Alberto Maggi
IL VANGELO DI LUCA:
BUONE NOTIZIE PER TUTTI GLI ESCLUSI (3)
(conversazioni)

Alberto Maggi è un noto biblista. Il testo che segue è la trascrizione di alcune conversazioni tenute nel 1995 e non rivisto dall’autore. Si invita pertanto il lettore a tenerne conto, cogliendo il messaggio al di là delle forme e delle modalità con cui è stato trasmesso.
Padre Alberto si esprime in uno stile colloquiale, provocatorio e talvolta ironico. Alcune espressioni e idee possono risultare personali e non sempre condivisibili, ma lasciano comunque trasparire l’amore per la Parola di Dio e la sua freschezza.
Per gentile concessione dell’autore
dal vecchio sito www.studibiblici.it
Con Gesù entra nella vita dell’uomo e nella storia questa grande novità che rovescia, non solo rovescia, ma distrugge, quelli che sono i parametri classici della religione. Infatti, in ogni religione che si rispetti c’è un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi; Gesù, invece, ci presenta un Dio scandalosamente buono che dirige il suo amore verso tutti. Abbiamo visto come i pastori, i paria della società che vivevano nelle tenebre, siano i primi ad accorgersi di questa presenza. Ma c’è il rovescio della medaglia; i sommi sacerdoti, nello splendore delle false luci di Gerusalemme, non si accorgono della luce che è brillata.
Come dicevo, i vangeli non sono degli edificanti raccontini storici per commuovere il lettore, ma delle profonde verità di fede che sono valide per ognuno di noi. Se vogliamo percepire la continua manifestazione di Dio nella storia e nella società, il vangelo ci dice che non dobbiamo avere esitazioni. Tra le false luci che splendono, bisogna sempre metterci dove la luce manca, nella notte dei pastori. Chi si mette dalla parte dei pastori, cioè dei paria della società, ha la garanzia di percepire continuamente le manifestazioni di Dio. E come l’evangelista Luca ci ha scritto, a Gerusalemme, nello splendore del fasto liturgico e cerimoniale del tempio, le false luci impediscono di vedere la luce di Betlemme. I pastori avvolti nella notte, non soltanto fisica, ma la notte del peccato e delle tenebre, se ne accorgono.
Il messaggio di Gesù contagia tutti quanti e, come abbiamo visto nei due episodi che hanno come protagoniste due donne, ogni vangelo ha lo stesso messaggio, ma con sfumature diverse; la caratteristica di Luca è quella di essere l’evangelista delle donne. Le donne appaiono come protagoniste in Luca più che negli altri vangeli. L’episodio della donna con flussi di sangue è comune anche agli altri evangelisti; in Luca c’è in particolare l’episodio della prostituta, della peccatrice che, ricordo, è un invito a cambiare lo sguardo. Mentre la religione, rappresentata dal fariseo, vede il peccato, la fede, rappresentata da Gesù, vede una manifestazione di vita.
Qual è la conseguenza di tutto questo? All’inizio del capitolo otto, l’evangelista scrive che come conseguenza, o in seguito all’episodio della peccatrice perdonata, (ripeto che non sappiamo come va a finire, anche se forse un’indicazione l’evangelista ce la dà) Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, proclamando la buona notizia del regno di Dio. Il vangelo, il cui termine significa “buona notizia”, annuncia che Dio ama tutti quanti. Questo è il regno di Dio: é un mondo, una società, dove la manifestazione visibile dell’amore di Dio si rivolge a tutti, nessuno escluso se non chi si voglia auto escludere. La conseguenza di tutto questo, si legge, è che Gesù andava in giro con i dodici e, cosa assolutamente inaudita, scandalosa e contraria non soltanto alla morale, ma anche alla religione, veniva accompagnato da un gruppo di donne.
Ancora oggi nel mondo ebraico c’è una preghiera che si recita tre volte al giorno, con la quale l’ebreo ringrazia il Signore di non averlo creato pagano, di non averlo creato donna e di non averlo creato zotico, cafone, cioè uno che non può permettersi lo studio e la conoscenza della legge. Anche la donna deve pregare e ringrazia il Signore di non averla creata pagana, di non averla creata zotica e di averla creata secondo la sua volontà. Quindi ancora oggi, nel mondo ebraico, la donna è discriminata e la bibbia, per quanto sia parola di Dio (la parola di Dio per essere concreta ha dovuto essere scritta e l’hanno scritta i maschi) è stata scritta ad uso e consumo dei maschi.
Nella bibbia, commenta il Talmud, Dio non ha mai rivolto la parola a nessuna donna; poi, l’autore pensa di averla sparata un po’ grossa, si corregge e dice: no, una volta Dio lo ha fatto, ma si è subito pentito, perché ha parlato a Sara, Sara gli ha risposto con una bugia e da quella volta Dio non ha parlato più a nessuna donna. Proprio per il motivo della bugia, con cui Sara risponde a Dio, la donna è considerata non credibile e non può essere ascoltata come testimone.
La donna era un essere di seconda categoria; la sua nascita era considerata come una punizione per i peccati della propria famiglia, poteva venire soppressa, era una preoccupazione e, soprattutto, la donna andava tenuta a distanza per tutto il ciclo mestruale. Il sangue rendeva impuro, una donna con le mestruazioni era impura! “Impuro” significava che non si poteva accedere a Dio. Essendo Dio tutto puro, per accedere a Dio bisognava essere puri, quindi fare tutti quei lavaggi rituali per la purezza. La donna è praticamente sempre impura, perché quando ha il flusso mestruale è considerata impura, (questo lo dico per comprendere il brano seguente) i rapporti matrimoniali la rendono impura e quindi, la donna si trova in una condizione continua di impurità.
Nel mondo orientale e nel mondo ebraico la donna sta in casa, o fa i lavori nei campi, ma non è concepibile una donna che non appartenga ad un clan familiare. La donna sta o sotto il dominio del padre, o sotto quello del marito, o in caso di vedovanza sotto quello dei figli. Una donna che esca dal clan familiare non è concepibile. Scrive il Talmud, fra le altre cose, che è una buona regola per le persone sagge non parlare mai con le donne, non chiedere mai loro consiglio; i pochi che lo hanno fatto sono finiti all’inferno.
Ebbene, qui succede qualcosa di incredibile, di scandaloso, che solo nel vangelo di Luca troviamo: Gesù, il messia inviato di Dio, va per i villaggi accompagnato da un gruppetto di donne, qualcosa di terribilmente scandaloso. E che razza di donne! Se le è scelte nel mazzo! Dice l’evangelista che erano donne che Gesù aveva guarito da spiriti impuri (non ci dice quali siano questi spiriti impuri). Chissà se anche la prostituta sia appartenuta a questo seguito di donne. Pensate Gesù, il messia, l’inviato di Dio, che si presenta con una prostituta al seguito; non lo fa sembrare molto credibile.
L’evangelista ci da tre nomi, (il tre in ebraico significa la totalità) che rappresentano la categoria di queste donne. La prima è Maria, chiamata la Maddalena, dalla quale sono stati scacciati sette demoni (non ci dice quali e non ci è lecito presupporre quali fossero i demoni di questa Maria). La seconda, scandalo sullo scandalo, Giovanna, la moglie di Cusa, l’amministratore di Erode. Lo faccio a livello di battuta; a quell’epoca non esistevano, ma proviamo ad immaginare i giornaletti tipo Novella 2000, o Eva Express, vedo già il titolo: Giovanna, la moglie di Cusa, abbandona il marito per seguire l’ultimo profeta! Cusa era, potremo dire, il ministro dell’economia del re Erode, quindi un personaggio dell’alta società; la moglie lo ha abbandonato per seguire il profeta Gesù! Uno scandalo non soltanto a corte, ma uno scandalo nella società; ripeto, che una donna non era libera di aderire ad un movimento, o ad una persona. Qui c’è una donna che abbandona il marito e la corte di Erode, per unirsi ad un gruppo di altre donne; possiamo immaginare come saranno state considerate. La terza donna, presentata dall’evangelista, è una certa Susanna, della quale non sappiamo altro.
Gesù, che non distingue e non accetta quelle discriminazioni che, in nome della religione, in nome della morale e in nome del sesso, gli uomini prendono come scusante per non dirigere il loro amore a tutti quanti, vede solo l’individuo umano. Non gli interessa l’atteggiamento, non gli interessa la condizione di queste persone, ma comunica amore e queste persone non devono far altro che accoglierlo. Gesù infrange, in maniera scandalosa, tutta la mentalità corrente (ripeto, soltanto Luca è l’evangelista che ha il coraggio di scrivere queste cose).
Provate ad immaginare lo scandalo che produce Gesù che arriva in questi paesini, accompagnato dai discepoli e da un gruppo di donne. Questo è il messia? Ma figuriamoci, il messia, tra le cose che dovrà fare, ci sarà l’osservanza esatta della legge di Dio, e la legge di Dio dice che la donna deve stare chiusa in casa! Non si può portare una donna in giro, perché quando ha il suo periodo mestruale rende impuro tutto il gruppo. Come può Gesù presentarsi come inviato di Dio, quando trasgredisce sistematicamente tutte le Sue regole? A Gesù, quello che interessa è il bene dell’individuo, anche a scapito della propria reputazione. L’evangelista ci sta dicendo che Gesù sta perdendo la propria reputazione. Gesù, non soltanto accoglie queste donne, ma le invita a trasgredire tutti quei tabù che continuamente detengono la donna in secondo piano.
L’episodio che vedremo ora e che ci lega come tematica al rapporto tra Gesù e le donne, è l’episodio di Marta e Maria, che troviamo in Luca al capitolo 10, versetto 38. Scrive l’evangelista, che Gesù entra in un villaggio. Un appunto che serve come chiave di lettura: quando nei vangeli troviamo il termine ”villaggio” è sempre da considerare come termine negativo. Il villaggio è il luogo dove la tradizione si radica e rimane; mentre nella città le mode evolvono, le tradizioni cambiano, nel villaggio, nel piccolo paese, la tradizione si radica di più ed è difficile cambiare mentalità. Allora nei vangeli, ogni qualvolta gli evangelisti ci descrivono l’entrata di Gesù in un villaggio, o il villaggio, significa sempre il luogo dove la tradizione religiosa e la morale tradizionale mettono radici.
Gesù entra in questo villaggio e va in casa di una donna chiamata Marta. Il nome è aramaico e significa “donna di casa”; quindi una donna che è tutto un programma, è la donna della tradizione, la donna di casa. Ancora oggi in oriente, quando si è invitati presso una famiglia, la donna non si vede, la donna sta in cucina, svolge il suo lavoro in cucina ed è l’uomo che fa le funzioni di ospite. Gesù entra in casa di questa donna, e costei aveva una sorella il cui nome era Maria, che si mise ai piedi del Signore ad ascoltare la sua parola. Abbiamo due sorelle, due situazioni differenti: Marta che rappresenta la tradizione e Maria, che infrangendo tutti i tabù e le convenzioni sociali, fa le parti del maschio. Ripeto: la donna in casa deve stare in cucina, è l’uomo che accoglie l’ospite e con lui si mette a dialogare. L’espressione “seduta ai piedi” non significa omaggio o riverenza; in oriente non esistono, come da noi in occidente, le sedie, ci si mette per terra, sui tappeti, sulle stuoie. Quindi Maria non sta facendo un atto di devozione nei confronti di Gesù, ma fa le parti del padrone di casa, che deve essere sempre un maschio, mai una donna. Gesù entra in casa, Maria lo accoglie e si mette con lui a dialogare. E’ qualcosa di incredibile, di assurdo per la mentalità religiosa, per la morale e per le buone convenzioni.
Infatti Marta, colei che accetta questa tradizione che relega la donna nei lavori e non le consente questa pari dignità nel modo di fare l’ospite, troppo occupata in mille lavori non ce la fa più, va da Gesù e gli dice: “rimprovera mia sorella, non vedi che sono rimasta soltanto io in cucina a lavorare?” Non c’è schiavitù peggiore di chi è convinto del bene della propria schiavitù ed è geloso della libertà degli altri.
Due sorelle rappresentano due atteggiamenti del mondo femminile: quelle che accettano la loro tradizione religiosa e quindi sono confinate nei lavori della cucina e quelle che, accolto questo messaggio di Gesù, questa ventata di novità incredibile e assurda che Egli ha portato, infrangono tutti i tabù e fanno la parte che spetta agli uomini. A Marta Gesù dà questa risposta: “Marta, Marta ti occupi di troppe cose, una sola è importante, Maria l’ha scelta e non le sarà mai tolta”. Gesù non rimprovera Maria, non le dice Maria vai dove la tradizione ti ha messo che quello è il tuo ruolo, ma elogia la sua trasgressione, la scelta da lei compiuta. Addirittura dice che questa scelta non le sarà più tolta, perché nasce dall’intimo e non le è stata concessa, non è una concessione che Gesù le ha dato dall’alto, ma è una conquista fatta da Maria, dovuta ad un senso di libertà sentito nel suo intimo. Perché la libertà, quando nasce dall’intimo, nessuno la può più togliere.
Nei vangeli vedremo Gesù, legato come un salame, davanti a Pilato. Chi è la persona prigioniera e chi quella libera? Pilato, che preoccupato della propria carriera condanna a morte un uomo che sa innocente, o Gesù? Gesù, anche se legato, è molto più libero di Pilato! E tra Gesù nelle mani dei suoi carcerieri e Pietro? Pietro preoccupato per la propria salute, per la propria vita, (se sapevano che era un seguace di Gesù prendevano pure lui), rinnega di essere suo discepolo e arriva addirittura al punto di bestemmiare dicendo di non conoscere Gesù. Tra lui e Gesù, chi è la persona liberà? E’ Gesù legato come un salame! La libertà, quando nasce da una conquista interiore, nessuno la può togliere!
Ecco perché Gesù dice: Marta vedi che Maria ha fatto questa scelta e siccome nasce dal suo intimo, nessuno gliela potrà più togliere. Diciamo subito, per onestà, che questo vento di libertà che ha equiparato la donna al livello dell’uomo, è durato appena l’ambito di una generazione, perché poi è stato tutto cancellato e tutto reinterpretato. Abbiamo gli apocrifi che sono meno preocccupati delle verità teologiche, ma che riflettono di più sulle tensioni all’interno della chiesa primitiva, che ci possono aiutare a capire. In un apocrifo molto simpatico, c’è Pietro che non sopporta la presenza della Maddalena tra di loro e chiede a Gesù: senti, va bene che la Maddalena deve stare tra di noi, ma non potresti almeno trasformarla in maschio? Questo ci fa comprendere la difficoltà, all’interno della chiesa primitiva, di accettare le donne con la stessa dignità del maschio. Gesù lo ha fatto, poi ha continuato Paolo, ma dopo, i padri della chiesa hanno respinto e ricacciato la donna in una condizione di subordine. Questo perché?
C’è un dato nei vangeli che è incontestabile: le donne battono gli uomini 1 a 0! Le donne sono sempre le prime, le prime cronologicamente e le prime qualitativamente a percepire la realtà di Gesù. E sono le prime inviate a testimoniarlo. Mentre la maggior parte degli uomini nei vangeli è sempre rappresentata in maniera negativa, tutte le donne, eccetto Erodiade, sono presentate in maniera positiva. Gli evangelisti hanno percepito questa grande novità di Gesù, che infrangendo norme religiose, tabù morali, la stessa parola di Dio (nella parola di Dio la donna viene considerata in secondo piano) mette al primo posto la persona: sia uomo o sia donna, a Gesù non interessa, c’è la persona con gli stessi diritti.
Ecco perché dicevamo che il vangelo di Luca, in particolare, è il vangelo degli esclusi, dove si vede chiaramente che anche le donne hanno la loro dignità. Ripeto che questo messaggio fu poi cancellato dalla storia e, ai nostri giorni, ancora vediamo come le donne vengano considerate, da una cultura maschilista, come persone di seconda categoria. Non è ancora tramontato l’augurio che si fa agli sposi: auguri e figli maschi! Un’altra espressione che spesso sento negli uffici: “Chi comanda da voi? Una donna…, però è intelligente, sai!” Deve essere sempre giustificata, è una donna, ma è intelligente! E’ una metafora da cui facciamo fatica a liberarci e anche nella chiesa vediamo la difficoltà in questo cammino.
Proseguiamo con la nostra ricerca degli esclusi. Vediamo un attimo Paolo che è considerato misogino, ma non lo è. Paolo è a favore del rispetto della dignità delle donne, ma questa idea faceva talmente scandalo che le sue lettere furono interpolate. Cosa significa? Che nelle lettere che scriveva Paolo, in una 40 anni dopo, in un’altra 80 anni dopo, in un’altra ancora un secolo e mezzo dopo, sono state aggiunte delle cose che rimettevano la situazione “in regola”, cioè la donna in subordine all’uomo. Paolo, l’autentico Paolo, che ha percepito questa novità di Gesù la comunica, anche se a volte le sue trascrizioni nella nostra cultura non vengono comprese.
Un esempio è quando Paolo dice: la donna ha diritto, come gli uomini, di parlare all’assemblea, ma quando parla si metta il velo. Non è un’imposizione negativa, ma cosa succede? Le donne che nella comunità cristiana sentivano di volere gli stessi diritti e privilegi dei maschi, per accentuare questo stato si toglievano il velo, simbolo della condizione femminile, e acconciavano i capelli secondo una foggia maschile, pensando che, assomigliando in qualche maniera al maschio, accentuavano questa dignità. Paolo dice di no! La dignità della donna consiste nel fatto di essere tale, non nella misura in cui scimmiotta l’uomo. Paolo fa capire che la dignità della donna che parla all’assemblea non consiste nella misura in cui si scimmiotta il maschio, ma nel fatto di essere donna e pertanto velata come prevedeva la cultura dell’epoca. Spinge le donne a presentarsi come femmine, non come un’imitazione del maschio.
Vediamo ora un’altra categoria di emarginati, dove ritornerà il ritornello: ma allora non c’è più religione! Andiamo al capitolo 10, versetto 25, che è l’introduzione alla parabola che è stata definita la più anticlericale del vangelo: quella del samaritano. Al versetto 25 c’è scritto che un dottore della legge vuole tentare Gesù. Gesù inizia la sua attività tentato da Satana. Chi è Satana? Come abbiamo visto che l’angelo del Signore non è altro che una manifestazione visibile di quello che Dio è e che si manifesta attraverso persone e situazioni, ugualmente Satana non è un’entità spirituale che minaccia l’uomo, ma il termine “satana” non significa altro che “avversario”. Nei vangeli lo vediamo incarnato di volta in volta in diversi personaggi. Qui, colui che fa il ruolo del tentatore, di Satana, è un dottore della legge; questi devoti fedeli della legge, in realtà svolgevano il ruolo dei nemici di Dio e dell’uomo.
Per tentare Gesù, questo dottore chiede: “Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna”. E’ interessante questo assillo della vita eterna. Gesù, nei vangeli sinottici, non parla mai spontaneamente della vita eterna. Le uniche volte che lo fa, (nel vangelo di Luca soltanto due volte), è solamente perché provocato da domande di persone che, siccome stavano tanto bene in questa vita, avevano la preoccupazione di non stare altrettanto bene nella vita dopo la morte. Vuoi vedere che per una preghiera che non recito, per una devozione che mi manca, questa condizione di privilegio l’avrò solo su questa terra e non pure di là? Gli unici ad interrogarsi sulla vita eterna, nei vangeli sinottici, sono le persone ricche e le persone molto religiose. Perché? Io sto già tanto bene su questa terra che la condizione di privilegio che ho deve continuare anche nell’aldilà. Ma Gesù non parla mai di vita eterna.
Perché Gesù non parla mai di vita eterna? Perché non gli interessa, Gesù è venuto a proclamare il regno di Dio, non l’aldilà. Quando, in un altro episodio, c’è il giovane, o il notabile che è ricco e molto religioso e chiede a Gesù cosa deve fare per avere la vita eterna, Gesù gli risponde male: perché lo chiedi a me? Non hai già Mosè? Comportati onestamente, comportati rettamente e già hai la vita eterna. Gesù non è venuto per indicarci una via migliore, perfetta per entrare nell’aldilà. Per entrare nell’aldilà non serve credere in Dio, basta comportarsi onestamente con gli uomini; ce lo garantisce Gesù questo.
Gesù è venuto a proporre una cosa ben diversa, quella qualità di vita indistruttibile, quella pienezza di vita che è propria della vita eterna, ed è venuto a proporcela qui, su questa terra. Questo significa il regno di Dio! Ognuno di noi, accogliendo questo Dio di amore, sviluppa una potenzialità che fa in modo che questa vita sia indistruttibile e quindi eterna. Gesù non parla mai spontaneamente di vita eterna, ma soltanto quando viene interrogato ed è sempre interrogato da persone che avrebbero voluto essere tranquille nell’aldilà come lo erano di qua.
Al dottore della legge che lo interrogava Gesù risponde: “Tu, un dottore della legge mi fai queste domande? Cosa trovi nella tua legge?”, e l’altro gli risponde: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. Questo è il massimo al quale è arrivata la spiritualità in Israele. Un amore a Dio totale e un amore relativo agli uomini! Questo è il massimo delle spiritualità religiosa d’Israele! E’ penoso trovare ancora in gruppi di credenti, in gruppi di cristiani, che, quando si chiede loro qual è il comandamento dell’amore, citino questo passo: ama il Signore Dio tuo e ama il tuo prossimo come te stesso. Questo è valido per la religione ebraica, ma non per noi cristiani! Gesù supera questo atteggiamento e ci propone: amatevi tra di voi, come io vi amo. Vedete che nella risposta del maestro della legge, l’amore a Dio è totale: amerai il Signore con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze…; l’amore al prossimo è relativo: ama il prossimo tuo come ami te stesso. E quindi si limita la misura di questo amore all’altro; l’individuo è sempre limitato. Gesù dice di no, non è contento di questo e proclama: amatevi tra di voi, come io vi ho amato. Il parametro di questo amore al prossimo non è l’individuo, ma è Gesù stesso e l’amore di Gesù sappiamo che è incondizionato e totale.
Comunque, Gesù si accontenta di questa risposta e dice: hai risposto bene, fai questo, cioè metti in pratica questo atteggiamento e avrai la vita. Ma l’altro, che cercava delle scuse, voleva giustificarsi, dice: e chi è il mio prossimo? Amerai il prossimo tuo come te stesso… chi è il mio prossimo? Nella mentalità ebraica, il prossimo si limitava ai componenti del proprio clan; una persona di un altro clan, o peggio uno straniero, non faceva parte di questa sfera dell’amore. Ma questo maestro della legge ha un dubbio: dimmi qual è il mio prossimo e fino a dove posso dirigere il mio amore. E Gesù gli risponde invertendo i termini e gli propone questa parabola: “Un uomo scendeva da Gerusalemme…”.
E’ un passo un po’ difficile e spero di non complicarlo più di tanto, ma è importante per comprendere il brano. I vangeli sono stati scritti in greco e, nella lingua greca, Gerusalemme si può scrivere in due maniere: una maniera che è la traslitterazione del termine ebraico ed è “Jérusalem” e significa la città santa, cioè l’istituzione religiosa e la sede di Dio; l’altra maniera è un termine che indica la città dal punto di vista geografico, urbano ed è “Jerosoluma” La differenza è come dire Roma “la città eterna”, in senso teologico e sacrale, o significarla, semplicemente, come il nome geografico. Oppure c’è chi chiama la Palestina come “la terra santa”, o come Israele; un nome teologico e un nome geografico.
Qui l’evangelista scrive “Jérusalem”, cioè quest’uomo non sta abbandonando la città in quanto connotazione geografica, ma sta abbandonando l’istituzione religiosa. A Gerusalemme si sale sempre, è questa la definizione tecnica! Qui c’è un uomo che volta le spalle a Jérusalem, città santa, istituzione religiosa, l’abbandona e cosa succede? Incappa nei briganti che lo assalgono, lo depredano e lo lasciano mezzo morto. Gesù sta parlando ad un dottore della legge, ad un difensore della religione e gli fa capire, secondo la mentalità di questa categoria di persone, quello che era il loro pensiero; cioè che soltanto nella religione ci poteva essere la protezione di Dio. Quindi, per loro, questa è la conseguenza per aver abbandonato la religione. Se uno abbandona la religione perde la protezione di Dio.
Gesù, per far capire, va incontro a questa mentalità e continua: “C’è un uomo, abbandona Gerusalemme, scende e cosa gli succede? Gli succedono tutti i guai e rimane in fin di vita. Scendeva per quella strada (ma non dice da Gerusalemme) un sacerdote..”. Probabilmente è la strada da Gerusalemme verso Gerico. Sappiamo che Gerico era, a quell’epoca, una città abitata da molti sacerdoti. Un sacerdote passa per quella strada, vede una persona mezza morta e, scrive l’evangelista, passa al largo. Nemmeno si avvicina. Non è una persona crudele, non è un malvagio, è un sacerdote, una persona religiosa. Il sangue, abbiamo detto che contamina e quindi, se si prende cura di quel ferito, anche il sacerdote si contamina e il suo rapporto con Dio rimane interrotto. Allora, per osservare la legge di Dio, lascia quell’uomo che soffre. C’è comunque l’aggravante di quell’uomo che, abbandonata la religione, si è trovato nei guai: peggio per lui, ecco le conseguenze!
Guardate che questa è una mentalità ancora molto in voga anche negli ambienti religiosi. Quando una persona si trova nei guai, che in qualche maniera si è provocato, si dice: se li è voluti, se li è cercati, peggio per lui! Qui c’è un sacerdote che è in regola con il suo Dio! La bibbia proibisce ad un sacerdote di toccare una persona ferita, perché lo contamina e perciò non può partecipare al culto. Il sacerdote, fedele alla sua legge, lascia quell’uomo moribondo. Poi, per secondo passa un levita (i leviti erano una tribù di addetti al culto) e fa la stessa cosa. Vedete c’è il bene dell’uomo e c’è il bene di Dio; qual è il più importante? Il bene di Dio. Non importa che l’uomo soffra.
Infine passò per quella strada un samaritano, cioè un ateo, un miscredente, un indemoniato; non ci sono titoli per esprimere il disprezzo che i giudei avevano per i samaritani. Erano, lo diciamo come battuta, i “vu comprà” dell’epoca, popolazioni meticce e l’insulto peggiore che un ebreo poteva indirizzare ad un altro ebreo, era di dargli del “samaritano”. La legge prevedeva 39 frustate come punizione per questo insulto. Abbiamo visto, quindi, due personaggi che sono in regola con Dio, poi un miscredente, l’escluso da Dio. Pensate, si legge nel Talmud, che lo sputo di un samaritano rende impura una città intera. Le persone più schifose che esistessero. Gesù prende un samaritano e lo contrappone agli altri due. Mentre i primi due girano al largo, il samaritano soccorre il ferito, gli dà un primo soccorso con olio e lino, poi lo conduce ad una locanda, sta con lui qualche giorno, paga quanto serve per le cure.
Ma quello che è importante e scandaloso, quando passò per quella strada, “si commosse” (versetto 33). Non so come farvi capire lo scandalo di questa espressione; il verbo “commuovere” è un verbo che, nell’antico testamento, viene applicato esclusivamente a Dio; è l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’umanità. Mai, nell’antico testamento, questo verbo viene applicato ad un uomo! Gesù sta dicendo qualcosa di inaudito: l’unico ad avere gli stessi atteggiamenti di Dio, è un miscredente!
Cambia la religione! Chi è il modello di credente? Secondo la loro tradizione religiosa è colui che obbedisce a Dio, osservando le sue leggi. Modelli di credenti sono il sacerdote e il levita; se poi, per questa obbedienza, qualcuno soffre, non importa. L’importante è la salvaguardia di Dio e della sua legge. Gesù dice chi è il modello di credente? E’ colui che si comporta come Dio si comporterebbe, cioè con un sentimento di umanità verso chiunque soffre. Ma è un non credente! Non importa!
Il paradosso che Gesù ci presenta è che il modello di credente, di autentico credente, è un non-credente. Perché? Perché così non obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma gli assomiglia praticando un amore simile al suo. Il verbo “commuovere” viene usato con molta accuratezza dall’evangelista e viene proposto solo tre volte. E’ sempre un verbo che vuol significare una comunicazione di vita, in situazioni di morte. Si trova nella resurrezione del figlio della vedova di Nain, si trova in questo episodio e si trova nella parabola del figliol prodigo, messo nella bocca del padre, al ritorno del figlio. Quindi è una commozione che non rimane a livello emotivo, ma si traduce sempre in segni concreti che restituiscono vita all’individuo. Nei vangeli l’unico individuo, oltre a Gesù, che ha questo sentimento di Dio, è un individuo che in nome della religione e in nome di Dio stesso, è lontano dalla grazia di Dio.
Comprendete il capovolgimento incredibile, fa venire il mal di testa pensare a questi fatti, perché dobbiamo cambiare tutti, ma proprio tutti i parametri. E allora? Chi è il credente? Gesù ci propone come modello di credente un non-credente che non prega, non partecipa al culto, forse conduce una vita dissoluta e discutibile, però all’occasione si comporta come si comporterebbe Dio, cioè comunicando vita a chi ne è senza. Dice Gesù: questo è il modello di credente. Ma questo è troppo, è inconcepibile! Infatti vediamo che, nella risposta che dà al dottore della legge, Gesù dice: secondo te, di questi tre, chi è stato prossimo? Il dottore gli aveva chiesto chi era il suo prossimo, Gesù inverte i termini della domanda. Non chiederti chi è il tuo prossimo, ma chiediti nella tua vita a chi ti approssimi! Che qualcuno sia prossimo non dipende dall’altra persona, ma dipende da noi: il prossimo è chiunque a cui io mi rivolgo, o mi dirigo per comunicargli vita. La categoria del prossimo non dipende dalle altre persone, ma dipende da noi e se comprendiamo il messaggio di Gesù, non ci sono confini.
L’esempio che Gesù ha fatto è talmente irritante che il dottore della legge, davanti alla proposta di scegliere tra questi tre individui, il sacerdote, il levita e il samaritano, non risponde il samaritano. Una persona pia ha talmente orrore del samaritano che evita persino di pronunziarne il nome; infatti, nella risposta dice: quello che si è preso cura, ma evita persino di nominare il nome del samaritano. Possiamo comprendere quanto assurdo e sconvolgente è stato l’esempio che Gesù ha portato.
Ricapitolando, il credente chi è? E’ chiunque mette nella sua vita, credente o no, praticante o no, gli stessi sentimenti d’amore che sono di Dio. L’essere credente non deriva dall’obbedienza delle leggi di Dio, ma dalla pratica di un amore somigliante a quello di Dio. Il samaritano, davanti a questa persona che si è cacciata nei guai volutamente, perché ha abbandonato la tradizione della religione, non gli fa un interrogatorio di terzo grado, non gli dice perché ti sei ridotto così, dovevi stare attento. Anche il samaritano è una persona esclusa dalla religione e sa che gli appoggi della religione sono vani e fatui, perciò accoglie il ferito, gli comunica vita, senza chiedere niente, senza investigare sulle cause che lo hanno ridotto così e senza porgli delle condizioni. Non gli dice: adesso io ti curo, però dopo tu ritorna alla fede, ritorna a Gerusalemme, non prendere quella strada. L’amore, quando somiglia a quello del Padre è completamente gratuito e non indaga sulle cause che hanno portato la persona nella disgrazia.
16-9-95
Testo non rivisto dall’autore