La smodata libertà nell’uso del linguaggio, che unisce con disinvoltura in una sola asserzione contraddizioni insanabili, il ribaltamento dei concetti, l’accettazione passiva dello statu quo, non è certo una novità nelle moderne società occidentali.

di Simone Biundo
Per gentile concessione di
https://rivista.vitaepensiero.it
News>VP Plus+13.09.2025
In un recente spot del treno Regionale Rebel Revolution, trasmesso per un certo periodo a ciclo continuo sugli schermi dei vagoni una voce sicura ed entusiasta recita, sulle note di Rebel rebel di David Bowie: «I veri ribelli, oggi, rispettano le regole. […] I veri ribelli non scelgono un movimento, scelgono di muoversi in sintonia con i tempi». Sulla pagina del sito del gruppo dedicata a questo mezzo, il treno è immaginato come una persona, cui vengono attribuiti i termini «smart», «accogliente», «empatico», «green» e, in fondo alla descrizione, si chiosa con: «Non importa chi tiene il volante: la rivoluzione è muoversi insieme, per un mondo più giusto e sostenibile».
Questo claim di per sé potrebbe apparire insignificante, se non fosse che è un esempio di alcuni dei meccanismi di stravolgimento del linguaggio e della realtà, così caratteristici nel nostro tempo.
La parola ribelle, derivato deverbale latino di rebellare, ossia riprendere la guerra, identifica colui che prende su di sé il carico di una rivolta armata contro l’autorità o quantomeno una persona insofferente a ogni soggezione e imposizione, non di certo colui che si qualifica per il rispetto delle regole e il disinteresse per chi tiene il volante (e già Bowie: «You’ve torn your dress, your face is a mess / You can’t get enough, but enough ain’t the test»).
La smodata libertà nell’uso del linguaggio, che unisce con disinvoltura in una sola asserzione contraddizioni insanabili, il ribaltamento dei concetti, l’accettazione passiva dello statu quo, non è certo una novità nelle moderne società occidentali.
La stagione della post-verità, almeno a livello linguistico, è iniziata nel mondo anglosassone. Come riportato da Marco Biffi sul sito dell’Accademia della Crusca, Steve Tesich, in un articolo pubblicato nel 1992 sulla rivista “The Nation”, associava la post-verità alla guerra del Golfo Persico: «we, as a free people, have freely decided that we want to live in some post-truth world».
La post-verità si nutre di eufemismi, di manipolazioni, di menzogne, di propaganda, di parole svuotate e riempite di un significato spesso contrario all’originario, di rovesciamenti che mistificano i fatti e li piegano a una narrazione funzionale al potere, a politiche o al mercato. Parole come sicurezza, decoro, cambiamento climatico, sostenibilità, migrazioni volontarie: nessun elenco potrebbe contenerle tutte.
A questo scenario si aggiunge un fenomeno che riguarda la nostra sfera intellettuale e mentale: il “brain rot”, un’espressione talmente diffusa da essere entrata nel vocabolario dell’Oxford Dictionary; letteralmente, “decomposizione del cervello”, la parola descrive il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, spesso attribuito a un’esposizione eccessiva a contenuti online di scarsa qualità o ripetitivi, come video brevi e virali, meme e altri flussi di informazioni superficiali. Quindi: la realtà raggiunge culmini di disperazione e disumanità indicibili, ma il racconto degli eventi è spesso assente, pervertito, tacitato dalle sirene melliflue di contenuti che riescono a far pensare ad altro, interpolato e stravolto, teso a rendere accettabile ciò che non avremmo mai pensato di vedere accadere.
È di pochi giorni fa l’immagine del presidente americano che durante il suo primo anno di secondo mandato indossa un berretto che recita “Trump was right about everything”, con l’uso del passato che certifica una verità falsa ma storicizzata mentre si compie, o il cambio di nome del Pentagono in Dipartimento di guerra (il sito è già stato cambiato da defense.gov a war.gov). In Russia, la guerra d’invasione del Donbass è definita come Operazione Militare Speciale e chi non ottempera alle direttive linguistiche viene incarcerato. Nel frattempo in Europa si discute, ci si scontra e spesso si rifiuta l’uso della parola genocidio in riferimento alle operazioni contro la popolazione di Gaza (è del 2009 l’indimenticabile poesia di Rafeef Ziadah che inizia con «Today, my body was a TV’d massacre…»), mentre il governo di Netanyahu ha speso almeno 40 milioni di dollari per promuovere propaganda online durante l’operazione Cuore di leone.
Come si può contrastare la cultura dominante che vuole trasformare il concetto di storia in significante vuoto da riempire a piacimento, che ci sfila sotto il naso le parole, spingendoci a scegliere la sicurezza al posto del rischio e l’Uguale al posto dell’Altro?
Se pensiamo che l’umanità si meriti un’esperienza della vita oltre il grado zero della sopravvivenza, dovremmo intraprendere allora una crescita intellettuale e spirituale (bell hooks, Insegnare comunità, 2022) che passa attraverso l’educazione alle parole, riappropriandoci e incarnando concetti come coinvolgimento, comunità, rallentamento, lotta e speranza per non interiorizzare l’alienazione, la solitudine, l’accelerazione, la passività e l’angoscia che altri hanno deciso per noi.
Un segno di questo percorso è tracciato dalle rotte della Global Sumud Flottilla, dall’impegno e dal coraggio di chi ha scelto un movimento ed è salpato su navi cariche di cibo, raccolto da migliaia e migliaia di persone, per chi è stato affamato quando non ucciso e torturato; anche in questo caso al centro c’è una parola sumud che regge il destino di un popolo ed è ora sulla bocca del mondo: è intraducibile in italiano, il traduttore palestinese Nabil Bey Salameh (già traduttore del volume necessario Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza, 2025) suggerisce che, per dare conto di tutte le sue sfumature, servono molte parole, almeno sei: «restanza, caparbietà, resilienza, resistenza, speranza nel futuro, solidarietà». Sono parole scritte nel mare, parole con cui ripartire.
Simone Biundo
Simone Biundo (Genova, 1990) è insegnante di lettere in una scuola secondaria di primo grado e editor della rivista «VP Plus». Per Interno Poesia è uscito il suo primo libro di poesie, “Le anime elementari” (2020). È in uscita a settembre per la collana Distonia di ExCogita con il poema “così”. È fondatore del collettivo di poesia contemporanea, poet. -.