La disinformazione climatica non nega più: semina dubbi, confusione e ostacola l’azione per il clima

I media restano il cuore della disinformazione climatica © master1305/iStockPhoto

Luca Pisapia
29.08.2025
www.valori.it

Per arrestare i cambiamenti climatici che stanno minacciando la vita umana sul pianeta Terra non è più sufficiente pubblicare i dati sull’aumento delle temperature, catalogare la frequenza degli eventi climatici estremi, raccontare di ghiacciai e foreste che spariscono o di deserti che avanzano e terre emerse che si ritirano. Oggi come oggi bisogna inoltrarsi in un campo di battaglia molto più complesso. Quello della disinformazione climatica. Una vera e propria macchina da guerra, messa su dalle stesse multinazionali fossili che distruggono il Pianeta. Che, oltre a pagare direttamente i vari gruppi anti-clima, utilizzano come pedine di questo gioco perverso tanto i partiti politici di destra e di estrema destra quanto i media compiacenti. Da quelli tradizionali come giornali, radio e televisioni, ai social network più diffusi.

È un campo di battaglia nuovo e articolato, dove le armi in mano alla propaganda non sono più evidenti, come poteva esserlo quando si utilizzava il “semplice” negazionismo. Ma sono armi assai più subdole e difficili da riscontrare. Sono discorsi, immagini, racconti, pubblicità, slogan, meme. Tutti contraddistinti da serpeggiante scetticismo e accidentali minimizzazioni. E il tutto si accompagna alle consuete fake news, alle teorie del complotto e alle sempiterne attività di greenwashing. Ecco perché, come sempre, una volta individuato il nemico, bisogna studiarlo a fondo per avere la capacità di attrezzarsi per combatterlo.

La nuova disinformazione climatica: dubbi, confusione e scetticismo

Se il cuore del progetto della disinformazione climatica resta sempre il negazionismo, ovvero negare che i combustibili fossili siano la causa della fine della vita umana sul pianeta Terra, oggi non si persegue più un rifiuto categorico della realtà, sempre più difficile da sostenere. Ma si utilizzano le armi dello scetticismo e della confusione. Si tende a minimizzare, o a seminare dubbi. In altre parole a diffondere il caos che serve a «delegittimare il nucleo della questione (i risultati convalidati della scienza del clima) e/o i processi di legittima contestazione (sostenuti da procedure consolidate di indagine scientifica e di governance democratica)».

Sono queste le conclusioni cui arriva il primo rapporto dell’International Panel on Information and the Environment (Ipie), pubblicato il mese scorso da un gruppo internazionale di esperti, tra scienziati, ricercatori e accademici, che ha esaminato oltre 300 studi sulla disinformazione climatica prodotti negli ultimi dieci anni, dal 2015 al 2025.

I redattori del rapporto non lasciano spazio a dubbi e supposizioni. La fonte di questo nuovo paradigma della disinformazione climatica sono le aziende di combustibili fossili. Sono loro che impiegano le diverse tecniche di cui sopra non tanto per negare la realtà dei cambiamenti climatici, quanto per confondere. In modo da occultare le loro responsabilità e ostacolare o ritardare ogni misura di contrasto e mitigazione ai cambiamenti climatici.

Chi alimenta la disinformazione climatica: media, social e partiti di estrema destra

E non sono solo i media tradizionali a essere riempiti di pubblicità o di fake news, tanto che diversi tra quotidiani, radio e tv, sono costantemente multati per questo. Uno dei campi di battaglia preferiti dalle aziende sono i social network. Qui non sono solo gli account ufficiali delle stesse aziende fossili, come Shell, ExxonMobil, BP e TotalEnergies, che agiscono per diffondere messaggi volti a ritardare azioni concrete contro la crisi climatica Ma crescono a dismisura bot e troll (controllati da chi?) che agiscono con il solo scopo di alimentare il caos. E mettere in crisi il concetto stesso di verità scientifica cui si appella la lotta ai cambiamenti climatici.

Ma non è finita qui, perché oltre alle multinazionali del fossile, ad agire nel campo della disinformazione climatica sono anche i partiti di estrema destra che governano, o che comunque dominano il discorso pubblico in questo ciclo reazionario che stiamo vivendo. Il report punta il dito contro Donald Trump, o contro partiti europei come politici come AfD (Germania), Vox (Spagna) e Rassemblement National (Francia), colpevoli di «diffondere informazioni fuorvianti che contribuiscono a ritardare e ostacolare le azioni per il clima». Ma non è difficile per noi riscontrare gli stessi comportamenti da parte dei tre partiti di governo italiani: Fratelli d’Italia, Lega Nord e Forza Italia.

«L’integrità delle informazioni sul clima è sistematicamente minacciata, e questo non è un caso», dice infatti Sebastian Valenzuela, presidente del Comitato scientifico e metodologico dell’Ipie. «Quando istituzioni affidabili come aziende, politica e media, diventano i promotori di una propaganda ingannevole, indeboliscono la nostra capacità di agire nell’interesse pubblico».

Per l’Onu i cambiamenti climatici vanno trattati come crimini contro l’umanità

La situazione è grave, e anche seria. Tanto che qualche settimana fa Elisa Morgera, relatrice speciale delle Nazioni Unite su clima e diritti umani, ha paragonato i cambiamenti climatici ai crimini contro l’umanità, chiedendo di perseguirne penalmente i promotori. Presentando il suo rapporto all’Assemblea generale della Nazioni Unite a Ginevra, Elisa Morgera ha stabilito che Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, e tutte le altre nazioni ricche di combustibili fossili sono legalmente obbligate, in base al diritto internazionale, a eliminare completamente petrolio, gas e carbone entro il 2030. E a risarcire le comunità per i danni causati.

«Nonostante le prove schiaccianti degli impatti interconnessi, intergenerazionali, gravi e diffusi sui diritti umani del ciclo di vita dei combustibili fossili, questi Paesi hanno ricavato e continuano a ricavare enormi profitti dai combustibili fossili e non stanno ancora adottando misure decisive», ha detto Elisa Morgera in un’intervista al Guardian. «Questi Paesi sono responsabili di non aver impedito la diffusa violazione dei diritti umani derivante dai cambiamenti climatici e da altre crisi planetarie che stiamo affrontando. Come perdita di biodiversità, inquinamento da plastica e disuguaglianze economiche. Tutti fattori causati dall’estrazione, dall’uso e dallo spreco di combustibili fossili».

«La disinformazione climatica va perseguita penalmente»

Contestualmente, Elisa Morgera è andata oltre. E presentando il suo rapporto ha anche chiesto sanzioni penali per quelle aziende, partiti o governi che implementano la disinformazione climatica. E anche per le agenzie pubblicitarie che aiutano questi attori nel loro infame compito di seminare dubbi e creare false coscienze. Perché «le persone hanno anche il diritto di sapere come l’industria – e i suoi alleati – abbia sistematicamente ostacolato per sessant’anni l’accesso alla conoscenza e quindi un’azione significativa per il clima. Diffondendo disinformazione e cattiva informazione. Attaccando climatologi e attivisti. E occupando spazi decisionali democratici, compresi i negoziati annuali delle Nazioni Unite sul clima».

Per questo, prosegue la relatrice speciale delle Nazioni Unite su clima e diritti umani, bisogna perseguire penalmente chi opera nel campo della disinformazione climatica. Anche per tutelare gli attivisti che lottano per il clima e che ogni giorno sono vittima di una repressione sempre più brutale. «Gli Stati devono vietare la pubblicità e le attività di lobbying sui combustibili fossili, criminalizzare il greenwashing, la disinformazione e ogni tipo di travisamento da parte dell’industria dei combustibili fossili, dei media e delle agenzie pubblicitarie – continua Morgera –. E imporre quindi sanzioni severe per gli attacchi agli attivisti e ai sostenitori del clima. Persone che quotidianamente subiscono un aumento di cause legali dolose, molestie online e violenza fisica».

Una modesta proposta per fermare la disinformazione climatica nei media italiani

Abbiamo scritto di Trump e dell’estrema destra europea. Ma non è che in Italia le cose vadano meglio. Come ricorda l’ultimo rapporto realizzato dall’Osservatorio di Pavia per Greenpeace, sui quotidiani italiani nel 2024 le notizie dedicate al clima hanno registrato un calo del 47% rispetto al 2023. Con una media di appena un articolo ogni due giorni. E un calo del 45% sui telegiornali. In media un solo servizio ogni dieci giorni. Mentre, di contro, si è assistito a un aumento delle pubblicità delle aziende inquinanti sui quotidiani: 1.284 contro le 1.229 del 2023.

Per questo due attivisti climatici, Giacomo Pellini e Maria Santarossa, in collaborazione con coalizione Stampa libera per il clima promossa proprio da Greenpeace, e di cui fa parte Valori, hanno lanciato una petizione su Change.org. Gli attivisti spiegano che «la disinformazione e il negazionismo climatico, più o meno espliciti, compromettono la capacità della popolazione di comprendere la portata della crisi e agire di conseguenza. È urgente che il servizio pubblico e il sistema dell’informazione assumano una responsabilità concreta nel raccontare la verità sui cambiamenti climatici».

Per questo, gli attivisti chiedono misure concrete. Per prima cosa, di elaborare e adottare linee guida vincolanti sull’informazione climatica che promuovano l’uso di fonti scientifiche autorevoli, contrastino la falsa equivalenza tra esperti e negazionisti, evitino linguaggi fuorvianti e minimizzanti e, infine, garantiscano un linguaggio chiaro e accessibile. La seconda è la proposta di creazione di un Osservatorio nazionale sulla disinformazione climatica per monitorare l’informazione climatica, segnalare i casi di disinformazione o distorsione, fornire raccomandazioni e sensibilizzare i professionisti dell’informazione. La terza è la richiesta alla Rai, in quanto servizio pubblico, di garantire almeno uno spazio settimanale fisso dedicato alla crisi climatica e ambientale nei principali telegiornali.