliendo il messaggio al di là delle forme e delle modalità con cui è stato trasmesso.
Padre Alberto si esprime in uno stile colloquiale, provocatorio e talvolta ironico. Alcune espressioni e idee possono risultare personali e non sempre condivisibili, ma lasciano comunque trasparire l’amore per la Parola di Dio e la sua freschezza.

Per gentile concessione dell’autore
dal vecchio sito www.studibiblici.it

Luca, come abbiamo già visto, ha un occhio attento verso tutti coloro che vengono esclusi in nome della religione, in nome di Dio o della morale. Luca non è d’accordo con questa esclusione e fa vedere che Dio si rivolge principalmente proprio agli esclusi e che costoro sono i primi ad accorgersi della presenza di Dio nell’umanità.

L’evangelista arriva al punto di proporre come modello di credente, proprio colui che nella società religiosa è considerato un “non credente”. Per Luca, l’essere credente o no non dipende da quello che uno crede, o dal comportamento che ha, o non ha nei confronti di Dio, ma dall’atteggiamento che ha nei confronti del prossimo. E abbiamo visto questa mattina come il samaritano è l’unico personaggio, nei vangeli, al quale viene attribuito il verbo “avere compassione”, che è un verbo tecnico, che riguarda esclusivamente l’atteggiamento di Dio. Ebbene, Gesù dice: l’unico che ha un atteggiamento che assomiglia a quello di Dio, è colui che voi considerate un “senza Dio”.

Adesso, ci imbattiamo in un paio di episodi che fanno vedere chiaramente come Luca individua nella ricchezza, uno dei fattori di auto emarginazione, di auto esclusione da questo amore di Dio. La ricchezza, l’accumulo dei beni, da una parte autoesclude il possessore e, allo stesso tempo, genera emarginati e genera esclusione. Luca è l’unico evangelista che fa seguire alla beatitudine “beati voi che siete poveri”, quell’espressione che, malamente, viene tradotta con “guai”. Matteo ci presenta otto beatitudini; Luca soltanto quattro beatitudini, seguite da quattro “maledizioni”. Questo è il termine, a volte, indicato nei titoli; ma Gesù, che è espressione visibile dell’amore di Dio, non maledice nessuno.

I poveri sono le persone che, per amore, per una libera scelta, hanno voluto condividere generosamente tutto quello che hanno e quello che sono, per essere manifestazione visibile di Dio nell’umanità. E’ il caso di ricordare che Gesù non parla mai della beatitudine dei poveri, nel senso di quelli rifiutati dalla società; anzi, costoro sono dei disgraziati che, compito della comunità dei credenti, devono essere tolti dalla loro condizione di povertà. Gesù proclama beata quella povertà volontariamente scelta, proprio per eliminare la causa della povertà.

Luca individua nella ricchezza, nell’accumulo dei beni, una tragedia per l’individuo, che Gesù non maledice, né, quantomeno, minaccia, anche se viene tradotto con “guai a voi ricchi”. L’espressione “guai”, in ebraico, fa parte del lamento funebre. Quando una persona muore, c’è questo pianto e una delle espressioni, che assomiglia molto ad un pianto è, appunto “guai, o uai”. Gesù non maledice, né minaccia i ricchi, ma piange su costoro! Piange sul ricco, come su una persona morta, come su una persona che non ha vita.

E, sempre Gesù, nel vangelo di Luca, usa un’espressione che ci fa comprendere il motivo di questo pianto per la persona ricca, per la persona avara. Gesù dice: se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo è nella luce, se il tuo occhio è ammalato, tutto il tuo corpo è nella tenebra. La traduzione letterale non ci fa comprendere ciò che Gesù vuole intendere; egli si rifà ad una mentalità orientale, dove l’occhio bello, l’occhio sano, o l’occhio malato, l’occhio cattivo, sono dei segni per indicare generosità e avarizia. La persona generosa, splende e allora si dice che ha l’occhio bello, l’occhio splendente e tutta la persona vale. Il parametro col quale Gesù considera il valore di una persona sta nella generosità. Una persona generosa vale, al contrario, la persona avara si dice abbia l’occhio ammalato, l’occhio cattivo.

Cosa significa l’occhio cattivo? E’ l’atteggiamento dell’avaro, del ricco. Per fare un esempio: quando l’avaro incontra il ricco e questi lo saluta, l’avaro, che ha l’occhio cattivo, quindi un occhio che deforma la realtà, si allarma, si spaventa di questo saluto; mi ha salutato, cosa vorrà da me!? E se per caso questa persona accompagna il saluto con un sorriso, ecco che l’altro si preoccupa: mi ha pure sorriso, dove vorrà arrivare! Ecco cos’è l’occhio cattivo. E’ la preoccupazione continua, costante, che gli altri attentino al tuo benessere, per cui ti avveleni l’esistenza. Anche un atteggiamento positivo dell’altro, viene visto dall’occhio cattivo, dall’occhio dell’avaro, come un attentato alla propria felicità, che è basata sull’accumulo dei beni. La persona avara vive sempre nel sospetto, avvelena la propria esistenza e avvelena la vita altrui.

Secondo Gesù, non c’è posto per il ricco, o per l’avaro. Per Gesù i due termini sono equivalenti: se uno è ricco, è perché è avaro; se fosse generoso, non sarebbe ricco. Nella comunità dei credenti, per Gesù, non c’è posto per il ricco. Forse, bisogna spiegare cosa si intende con il termine “ricco”. Per ricco si intende “colui che ha” e Gesù non chiama i ricchi nella sua comunità. Gesù non vuole nessuno ricco, ma tutti signori. Qual è la differenza tra ricco e signore? Il ricco è colui che ha, il signore è colui che dà. Allora non c’è posto per i ricchi nella comunità dei credenti, perché il ricco è colui che trattiene ed accumula per sé. Gesù ci chiama ad essere tutti quanti signori, tutti capaci di condividere, generosamente, con gli altri, tutto quello che uno ha e tutto quello che uno è.

Luca ha molto presente questo atteggiamento sociale, sociologico della ricchezza e della povertà ed è l’unico che ci presenta due episodi che ci possono chiarire meglio il suo pensiero. Il primo lo troviamo al capitolo 16, versetto 19, ed è la parabola di Lazzaro e il ricco, che viene detta appositamente (lo scrive al versetto 14) per la categoria dei farisei. Gesù ha parlato della generosità che fa crescere e sviluppa la persona, mentre l’avarizia la blocca e mette davanti un out-out: non si può essere miei discepoli se non si rinuncia all’accumulare i beni. Sia chiaro che Gesù non vuole persone miserabili, non vuole persone che vivono nel disagio; qui si parla di coloro che accumulano per sé e non hanno la capacità di condividere con gli altri. E’ questa la ricchezza che Gesù vede come un limite alla sua sequela.

Gesù ha espresso chiaramente che non si può seguire Dio e mammona, cioè non si può aver la fiducia nel Padre e nel denaro. Scrive l’evangelista, che ascoltavano queste parole i farisei, che sono amanti del denaro e si burlavano di Gesù: povero Gesù, come è fallito il suo messaggio! Gesù ha detto: non si possono servire Dio e il denaro, sono incompatibili. Mettere la tua fiducia in Dio, vuol dire cogliere questo amore e comunicarlo agli altri, facendolo accompagnare da gesti concreti.

Ricordiamo che Luca, autore degli Atti degli apostoli, scrive: “La comunità dei credenti, testimoniava con forza la fede in Gesù risorto”. Come? Nessuno tra di loro era bisognoso; quindi, è una partecipazione. Uno che accoglie l’amore del Signore e lo comunica agli altri, non lo fa soltanto con le parole, lo fa anche con i segni e con i mezzi. Gesù è stato chiaro: non si può servire, mettere la fiducia in Dio e nel denaro.

E qui i farisei scoppiano a ridere. Povero Gesù, che illuso che sei. Ma chi lo ha detto che non si può mettere la propria fiducia in Dio e nel denaro? Ricordiamo che i farisei sono laici che vivono scrupolosamente tutti i dettami della legge; la loro, è una vita di preghiera, tesa ad osservare le minuzie della legge, la purezza, l’osservanza del riposo del Sabato, ma, denuncia l’evangelista, sono amanti del denaro. Quindi, caro Gesù, ti sei sbagliato, non è vero che non è possibile mettere la propria fiducia in Dio e, nello stesso tempo, nel denaro; anzi, le due cose vanno tanto sotto braccetto, che la gente non se ne scandalizza, ma lo vede come una realtà accettabile.

E questo è vero anche oggi; se c’è una parola di Gesù, che possiamo dire che ha fatto fiasco, è proprio questa. Non è vero che è inconciliabile l’amore a Dio e l’amore al denaro, anzi, le due cose si possono fondere tanto bene che, addirittura, un’autentica bestemmia viene ormai accettata dalla gente come una cosa normale: pensate l’unione incestuosa di accoppiare una banca con l’espressione dell’amore di Dio, Banco di Santo Spirito! Ma chi lo ha detto che è inconciliabile Dio e il denaro? Pensate quante altre banche si rifanno ai santi: Banco di S. Antonio, Istituto san Paolo di Torino, ecc.

Non ci facciamo più caso, è normale, ma faccio questi esempi per far comprendere, tenendo conto dell’insegnamento di Gesù, come, invece, ci dovrebbe stridere tutto questo, come lo dovremmo vedere come qualcosa di estremamente scandaloso. Accoppiare l’amore di Dio, che è lo Spirito Santo, l’amore gratuito, ad una banca, è tale e quale accoppiare un bordello con la Madonna, tipo “bordello dell’immacolata concezione”, “casino santa Lucia”; questo ci stride, sono due cose incompatibili, ci danno fastidio, ma associare cose incompatibili, che Gesù stesso ha detto non si possono mettere assieme, come Dio e il denaro, e formare “banco di Santo Spirito”, questo non ci disturba!!

I farisei ridono di Gesù: povero Gesù, ma chi te l’ha detto che è impossibile conciliare Dio e il denaro? Ed è per questa categoria di persone che Gesù parla e racconta questa parabola. Attenzione alla descrizione e attenti ai titoli dei vangeli e della bibbia. I titoli non fanno parte del testo! Normalmente vengono messi dal traduttore, o dall’editore e, il più delle volte, sono dei titoli superficiali, incompetenti, o, addirittura, in malafede. Normalmente il titolo che ci propone questo episodio è “il ricco cattivo e il povero Lazzaro”. Il titolo è importante, perché io, dal titolo, indirizzo la mia lettura. Ma guardiamo la cattiveria di questo ricco, nell’episodio.

La descrizione che Gesù fa del ricco è: c’era un uomo benestante, ricco, che vestiva di porpora e di bisso e banchettava lautamente. Tradotto in termini moderni: c’è una persona benestante che veste con abiti firmati e va a pranzo nei migliori ristoranti. Tutto qui! Non ci sono altre descrizioni del carattere, o dell’atteggiamento di questo ricco. L’evangelista scrive soltanto, che alla sua porta, alla porta di servizio, c’era un povero, che si chiamava Lazzaro, che sarebbe stato desideroso di sfamarsi degli avanzi, ma nessuno gliene dava.

Muore il povero, muore il ricco, uno si trova nel seno di Abramo e l’altro (nella traduzione della CEI, che è orribile) si trova all’inferno. Bisognerebbe mandarci il traduttore all’inferno, perché voi sapete che il termine “inferno”, nei vangeli non esiste. Il termine che ha usato l’evangelista è “ade” . L’ade è un termine greco, che vuol tradurre lo “sheol” ebraico. Nella mitologia dell’epoca si pensava che, sotto terra, ci fosse un’enorme caverna, dove i defunti andavano a finire; non esisteva il concetto di inferno.

Quindi: il povero viene consolato dei suoi patimenti, nel seno di Abramo, mentre il ricco viene escluso. Il titolo dato all’episodio è: il povero Lazzaro e il ricco cattivo. Ma dov’è la cattiveria del ricco? Uno che legge l’episodio ed è suggestionato dal titolo, pensa che il ricco, ogni volta che incontrava il povero, gli dava un calcio nel sedere, lo allontanava dalla sua abitazione, pensa che il povero fosse stato maltrattato da questo ricco. Ma invece, ed è qui la gravità di questo episodio, non esiste assolutamente nessun contatto tra questi due personaggi. Tra il ricco e il povero non c’è un’inimicizia, magari! Il ricco è peggio ancora di un nemico per il povero, perché almeno tra nemici c’è un qualche contatto; il ricco ignora l’esistenza del povero! Ripeto, non è un malvagio questo ricco, vestiva elegantemente, oggi diremo vestiva firmato, e gli piaceva mangiare nei migliori ristoranti; dov’è la cattiveria? Probabilmente, era pure una persona pia, una persona religiosa come è facile esserlo per i ricchi; eppure Gesù, rivolgendosi ai farisei, lo esclude dalla vita, non perché ha maltrattato il povero, non perché ha compiuto delle azioni malvagie nei confronti di Lazzaro, rendendogli ancora più difficile l’esistenza, ma per il semplice fatto che non si è accorto dell’esistenza del povero. E’ per questo che viene escluso dalla vita.

Ripeto che, questa parabola Gesù non la dice per il gruppo dei suoi discepoli, ma la dice ai farisei, che erano amanti del denaro. Probabilmente, nel personaggio del ricco, Gesù rappresenta la categoria dei farisei, categoria di persone molto ricche, la cui avidità impedisce loro di accorgersi dell’esistenza dei poveri; questo comportamento li esclude dall’ambito della vita. Quindi la denuncia che Luca fa è molto severa.

Vediamo, ora, l’altro episodio che tratta della ricchezza e ci fa comprendere, ancora di più, l’insegnamento di Gesù al riguardo. Luca scrive, al capitolo 19, che Gesù entrò in Gerico ed ecco un uomo, chiamato Zaccheo, che era a capo degli esattori. Troveremo ancora questa figura dell’esattore delle tasse; era una figura odiata sia per l’attività stessa, che non è mai piaciuta in tutte le culture, sia per l’appartenenza ad una categoria di esclusi dalla salvezza. Perché? Come avveniva l’esazione delle tasse? L’esattore vinceva, attraverso un appalto, il posto, la dogana, per esigere le tasse e poi poteva mettere i prezzi che voleva. Normalmente erano dei ladri autorizzati. Per questa categoria sia perché rubava, ma, soprattutto, perché era in combutta con il dominatore romano, non c’era assolutamente speranza di salvezza. Scrive il Talmud che, anche se un esattore delle tasse (quello che va con il nome di pubblicano) volesse convertirsi e quindi salvarsi, non gli sarebbe possibile, perché, per convertirsi, dovrebbe restituire quattro volte quello che ha rubato e sarebbe praticamente impossibile rintracciare tutte le persone a cui ha rubato.

Un esattore delle tasse è quindi una persona che, per la sua attività, è esclusa dalla salvezza, ma qui, addirittura, abbiamo il capo degli esattori. L’evangelista scrive anche che era molto ricco. Costui cercava di vedere Gesù, ma non ci riusciva, a causa della folla, perché era basso di statura. Così viene tradotto, ma la traduzione letterale è “perché la sua statura era infima”. Cosa ci vuol dire l’evangelista? All’evangelista non interessa la statura, non è andato a misurare quanti centimetri fosse alto Zaccheo.

Quando nei vangeli troviamo dei particolari, che di per sé non sono necessari, né indispensabili per la comprensione del testo, sono, in realtà, dei particolari molto, molto importanti. L’evangelista ci presenta un uomo ricco e, proprio perché è ricco, non è all’altezza di poter vedere Gesù. Il ricco vive in una dimensione, ad un livello tale, come abbiamo visto nella parabola di Lazzaro, che la sua ricchezza gli impedisce di scorgere il povero, di vedere il povero e, nel contempo, gli impedisce di accorgersi dell’esistenza di Gesù.

Qui c’è un ricco, vuol vedere Gesù, ma non ci riesce. Perché? Perché è ricco, non è all’altezza per vedere Gesù. E, paradossalmente, per crescere, bisogna diventare piccoli. E’ Gesù che gli va incontro, gli dice: Zaccheo, scendi dall’albero che vengo a casa tua. La gente mormora al vedere che Gesù entra nella casa di un pubblicano. Sapete che queste persone erano considerate impure, tanto che, quando per strada una persona urtava il mantello di uno degli esattori, diventava pure lei impura; doveva andare a casa e farsi tutti i lavaggi rituali. Addirittura, scrive il Talmud: se lasci entrare un pubblicano, un esattore delle tasse, nella tua casa, tutta la tua casa diventerà impura, dovrà essere purificata con l’acqua bollente.

Ebbene Gesù, non aspetta che gli uomini vadano a lui; Lui, il santo, entra nella casa dell’impuro. Zaccheo, comprendendo questo, si converte e dice: io ho rubato, ma ora restituisco quattro volte tanto alle persone che ho derubato. E, dal momento che Zaccheo restituisce e dona i suoi beni a chi ne ha bisogno, (quindi si rimpicciolisce) ecco che l’altezza cresce. Zaccheo cresce, quando diventa piccolo! Fintanto che era ricco, stava su di un piedistallo, in alto, ma in realtà, scrive l’evangelista, era di bassa statura; non era all’altezza di vedere Gesù. Dal momento che si disfà delle sue ricchezze e le dona a chi ne ha bisogno, diminuisce, dal punto di vista della società, la sua statura, ma nello stesso tempo cresce e si mette in sintonia con la linea di Gesù.

Quindi, Zaccheo cresce quando decide di diventare piccolo. Perciò, l’insegnamento sulla ricchezza di Luca, è molto chiaro. Luca è l’unico evangelista che, tra le condizioni per seguire Gesù, pone anche la rinuncia di tutti i propri averi. Ripeto che non significa svuotarsi di quello che uno ha, ma avere la disponibilità di adoperare quello che si possiede, per gli altri. Dicevamo oggi, che il Signore non ci chiede di spogliarci, ma ci chiede di vestire gli altri. E ognuno lo farà nel suo contesto sociale, nelle sue possibilità, ma sarà questo lo scoglio che impedirà a molti di accogliere Gesù.

Luca ci presenta l’avvicinamento di Gesù a Gerusalemme; c’è una grande folla che lo segue e Gesù cerca di prenderne le distanze, perché sa che lo segue per interesse. La folla pensa che Gesù, a Gerusalemme, vada a fare un colpo di stato; diventerà il re e coloro che gli saranno stati vicini, spartiranno con lui il bottino.

Allora Gesù si ferma, fa tre tappe. Nella prima dice: guardate che vado a Gerusalemme e dovrò soffrire molto. Gli rispondono: siamo pronti a soffrire con te! Vicino a Gerusalemme, Gesù si ferma ancora e dice: guardate che sarò messo a morte. La risposta è sempre la stessa: pronti a morire con te! Alla terza tappa dice: chi non rinuncia al suo capitale, non mi può seguire. Beh, Messia ci pensiamo la prossima volta, adesso vai a Gerusalemme e, di questo, ne riparleremo!

Lo scoglio che ha impedito a molti seguaci di continuare a seguire Gesù, è stato proprio questo: l’incapacità di spogliarsi del proprio capitale. Ripeto, non per andarsi ad aggiungere al numero dei poveri e dei miserabili, che sono già tanti, ma proprio per eliminare questa condizione di povertà e di miseria che esiste nella società. Quindi, ripeto, l’insegnamento che ci viene dal vangelo di Luca, è che il Signore non vuole nessuno ricco, (ricco è colui che ha e trattiene tutto per sé) ma ci vuole tutti quanti signori (signore è colui che dà e condivide con gli altri).

Continuiamo ancora questa nostra escursione sugli emarginati. Lazzaro lo abbiamo associato con Zaccheo; ora andiamo a vedere un episodio che, francamente, se cerchiamo di comprenderlo con la ragione, con il diritto, è inestricabile. Si tratta dell’episodio chiamato del fariseo e del pubblicano. Anche questo episodio viene esposto da Gesù specialmente per i farisei, affinché comprendessero il suo atteggiamento. Lo troviamo al capitolo 18. Scrive l’evangelista: disse questa questa parabola per alcuni che presumono di essere giusti e disprezzano gli altri. Vedete che sempre, questa categoria dell’esempio e del merito, si ritiene superiore agli altri.

Continua: due uomini salirono al tempio per la preghiera, uno era fariseo. Ricordo che i farisei erano i perfetti osservanti della legge, le loro principali preoccupazioni erano quelle di mantenersi ritualmente puri, e per questo avevano costituito, addirittura, delle cooperative alimentari, per essere sicuri che il cibo che mangiavano fosse stato trattato secondo le regole di purezza e, soprattutto, che per ogni cosa che comperavano e mangiavano fosse stata pagata la decima.

Che cos’è la decima? La decima è la tangente inventata dai preti, o inventata da Dio: nell’antico testamento infatti gli fanno dire (perché gli fanno dire tante di quelle cose…) che ognuno, ogni dieci cose che possiede, una la deve consegnare a Dio. Hai dieci alberi? Uno è per Dio. Hai dieci pecore? Una è per Dio. La decima è quello che l’uomo deve a Dio. Naturalmente, offrire a Dio una capra è impossibile e allora ci sono i preti che si dicono incaricati di riscuotere la parte di Dio. Quindi, nell’antico testamento c’è la decima, quello che l’uomo deve dare a Dio; oggi c’è l’otto per mille, ma il ragionamento è lo stesso, non cambia…

I farisei che, ripeto, erano i santoni dell’epoca, stavano attenti soprattutto all’osservanza scrupolosa del riposo del Sabato. Allora, Gesù racconta: salgono al tempio due uomini, uno è un fariseo e l’altro un esattore delle tasse, questa categoria di impuri che, anche volendo, non poteva cambiare vita e non poteva convertirsi. Vediamo, perciò, una persona che ha già la salvezza in tasca, e uno che è escluso dalla salvezza; anche se si converte, anche se si pente, per quest’ultimo ormai, non c’è più possibilità di salvezza.

Nel tempio il fariseo, stando in piedi, ringrazia il Signore e dice: ti ringrazio Signore, perché io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti o adulteri e non sono nemmeno come quel pubblicano; io digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutto quello che compro. Questa non è una caricatura, ma è una preghiera, molto simile, a quella che troviamo nel Talmud. Questa preghiera si recitava entrando al tempio: ti ringrazio Signore, perché sono qui a lodarti e benedirti e non sono come gli altri uomini che perdono il loro tempo nelle piazze a chiacchierare; vedi, io sono venuto qui.

Era proprio una preghiera che faceva parte del rituale farisaico. Questo fariseo si vanta e prende la distanza dagli altri: ti ringrazio che non sono come gli altri né, tanto meno, come quel pubblicano e digiuno due volte la settimana. In Israele, il digiuno obbligatorio esisteva soltanto una volta all’anno, nel giorno del perdono. Ma, come sempre, le persone religiose vogliono fare qualcosa di più di quello che la religione prescrive e il lunedì e il giovedì erano giorni di digiuno devozionale, in quanto, ricordavano la salita e la discesa di Mosè al monte Sinai. Le persone pie in questi giorni digiunavano, Gesù, invece, lo sappiamo dai vangeli, proprio in questi giorni andava a pranzo e non certo con le persone pie, ma con la feccia della società. Il fariseo si vanta di digiunare e di pagare scrupolosamente la decima su tutto.

Il pubblicano, l’esattore delle tasse, da lontano e battendosi il petto, a differenza del fariseo che si era messo in prima fila, dice: Signore, usami compiacenza, usami misericordia, perché vedi cosa sono, un peccatore. Ecco i due personaggi: da un lato una persona fedelissima nelle proprie osservanze religiose, scrupolosa e dall’altra un ladro di professione, un impuro. Uno dice ti ringrazio Signore, perché non sono come gli altri e l’altro, guardando il Signore, gli dice dimostrami il tuo amore, perché vedi che vita faccio, sono un peccatore.

La situazione è già tesa, ma, continua l’evangelista: ebbene, io vi dico che il pubblicano se ne tornò assolto dalla sua condotta, al contrario del fariseo. Qui si capovolgono le situazioni! Come fa Dio a perdonare il pubblicano di una condotta della quale non si pente e non si può pentire? Eppure, per il solo fatto di aver chiesto al Signore di usargli misericordia, questi gli concede il condono di tutte le sue colpe.

Questo è strano da capire, perché non è che questo pubblicano fa un proposito di cambiare vita, perché non poteva cambiare condotta; continua la sua esistenza, ma coerente con questa immagine di un Dio che comunica amore a tutti. Gesù dice che il pubblicano si è posto in sintonia con questo amore di Dio e lo può accogliere. E’ già difficile capire questo, ma quello che è ancora più strano, è la non assoluzione data al fariseo. Ma di che cosa è colpevole il fariseo? Sarà stata una persona, forse vanagloriosa, vanitosa, che davanti al Signore quasi gli presenta il conto per quello che Il Signore stesso gli deve essere grato; ma che colpa ha per non rimanere assolto dalle sue eventuali colpe, o quali colpe ha che non riusciamo ad individuare?

Seguendo la linea teologica di Luca, la soluzione è chiara: il fariseo è un uomo che non fa niente per gli altri! E chi non fa niente per gli altri, per Gesù è una persona inutile. Quindi il fariseo, tutto quello che fa, (ecco il rappresentante della religione) lo fa per compiacere a Dio. Digiuno…, perché? Per aumentare di grado nella “hit parade” di compiacimento del padreterno. Pago le decime di tutto…, perché? Per essere gradito a Dio; ma per gli altri non faccio assolutamente niente. Non c’è nessuno dei suoi atteggiamenti che indichi questo fariseo come partecipe delle sue sostanze, o della sua attività nei confronti degli altri. Il fariseo, per gli altri, non fa assolutamente niente.

Allora per Gesù, ritorna ancora il parametro caro a Luca: Dio non ha bisogno di obbedienti e di osservanti la sua legge, ma Dio ha bisogno di assomiglianti alla sua pratica d’amore. E mentre il fariseo, l’osservante della legge, vive una situazione che lo rende capace di disprezzare gli altri, di sicuro il pubblicano, nella condizione di sofferenza e di miseria morale e religiosa che sta vivendo, sarà incapace di disprezzare gli altri.

Pomeriggio 16-9-95
Testo non rivisto dall’autore