XXVI Settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz

Lunedì 29 Settembre (FESTA – Bianco)
SANTI ARCANGELI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE
Dn 7,9-10.13-14 Sal 137 Gv 1,47-51: Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo.
Martedì 30 Settembre (Memoria – Bianco)
San Girolamo
Zac 8,20-23 Sal 86 Lc 9,51-56: Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.
Mercoledì 1 Ottobre (Memoria – Bianco)
Santa Teresa di Gesù Bambino
Ne 2,1-8 Sal 136 Lc 9,57-62: Ti seguirò dovunque tu vada.
Giovedì 2 Ottobre (Memoria – Bianco)
Santi Angeli Custodi
Es 23,20-23 Sal 90 Mt 18,1-5.10: I loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Venerdì 3 Ottobre (Feria – Verde)
Venerdì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Bar 1,15-22 Sal 78 Lc 10,13-16: Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato.
Sabato 4 Ottobre (FESTA – Bianco)
SAN FRANCESCO D`ASSISI
Gal 6,14-18 Sal 15 Mt 11,25-30: Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.
Domenica 5 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Ab 1,2-3;2,2-4 Sal 94 2Tm 1,6-8.13-14 Lc 17,5-10: Se aveste fede!
Lunedì 29 Settembre (FESTA – Bianco)
SANTI ARCANGELI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE
Gv 1,47-51: Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo.

Gli Angeli sono esseri misteriosi, e in forma misteriosa ne parla il profeta Daniele nella celebre profezia sul Figlio dell’uomo che la liturgia ci fa leggere oggi:
“Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano”. Daniele non nomina gli Angeli: parla di fuoco, di migliaia, di miriadi di miriadi… Sono veramente esseri misteriosi. Noi li rappresentiamo come uomini dal viso soave e dolce, nella Scrittura invece appaiono come esseri terribili, che incutono timore, perché sono la manifestazione della potenza e della santità di Dio, che ci aiutano ad adorare degnamente: “A te voglio cantare davanti ai tuoi angeli, mi prostro verso il tuo tempio santo”. Come preghiamo nel prefazio di oggi: “Signore, Padre santo, negli spiriti beati tu ci riveli quanto sei grande e amabile al di sopra di ogni creatura”. Nella visione di Daniele non sono gli Angeli gli esseri più importanti: vediamo più avanti “uno, simile ad un figlio d’uomo” ed è lui, non gli Angeli, ad essere introdotto fino al trono di Dio, è a lui che egli “diede potere, gloria e regno”, è lui che “tutti i popoli serviranno”. La stessa cosa vediamo nel Vangelo: gli Angeli sono al servizio del Figlio dell’uomo. “Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” dirà Gesù, facendo allusione sia a questa visione di Daniele sia alla visione di Giacobbe, che nel sonno vede gli Angeli salire e scendere sul luogo dove è coricato e che dà il senso della presenza di Dio in tutti i luoghi della terra.
Gli Angeli di Dio sono dunque al servizio del Figlio dell’uomo, cioè di Gesù di Nazaret; la nostra adorazione non è rivolta agli Angeli, ma a Dio e al Figlio di Dio. Gli Angeli sono servitori di Dio che egli, nella sua immensa bontà, mette al nostro servizio e che ci aiutano ad avere un senso più profondo della sua santità e maestà e contemporaneamente un senso di grande fiducia, perché questi esseri terribili sono al nostro servizio, sono nostri amici.
Domandiamo al Signore che ci faccia comprendere davvero la sua santità e maestà infinite, perché ci prostriamo con sempre maggiore reverenza alla sua presenza, davanti ai suoi Angeli.
È una grande festa, quella di oggi: la Chiesa invoca su di sé l’aiuto degli arcangeli, i puri spiriti creati da Dio che lodano la sua presenza e ci accompagnano lungo il nostro cammino. Facciamoli lavorare!
Nella Bibbia la presenza degli angeli è determinante: sono essi ad aiutare Dio nel suo lavoro. Oggi ricordiamo i tre principali: Michele (Chi è come Dio?) è l’arcangelo che insorge contro Satana e i suoi satelliti (Gd 9; Ap 12, 7; cfr Zc 13, 1-2), difensore degli amici di Dio (Dn 10, 13.21), protettore del suo popolo (Dn 12, 1). Gabriele (Forza di Dio) è uno degli spiriti che stanno davanti a Dio (Lc 1, 19), rivela a Daniele i segreti del piano di Dio (Dn 8, 16; 9, 21-22), annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista (Lc 1, 11-20) e a Maria quella di Gesù (Lc 1, 26-38). Raffaele (Dio ha guarito), anch’egli fra i sette angeli che stanno davanti al trono di Dio (Tb 12, 15; cfr Ap 8, 2), accompagna e custodisce Tobia nelle peripezie del suo viaggio e gli guarisce il padre cieco. Sentiamo di essere in pericolo, attanagliati dalla tenebra? Invochiamo san Michele. Dobbiamo dare o ricevere qualche notizia o capire cosa voglia Dio dalla nostra vita? Ci sostiene san Gabriele. Abbiamo necessità di una guarigione profonda dell’anima e del corpo? Interviene Raffaele. Non abbiamo paura di invocare il loro aiuto!
Lunedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario
Lc 9,46-50: Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande.
Sono infantili i discepoli. Ma non nel senso evangelico del termine, non sono bambini in maniera positiva! Sono infantili perché Gesù sta per confidare loro di essere disposto a morire per annunciare il vero volto del padre: ha indurito il volto per salire a Gerusalemme. E davanti a tanta determinazione, in un momento drammatico cosa fanno i suoi migliori amici? Discutono su chi fra di loro sia il più importante, come se Gesù non avesse detto nulla… Non ottiene conforto, il Signore, e nemmeno incoraggiamento, solo l’incomprensione totale dei suoi. E si fa da parte, il Maestro, cogliendo l’occasione per ribadire quale sia la logica del Regno, in cui più si è in alto e più si diventa servi. Sono infantili i discepoli: vogliono dare la patente di predicatore solo a chi garba loro, cercando di preservare l’esclusiva dell’annuncio. E il Signore li ammonisce e li invita a guardare le tante cose positive che lo Spirito suscita nel cuore di chi cerca Dio e ne parla con coscienza e consapevolezza. A noi, ora, discepoli del risorto: e se provassimo a essere meno infantili e più evangelici, oggi?
Martedì 30 Settembre (Memoria – Bianco)
San Girolamo

Ringraziamo Dio per il grande dono della Scrittura: è un dono del suo amore, un dono antico e sempre nuovo che dobbiamo sfruttare nella fede.
Nel Vangelo Gesù ci dice appunto che il nostro tesoro è contemporaneamente antico e nuovo. E ogni epoca è invitata a discendere in questa miniera inesauribile per trovare nuove ricchezze, e le trova davvero.
Il modo attuale di studiare la Scrittura non assomiglia a quello dei secoli passati: vi scopriamo aspetti nuovi, che ci aiutano ad apprezzarne meglio la varietà e la ricchezza. Così si rinnova continuamente il gusto e l’interesse per lo studio della Bibbia.
Sappiamo che la Scrittura si studia bene soltanto nella fede. “Le Sacre Scritture scrive Paolo a Timoteo possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù”. Lo studio della Scrittura è fatto per mezzo della fede, che lo guida. Per aver fede bisogna prima capire un po’ la Scrittura, perché se non si capisce niente dell’annuncio di salvezza non è possibile aderirvi, quindi per arrivare a credere è necessario fare un certo lavoro di intelligenza, un certo studio. Ma d’altra parte per approfondire la Scrittura è necessaria la fede: credere per, comprendere.
Se qualcuno ha il senso delle cose spirituali capisce profondamente la Bibbia anche se non ha cultura, perché la fede illumina gli occhi del suo cuore e questa illuminazione è più preziosa di tutti i mezzi della scienza, che possono far luce su aspetti secondari, ma non raggiungono il centro, che è il “proprio” della fede.
Non bisogna disprezzare lo studio faticoso degli scienziati, perché i loro sforzi sono necessari per far penetrare la fede in tutti i settori della vita e di ogni epoca. Ma Dio ha rivelato i tesori della Scrittura non soltanto agli intelligenti, ma anche a chi è meno dotato, mediante la fede, luce divina.
Siamo dunque riconoscenti al Signore per questo tesoro che tutti noi utilizziamo e aiutiamo ad approfondirlo insieme agli studiosi, perché la scienza aiuta a comprendere le Scritture, ma ancor più aiuta la santità.
Martedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario
Lc 9,51-56: Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.
Gesù ha deciso. La sua è una scelta dura, determinata, assoluta. Sa bene che le cose si stanno mettendo male, sa che la folla, ondivaga, potrebbe abbandonarlo in qualunque momento, sa che da Gerusalemme lo osservano come un fenomeno da baraccone ma che il potere religioso gli è avverso per partito preso. Sa. Ma non cede: sceglie di andare, sceglie di salire a Gerusalemme, alla resa dei conti. È la città santa il cuore pulsante della fede, è la città che uccide i profeti da convincere, da convertire. Ha deciso, è risoluto. Letteralmente Luca scrive che ?indurì il suo volto?, come i profeti. Ed è totalmente solo: la triste scena degli apostoli che invocano il fuoco dal cielo per uccidere i samaritani che li hanno rifiutati (!) gli fa capire quanto essi siano lontani dal capire la gravità della situazione. Gesù indurisce il volto, si fa violenza per andare fino in fondo alla sua missione, noi, troppe volte, cediamo alla prima difficoltà, lasciamo stare appena la fede diventa più esigente. La fede richiede, in certi momenti, un grande sforzo di volontà, un grande carattere. Ne vale la pena, credetemi, e abbiamo un modello da seguire: il Signore stesso.
Mercoledì 1 Ottobre (Memoria – Bianco)
Santa Teresa di Gesù Bambino

Una ragazza morta a ventiquattro anni diventa dopo neppure cinquant’anni modello di tutta la Chiesa. Pio XI era molto devoto di santa Teresa di Gesù Bambino e la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non usci più dal convento.
Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre vie I nostri pensieri vengono dall’orgoglio, quelli di Dio dall’umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle di Dio si percorrono solo diventando piccoli. Come sulle strade per andare a Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro orgoglio ci spinge.
Teresa aveva grandi ambizioni, grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte… il Signore le fece capire che c’è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la semplicità, la fiducia e l’abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa amato. “Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre”. ~ bellissimo salmo 130 può essere applicato alla lettera alla vita di Teresa.
Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario ricevere. Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui. Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima dell’amore misericordioso di Dio, è un superbo; chi riceve quello che Dio gli dà con la semplicità di un bambino arriva alla santità: è contento di non saper far nulla e riceve tutto da Dio. È un atteggiamento spirituale che è anch’esso dono di Dio ed è tutt’altro che passività. Teresa fece di sé un’offerta eroica e visse nella malattia e nella prova di spirito con l’energia e la forza di un gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella abbandonava fiduciosamente nelle mani divine. Riuscì così in modo meraviglioso a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto.
Impariamo questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell’umiltà del cuore. Saremo come lei inondati da un fiume di pace.
Mercoledì della XXVI settimana del Tempo Ordinario
Lc 9,57-62: Ti seguirò dovunque tu vada.
Gesù ha deciso, è assolutamente determinato: col volto indurito si dirige verso la Gerusalemme che uccide i profeti. I suoi discepoli non sono all’altezza della situazione e ancora non hanno capito cosa stia veramente succedendo: Giovanni ha appena proposto la distruzione del villaggio di samaritani che non li ha accolti. Chi, allora, è disposto a seguire il Signore in questa scelta che lo porterà a morire? Qual è il discepolo che serve alla causa, che davvero può accompagnare Gesù? Non chi prende la fede come un nido, una comoda cuccia in cui rifugiarsi lontano dal mondo, come molti fanno. E nemmeno chi mette al primo posto il clan famigliare e la retorica familista, chi assoggetta il vangelo alle (buone e sante) abitudini. E nemmeno chi si volge indietro, rimpiangendo il passato o analizzando all’esasperazione le proprie azioni. Gesù ha bisogno di uomini liberi, disposti a seguire Gesù senza certezze, disposti ad amarlo più di ogni altro affetto, disposti a mettersi in gioco ogni giorno, come lui, senza guardare al passato. Uomini all’altezza della sua passione per Dio. Disposti a seguirlo, sul serio?
Giovedì 2 Ottobre (Memoria – Bianco) Santi Angeli Custodi
Mt 18,1-5.10: I loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.

I testi liturgici ci invitano a riflettere sulla nostra relazione con Dio e a prendere coscienza che su di essa è fondata la vera fraternità.
La prima lettura, un passo dell’Esodo, parla dell’Angelo che il Signore manda davanti al suo popolo come protettore e come guida. “Dice il Signore: “Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce “.
Subito queste parole suscitano il sentimento della presenza di Dio. Ma il contesto biblico chiarisce che la presenza dell’Angelo indica che la relazione del popolo con Dio è ancora imperfetta, deve progredire. Dio non può rivelarsi pienamente, non può mettere il popolo in relazione immediata con se stesso perché è un popolo peccatore, ribelle, che si trova soltanto all’inizio del lungo cammino che lo condurrà alla Terra promessa, alla diretta presenza di Dio. L’Angelo è come un intermediario, colui che fa camminare verso Dio e che contemporaneamente, in un certo senso, protegge dalla sua terribile presenza, fino a quando il popolo sarà in grado di reggere di fronte alla sua maestà.
L’Angelo ci fa ascoltare la voce di Dio; secondo la Bibbia la sua presenza accanto a noi non ha altro scopo che di metterci in relazione con lui. E Dio dice: “Ascolta la sua voce, non ribellarti a lui; egli non ti perdonerebbe, perché il mio nome è in lui”.
Se siamo docili a questa voce interiore, che è la voce stessa di Dio, siamo condotti progressivamente a una unione profonda con il Signore, simboleggiata nella Bibbia dalla entrata nella Terra promessa, il paese dove scorrono latte e miele, dove Dio prepara tutti i beni della salvezza.
Anche il Vangelo di oggi parla del rapporto con Dio: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”.
Gesù stesso ci dice come dobbiamo rapportarci gli uni agli altri e che, per rispettare veramente le persone, per avere rapporti cristiani, dobbiamo anzitutto pensare al loro rapporto con Dio. Avvicinando qualsiasi persona dobbiamo pensare che Dio l’ama, che ha dei progetti su di lei, che l’aiuta a corrispondere a questi progetti. Se ci pensiamo seriamente, il nostro atteggiamento sarà molto più positivo: avremo più pazienza, più comprensione e soprattutto più amore.
Uno dei primi Gesuiti, il beato Pietro Fabre, che viaggiava molto e doveva incontrare tante persone, avvicinare tante autorità nella sua lotta contro l’eresia protestante, aveva molta devozione agli Angeli. Quando passava nelle città, quando si preparava ad incontrare qualcuno, pregava l’Angelo custode di queste città, di queste persone e otteneva grazie mirabili. Si era messo alla presenza di Dio e questa presenza irraggiava da lui sugli altri. Se ci ispiriamo a questo esempio, ogni nostro rapporto splenderà davvero della luce del Signore, nonostante noi siamo cosi deboli e imperfetti, e cammineremo sempre più, con la sua grazia, verso la sua presenza.
Oggi la Chiesa celebra la festa degli angeli custodi, preziose anime create direttamente da Dio cui siamo affidati, amici sinceri che vogliono il nostro bene.
È pieno di angeli il mondo della Bibbia. Non quelli bizzarri della nostra contemporaneità che nega con arroganza l’esistenza di Dio e crede negli angeli e negli oroscopi. Né quelli derisi da chi, in nome di un presunto approccio scientifico, nega la possibilità che esista ciò che non è misurabile, negandosi così l’esperienza del resto della realtà. Esistono gli angeli perché il mondo è immensamente più ampio di quanto lo conosciamo e di quanto ne facciamo esperienza. Esistono e agiscono per condurre i nostri passi verso la pienezza della conoscenza di Dio, esistono, creati da Dio come puri spiriti e a ciascuno è affidato un amico interiore che, nel pieno rispetto della nostra libertà, ci consiglia e ci incoraggia. Come già sperimenta il popolo d Israele, ad ognuno di noi è chiesto: abbi rispetto della sua presenza, dà ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui. Il problema è che, spesso, nemmeno sappiamo della loro esistenza e li lasciamo inattivi a girarsi i pollici. O, peggio, li utilizziamo con superstizione, come se fossero degli amuleti. Lasciamoli lavorare, piuttosto, lasciamoci condurre.
Giovedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario
Lc 10,1-12: La vostra pace scenderà su di lui.
Il Signore invia i discepoli avanti a sé, a preparargli la strada. Non si sostituiscono a lui ma annunciano il suo arrivo, non si frappongono fra la folla e Dio, non si assumono un ruolo che è loro dato. Dovremmo ricordarcelo: la Chiesa esiste solo in funzione di Cristo, solo per annunciare il Vangelo in attesa che il Signore torni nella pienezza dei tempi. A cosa serve la Chiesa? Cos’è la Chiesa? Chi è Chiesa? Non è una sorta di organizzazione religiosa atta a conservare il proprio potere, né una sorta di holding del sacro o un vecchio baraccone zeppo di putridume e di inganni, come molti amanti della dietrologie ancora sostengono. Certo: ci sono uomini di Chiesa fragili e peccatori, incoerenti e zoppicanti, come me. Ma la Chiesa, che è la comunità di coloro che hanno scoperto Cristo e che con gioia lo annunciamo, vive in funzione del suo Signore, ne prepara la venuta fra i cuori e nella Storia. Non arroghiamoci il diritto di sostituirci a Dio, non pensiamo di possedere la sua verità ma, con autentica umiltà, raccontiamo di lui a due a due, cioè in comunione gli uni con gli altri, alle persone che oggi incontreremo.
Venerdì della XXVI settimana del Tempo Ordinario
Lc 10,13-16: Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato.
Dio ha pazienza, certo, ma la sua pazienza non è debolezza di carattere. Dio è buono, così ci ha svelato Gesù, ma non è un Babbo Natale pacioccone. Dio è misericordioso, certo, ma se restiamo nel pantano dei nostri vizi e dei nostri peccati questa misericordia non cambia il nostro cuore. Dio è tenerezza, così crediamo, ma la tenerezza non sostituisce il nostro impegno al cambiamento, ma lo suscita e lo accompagna. Gesù è dolorosamente colpito dall’indifferenza e dalla reazione delle città della Galilea nei suoi confronti. Tutti seduti sulle proprie certezze religiose, certi di essere dei prescelti, degli eletti, gli ebrei non si preoccupano di coltivare la propria fede e non riconoscono i profeti come Gesù. Così Gesù annota, amaramente, come le città pagane del passato si siano convertite, davanti alla sollecitazione degli uomini di Dio, cosa che le città blasonate della fede ebraica non sanno fare. Anche noi rischiamo di confrontarci con il mondo attorno e di trovarci migliori, di essere, tutto sommato, in grazia di Dio. Ma questa certezza diventa sicumera pericolosa e mortale se non si apre alla continua conversione!
Sabato 4 Ottobre (FESTA – Bianco) SAN FRANCESCO D`ASSISI
Mt 11,25-30: Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.

San Francesco ha veramente realizzato il Vangelo che la liturgia ci fa proclamare nella sua festa: ha ricevuto la rivelazione di Gesù con il cuore semplice di un bambino, prendendo alla lettera tutte le parole di Gesù. Ascoltando il passo evangelico nel quale Gesù invia i suoi discepoli ad annunciare il regno, ha sentite rivolte a sé quelle parole, che diventarono la regola della sua vita. Ed anche a quelli che lo seguirono egli non voleva dare altra regola se non le parole del Vangelo, perché per lui tutto era contenuto nel rapporto con Gesù, nel suo amore. Le stimmate che ricevette verso la fine della sua vita sono proprio il segno di questo intensissimo rapporto che lo identificava con Cristo. Francesco fu sempre piccolo, volle rimanere piccolo davanti a Dio e non accettò neppure il sacerdozio per rimanere un semplice fratello, il più piccolo di tutti, per amore del Signore.
Per lui si sono realizzate in pieno le parole di Gesù: “il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. Quanta gioia nell’anima di Francesco, povero di tutto e ricco di tutto, che accoglieva tutte le creature con cuore di fratello, che nell’amore del Signore sentiva dolci anche le pene!
Anche per noi il giogo del Signore sarà dolce, se lo riceviamo dalle sue mani.
Nella lettera ai Galati san Paolo ci dà la possibilità di capire meglio alcuni aspetti di questo giogo con due espressioni che sembrano contradditorie ma sono complementari. La prima è: “Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo”. I pesi degli altri: questo è il giogo del Signore. San Francesco l’aveva capito agli inizi della sua conversione. Raccontò alla fine della vita: “Essendo io in peccato, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma lo stesso Signore mi condusse fra loro ed io esercitai misericordia con loro”. Ecco il giogo, che consiste nel caricarsi del peso degli altri, anche se farlo ci sembra duro. E continua: “E partendomene, ciò che mi era apparso amaro mi fu convertito in dolcezza nell’anima e nel corpo”. Per chi se ne è veramente caricato, il giogo diventa dolce.
Prendiamo così su di noi il giogo di Cristo. Carichiamoci dei pesi degli altri e non pesiamo su di loro con critiche e giudizi privi di misericordia, perché possiamo conoscere meglio il Figlio di Dio che è morto per noi, e in lui conoscere il Padre che è nei cieli, con la stessa gioia di san Francesco.
Oggi l’Italia è in festa celebrando in Francesco d’Assisi uno dei suoi figli migliori. Tutto di Cristo, ha saputo incendiare d’amore la Chiesa del suo tempo. E noi.
Così agisce Dio: quando vede che il suo vangelo arranca e si impantana nelle pastoie clericali, quando vede che la Chiesa, specialmente chi, nella Chiesa, dovrebbe condurre il gregge, si allontana dal messaggio e dalla propria missione… invia i santi. E questo è il modo di agire di Dio, sempre pronto a inviare uomini e donne che, senza fare rivoluzioni, senza colpi di stato, senza rabbie represse, convertono la Chiesa a partire da se stessi. Francesco vive in un medioevo in cui la Chiesa combatte per non essere travolta dal nascente potere civile e lo fa, spesso, imitandone le peggiori attitudini. Papi-principi, vescovi-padroni offuscano e contraddicono il mandato evangelico. In una societas strutturata intorno alla presenza fisica e tangibile del cristianesimo con i suoi presidi sul territorio, spesso si è finiti col dimenticare l’essenziale. E Francesco, figlio del suo tempo, dell’Italia rissosa dei comuni, semplicemente scopre Dio. Non quello della messa domenicale e delle processioni, ma il Dio che accende e stravolge. Ancora oggi Francesco, il somigliantissimo a Cristo) come lo chiamano gli ortodossi, ci affascina e ci incoraggi a credere. Sul serio.
Sabato della XXVI settimana del Tempo Ordinario
Lc 10,17-24: Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.
È pieno di gioia, il vangelo di oggi! Gioiscono i discepoli che tornano dalla missione entusiasti del potere della Parola: hanno visto il male arretrare, la Parola di Gesù scardinare le resistenze, rivelare Dio; le persone cambiare vita, accogliere la profezia… Gioisce Gesù per i suoi, gioisce quando ci vede contenti per la missione, gioisce quando vede che i suoi discepoli realizzano il Regno e invita loro e noi a non legarci ai risultati (!) ma al fatto che siamo conosciuti da Dio, che i nostri nomi sono scritti nel cuore di Dio! E gioisce il Padre nel vedere il Figlio gioire e Gesù si commuove vedendo la logica del Padre: sono gli sconfitti, i perdenti, i dolenti ad accogliere il Regno, non i saputelli e i devoti… E noi, oggi, di cosa possiamo gioire? Spesso leghiamo la nostra gioia ad eventi, all’emozione, all’ottenere dei risultati, poniamo delle condizioni alla felicità. Il Vangelo, oggi, ci insegna a gioire del fatto di essere nel cuore di Dio, del fatto di poter annunciare e vivere la Parola, del fatto che il Padre, almeno lui!, ha una logica diversa da quella selettiva di questo durissimo mondo che abbiamo costruito…
Domenica 5 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Lc 17,5-10: Se aveste fede!
Con leggerezza
Invece li ho visti, di alberi nel mare. Foreste. In luoghi impossibili. In mezzo a tempeste ed onde. Li ho visti gli alberi trapiantati là dove tutti hanno gettato spugna. E li ho visti portare frutti. Pochi, piccoli, a volte. Ma frutti.
Uomini e donne che non si arrendono. Perché discepoli del seminatore. Perché innamorati dell’Unico che ci svela l’Uno. Perché sedotti dalla Parola del Maestro. Amati che scelgono di amare.
Li ho visti perseverare, resistere, osare, trapiantare, dare speranza. Mossi dalla fede. La fede di chi incontra un Dio di cui fidarsi. E si accoda a lui.
Ho visto portare alberi di speranza e di consolazione nelle periferie sgretolate delle nostre città. E Parole di vita in mezzo a urla di violenza e di morte. E ascolto. E sorrisi. E carezze. E tempo da donare. Per amore, solo per amore.
Ho visto foreste nate dalla fede, anche se minuscola. Ho visto alberi danzare in mezzo all’oceano di solitudine delle nostre città.
Come un granello
Non la fede arrogante di chi confonde la propria ostinazione con la verità. Non quella urlata e impugnata come un’arma per gridare addosso agli altri fratelli “colpevoli” di non credere. Non la fede che si propone come un mattone inamovibile, prendere o lasciare. Non la fede di chi pensa di parlare al posto di Dio.
Ma quella piccola. Come la mia. Come la tua. Piccola perché autentica davanti all’immensità. Piccola come di chi ancora si stupisce davanti all’immensità della luce autunnale o le ombre di un bosco o la generosità di un gesto di compassione. Piccola perché sa che la forza e l’efficacia è nel seme, non nel seminatore. E la Parola, seminata nei nostri cuori, cresce in mezzo alla zizzania ma tende verso il sole che la fa maturare.
Piccola perché vera. Perché umile. E l’umiltà è la consapevolezza di sapere esattamente dove siamo. Discepoli.
Allora anche un fede piccola come la mia, come la tua, pianta foreste. Nelle nostre vite, anzitutto. E in quelle degli altri. In questo orribile tempo di disboscamento dell’anima, siamo seminatori di infinito.
Inutili, cioè necessari
Come prendere coscienza di avere una fede piccola che sa spostare le foreste? Come capire se la nostra è una fede vera? Se siamo servi. Se la nostra vita si mette a servizio della Vita.
Se la nostra esistenza impara ad amare e sceglie di amare, imitando colui che si è fatto servo. Servi inutili, dove il significato del termine inutili, come fa notare l’amico Ermes Ronchi, è senza pretese, senza esigenze, senza rivendicazioni. Ci basta sapere di essere discepoli del Dio servo per amore. E non pretendiamo di essere applauditi e riveriti, riconosciuti e gratificati. Non pretendiamo, in un delirio di onnipotenza, che Dio si metta a servirci.
Siamo felici di avere capito cosa è la vita. Cosa è il mondo. Cosa è la Storia. Siamo nati per scoprire quanto siamo amati e quanto, lasciandoci amare, siamo capaci di amare. Servi dell’amore. Servi per amore. Siamo noi ad essere inutili, non il nostro servizio epifania del volto di Dio.
Consapevoli di accogliere in noi una foresta rigogliosa, maturiamo il desiderio adulto e deciso di volere, a nostra volta, donare quanto abbiamo ricevuto.