L’artista incontra la fede, vissuta come una scoperta sorprendente. La fede sostiene la protesta contro il potere, quello religioso e quello politico, sulla scorta di un’opera cruciale di Georges Bernanos che denuncia i crimini commessi nella guerra civile spagnola

Rosella Ferrari
16 Settembre 2025
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Arcabas e Jacqueline da giovani condividono anche una sorta di indifferenza nei confronti della religione, visto che entrambi sono stati cresciuti da genitori che li avevano lasciati estremamente liberi quanto a pratica religiosa; entrambi, inoltre, avevano perso ogni contatto con la fede già dall’adolescenza.
“La fede mi cadde addosso come un secchio d’acqua”
Un giorno un amico, al termine di una lunga discussione su temi religiosi, consigliò ad Arcabas di leggere la Bibbia… molti anni dopo, egli ebbe a dire: “Quel giorno la fede mi cadde addosso come un secchio d’acqua”. Insieme, lui e Jacqueline lessero la Bibbia e i Vangeli, si avvicinarono alla teologia, si fecero aiutare da un sacerdote amico che porteranno nel cuore con riconoscenza fino alla fine dei loro giorni.
Poi Arcabas si appassionò ai testi apocrifi che, come era già accaduto per i pittori della Biblia Pauperum, gli consentirono di raccontare anche storie e avvenimenti della vita di Gesù che non erano racchiusi nei vangeli sinottici.
Dopo un percorso appassionato, i due si convertirono. Isabelle, la loro figlia, dice che è stata una grande fortuna per Etienne e per lei essere figli di convertiti, perché i suoi genitori non hanno mai imposto nulla ai figli, non hanno mai dato per scontato nulla. Ma guardandoli vivere e, soprattutto, guardando il padre dipingere scene religiose con una passione ed un’intensità uniche, impararono da loro e iniziarono a loro volta un percorso di fede.
Uno straziante crocifisso
Il giovane Arcabas entra a far parte di “Esprit”, un gruppo di giovani artisti (scrittori, poeti, filosofi, attori…) particolarmente attenti a ciò che accade intorno a loro, che si ritrovano per condividere le proprie idee e che denunciano con forza le ingiustizie.
Un giorno questo gruppo, dopo aver a lungo studiato e discusso la questione, decide di mettere in scena una trasposizione teatrale di “Cimiteri sotto la luna”, un drammatico testo di Georges Bernanos nel quale l’autore denuncia con forza le colpe di chi – uomini di Chiesa compresi – aveva scelto, nel tempo drammatico della guerra civile spagnola, di assicurarsi o salvaguardare il potere e la sicurezza personali invece di lottare per proteggere la popolazione e quei preti, come “il curato di campagna” che invece cercavano in tutti i modi di proteggere la propria gente.
A lui, pittore, è affidato il compito di preparare lo scenario che farà da sfondo alla rappresentazione.
Egli crea qualcosa di incredibile: in una struttura di 5 metri per 5 dipinge, al centro, un grande, straziante crocifisso: è un giovane uomo appeso alla croce per i polsi: il capo reclinato e le gambe molli ci dicono che è spirato da poco, che la terribile gabbia toracica che racconta di sforzi immensi ad ogni respiro – per avere aria doveva ogni volta sollevarsi, puntando sui piedi straziati – ora è immobile. Questo giovane crocifisso è la vittima innocente della brama di potere, dell’incapacità o della non volontà di qualcuno di capire chi ci ha davanti, del timore del potere per qualcuno che la gente ama e che per questo potrebbe minare lo stato delle cose.
La denuncia della morte dei bambini innocenti
Attorno al crocifisso Arcabas pone quattro quadri nei quali raffigura il male assoluto, quello che è stato perpetrato in Spagna durante la Guerra civile ma che vediamo presente ancora oggi, nelle infinite guerre che continuano a insanguinare il mondo.
La morte di tanti bambini è rappresentata dall’immagine straziante della strage degli innocenti, con una mamma disperata che chiede inutilmente aiuto e stringe tra le braccia il suo piccolo morto; dietro di lei un soldato solleva un neonato tenendolo per un piedino mentre lo infilza con uno stiletto… non c’è bisogno di una spada per un esserino minuscolo…
Sotto vediamo una tomba nella quale sembra dibattersi uno scheletro che non può trovare pace e che riconosciamo perché sul feretro è posta la mitra, il copricapo dei vescovi. Ancora una volta, chi ha il potere o lo vuole ottenere non guarda in faccia a nessuno: le gerarchie del clero spagnolo si schiereranno col regime, abbandonando il loro popolo all’orrore. Saranno invece i preti di strada, i poveri curati dei racconti di Bernanos a stare accanto alla loro gente e spesso a morire con loro.
Le maschere del potere
A destra in alto vediamo delle specie di maschere inespressive, fredde, indifferenti: il potere politico e quello religioso che pensa solo a se stesso.
In basso lo scandalo di un vescovo che, con la mano guantata, sfiora, con una benedizione blasfema, il capo di un giovane morto anche a causa sua e che la sua mamma stringe tra le braccia, disperata. Una pietà semplice, drammatica. Un atto di accusa potente.
L’urlo di dolore e di protesta che esce forte da quest’opera non ci lascia però preda della disperazione e della rabbia.
“Sono io. Non abbiate paura”
Ai piedi della croce una bimba con un abitino chiaro regge tra le mani un cartello con una scritta che sa di speranza, che sa di consolazione, che è una certezza.
EGO SUM. NOLITE TIMERE, dice quel piccolo cartello con le parole di Gesù che Isabelle, la bambina di Arcabas, tiene tra le piccole mani.

Vuol dire “Sono io. Non abbiate paura”. Vuole anche dire: “io ci sono, non dovete aver paura”.
Quattro parole e una profusione di forme e colori.
Il messaggio di Arcabas che non riguarda solo un avvenimento e un’epoca, ma che parla di tanti avvenimenti ancora oggi.
Anche se è sempre più difficile mantenere la speranza, guardiamo anche noi a quella bimba e al suo cartello.