Parla José Nivoi, sindacalista dei Calp che nei prossimi giorni salirà su una delle barche dirette a Gaza. I colleghi a terra pronti allo sciopero generale in caso di problemi. Nei mesi scorsi hanno bloccato tre carichi di armi

[NB. Il termine “camallo” deriva dalla parola genovese “càma”, che significa “portare” o “trasportare”. I camalli sono, quindi, i lavoratori portuali che si occupano del carico e scarico delle merci dai bastimenti.]
02 Settembre 2025
di Alessia Candito
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“Di fronte all’inerzia degli Stati siamo noi a prenderci il fardello sulle spalle e rompere il blocco su Gaza. Vogliamo fare la nostra parte e dimostrare che se si vogliono fare, le cose si fanno”. Trentanove anni, sui moli di Genova da più di quindici, José Nivoi è uno dei portuali del Calp, il collettivo autonomo di Genova che quest’anno ha bloccato i carichi di armi diretti a Israele. Per la Global Sumud Flotilla i portuali si sono spesi in prima persona a terra e lo faranno a mare. Sono stati uno dei perni logistici, fra i più attivi nella raccolta aiuti, con lui saliranno a bordo della flotta che il 4 settembre partirà dalla Sicilia e da Genova hanno promesso che “non uscirà più un chiodo” dal porto se dovesse succedere qualcosa alle barche o agli attivisti che tenteranno di raggiungere Gaza. “E siamo in condizioni di farlo”, dice Nivoi.
Perché vi state spendendo così tanto?
“Il motivo è duplice. I lavoratori sono il perno vero della lotta contro la proliferazione di armi, chi le produce e chi le usa. Bloccando la movimentazione, inceppi il sistema e blocchi le guerre. E poi è una cosa che ha a che fare con il nostro Dna: Genova si è sempre schierata con le popolazioni sotto attacco, sia con blocchi dei moli e scioperi, sia inviando navi di aiuti, come successo nel ’73 con la nave partita per il Vietnam. E a Gaza noi vogliamo davvero portare questo carico: morire di fame provocata è inaccettabile”.
Pensate di riuscire dove ha fallito la comunità internazionale?
“Vogliamo dimostrare che se si vogliono fare, le cose si fanno. Da due anni si tollera senza fiatare il blocco dei valichi. È una questione di volontà politica”
Israele ha già detto che non permetterà alla Flotilla di arrivare alla Striscia
“Le minacce del governo Netanyahu non ci spaventano. Le dichiarazioni di Ben Gvir sono solo la dimostrazione del senso di totale impunità di cui ha goduto e gode Israele a cui si è permesso e si continua a permettere di commettere un genocidio”.
Vi aspettate che i governi europei tutelino la vostra incolumità?
“Non aspetteremo certo loro. Se ci dovessero bloccare o attaccare, ci saranno reazioni. Lo abbiamo detto: da Genova ogni anno escono 13-14 mila container all’anno per Israele. Se succede qualcosa, si ferma tutto. E la mobilitazione non si limiterà a quello. Con il nostro sindacato, Usb, abbiamo già lavorato per estenderla oltre”.
Coinvolgerete altri porti?
“Lo abbiamo già fatto. Ci sono da tempo interlocuzioni con il Fsm/Wftu (Federazione sindacale mondiale) per azioni congiunte, così come con il coordinamento internazionale dei porti. A giugno insieme ai colleghi di Marsiglia e a luglio con quelli del Pireo abbiamo bloccato due carichi di armi diretti a Israele. Ad agosto abbiamo fermato un carico diretto in Qatar, che sarebbe poi arrivato in Sudan. Se si vuole, ripeto, si può fare”.
C’è altro che si possa fare da terra?
“Bisogna bloccare tutto, ci vuole uno sciopero generale. L’interesse di altre categorie c’è, in molti si sono dimostrati ricettivi e disponibili a mettersi in rete con iniziative coordinate. Con Usb, siamo pronti. Dal 4 anche gli studenti hanno lanciato una mobilitazione. Ma è necessario anche che la gente partecipi a eventi, iniziative di sostegno, manifestazioni. Non è più il momento dei distinguo”.
Perché questo impegno da parte dei camalli?
“Sfido chiunque a caricare un bancale di armi che ammazzano bambini e poi tornare a casa a mangiare con tuo figlio. Con che stomaco? Non si può non fare niente per fermare questa barbarie. E poi, in generale, la gente non ne può più. Lo abbiamo visto con lo sciopero generale del 20 giugno, l’adesione ha superato l’80 per cento. La guerra e l’espansione del commercio di armi ha portato conseguenze anche qui, in termini di inflazione e questo nella vita dei lavoratori pesa. I 50mila che hanno sfilato a Genova lo dimostrano”.