Il vangelo secondo Matteo
Commentato da fra Alberto Maggi e fra Ricardo Pérez Márquez
Capitolo 26°
Siamo al capitolo 26 e incomincia la passione di Gesù. Se fino a questo momento Matteo, Marco e Luca avevano camminato su sentieri più o meno simili, adesso ognuno parte per la tangente, perché i vangeli non sono cronaca di avvenimenti, ma una lettura teologica.
L’evangelista carica ogni singola parola di tanti significati, secondo l’arte letteraria dell’epoca. Noi non faremo sempre parola per parola, ma vedremo comunque di comprendere il significato dello scritto di Matteo.
1 “Quando Gesù ebbe terminato tutte queste parole, è l’ultima volta (sono state 5 le volte) che l’evangelista adopera la formula con la quale ha concluso i grandi insegnamenti di Gesù. Sono le parole identiche con cui terminavano i libri di Mosè. Mosè terminati tutti i suoi insegnamenti, dà disposizione per la sua morte, così Gesù, terminati i suoi insegnamenti, si fa carico delle conseguenze estreme, della sua morte, la morte più infamante. Quando Gesù ebbe terminate tutte queste parole,
disse ai suoidiscepoli: dà un’informazione una parte ovvia e un’altra no!
2 “Sapete che tra due giorni è Pasqua” Quando nei vangeli troviamo la parola Pasqua, non si intende la festa di Pasqua, ma l’agnello che viene mangiato a Pasqua; il termine è l’agnello. Nel vangelo di Giovanni c’è scritto: per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua, si mangia l’agnello pasquale; in Marco: I primi giorni degli azzimi quando si immolava la Pasqua, cioè si immola l’agnello pasquale. Paolo dice: Cristo nostra Pasqua, cioè Cristo nostro agnello pasquale. Sappiate che tra due giorni è la festa della Pasqua, dell’agnello pasquale. Era conosciuto, gli ebrei avevano un calendario e la Pasqua cadeva nel giorno 15 di Nisan che, secondo il calendario lunare, a volte capitava di marzo o di aprile. Gesù dà una notizia abbastanza ovvia, tra due giorni è Pasqua, non è una novità, ma la novità è
“e il Figlio dell’uomo”sarà consegnato per essere crocifisso. Quando Gesù definisce se stesso come Figlio dell’uomo, dobbiamo intendere uomo con la Umaiuscola. Gesù si definisce così perché è l’uomo che ha ricevuto da Dio il suo Spirito, cioè la sua capacità di amare, realizzando pienamente la sua umanità. Non è un super uomo, è l’uomo che era nel progetto creatore di Dio. Ogni uomo che riceve da parte del Padre lo Spirito e lo traduce in altrettanto amore, realizza pienamente la sua umanità.
“viene consegnato”,il verbo consegnare è già apparso nel vangelo per indicare la sorte di Giovanni Battista e dei discepoli di Gesù che verranno consegnati per essere ammazzati, perché annunciavano la grande attesa del popolo: è arrivato il regno di Dio. Il popolo fa festa, le autorità religiose se la fanno sotto dalla paura. Anche loro annunciavano il regno di Dio (il regno di Dio significa che Dio si manifesta), ma era una cosa al di là dei tempi, ora sanno che arriva e hanno le ore contate. Dio si manifesta perché vuole governare la sua gente non emanando leggi, ma comunicando il suo stesso Spirito e in questo caso tutti i suoi sedicenti rappresentanti, dal sommo sacerdote all’ultimo sacrestano, hanno 24 ore per entrare in cassa integrazione. Per loro è finita. L’annuncio del regno di Dio è temuto dalle autorità religiose, perché fintanto che la gente crede nel Dio da loro rappresentato e manipolato, possono dominarla e mantenerla nella paura e nel timore.
Infatti quando Matteo, nel suo vangelo, ha annunciato la nascita di Gesù, dice che Erode fu terrorizzato (Erode non era il re legittimo, aveva paura di ogni aspirante re di Israele e aveva fatto fuori i suoi figli per paura che gli soffiassero il trono) e con lui tutta Gerusalemme, la santa sede dell’epoca, la città santa, nel cui tempio si glorificava e si adorava il Dio creato e manipolato dai sacerdoti. La manifestazione del vero Dio per loro è la fine. Di fronte all’annuncio di Giovanni Battista, che Gesù farà suo, e dei discepoli: convertitevi perché è arrivato il regno dei cieli, le autorità religiose e civili risponderanno con la morte. Giovanni Battista è stato consegnato e Gesù dice ai discepoli verrete consegnati di fronte ai tribunali e alle sinagoghe; e dice che anche lui sarà consegnato. Le autorità religiose non intendono essere governate da Dio, ma in nome di Dio vogliono dominare il popolo. Ecco la novità di Gesù, “sarà consegnato
per essere crocifisso”. In Israele le condanne a morte erano eseguite con la lapidazione: il condannato era messo vicino ad una grande buca, lo si buttava giù con le spalle, gli si metteva addosso una pietra di 50 chili, poi gli altri buttavano le pietre per coprirne il corpo. La morte era abbastanza rapida per il peso della pietra.
Gesù annuncia che verrà crocifisso e la crocifissione era una tortura lenta che faceva si che la morte sopravvenisse per asfissia, non prima di tre giorni. I condannati erano inchiodati, ma dipendeva dalla fantasia del boia, normalmente erano legati ad un albero o ad una porta. In quella posizione andavano incontro a una morte rapida per asfissia e per impedirla veniva messo sotto il loro sedere un piolo su cui si potessero appoggiare per respirare. Era qualcosa di orrendo perché i corpi rimanevano in croce, divorati dagli uccelli. La pena era riservata alla feccia della società, agli schiavi ribelli che avevano ammazzato il loro padrone.
Al tempo di Gesù questa morte faceva orrore, al punto che nella bibbia è l’unica ad essere dichiarata per i maledetti da Dio. Nel libro del Deuteronomio Dio dice: chi pende dall’albero è maledetto. I sommi sacerdoti che si intendono di bibbia, scelgono questa morte.
3 “Allora i sommi sacerdoti” c’è un solo sommo sacerdote, gli altri erano stati in carica prima di lui e mantenevano il ruolo di privilegio;
e gli anziani del popolo, i sommi sacerdoti e gli anziani formano il partito dei sadducei, l’aristocrazia del potere e insieme a scribi e farisei saranno gli avversari di Gesù,
si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote”. Sommi sacerdoti, anziani, scribi componevano il sinedrio, ora c’è una riunione dalla quale gli scribi sono esclusi. Erano i teologi, i cultori della Legge e quello che si sta per fare è contrario alla Legge, che impedisce di condannare a morte una persona senza averla giudicata, senza aver sentito i testimoni.
I sommi sacerdoti e gli anziani tengono un consulto nel palazzo del sommo sacerdote. Da quando Gesù aveva rivolto alle due categorie la parabola dei vignaioli assassini, essi cercano di ammazzarlo. Gesù aveva detto: siete degli assassini da sempre, avete ammazzato tutti i profeti che Dio vi ha mandato e ammazzerete anche me per interesse, per ricevere in eredità. Cercavano di ammazzarlo, ma non lo fecero per paura della folla, perché lo considerava un profeta. Bisogna stare sempre attenti ai sondaggi, a cosa pensa la gente; se la gente non gradisce che Gesù sia ammazzato, meglio non farlo, meglio farlo di nascosto. Si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote
che si chiamavaCaiafa, il sommo sacerdote è presentato non con il suo nome Giuseppe, ma con il sopranome Caiafa, Caifa, uno della stirpe di Caia, probabilmente l’oppressore.
Nei vangeli non è mai presentato con il nome Giuseppe, come troviamo negli scritti dell’epoca, ma come Caiafa o Caifa. Caifa aveva sposato la figlia del sommo sacerdote Anania, presentato nelle traduzioni come Anna. Caifa era riuscito a farsi eleggere sommo sacerdote, battendo ogni record di durata del potere. Il governatore romano Valerio Gracco, prima di lui, aveva deposto ben tre sommi sacerdoti dopo la nomina.
I governatori romani facevano un patto con i sommi sacerdoti: se mediante la religione ci tenete buona la gente, noi vi manteniamo al vostro posto (e significava avere un prestigio e una quantità di denaro incalcolabile, il sommo sacerdote era la persona più ricca che ci potesse essere); se ci aizzate la gente contro, in nome della religione, noi vi eliminiamo. Caifa rimane in carica dal 18 d.C. al 36 d.C. battendo il record di permanenza, perché è andato pienamente d’accordo con Pilato. Caifa ha fatto tutto quello che Pilato gradiva, e Pilato ha fatto tutto quello che Caifa gradiva pur di mantenersi al potere. Entrambi sono gli assassini di Gesù, che sanno essere innocente, ma tra il proprio prestigio, la propria carriera e l’innocente, scelgono l’innocente.
Ironia della storia, sia Caifa che Pilato per mantenere il proprio potere ammazzano Gesù, e subito dopo, entrambi, saranno deposti.
4 “Si consigliarono per catturare con l’inganno Gesù e ucciderlo”. L’intento di Caifa e dei sommi sacerdoti non è quello di giudicare un uomo, ma eliminare un pericolo. I sommi sacerdoti sono la massima gerarchia religiosa, hanno sempre in bocca la Legge, che va bene quando serve per dominare il popolo, non va più bene quando va contro i loro interessi e sono i primi a non osservarla. Il loro interesse è messo in pericolo da Gesù e, contrariamente alla Legge che proibisce di condannare e uccidere una persona senza averla giudicata, vogliono catturare Gesù per ammazzarlo, non per sottoporlo ad un processo, che sarà poi una burla. E lo fanno con l’inganno, caratteristica della casta sacerdotale,
5 “Ma dicevano: non nella festa perché, non per non versare sangue innocente in una festa, ma perché
non ci sia tumulto fra il popolo. Sono preoccupati della reazione della gente, che ha accolto Gesù quando è entrato in Gerusalemme, riconoscendolo come profeta. Bisogna ammazzarlo, ma non durante la festa. L’evangelista non parte subito in quarta e ci abitua al suo linguaggio. Ci avviciniamo al momento dell’ultima cena,
6 “Mentre Gesù era a Betània,” l’evangelista sottolinea che la notte dell’ingresso a Gerusalemme è stato a Betània. Betània è composto da bet, casa e ania, abbreviazione di povero; Betània significa casa del povero e rappresenta la comunità di Gesù.
“nella casa di Simone il lebbroso,” è un personaggio che non esercita alcuna funzione in tutto il brano, non dice una parola, non fa un’azione.
Perché l’evangelista ha messo Simone, lebbroso, e perché Gesù che va a casa di Simone il lebbroso, non lo guarisce, lui che ha guarito tanti lebbrosi? Simone è il nome del primo dei dodici discepoli di Gesù, Simone Pietro. In Simone che è lebbroso, figura di Simon Pietro, l’evangelista mette tutti i dodici discepoli che hanno seguito Gesù e che stanno nella casa del povero, perché hanno fatto la scelta, avrebbero potuto fare la scelta della povertà, e sono lebbrosi e vedremo il colpo di scena. All’epoca il lebbroso significava maledetto da Dio; in quanto seguaci di Gesù anche i suoi seguaci sono lebbrosi maledetti, come Gesù, che verrà crocefisso come maledetto.
7 “gli si avvicinò una donna” donna, in greco, significa anche moglie, sposa. La donna è anonima e non va confusa con le altre scene presenti nel vangelo di Giovanni dove l’unzione è svolta da Maria, sorella di Lazzaro e tanto meno con la povera peccatrice anonima del vangelo di Luca.
In Luca c’è uno dei brani più scandalosi di tutti i vangeli: Gesù si fa ungere da una prostituta e si fa asciugare con i capelli (i capelli erano un elemento erotico), poi la perdona dei peccati, ma non le dice: cambia mestiere, ma figliola, la tua fede ti ha salvato. Il brano in cui Gesù non chiede alla prostituta di smettere quel mestiere, fu trasformato dal papa Leone Magno: la prostituta diventò Maria Maddalena che si è pentita, infatti era sotto la croce. Si salvò così la reputazione del vangelo: Gesù non le ha detto di cambiare mestiere, però si è pentita ed era sotto la croce. La povera Maria di Magdala non ha nulla da vedere con la peccatrice. Sono personaggi diversi. Questa donna è anonima perché è rappresentativa di quanti ci si identificano.
Gli si avvicinò una donna
“con un vaso di alabastro di profumomolto prezioso, ogni particolare è importante,
glielo versò sul capo mentre giaceva a mensa”. Il riferimento è chiarissimo al Cantico dei Cantici, dove l’amore della sposa per il suo re è descritto con queste parole: mentre il re è nel suo convito, cioè sul divano, il mio nardo spande il suo profumo, e il profumo è segno d’amore. Qui il profumo è detto molto prezioso e la donna rappresenta la parte della comunità che dà adesione a Gesù e riconosce Gesù come il suo re. Infatti mettere il profumo sul capo era riservata ai re d’Israele. La donna riconosce in Gesù il re, un re che finirà in croce. Gesù sarà dichiarato re quando, inchiodato sulla croce, sarà messo il cartello con la scritta: costui è Gesù il re dei Giudei. La donna che versa il suo profumo su Gesù e lo unge sulla testa significa che lo riconosce come sposo, è l’amore della sposa per lo sposo e nell’amore il riconoscimento che questo sposo è il re.
Sotto la figura della donna anonima, l’evangelista vuole far comprendere che di fronte alla dichiarazione di Gesù, adesso vado ad essere ammazzato, c’è una parte minoritaria della comunità che sceglie di fare la stessa fine di Gesù: ti riconosco come re e come sposo della comunità.
8 “I discepoli, vedendo ciò si sdegnarono e dissero: “Perché questa perdita? I discepoli non accettano la morte di Gesù, ogni volta che Gesù ne ha parlato, non hanno capito, perché sono dominati dall’ambizione. Nell’episodio della madre dei figli di Zebedeo, Gesù per la terza volta dice: vado ad essere ammazzato. Va bene maestro, a Gerusalemme i posti più importanti uno per me e uno per lui.
Chi è dominato dall’ambizione, dal desiderio di potere, è refrattario al messaggio di Gesù.
C’è una parte maggioritaria della comunità che considera la morte di Gesù uno spreco, una perdita, e vuole evitare la morte del maestro. Quando i discepoli vedranno che è inevitabile e da lontano hanno visto le fiaccole, se la sono svignata. L’evangelista dice che al momento della cattura di Gesù tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono, mentre due minuti prima avevano detto: siamo pronti a morire per te! Per loro la morte di Gesù era un fallimento, perché non avevano accolto il suo messaggio.
9 “Lo si poteva vendere a caro prezzo e darlo ai poveri!Stanno nella casa dei poveri, ma non sono poveri, non hanno accolto la prima beatitudine, che in Matteo è la condizione per tutte le altre beatitudini: beati i poveri per lo spirito, quelli che volontariamente entrano nella condizione di povertà, perché di essi Dio è il loro re. Non l’hanno accettata, pensano che i poveri devono essere oggetto di beneficenza da parte della comunità, pensano che devono dare loro delle cose, quando Gesù ha invitato a dare se stessi come persone. I poveri, lo vedremo, nella risposta di Gesù non devono essere l’oggetto di beneficenza da parte della comunità (significa che c’è una comunità di ricchi e una di non ricchi), i poveri devono essere i componenti della comunità.
10 “Ma Gesù accortesene disse loro: “Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un’opera buona verso di me”. Gesù prende le difese della donna e definisce la sua azione un’opera buona. Il termine era apparso nel discorso della montagna, quando Gesù aveva detto: perché gli uomini vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre, e la sua morte in croce è il momento in cui il Padre è glorificato.
Cosa significa glorificare il Padre? La gloria di uno è la manifestazione visibile di quello che uno è e la gloria di Dio, la manifestazione visibile di quello che è Dio, si vedrà nel momento della croce: un uomo che per amore è capace di dare la sua vita. La donna rappresenta la parte della comunità che ha dato adesione a Gesù ed è disposta a seguirlo sulla croce. Ecco la sentenza di Gesù:
11 “I poveri infatti li avete sempre con voi; la comunità di quelli che hanno lasciato case, campi, per seguire Gesù non può essere una comunità di ricchi, è una comunità solidale con i bisogni dell’altro. La comunità cristiana non è una comunità che fa della beneficenza, che fa l’elemosina, ma condivide i suoi beni con chi non li ha. Secondo quest’esempio che i poveri li avete sempre con voi, i poveri non sono oggetto di un’azione esterna della comunità, devono essere all’interno.
“me invece, non sempre mi avete”. Gesù dichiara che lui se ne andrà e nella comunità i poveri prenderanno il suo posto; la figura del povero è colui che prende la figura del Cristo, per questo l’evangelista ambienta l’episodio a Betània, la casa del povero, la casa dell’emarginato. I padri della Chiesa vedono nei poveri i vicari di Cristo, coloro che prendono il posto di Cristo.
12 “Versando questo profumo sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura”.Il profumo è simbolo di vita, perché il puzzo è l’effetto della morte; la donna, mettendo tutto il profumo molto prezioso su Gesù, ha dimostrato di aver fede nella sua resurrezione. Gesù aveva sempre accompagnato l’annuncio della sua morte con il messaggio, incompreso, che sarebbe risuscitato e questa donna (a noi maschietti non piace tanto) come le donne nei vangeli, sono sempre le prime a capire, ad accogliere. Non solo sono uguali agli uomini, ma sono al primo posto. Il ruolo delle donne!
13 “In verità vi dico: dovunque sarà predicata questa buona notizia” la buona notizia è che la vita è capace di superare la morte. Con Gesù si è inaugurato uno stile di vita e di morte nuovo; non è venuto a liberare gli uomini dalla morte, è venuto a comunicare agli uomini una vita, di una qualità tale, che è capace di superare la morte. Nel Nuovo Testamento si parla di morte seconda: c’è una morte biologica alla quale tutti andiamo incontro, è il declino inevitabile della persona; Gesù assicura che la persona che dentro di sé ha lo Spirito, la pienezza d’amore, non ne farà l’esperienza, continua la sua esistenza nella sfera di Dio. Quando arriva questa morte, ci può essere il rischio che non trovi niente, la persona è svuotata d’amore, di spirito, è la morte seconda. C’è il rischio che la vita di una persona sia destinata al fallimento totale e lo vedremo quando entrerà in scena Giuda. La buona notizia sarà annunciata
“nel mondo intero,” l’unica azione che Gesù chiede, appositamente, che venga fatta conoscere al mondo intero, ovunque sarà predicato il vangelo, la buona notizia, non è la resurrezione di Lazzaro o la moltiplicazione dei pani e pesci o qualche altro avvenimento prodigioso, ma l’azione di questa donna. Sarà detto anche
“ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei”. Nei vangeli le donne sono presentate in maniera positiva, saranno loro che annunceranno alla comunità dei discepoli la buona notizia, la resurrezione di Gesù sulla morte. Nel mondo ebraico, la donna non poteva testimoniare, non era credibile, perché Dio nell’Antico Testamento, non rivolge la parola alle donne. Lo ha fatto una volta sola, ha parlato a Sara, moglie di Abramo, che gli ha risposto con una bugiola. Nel libro della Genesi, Dio dice a Sara che tra poco avrebbe avuto un figlio. Lei rise, perché il marito era vecchio e lei era passata. Dio si accorse: hai riso! Sara negò, ma Dio se l’è legata al dito e non ha parlato più a nessuna donna. Per questo motivo, nel diritto rabbinico, alle donne era proibita la testimonianza, perché la donna è tendenzialmente bugiarda. Ebbene, le annunciatrici della resurrezione di Gesù, della vittoria della vita sulla morte, sono le donne, sono loro che annunceranno; e questo per Gesù è il messaggio più importante del vangelo.
È molto importante perché tutti quanti, prima o poi, affrontiamo il momento straziante della morte di una persona cara. Quello che non ci fa cadere nella disperazione, ma nel dolore, in un dolore sereno, è la certezza che anche se non abbiamo più fisicamente la persona, questa non è stata distrutta dalla morte, ma potenziata. Con Gesù la morte non diminuisce la persona, ma è il momento in cui le consente di liberare tutte le energie, che nel breve arco della propria esistenza non ha potuto tirar fuori e che ognuno di noi ha dentro di sé. Qualche volta vi è capitato di dover assistere una persona cara ammalata e avete trovato dentro di voi delle capacità di resistenza, di energie che non sapevate di avere e in quelle occasioni viene fuori quest’amore. Di fronte all’annuncio della morte ormai imminente di Gesù, l’evangelista presenta la reazione della comunità: una parte minoritaria rappresentata da questa donna, è disposta a morire con Gesù; un’altra parte vede la morte di Gesù come una perdita, un’inutilità, anzi pensa di guadagnarci qualcosa: è la figura di Giuda.
14 “Allora uno dei Dodici, l’evangelista sottolinea che il protagonista è uno dei dodici che Gesù aveva scelto,
quello chiamatoGiuda Iscariota”,a tutt’oggi non si sa esattamente che cosa possa significare Iscariota. Deve essere importante perché tutti gli evangelisti ce lo tramandano Ci sono tante ipotesi, vi presento le tre più credibili.
In ebraico ish significa uomo, cariota può essere l’uomo di Kerioth e noi appoggiamo questa interpretazione. Kerioth era una città del paese di Moab, l’attuale Giordania, nemica eterna di Israele e Iscariota può significare il nemico. Poi può significare uomo della menzogna, menzogna in ebraico più o meno si scrive sicra; o può essere una deformazione del termine greco di sicario, assassino. Gesù viene rinnegato da Pietro, il primo della lista e tradito da Giuda, l’ultimo della lista dei 12 e Matteo vuol farci comprendere che è stato abbandonato e tradito da tutti quanti, più o meno in maniera grave.
“andò dai sommi sacerdoti 15 e disse: “Che mi volete dare perché lo consegni?”Giuda cerca di approfittare dell’occasione per guadagnare del denaro.
Ogni evangelista va per la sua direzione e non è possibile combinare il racconto di un evangelista con un altro. Matteo, come condizione per appartenere al gruppo di Gesù, ha messo l’accettazione della povertà, che non significa aggiungersi ai miseri, ma occuparsi dei miseri per toglierli dalla loro condizione. Perciò sottolinea che Giuda vende Gesù per interesse, le cose vanno male, cerchiamo di guadagnarci qualcosa! Ormai i sommi sacerdoti hanno deciso di ammazzarlo, Giuda cerca di salvarsi la vita (l’ordine di cattura era per tutto il gruppo) e se è possibile, di guadagnarci un po’.
Giuda è l’uomo che mette il guadagno in ogni situazione della propria esistenza; è l’uomo che vende ogni affetto, ogni amicizia, per interesse. L’evangelista ci ricorda che Gesù aveva avvertito i suoi: quale vantaggio per l’uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? Gesù mette in guardia tutti quelli che vedono il denaro come scopo principale della loro esistenza, che accumulano beni e beni sull’altro, perché sono portati alla distruzione. Nel vangelo di Matteo, Gesù dice che colui che mette l’obbiettivo del guadagno al primo posto della propria esistenza, è uno che ha rovinato la propria vita. Giuda va dai sacerdoti e chiede: quanto mi volete dare perché ve lo consegni? Di fronte alla scelta su quale dio seguire, Giuda sceglie il dio mammona, il dio del profitto, il dio dell’interesse.
Ricordate la parabola dei quattro terreni? Qui il seme è caduto nel terreno delle spine dei rovi, la seduzione della ricchezza ha soffocato la Parola. Chi nella propria esistenza mette l’accumulo di beni, l’accumulo del denaro al primo posto, secondo il vangelo la rovina completamente. Giuda rimane invischiato in quella tradizione che secondo il Nuovo Testamento è la cupidigia, la brama di possedere, la brama di accumulare, che è idolatria, perché non si segue più il Padre di Gesù, ma mammona, l’anti-Dio.
Giuda ha trovato tanti avvocati difensori, che cercano in qualche maniera di scusare il suo gesto: forse non sapeva che cosa faceva o voleva mettere alla prova Gesù. Non hanno avvocati difensori né Pietro né gli altri discepoli che hanno tradito e abbandonato. Quando si lascia libera la fantasia tutto è possibile, noi dobbiamo stare a quello che il testo dice. Secondo Matteo Giuda tradisce Gesù per denaro: tra il Dio di Gesù che comunica la vita a chi condivide la propria esistenza con gli altri e il dio denaro, Giuda ha scelto il denaro.
Lo troveremo nel vangelo di Giovanni, dove si dice che Giuda era ladro e prendeva dalla borsa, mentre Gesù quello che ha e quello che è lo mette a disposizione degli altri.
Chi comunica vita agli altri arricchisce la vita che ha in sé, perciò Gesù non muore, ma continua la sua vita in una dimensione nuova. Chi succhia la vita degli altri, togliendo agli altri quello che hanno e quello che sono, toglie vita a sé. Quanto mi volete dare perché lo consegni?
“E quelli fissarono, nella tradizione si parla di trenta denari, Matteo scrive,
trenta monete d’argento”.Trenta monete d’argento corrispondono a circa 120 denari, circa quattro mesi di salario, non era una grande somma. Secondo il libro del Levitico, un maschio dai 20 anni ai 60 vale 50 sicli, 50 monete d’argento. Trenta monete d’argento era la stima per due categorie subumane, la donna e lo schiavo. Questo fa capire il profondo disprezzo che le autorità religiose nutrono per Gesù e gli offrono il costo di una donna o di uno schiavo, due categorie che non hanno raggiunto la condizione umana.
La figura di Giuda è in contrapposizione con la donna, che non ha esitato a perdere il profumo, molto prezioso, per dare adesione a Gesù. Giuda al contrario perde Gesù, molto più prezioso del profumo, per guadagnare poco denaro. Nel vangelo di Luca, Giuda con il denaro, quattro mesi di salario di un operaio, si è comprato un campo.
16 “Da allora, Giuda, cercava l’occasione buona per consegnarlo”. Gesù dirà più avanti, che è venuto il tempo per donarsi, è l’occasione buona per Giuda che aspetta per tradirlo.
17 “Il primo giorno degli Azzimi, è una parola che conosciamo, ma è talmente al di fuori della nostra cultura che va spiegata. Azzimo è formato da A privativo che significa senza e zimo che è lievito; a-zimo cioè senza lievito. Gli azzimi sono piccoli pani rotondi, piatti, cotti senza lievito. Si preparavano quando arrivava un ospite all’improvviso e non c’era il tempo di far lievitare il pane. Secondo la tradizione ebraica la vigilia della Pasqua, il 14 di Nisan, si doveva far scomparire dalle case tutto il lievito e il pane era cotto senza lievito.
Il libro dell’Esodo dice: già dal primo giorno farete sparire il lievito dalle vostre case. Nella tradizione era diventata una forma quasi maniacale, ossessiva, togliere qualunque piccola particella di lievito che fosse presente nella casa, poteva accadere che una briciola fosse caduta in qualche angolo o fosse rimasto attaccato ad una stoviglia. Bisognava pulire la casa e lavare tutte le stoviglie, e proprio da questa usanza ebraica tutt’ora in vigore, sono nate le pulizie di Pasqua di una volta.
La Legge, ancora oggi prescrive agli ebrei che per gli azzimi occorre bollire tutte le stoviglie della casa. È un gran lavoro pulire le pentole, le tazze, i bicchieri e se andate nella sinagoga di Roma o in altre, in occasione della settimana della pasqua troverete che consegnano un certificato di compravendita delle stoviglie. Io ebreo vendo a te non ebreo tutto il vasellame della casa, così non sono obbligato di lavarle, è una finta compravendita; poi finita la Pasqua tutto ritorna a me. Questo l’ho sottolineato per affermare una caratteristica che viene fuori dall’esame dei vangeli: tutte le pratiche religiose sono ridicole, e gli unici che se ne accorgono sono quelli al di fuori delle pratiche religiose. Non abbiamo idea di quanto siano ridicole le nostre pratiche religiose, non ce ne accorgiamo perché siamo intontiti dall’idea religiosa, quelli lontani si accorgono della ipocrisia.
Il primo giorno degli Azzimi, il giorno della Pasqua, ricordava la liberazione dalla schiavitù e nel libro dell’Esodo si legge: osservate gli Azzimi perché in questo giorno ho fatto uscire le vostre schiere dal paese d’Egitto. L’evangelista associa la liberazione dalla schiavitù alla liberazione che Gesù porterà.
“si avvicinarono a Gesù i discepoli e gli dissero: “Dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua?”, per mangiare l’agnello. Vedremo un paradosso, i discepoli preparano una cena, ma Gesù non mangerà, perché sarà l’agnello che verrà mangiato. Perché l’agnello? La notte della partenza dalla schiavitù egiziana, Mosè aveva dato un ordine: ogni famiglia mangi un agnello intero (la carne a quell’epoca era rara e mangiare l’agnello significava avere forza per iniziare il cammino di liberazione), il sangue dell’agnello lo spargerete sugli stipiti delle porte, quando passerà l’angelo sterminatore vi risparmierà. La carne dell’agnello avrebbe dato la forza per effettuare il passaggio di liberazione e il sangue avrebbe liberato dalla morte. L’evangelista attribuisce a Gesù la funzione di agnello, ma è una cena strana perché l’agnello pasquale, elemento più importante della cena, non appare.
18 “Ma egli rispose: il messaggio appare enigmatico,
“Andate in città da il tale, l’articolo determinativo significa una persona conosciuta, che l’evangelista non ha ritenuto di dover identificare,
e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: è un discepolo di Gesù, il tale in rapporto con il Maestro,
Il mio tempo, l’occasione buona per Giuda di consegnare Gesù, è il tempo di Gesù per donarsi,
è vicino; presso di te tradotta lateralmente faccio la Pasqua con i miei discepoli”. L’espressione ha due significati: celebro la pasqua e faccio l’agnello. Il termine pasqua significa l’agnello che viene immolato. L’evangelista ci prepara all’importanza della scena della cena pasquale.
19 “I discepoli fecero come aveva loro ordinato.Il verbo ordinare, è apparso tre volte, nel vangelo di Matteo sempre in relazione con la sua morte: all’ingresso di Gesù a Gerusalemme; in preparazione della cena; all’acquisto del campo del Vasaio, più avanti.
20 “Venuta la sera”, è la stessa espressione della deposizione e della sepoltura di Gesù, e significa che tra i due episodi c’è un qualche collegamento. Era una delle tecniche letterarie dell’epoca di rabbì Hillel: quando adoperi un termine in un posto e lo adoperi soltanto in un altro posto del libro, significa che tra i due episodi c’è un qualche collegamento. Nella cena Gesù va incontro alla morte, donando la vita per i suoi.
“giaceva a mensa, il verbo giacere a mensa significa essere sdraiati. Nei pranzi festivi e nei pranzi solenni si mangiava sdraiati su lettucci, a uso grecoromano,
con i dodici”. L’espressione sdraiarsi è la stessa adoperata nell’unzione di Betània e l’evangelista collega i due episodi. Tra essi c’è stretta relazione, la cena che adesso vediamo, è la risposta di Gesù a quanti, come la donna l’hanno riconosciuto come sposo e come re e sono disposti a seguirlo nel dono di sé.
21 “Mentre mangiavano disse:, non c’è nessun riferimento alla cena pasquale degli ebrei, al contrario l’evangelista sottolinea che ne mancano gli elementi. Gesù celebra la Pasqua non alla maniera ebraica, l’antica alleanza è finita; celebra la Pasqua in una maniera completamente nuova. Mentre mangiavano l’unico cibo presente sarà soltanto pane e vino, mancano le erbe e gli intingoli prescritti per la cena ebraica e soprattutto manca l’agnello.
“Vi assicuro, in ebraico amen, ciò che è certo,
io vi dico: uno di voi mi consegnerà”. C’è un contrasto tra il mangiare insieme in un unico piatto, dove tutti vi intingono e significa comunione di vita, di pensiero e la mancanza di sintonia; mangiamo insieme, tutti ricevete del mio amore in comunione con me, ma uno di voi mi consegnerà! Uno di voi non prenderà il mio pane per mangiarlo, per assimilarsi a me, lo prenderà per consegnarmi. Gesù si dona come alimento, pane ai suoi, ma ci sarà uno che non lo mangerà, non lo assimilerà, lo consegnerà. Gesù è con i dodici apostoli, gente scelta, gente che è stata sempre con lui, stanno cenando insieme e dice: uno di voi mi consegnerà, mi tradirà. Avrebbero dovuto essere tutti quanti tranquilli, invece no.
22 “Ed essi profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: “Forse sono io Signore?”Non c’è uno dei dodici che sia sicuro di non tradire Gesù. L’evangelista dice che sono profondamente rattristati, e l’espressione andò via rattristato si trova, nel vangelo, quando Gesù ha incontrato il giovanetto ricco e gli ha detto: vuoi essere maturo, vuoi essere perfetto? Il giovanetto ricco accetta, allora sbarazzati di tutto il tuo capitale! E quello se ne andò via rattristato, ha preferito avere delle cose, piuttosto che realizzarsi come persona. È rimasto, sottolineava Matteo, giovanetto, cioè non ha raggiunto l’età adulta. Il fatto che nessuno dei dodici è sicuro di non tradire il Signore è perché nessuno di loro ha accolto la beatitudine di Gesù. Gesù invita i suoi discepoli e tutti i credenti a essere beati, no! preferiamo essere rattristati, ma con i soldi. I discepoli sono animati dal desiderio di supremazia, che avrebbe dovuto essere sconfitto dalla prima beatitudine. Mentre in Giuda il seme della Parola era caduto sul terreno con i rovi, qui il seme è caduto sul terreno roccioso, non ha messo radici e i discepoli cadranno alla prima difficoltà.
23 “Ma egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel mio piatto, questi mi consegnerà”. Non è la cena pasquale e l’evangelista lo sottolinea omettendo tutti gli elementi della cena pasquale. Nella cena pasquale ognuno mangia con un piatto, qui c’è un unico piatto centrale, e Gesù con questa espressione si riferisce al salmo 41,9 dove c’è scritto: anche l’amico in cui confidavo, anche lui che mangiava il mio pane alza contro di me il suo calcagno. Gesù sottolinea il contrasto tra i due atteggiamenti: intingere nello stesso piatto significa comunione di vita, ma la mano intinta nel piatto non serve per dare la vita, serve per toglierla. Ecco la sentenza di Gesù, che ancora oggi sembra sconcertante e per questo Giuda ha trovato tanti avvocati difensori,
24 “Il Figlio dell’uomo, Gesù continua a definire se stesso come l’uomo che ha portato a compimento la creazione, l’uomo che si è realizzato,
se ne va, come è scritto di lui, maguai,l’espressione è ouai che potremmo tradurre meglio con ahi ed era l’espressione tipica del lamento funebre. Gesù non maledice le persone, le piange come morte. Normalmente Gesù dice ahi ai ricchi, che sono già morti, anche se viventi. Gesù piange Giuda come morto, non è una maledizione a Giuda.
“a quell’uomo, per il quale il Figlio dell’uomo viene consegnato;” notate il contrasto, Gesù ha definito se stesso il Figlio dell’uomo, colui che ha raggiunto la pienezza della maturità, Giuda è l’uomo senza Spirito. Gli uomini che non accolgono nella propria esistenza l’amore e non sono capaci di dare all’altro, sono degli uomini incompleti, sono degli aborti. Gesù rappresenta la pienezza della condizione umana, che è possibile raggiungere da tutti quelli che l’accolgono, la caratteristica di Gesù di essere l’Uomo con la maiuscola non è una sua prerogativa esclusiva, ma è una possibilità per tutti. Tutti quelli che accolgono Gesù, come norma di comportamento nella propria esistenza e fanno della propria vita un dono per gli altri, raggiungono la pienezza. C’è un contrasto tra il Figlio dell’uomo e l’uomo, tra Gesù che rappresenta la pienezza della condizione umana e Giuda che ne è svuotato perché ha preferito il valore del denaro a quello della vita.
“meglio sarebbe se non fosse mai nato quell’uomo”. Gesù ha parole che indubbiamente sono severe, perché tradendo il Figlio dell’uomo, Giuda ha tradito anche se stesso e ha annullato la possibilità di crescere, di diventare Uomo.
Giuda è un aborto di uomo. Chiamato a raggiungere la pienezza della sua vita, ci ha rinunciato, per questo sarebbe stato meglio se non fosse mai nato e finirà miseramente. Sia Pietro che Giuda tradiscono entrambi Gesù, in maniera più o meno grave, ma Pietro continua a rimanere nel gruppo, ricuperato da Gesù, Giuda no. Giuda si è pentito, ha confessato il suo peccato: ho tradito sangue innocente. Paga la penitenza restituendo le 30 monete d’argento, solo che ha sbagliato direzione, si è andato a confessare dai sacerdoti. Se il suo pentimento l’avesse portato da Gesù, si sarebbe salvato, Gesù l’avrebbe accolto e perdonato, Gesù non rifiuta. Giuda è andato dai sacerdoti e ha fatto la bella fine!
25 “Ma reagì Giuda dicendo: “Sono forse io, Rabbì?” Giuda si rivolge a Gesù chiamandolo rabbì, poco prima tutti gli altri discepoli avevano detto: sono forse io Signore? I discepoli che si rivolgono a Gesù lo chiamano Signore, non Giuda, per lui Gesù è rabbì, uomo della tradizione. Per Giuda Gesù è l’uomo che non ha portato niente di nuovo, è l’uomo della tradizione ed è l’unica persona nel vangelo, che si rivolge a Gesù chiamandolo rabbì, continuatore della tradizione di Mosè.
“Gli rispose: “Tu lo hai detto”. Nel vangelo per tre volte c’è Tu lo hai detto e in relazione alla morte. Gesù risponde così al sommo sacerdote, che emette la sentenza di morte; risponde così a Pilato, che eseguirà la sentenza di morte e così a Giuda che lo ha consegnato.
Da questo momento entriamo nel cuore del vangelo e della vita della comunità cristiana. Una sorpresa, specialmente in passato con la liturgia in latino, c’era tanto scrupolo a recitare per la consacrazione esattamente le parole pronunciate da Gesù, causando tanti scrupoli nei preti, perché se il termine non veniva pronunciato più che esattamente, sembrava che la consacrazione non fosse valida. Avevamo un frate scrupoloso, che al momento della consacrazione era esilarante, sembrava più una gallina che covava che un prete che stesse celebrando. Arrivato ad hoc lo ripeteva, gli sembrava di non averlo detto bene, hoc, hoc, hoc, la messa era tutto un coccodè. La Chiesa primitiva era libera. Abbiamo detto che i vangeli non sono la cronaca di un certo avvenimento, ma rilettura teologica. È mai possibile che nessun evangelista o discepolo ha riportato esattamente quelle parole di Gesù, quei gesti di Gesù nell’ultima cena; come sono avvenuti? In passato la spiegazione che si dava sulle differenze del vangelo era banale, però si accettava. Matteo ha otto beatitudini e Luca quattro, dov’è il problema? Una volta Gesù è andato sul monte, c’era Matteo, ha pronunciato otto beatitudini; una volta è sceso in luogo pianeggiante, c’era Luca e ne ha pronunciate quattro. Perché il Padre Nostro è in due versioni? Una volta lo ha detto in una maniera, una volta lo ha detto in un’altra. Qui siamo all’ultima cena e non è che si può dire una volta l’ha fatto in una maniera e poi lo ha fatto in un’altra. Nessuno degli evangelisti scrive una serie di azioni, di parole, identica all’altro.
Abbiamo quattro relazioni della cena di Gesù e il testo più antico non è nei vangeli, è nella prima lettera di Paolo ai Corinti. Poi abbiamo un testo che gli assomiglia, il vangelo di Luca, poi altri due testi che si diversificano da Luca a da Paolo, per i gesti: Gesù prende prima il pane o il calice e cosa dice sopra il pane o sopra il calice? Sono i testi di Matteo e di Marco, che venivano da esperienze diverse. Luca e Paolo si rifanno alla primitiva comunità cristiana di Antiochia, dove per la prima volta i discepoli di Gesù vengono chiamati cristiani, e vivevano la cena in maniera diversa. Matteo e Marco si rifanno alle comunità di Gerusalemme, dove vi era una maniera diversa.
È la libertà della Chiesa. Se volessimo sapere esattamente che cos’è che Gesù ha detto quando ha preso il pane, non lo sappiamo, dipende dal vangelo che si legge. Il significato è identico, ma se qualcuno vuole avere la certezza delle parole di Gesù, non si conoscono. Vi sono quattro versioni l’una differente dall’altra, e a queste va aggiunto il vangelo di Giovanni che, apparentemente, non ha il racconto dell’ultima cena, ma ne ha il significato. È nel capitolo 6, nel discorso di Gesù nella sinagoga in cui dice: se non mangiate la mia carne e se non bevete il mio sangue e nel capitolo 13 dove consegna il suo pane a Giuda.
La descrizione dell’ultima cena la troviamo nel vangelo di Matteo e di Marco; testi abbastanza simili, in quanto si rifanno alla cena eucaristica che si svolgeva nelle comunità palestinesi di Gerusalemme. Il testo dell’ultima cena di Luca è simile al testo più antico, la prima lettera ai Corinti di Paolo. Dalla prima lettera ai Corinti, il testo più antico della narrazione dell’ultima cena: Il Signore Gesù nella notte in cui veniva tradito, prese un pane, dopo aver reso grazie lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me. Allo stesso modo dopo aver cenato prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, ogni volta che ne bevete fate questo in memoria di me. Abbiamo delle indicazioni delle parole dell’ultima cena, nel capitolo 6 del vangelo di Giovanni, quando Gesù dice: se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che darò è la mia vita, la mia carne per la vita del mondo.
Noi trattiamo l’ultima cena in Matteo. Tutti vogliono affermare la stessa realtà teologica, sono differenti le modalità per farlo. Partecipando all’eucaristia italiana, va sottolineato che nella traduzione italiana, nelle parole dell’eucaristia dell’ultima cena, c’è un qualcosa in cui si inciampa, è stata aggiunta la parola in sacrificio: questo è il mio corpo in sacrificio per voi. Mentre nella traduzione latina è: dato per voi.È l’unica traduzione nel mondo in cui c’è questa trasformazione, la parola non c’è nel testo evangelico. Quando c’è stata la riforma liturgica, c’erano vari partiti all’interno della Chiesa, i progressisti volevano chiamare: la cena del Signore, però sapeva di protestantesimo; i conservatori volevano chiamarlo: il sacrificio del Signore. Il compromesso è questo: è stata chiamata cena del Signore però la parola sacrificio si è infilata nel testo.
Ed esaminiamo le parole dell’ultima cena, parole che l’evangelista riallaccia, tale e quale, a quelle delle due condivisioni del pane, al capitolo 14,19 e 15,36. Chiamo condivisione quella che normalmente viene chiamata moltiplicazione, dà l’idea quasi magica di un Gesù prestigiatore, mentre lacondivisione è qualcosa che coinvolge la comunità.
Le condivisioni dei pani sono due, una è in terra di Israele e una in terra pagana; quella in terra di Israele ha la simbologia che riporta ad Israele, le 12 ceste che avanzano come le 12 tribù, ma in entrambe ci sono le stesse identiche parole che Gesù pronuncia nell’ultima cena. Gesù prese un pane, lì prese 5 pani, là 7 pani e benedì. In terra di Israele benedì, in terra pagana ringraziò e queste le ritroviamo poi nelle parole della cena.
Gesù in terra d’Israele benedì perché faceva parte della cultura ebraica benedire Dio per ogni cosa; in una cultura pagana questo non era compreso e si mise il termine comune che tutti quanti possono capire: ringraziare, benedire ha un alone religioso. Ecco allora: benedì i pani li spezzò, e li diede ai suoi discepoli e sono le parole della condivisione dei pani che ritroviamo nella cena. Secondo le tecniche letterarie dell’epoca, unendo intimamente questi tre episodi, l’evangelista vuol indicare (ed è importante per comprendere che cos’è l’eucaristia), che l’accettazione del pane di Gesù (Gesù è il pane) rende poi possibile la condivisione del proprio pane. Chi si fa pane per gli altri, rende possibile la condivisione o la moltiplicazione del pane.
26“Mentre mangiavano, l’evangelista ripete il versetto 21, mentre mangiavano disse: In verità vi dico: uno di voi mi tradirà. C’è stato l’annuncio del tradimento, uno dei 12 del gruppo di Israele che lo segue, lo tradirà, questa è la risposta di Gesù al tradimento e al traditore. Gesù ha soltanto risposte e proposte di vita. Mentre mangiavano,
Gesù prese un pane, l’evangelista tiene presente, nello sfondo della sua narrazione, l’alleanza tra Dio e il popolo fatta con Mosè, in Esodo 24 si legge: Mosè prese il libro dell’Alleanza. Matteo mette: Gesù prese un pane, la cena di Gesù viene presentata come la sostituzione dell’antica alleanza; mentre Mosè prese il libro, Gesù prende il pane. L’adesione a Dio non avviene attraverso l’accoglienza di un codice di leggi da dover osservare (un codice esterno), ma attraverso l’assimilazione della sua stessa persona, la trasmissione della sua stessa fonte di vita, della sua stessa energia. È la stessa forza di Dio che viene comunicata, è importante che venga compreso che nella cena c’è la sostituzione dell’antica Alleanza.
Già il profeta Geremia diceva: verranno giorni in cui concluderò un’alleanza nuova, non come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, e Paolo nella lettera agli Ebrei 8,13: dicendo alleanza nuova Dio ha dichiarato antiquata la prima, ora ciò che diventa antico e invecchia è superato. Chiediamoci: è possibile che tanta gente debba ancora soffrire per norme dell’Antico Testamento che Dio stesso ha dichiarato antiquate e superate? Con Gesù c’è una nuova alleanza che soltanto Dio trasmette; la vecchia alleanza conteneva senz’altro molti luci, ma anche tante ombre. Avete notato ultimamente i perdoni che il papa chiede per gli errori, le tragedie, che la Chiesa ha compiuto?. Se andate ad esaminare i testi, gli errori sono stati fatti dalla Chiesa appoggiandosi sempre ai testi dell’Antico Testamento, perché in nome della vecchia alleanza si può ammazzare, si può uccidere, ma in nome della nuova alleanza si può soltanto trasmettere vita.
Nella cena, l’evangelista presenta la sostituzione dell’antica con la nuova alleanza, fatta sul monte delle beatitudini. Gesù sale sul monte e proclama non i comandamenti, ma le beatitudini, il testo della nuova alleanza; Mosè salendo sul monte aveva proclamato i comandamenti. Come Mosè ha preso un libro, Gesù prende il pane. L’evangelista con molta attenzione, vuole assolutamente evitare che la cena di Gesù venga confusa con la cena Pasquale. Gesù non compie il rito della cena di Pasqua, non sono andati per organizzare la cena di Pasqua, e gli elementi presenti fanno comprendere che non celebra la vecchia Pasqua, ma inaugura la nuova.
Gli elementi della cena Pasquale ebraica erano ben precisi, c’è il testo che si chiama Haggadah Pésach in cui si trova esattamente tutto quello che bisognava fare, quali gesti, benedizioni… Gesù prende un pane, nella cena ebraica l’elemento importante è l’agnello, in questa cena l’agnello non c’è, perché sarà Gesù l’agnello che si offre ai suoi. Soprattutto Gesù prende un pane e il termine pane indica un pane lievitato; nella cena pasquale ebraica, bisognava mangiare gli azzimi, il pane senza lievito (a=senza + zimo=levito; senza lievito). L’evangelista vuol far comprendere che Gesù non sta celebrando la Pasqua giudaica, e lo sottolineo, perché in molti gruppi c’è un’ignoranza biblica spaventosa e amano tanto celebrare la Pasqua giudaica, come se Gesù avesse celebrato la Pasqua giudaica, no! Gesù celebra una forma completamente nuova, e nessun elemento di questa cena può essere assimilabile alla celebrazione giudaica. Gesù non commemora l’antica Pasqua. Gesù prese un pane
“e benedì,” è la seconda volta che Gesù benedice il pane, la prima era stata in occasione della prima condivisione dei pani.
Cosa significa benedire? Gesù benedice Dio, non viene benedetto il pane; benedire significa riconoscere nel Creatore l’origine del pane e svincolando quest’elemento dal possesso dell’uomo, lo si fa dono a tutti quanti, come dono della stessa creazione. Benedire Dio per qualcosa, significa mettere a disposizione degli altri questo qualcosa. Sono le stesse parole della condivisione dei pani:
“lo spezzò, e lo diede ai discepoli, dicendo:”il pane è per i discepoli, è per coloro che lo seguono. All’inizio della cena erano presentati i dodici, ora diventano discepoli e non si sa il numero esatto dei partecipanti alla cena. La cena è per tutti coloro che hanno accolto e seguito Gesù che offre se stesso, come pane, perché quanti lo mangiano si facciano pane per gli altri. Perciò le parole che l’evangelista adopera, sono le stesse della prima condivisione dei pani. Coloro che hanno partecipato a quell’incontro, ricorderanno che c’era una stranissima espressione, quando Gesù prese i pani: li benedì, li spezzò, li diede ai discepoli e disse: date loro voi stessi da mangiare. È un’espressione grammaticale ambigua, che non significa procurate voi da mangiare, ma datevi voi da mangiare, è il significato dell’eucaristia. Nell’eucaristia si prende Gesù come pane, per poi accettare di farsi pane per gli altri. Accogliere Gesù che si fa pane, è quello che permette poi al discepolo di farsi pane per gli altri. lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli dicendo l’espressione è in maniera imperativa:
“Prendete, Gesù chiede di essere accolto, c’è tutta una sequenza di immagini. Per dirvi la sottigliezza degli evangelisti, il verbo prendere compare sette volte nel Nuovo Testamento e ben sei volte in relazione alla morte di Gesù. E soltanto nel vangelo di Matteo, non nelle altre narrazione della cena, c’è
“mangiate:” è l’invito di Gesù a mangiare. Non basta prendere Gesù, bisogna mangiarlo, bisogna assimilarlo, questo è importante. Nel vangelo di Giovanni anche se, apparentemente non c’è l’istituzione dell’eucaristia, nella lavanda dei piedi nell’ultima cena, Gesù prese il pane e lo diede a Giuda. Giuda prende il pane ma non lo mangia, va, e poi consegna Gesù alle guardie. Non basta prendere il pane, accogliere Gesù nella propria esistenza, bisogna mangiarlo, bisogna assimilarlo, mangiate!
È l’ultima volta che nel vangelo di Matteo appare il verbo mangiare, la prima volta Gesù aveva detto: non vi preoccupate per quel che mangerete, e Matteo, secondo le tecniche letterarie del tempo, mette in collegamento i due episodi. I discepoli non dovevano preoccuparsi, perché sarà il Signore stesso che darà loro non un alimento, ma se stesso come alimento. Offrendo il pane, Gesù non vincola i suoi ad una dottrina come Mosè che prese un libro, un codice di leggi che l’uomo doveva osservare, leggi che non tengono conto della storia personale, dell’esperienza che l’uomo vive ed essendo uguali per tutti, possono essere causa di sofferenza.
Gesù non dà un codice di leggi da osservare, ma si offre come pane, un alimento con cui nutrirsi. Da parte di Dio, nel Dio di Gesù c’è soltanto trasmissione, comunicazione di vita, al punto che arriva a dare la sua stessa vita. Ecco le parole molto importanti causa di discussioni, di dibattiti teologici e di divisione tra le varie Chiese. Noi non entreremo nel merito, stiamo nel piano esegetico, nella spiegazione del testo. Gesù prese un pane e disse: “Prendete, mangiate:
Questo è il mio corpo”. In greco il termine corpo indica la persona, equivale a dire questo sono io. Gesù si identifica con questo pane, il corpo di Gesù è la sua persona. Il suo invito: questo è il mio corpo, significa ecco questo sono io, si identifica con il pane, che in quanto alimento non cambia identità, non diventa un’altra cosa, ma rappresenta Gesù. Il pane non diventa Gesù, ma Gesù diventa questo pane, e nel farsi pane per i suoi fa comprendere che la sua morte imminente, non sarà una perdita, ma un fattore di vita. Siamo nell’ultima cena che precede la cattura e la morte di Gesù, ma ogni elemento racchiude un’espressione di vita, anche se si sta andando verso la morte. Nella tradizione giudaica il pane era adoperato come significato della parola del Signore, anche Gesù aveva detto: non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Mangiando questo pane si accoglie la parola di Dio, la nuova (se vogliamo chiamarla) legge che regola l’uomo; assimilando Gesù, i discepoli e tutti coloro che continuamente in ogni tempo mangiano questo pane, significa che accettano Gesù come norma di comportamento e si impegnano a seguirlo anche passando attraverso la tragedia della croce. Ma dopo il pane:
27 “Poi Gesù prese un calice, già è apparso nei vangeli, quando i discepoli Giacomo e Giovanni, pensano di seguire un Signore trionfante e Gesù dice loro: potete voi bere il calice che sto per bere? Nella tradizione giudaica il calice rappresentava la morte per martirio. Gesù prende il calice, che rappresenta la sua morte come martire, perché verrà poi crocefisso,
e ringraziò(nella condivisione dei pani fatta in Israele Gesù benedì, in terra pagana, ringraziò). Nella eucaristia i due termini ritornano: nel pane Gesù benedice, nel calice ringrazia. Questo è importantissimo, perché con l’unione dei due verbi, l’evangelista ci vuol far comprendere che l’eucaristia, il rendere grazie, unisce tutta l’umanità, giudea e pagana. Per la mentalità dell’epoca era enorme, come dire che nell’eucaristia possono partecipare tutti, credenti e non, santi e peccatori, meglio i peccatori che i santi. Gesù ringrazia
e diede loro dicendo: Bevete tutti! L’invito a bere, come prima l’invito a mangiare, è di Matteo, non lo troviamo negli altri vangeli.
Un’altra differenza, nella cena pasquale ogni commensale aveva il suo calice e da questo calice beveva. Invece qui c’è un unico calice dal quale tutti quanti sono invitati a bere. Gesù insiste bevete tutti da questo, perché non è sufficiente dare adesione a Gesù mangiando il suo corpo, ma l’adesione deve continuare nella fedeltà fino a dare la vita come lui l’ha data. Dare il pane indica: ti do adesione, ti seguo come stile di vita; bere dal calice significa: adesione che arriva fino al dono della propria esistenza. La vera accettazione del pane, si vede nel bere dal calice. Bere dal calice è l’equivalente dell’espressione che Gesù ha detto, chi non si carica della propria croce non può venirmi dietro. Il contenuto del calice finora era sconosciuto e adesso viene rivelato da Gesù nella maniera più urtante, più sconcertante per le orecchie di un ebreo.
28 “Perché questo è il sangue, il sangue nel mondo ebraico è la vita. Nel libro del Deuteronomio si dice: il sangue è la vita, nel calice c’è il sangue di Gesù, la sua vita. E finalmente l’evangelista ci spiegherà cosa significa. Giovanni Battista ha presentato Gesù come colui che battezza in Spirito Santo, questa presenza del sangue è talmente sconvolgente che nel vangelo di Giovanni molti discepoli abbandonarono Gesù dopo che disse: se non bevete il mio sangue non potete avere nulla con me. L’evangelista continua a mettere in relazione la cena di Gesù con l’istituzione della vecchia alleanza, il sangue della mia alleanza. Nel libro dell’Esodo Mosè, dopo aver mostrato il libro della Legge, e una volta che il popolo lo ha accettato, ha preso il sangue di capra e ha asperso il popolo dicendo: ecco il sangue dell’alleanza; è stata una aspersione esterna. Gesù dice: ecco il sangue della mia alleanza. L’alleanza di Gesù sostituisce quella di Mosè che era suggellata con l’aspersione esterna all’uomo, come era esterno il codice della legge. Con Gesù tutto cambia, non c’è un codice esterno, ma Gesù che si fa alimento, ci comunica la sua vita; non è un’aspersione di sangue esterno all’uomo, ma la comunicazione intima del sangue di Gesù. Nel mondo ebraico il sangue è la vita della persona e Gesù trasmette la sua vita; con Gesù, il suo sangue, il vino che c’è in questo calice, va bevuto, penetra intimamente nell’intimo dell’uomo rendendolo Figlio di Dio come Gesù è Figlio.
L’alleanza di Gesù non è riservata ad un popolo particolare, ma
versato per molti, c’è un riferimento alla cena ebraica, dove si commemora la liberazione e c’è un distillato di vendetta, caratteristica delle persone religiose, perché dopo il quarto calice si recita il salmo 79,6 che dice: versa l’ira tua sulle nazioni che non ti conoscono e i suoi regni che non invocano il tuo nome. I salmi sono 150 e più di 130 contengono idee bellicose! Le persone pie sono le persone più violente perché cominciano con: ti lodo Signore, ti benedico…e ammazza tutti quanti che non la pensano come me. L’evangelista adopera lo stesso verbo: versato per molti, perché si riferisce al momento della morte di Gesù in cui tutto il popolo dirà: il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli. Il sangue di Gesù ricadrà sul suo popolo, non come espressione di castigo, di vendetta o di ira come diceva il salmista, ma come espressione di perdono. Infatti
in condono dei peccati. Mentre il popolo d’Israele dice nella cena pasquale: versa la tua ira sopra tutte le nazioni, Gesù dice: questo è il mio sangue versato per molti e continuerà in condono per i peccati. Non l’ira di Dio su quanti gli sono ostili e su quanti non lo accolgono, ma l’amore di Dio che cancella i peccati di tutti quanti.
In questo brano l’evangelista ci fa comprendere il significato dell’espressione di Giovanni Battista, che Gesù è colui che battezza in Spirito Santo. Infatti il verbo versare è lo stesso adoperato nella bibbia per indicare l’effusione dello Spirito. C’è un testo famosissimo del profeta Gioele, che dice: dopo questo, io effonderò il mio Spirito su ogni uomo. In greco il verbo effondere e versare sono la stessa parola. L’evangelista vuole dire che l’amore che Gesù comunica con il suo calice è la sua vita (abbiamo detto che il sangue è la vita, c’è lo Spirito, la vita stessa di Dio che renderà l’uomo capace di un amore simile a quello col quale si sente amato). Nella cena i discepoli si impegnano ad essere fedeli a Gesù, mangiando il pane anche a costo di fare la stessa fine, e bevendo dal calice, si effonde sui partecipanti all’eucaristia lo Spirito Santo, che li rende come Gesù Figli di Dio. Bere dal calice, che è il sangue di Gesù, significa che viene trasmessa alle persone la stessa vita di Gesù, la vita di Dio ed essendo il Dio di Gesù un Dio d’amore, lo stesso amore di Dio si trasmette alle persone.
C’è da chiedersi come mai con tante comunioni non abbiamo visto l’effetto, probabilmente c’è qualcosa che deve essere modificato. Se l’eucaristia è questo, se bevendo dal calice i discepoli ricevono lo Spirito, la stesa forza d’amore di Dio, come mai questa non si è vista? Forse per questo che per tanto tempo la gente non ha potuto bere dal calice, chissà! L’eucaristia è un momento importante, è la partecipazione alla cena di Gesù, permette ai discepoli di portare a pienezza la propria vita.
L’uomo cresce soltanto nella misura che è capace di esprimere e crescere nell’amore; ricevendo l’effusione di vita di Dio, di amore di Dio, l’uomo cresce e cresce nella misura che si fa pane. Per questo le nostre comunioni hanno fatto cilecca. Ricordo dal catechismo, che la comunione serviva per la mia santificazione, sembrava quasi che più comunioni facevo e più brillava l’aureola. Nella mia educazione, non sono stato educato che la comunione era per servire gli altri, tanto è vero che c’era anche la comunione spirituale, di cui non ho mai capito il significato, sembrava di mettersi in concentrazione per far si che in qualche maniera arrivasse l’ostia. Le nostre comunioni hanno fatto cilecca perché mangiare il pane ha effetto soltanto se poi ci si lascia mangiare dagli altri, se si diventa pane per gli altri. Chi mangia il pane per sé, il proverbio dice: chi mangia da solo si strozza, anche se è il corpo di Cristo.
Ed ecco l’espressione importante che è soltanto in Matteo questo è il mio sangue versato per molti, tutti, io vi prego accoglietela e registratela da qualche parte, in condono dei peccati. Bere al calice il sangue – vino di Gesù – ha come effetto la cancellazione dei peccati e nella nuova alleanza il tempio perde la sua efficacia. Prima, per ottenere il perdono dei peccati bisognava andare al tempio, ora il condono dei peccati, la cancellazione delle colpe dell’uomo non avviene più salendo al tempio, sottoponendosi ad una liturgia, recitando particolari preghiere, ma dando piena adesione a Gesù. Mentre nel tempio il peccatore doveva fare delle offerte a Dio per ottenere il perdono dei peccati, qui è Dio che si offre all’uomo condonandogli i peccati. È quello che fa la differenza tra la religione e la fede: nella religione è ciò che l’uomo deve fare per Dio; nella fede è quello che Dio fa per l’uomo, anche per il perdono dei peccati. Gesù è il vero santuario di Dio e Matteo fin dalle prime battute del suo vangelo lo ha presentato come il “Dio con noi”, che si offre all’uomo per liberarlo dal peccato; l’accoglienza di Gesù cancella il passato peccatore dell’uomo. Gesù è molto, molto chiaro: il mio sangue versato per tutti in condono dei peccati. Gesù cambia registro e ci sono parole di non facile comprensione,
29 “Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite” anziché parlare di vino, perché si tratta di vino, adopera l’espressione frutto della vite. Gesù, nella cena, non ha mangiato né bevuto, ma è lui che si è fatto alimento per i suoi. Parla di frutto della vite, che è il vino, perché vuole ricordare la parabola dei vignaioli omicidi, rivolta ai sommi sacerdoti. I vignaioli dovevano consegnare il frutto della vite, il suo prodotto, ma per tenerselo per sé hanno ammazzato tutti gli inviati di Dio, compreso il figlio. Gesù concludeva che la vigna veniva tolta a questo popolo per essere data ad un altro, che ne produca i frutti e con questo Gesù berrà il frutto della vigna.
Inoltre il vino, frutto della vite, è il simbolo dell’amore tra gli sposi. Ancora oggi il rito del matrimonio ebraico prevede che lo sposo e la sposa bevano da un unico bicchiere di vino, simbolo dell’amore. L’immagine della morte alla quale Gesù va incontro, viene come annullata dall’immagine dell’amore, delle nozze e della fecondità.
fino a quel giorno, l’espressione quel giorno è già apparsa nel capitolo 7, come il giorno dell’ingresso nel regno di Dio, molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore. Qui è il giorno della morte di Gesù, in cui manifesterà sulla croce tutta la sua regalità,
in cui io lo berrò nuovo con voi nel Regno del Padre mio. Gesù non si limita ad annunciare la propria morte, ma prospetta il trionfo sulla morte con un’immagine di pienezza, di vita e di allegria quale bere insieme il vino, vino nuovo, eil termine greco significa una qualità fino ad oggi sconosciuta. Gesù parla di un vino nuovo di una qualità sconosciuta perché i suoi discepoli non hanno sperimentato fino a che punto arrivi la sua capacità d’amore (dare la vita per loro), ma lo sperimenteranno dopo la sua morte.
Questo vino è l’amore che Gesù dimostra con il dono della vita e che addolora i suoi discepoli, che non sono capaci di amare. Quando anche essi passeranno attraverso il dono della vita, saranno capaci di avere un amore come quello di Gesù e risponderanno con il loro amore al suo amore. La cena pasquale terminava con la recita di alcuni salmi, per evitare che non ci sia alcuna allusione con quello che Gesù ha compiuto con i suoi discepoli, Matteo non usa l’espressione salmeggiando, ma inneggiando, cantare inni e c’è differenza tra inno e salmo.
30 “Inneggiando, uscirono verso il monte degli Ulivi”. È interessante che la drammatica narrazione, Gesù sta consegnando la sua vita, finisca con un canto di lode a Dio, che toglie alla cena, ogni commento di tristezza relativa alle sofferenze che dovrà affrontare: escono cantando e fanno qualcosa di proibito: la notte della cena pasquale non si può uscire. Il libro dell’Esodo prescrive: Nessuno di voi uscirà dalla porta della sua casa fino al mattino, loro escono; è una trasgressione e vanno verso il monte degli Ulivi, luogo della cattura di Gesù.
Escono cantando, l’atmosfera di tristezza provocata dall’annuncio della morte di Gesù viene come mitigato, ma c’è una doccia fredda,
31 “Allora Gesù disse loro: “Questa notte,siamo di notte e per comprendere meglio l’espressione di Gesù uscirono verso il monte degli Ulivi (l’ultima cena presumibilmente è avvenuta nella parte alta di Gerusalemme), stanno scendendo passando la valle del Cedro, per andare sul monte degli Ulivi. Gesù disse loro: questa notte
per tutti voi, in maniera chiara, tutti quanti i suoi discepoli,
sarò motivo di scandalo”. Il termine greco scandalo, viene da un’esperienza fatta da molti. Lo scandalo è una pietra che si trova nei luoghi di campagna, che sta metà sotto terra e metà fuori, uno non la vede, non si accorge e ci inciampa. Il termine ha il significato di inciampo, non quello morale che poi gli verrà attribuito, e nei vangeli significa sempre qualcosa che fa cadere quasi a tradimento. L’evangelista ambienta l’espressione di Gesù di notte mentre stanno percorrendo un tratto di terreno abbastanza accidentato, dove era facile cadere. Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo e lo scandalo, l’inciampo causato in tutti i discepoli, non è la morte di Gesù, ormai Gesù ha detto chiaramente che sarà messo a morte, ma quel tipo di morte. La legislazione giudaica prevedeva la morte per lapidazione, quella romana per decapitazione. Per Gesù i sommi sacerdoti sceglieranno una morte particolare, quella che secondo la bibbia, parola di Dio, è riservata ai maledetti da Dio. Gesù sarà motivo di scandalo perché verrà crocefisso.
Nella prima lettera ai Corinti, Paolo dice: Noi predichiamo Cristo crocefisso scandalo per i Giudei”. Non è possibile che quest’uomo possa essere stato il Messia atteso, perché ha fatto la morte che la bibbia, parola di Dio, prevede per i maledetti da Dio; o la bibbia è sbagliata e aveva ragione Gesù, ma questa è una bestemmia, o ha ragione Gesù ed è sbagliata la bibbia. Gesù è già stato di scandalo non solo per i farisei, nel vangelo di Matteo al capitolo 15: i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole, ma persino i suoi parenti si scandalizzavano a causa sua.
Gesù è motivo d’inciampo per tutta Israele, per i suoi famigliari, per i discepoli e per gli avversari. La novità di Gesù è stata talmente deflagrante da essere motivo di d’inciampo per tutti quanti. L’evangelista sottolinea queste espressioni non per dare la cronaca di avvenimenti di 2000 anni fa, ma per dare delle profonde indicazioni per la comunità cristiana di tutti i tempi e ci può essere il rischio che in ogni tempo Gesù sia occasione di scandalo. Più si conosce Gesù e più può essere motivo di scandalo, di inciampo. Gesù dice perché ci sarà lo scandalo,
“Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. cita il profeta Zaccaria. La citazione è grave, perché il profeta dice che Dio punisce un falso pastore e Gesù verrà considerato un falso pastore, un impostore. Lo scandalo, l’inciampo, è la cattura e la morte di Gesù come un malfattore punito da Dio e sarà l’ora in cui tutti quanti scapperanno, come infatti succederà.
32 “Ma dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea”. L’esodo non è terminato, Gesù li precede in Galilea. È una caratteristica di Matteo e di Marco che è possibile fare l’esperienza di Gesù risuscitato soltanto in Galilea, dove ha annunciato il suo messaggio formulato nelle beatitudini. Gesù non si manifesterà, una volta resuscitato, a Gerusalemme, la città santa, la città assassina rappresentante di un’istituzione religiosa ostile a Dio. Gesù si manifesta in Galilea, pertanto quanti lo vogliono sperimentare devono abbandonare l’istituzione religiosa – Gerusalemme – e andare in Galilea, nel luogo delle beatitudini, dove Gesù ha chiamato i primi discepoli. Le ultime parole che Gesù pronuncerà in Galilea, ai suoi discepoli sono: Ed ecco io sono con voi tutti i giorni. Ovunque c’è l’accoglienza del messaggio di Gesù, il tentativo di tradurlo in pratica, quella è la Galilea dove Gesù precede il suo popolo, cioè va avanti. Non è una relazione statica di adorazione del Signore, ma è camminare nella pratica del suo messaggio, e Gesù si mette avanti.
Gesù ha detto: sarò per tutti voi motivo di scandalo. C’è il discepolo Simone, che gli evangelisti presentano in una maniera letteraria per farne comprendere l’atteggiamento. Il discepolo si chiama Simone, se è in sintonia con quanto Gesù insegna, pochissime rare volte. Se tentenna, cominciando a fare qualcosa che non va diventa Simon Pietro, Pietro significa testardo. Se è all’opposizione e ostacola Gesù diventa semplicemente Pietro. Quando nel vangelo è soltanto Pietro, è una tecnica letteraria dell’evangelista per dire: anche se non leggi il seguito sai che Pietro sta contraddicendo quello che Gesù fa.
33 “Il Pietro, addirittura c’è l’articolo,
reagì dicendo: “Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai”. Gesù ha appena detto: tutti vi scandalizzerete, Pietro dice no! presuppone di essere sempre al di sopra degli altri e pensa che Gesù non lo conosca bene. Gesù prova a metterlo ko, ma la testa di Pietro è talmente dura che non ci è riuscito.
34 Gli disse Gesù: “In verità, l’espressione in verità significa che è qualcosa di molto importante,
io ti dico, questa stessanotte, (mettete in parallelo l’espressione di Pietro: Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai edi Gesù: io ti dico, questa stessa notte)
prima che il gallocanti, perché il gallo? Il mondo ebraico era pieno di superstizioni, di paure, di terrore e la notte era il luogo del terrore. Immaginate città e luoghi senza alcuna luce e la notte era il regno di satana e dei demoni; non confondete satana con demoni. Satana è il diavolo e i demoni sono al servizio di satana o diavolo. Il gallo era considerato uno dei demoni perché canta di notte ed essendo la notte il regno delle tenebre, si credeva che quando un gallo cantava, era per una vittoria di satana. Il gallo era un po’ il suo trombettiere. Erano talmente convinti del gallo come animale demoniaco che a Gerusalemme ne era vietato l’allevamento. E questa è una pratica che potete fare tutti specialmente d’inverno; se volete vedere se nella notte il demonio vi ha visitato, mettete della cenere vicino al letto e se trovate delle impronte di gallo, significa che il demonio è venuto.
Prima che il gallo, il trombettiere del satana, canti
tre volte, è il numero di ciò che è completo, definitivo,
mi rinnegherai.Gesù dice: tu non ti scandalizzerai questa notte? prima che il gallo canti (dopo il gallo canterà come espressione di vittoria) tu mi rinnegherai completamente. Il discepolo che si era innalzato sopra gli altri, sarà abbassato ed è un’espressione che intercala il vangelo: chi si innalza sarà abbassato. Di nuovo
35 “ Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”.È questione di cinque minuti, dopo Pietro lo rinnega. Nonostante l’affermazione chiara e drammatica di Gesù, Pietro smentisce il suo Maestro. Pietro è disposto a morire per Gesù, è disposto a morire con Gesù, ma non come Gesù. Sa che il maestro sta andando incontro alla morte e pur di seguire il maestro e di continuare la sua missione è disposto a morire con Gesù, ma non sa che la morte di Gesù è quella del maledetto da Dio.
Pietro era disposto a morire con Gesù, con l’aureola del martirio, non con l’infamia della croce perché morire in croce era l’aureola dell’infamia. Al discepolo non è servita l’esperienza del lago, non ha imparato la lezione. Quando Gesù cammina sulle acque, e camminare sulle acque non significa Gesù che faceva lo sci acquatico nel lago di Galilea, è un’espressione teologica nella quale si manifesta la divinità, perché le acque erano considerate un elemento negativo e Dio era l’unico che le poteva dominare. In Gesù che cammina sulle acque, gli evangelisti presentano Gesù che manifesta la sua divinità. Pietro disse: fammi venire, e Gesù dice: vieni; Pietro incomincia a camminare, ma vedendo il vento contrario, incomincia ad affondare. Credeva che la condizione divina si ottenesse come regalo da parte di Dio, ma è un regalo che comporta l’impegno di affrontare le stesse difficoltà che Gesù ha dovuto affrontare e quando Pietro vede le difficoltà incomincia ad affondare. Ed ecco quello che è più grave
Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli. Quello che scrive l’evangelista è tremendo e più grave perché Pietro con la sua spavalderia, con la sua sicurezza, trascina nell’errore tutti gli altri discepoli. Nel momento di crisi all’interno della comunità (Gesù dice: tutti sarete scandalizzati) tra Gesù e Pietro, i discepoli seguono Pietro: è il tradimento.
Apostasia è il termine tecnico per indicare l’abbandono della fede, il tradimento totale. È terribilmente drammatico quello che Matteo scrive: chi segue Pietro si allontana da Gesù e nel momento di crisi tra Gesù e Pietro, il gruppo sceglie Pietro. E c’è una contraddizione come sicurezza sulla propria fedeltà, che aveva preso i discepoli di fronte all’annuncio che uno di essi sarebbe stato il traditore, quando Gesù dice: uno di voi mi tradirà. Tutti hanno incominciato a dire: sono io? Adesso è intervenuto Pietro e ha deviato tutta l’assemblea pronta a seguirlo. La spavalderia serve soltanto a mascherare la fragilità del gruppo; Gesù aveva detto ai discepoli che si sarebbero scandalizzati la notte stessa, ma ha sbagliato i tempi. Ha appena affermato questa espressione e incominciano ad inciampare e a rotolare uno dopo l’altro, perché non credono alla parola.
L’episodio di Gesù nel Getsèmani che prega con i discepoli è posto dall’evangelista subito dopo la cena con i discepoli, cena che era stata messa in relazione con l’altro episodio importante, sempre in Matteo, della condivisione dei pani e dei pesci, 14,13-21 e 15,32-38, perché erano state presentate le stesse azioni. Gesù che prende il pane è il collegamento tra i due episodi.
Dopo la moltiplicazione dei pani e dopo che ha sfamato la gente: congedata la folla, Gesù salì sul monte, solo, a pregare. Questo momento di preghiera di Gesù ritorna dopo la cena. L’evangelista presenta Gesù che si ritira sul monte degli Ulivi a pregare e come dopo la moltiplicazione dei pani, pregherà da solo. L’episodio della preghiera del Getsèmani è articolata dall’evangelista in tre momenti, Gesù pregherà in un crescendo sulla consapevolezza di quello che sta per affrontare e sulla sintonia nei confronti di Dio e del suo disegno della passione. Gesù viene presentato dall’evangelista in preghiera e non va visto dal punto di vista della quantità delle volte che ha pregato (Gesù prega pochissimo), ma del significato di questa preghiera.
Nell’episodio che ora vedremo, l’unico a parlare e ad agire è Gesù, anche se va con i discepoli; i discepoli tacciono, non reagiscono quando saranno interpellati da Gesù, e si accentua con più forza il contrasto tra Gesù che prega da solo e i discepoli che fanno scena muta.
36 “Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. L’evangelista aveva già detto che finita la cena, 26,30, Gesù era uscito con i discepoli verso il monte degli Ulivi. Ora Gesù prende l’iniziativa, va verso un podere chiamato Getsèmani, e porta con sé i discepoli. Non si parla più del monte degli Ulivi, ma si parla di un podere coltivato, il cui nome Getsèmani, dall’ebraico gat shemanin significa il torchio degli oli, il frantoio. Gesù dà l’ordine ai discepoli di sedersi in quel luogo, mentre va a pregare. Come già accennato, è la seconda e ultima volta che Gesù prega nel vangelo di Matteo, e lo fa andando in disparte, come aveva insegnato ai suoi discepoli al capitolo 6: per pregare voi non fate come i pagani, come quelli che amano mettersi in vista, in mostra sulle piazze o che sprecano parole, ma voi ritiratevi nel segreto del Padre vostro, e vi ascolterà. Gesù si ritira per un rapporto di comunione, di preghiera con il Padre e l’effetto della preghiera sarà la conferma dell’adesione al disegno del Padre. Gesù ha capito che non si può portare fino in fondo l’impegno preso con il battesimo, accettare anche la morte per manifestare l’amore incondizionato del Padre, se non mantenendo la piena comunione con il Padre, la piena adesione alla sua proposta.
37 “E presi con sé, Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò ad rattristarsi ed angosciarsi”. È la seconda volta che Gesù si porta con sé i tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, che sono i figli di Zebedeo. Sono stati i primi discepoli ad essere chiamati insieme ad Andrea fratello di Pietro. Gesù se li porta sempre a fianco, nei momenti importanti, perché rappresentano quelli che sono più attaccati all’ideologia nazionalista giudaica, che pensano alla restaurazione di Israele, all’egemonia del popolo giudaico sugli altri popoli, legati alla figura del messia potente. Gesù ha portato con sé Pietro, Giacomo e Giovanni nell’episodio della trasfigurazione 17,1-8 e l’evangelista dice che Gesù salì su un alto monte, dove fu trasfigurato davanti a i tre discepoli.
In quella occasione Gesù ha mostrato ai discepoli la condizione gloriosa dell’uomo che è passato attraverso la morte. La morte non può bloccare il processo di crescita verso la pienezza di cui l’uomo è portatore e Gesù ha voluto far vedere qual’è la condizione gloriosa dell’uomo che, attraverso la morte, si realizza in pienezza.
Ora che si sta avvicinando la morte, Gesù vuole che questi discepoli gli stiano vicino perché siano testimoni di come affronta la morte, per confermare la condizione gloriosa.
Se nella trasfigurazione Gesù si è rivelato come l’uomo Dio, l’uomo in cui splende la gloria divina del colore candido della luce, l’uomo Dio riempito della gloria divina, ora nel Getsèmani c’è l’aspetto complementare di questa immagine di Gesù, il Dio con noi, che prova l’impotenza dell’abbandono.
Il problema più grande per i discepoli è la morte, non intendono accettare la morte di Gesù. Quando Gesù ha dato il primo annuncio della passione, Pietro lo ha rifiutato e Gesù lo ha chiamato satana; Pietro ha detto: non ti succederà mai di andare a Gerusalemme e fare la fine di un bandito, di un malfattore. Pietro non ha accettato la morte di Gesù, e gli altri discepoli sono quelli che hanno dimostrato la loro fatica a capirla nell’episodio 20,20 chiedendo i primi posti, uno alla destra e uno alla sinistra. Per questo motivo Gesù li porta con sé, perché devono avviare il cambiamento nei confronti di quello che sta per compiere. Tanto l’episodio della trasfigurazione, come l’episodio del Getsèmani concludono con lo stesso ordine ai discepoli: alzatevi.. Voi che non accettate la morte, vivete già in una sfera di morte e bisogna alzarsi per riprendere la vita, per entrare nella sfera della vita. L’evangelista dice che Gesù di fronte a questi tre discepoli cominciò ad rattristarsi ed a angosciarsi. Matteo ci indica lo stato d’animo di Gesù, con i verbi rattristarsi ed angosciarsi, che esprimono lo sconcerto di chi si trova sperduto, di chi entra in una situazione particolarmente dura o sta vivendo un conflitto interiore molto forte. Cominciò a rattristarsi ed angosciarsi, nel modo di scrivere di Matteo l’espressione indica le svolte decisive o particolari nella vita di Gesù.
Quando Gesù iniziò a predicare la buona notizia, l’evangelista aveva detto: cominciò a predicare e Gesù inizia una fase importante della vita. Lo stesso quando Gesù ha dato l’annuncio della passione, cominciò a dire loro, il Figlio dell’uomo sta per andare a Gerusalemme, per essere consegnato nelle mani dei sommi sacerdoti. Lo stesso ora che incomincia la fase definitiva della sua missione: manifestare il suo amore totale ed incondizionato agli altri. I verbi rattristarsi ed a angosciarsi indicano la difficoltà e la durezza della prova che si avvicina e il sentirsi sperduto, con la tristezza e l’angoscia l’evangelista ci dà delle chiavi di lettura per capire qualcosa che ci ha già indicato nel capitolo delle tentazioni.
Gesù per tre volte è stato avvicinato e messo alla prova dal satana; nel Getsèmani Gesù pregherà per tre volte e c’è di nuovo la situazione della prova da affrontare e l’evangelista dice che Gesù è in preda all’angoscia. Nelle tentazioni il satana vuole che Gesù possa sviare dalla sua strada, Gesù dice: il mio cammino per essere Messia non è quello del potere, ma quello del servizio, quello del dono di sé, non quello del dominio. Il satana fa di tutto per sviarlo da questa strada: è meglio il potere, è meglio la gloria, meglio il prestigio.
Come nelle tentazioni nel deserto ecco l’angoscia, la tristezza, ma ora la prova è più dura. Non si tratta più di dire: ho preso questa strada e sono convinto, ma questa strada dove porta? Da nessuna parte, è il fallimento totale. È la situazione che si presenta a Gesù: ho scelto di percorrere questa strada, ma mi trovo in un vicolo cieco, sembra essere inconcludente e del tutto fallimentare. È una situazione molto più accentuata, perché Gesù constaterà prima di tutto il rifiuto della sua proposta da parte della gente, ma anche dallo stesso gruppo dei discepoli. Ha intrapreso una strada, ma si trova da solo, tutti lo rifiutano, lo contestano o lo abbandonano.
Diventa difficile capire come il progetto di Dio, di comunicare vita abbondante all’uomo, ciò che Gesù ha presentato (tutti i suoi gesti sono stati per comunicare vita agli altri o per liberarli da situazioni in cui non si sentiva la vita) possa essere rifiutato dagli uomini. Come l’uomo possa dire: non mi interessa la tua proposta, non la voglio, e soprattutto come mai Gesù, che ha cercato di portare avanti l’alternativa di una vita abbondante per tutti, stia per essere condannato a morte dalle più alte autorità religiose. È difficile accettare e capire con una certa lucidità questa situazione. Quest’aspetto è il nocciolo dell’episodio dei Getsèmani, ci ricorda qualcosa che troviamo nel vangelo di Giovanni, al capitolo 3,19 quando l’evangelista dice: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce. Nella stessa vita dell’uomo c’è qualcosa di assurdo, anziché accettare la luce-vita, che fa bene, la rifiuta e preferisce le tenebre, preferisce chiudersi in un mondo di morte. È una situazione che ci aiuta a capire quello che Gesù sta vivendo. È la situazione che si vive in tanti momenti, in tante realtà storiche, basta pensare a quello che in ogni tempo, si prova di fronte ad un opinione mondiale che da una parte vuole la pace, dignità, il rispetto dell’altro, e da un’altra parte vuole agire con la violenza. Perché dobbiamo scegliere le tenebre? Le tenebre non fanno bene a nessuno, sono realtà di morte che l’uomo si porta avanti e che si presenta in questo momento nella vita di Gesù nei confronti di quello che finora ha fatto.
L’evangelista ce lo ha mostrato fin dall’inizio del vangelo, Gesù ha rinunciato sempre ad ogni compromesso con il potere. Il potere come domino è morte, è tenebra. Gesù ci ha indicato come unica via di sviluppo per l’uomo, non il domino, ma il servizio, il dono di se stesso; soltanto la capacità di poter prestare un servizio agli altri e poter far qualcosa per gli altri ci aiuta a svilupparci come persona. È la sintesi del nucleo del messaggio di Gesù. Invece i discepoli che lo hanno seguito, non hanno rinunciato al potere. Molte volte Gesù deve prendere i discepoli da una parte, per dare una spiegazione privata, perché il potere è più forte di loro. Nella vita dell’uomo è insito l’amore del potere, il potere piace, il potere è sempre di aiuto e si manifesta come prepotenza. Posso mostrarmi più forte, superiore all’altro e con questa prepotenza lo posso dominare.
È la realtà dei discepoli, Gesù non ha fatto nessun compromesso con il potere, possiamo fare un gioco di parole dicendo che Gesù ha voluto insegnare il potere dell’amore, è un paradosso! Il potere dell’amore si manifesta nella debolezza, non nella prepotenza, si manifesta nel servizio. Gesù ha voluto insegnare questo ai discepoli, questa è la strada che ha voluto percorrere. Arrivato a questo momento in cui sta per essere lasciato da tutti, rifiutato dalla gente, condannato dalle autorità religiose, sembra che la strada sia fallimentare. Bisogna capire bene il significato della debolezza di un amore, però è l’unica possibilità, come Gesù ha insegnato, mediante la quale l’uomo può sviluppare, crescere.
Cos’è la grande prova che si presenta nel Getsèmani? Tante volte ci chiediamo: non era meglio usare un po’ di forza? Se Gesù aveva questa forza, non poteva far sì che i discepoli capissero il discorso in maniera più efficace? Poteva imporre con la forza la proposta di amore che si fa servizio? Potrebbe essere una tentazione, una maniera di ragionare. Oppure poteva lasciar perdere tutto e che tutto rimanesse come prima. È il dibattito in cui Gesù si trova immerso, o forse bisogna accettare il fallimento di un potere dell’amore che si manifesta come debolezza e come servizio. È la prova che Gesù sta affrontando.
38 “Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vigilate con me”.La tristezza, l’angoscia che prova, viene ora affiancata dalle parole del salmo 42,6 dove emerge il lamento dell’esiliato in Babilonia. L’esiliato è triste e oppresso dal nemico che lo deride dicendogli: ma il tuo Dio dove è! Se era così forte come mai tu sei finito nell’esilio? È la tristezza di sentirsi deriso dagli altri, perché questo Dio non sembra essere così forte. L’evangelista ci fa vedere, con l’accenno al salmo, che riprende fiducia in Dio, spera in Dio, ancora potrò lodarlo, lui salvezza del mio volto.
Gesù sente nella sua carne una profonda tristezza, abbandono e solitudine, per una morte crudele che gli si avvicina. Gesù fa una confidenza intima ai discepoli, chiedendo loro di vigilare con lui, per sentirsi un po’sostenuto in un momento particolarmente difficile, ma da parte loro non c’è nessuna reazione e da questo cenno sappiamo che non avverrà.
Gesù non vuole che i discepoli lo confortino; con la richiesta di vigilate con me, vuole che i discepoli possano essere in grado di portare fino in fondo le conseguenze della sequela, percorrere la sua stessa strada, perché non si trovi da solo e possano essere capaci di passare attraverso una morte come la sua. Gesù chiede ai discepoli: vigilate con me, dopo che Pietro alla fine della cena, 26,35, aveva detto in maniera spavalda: Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò, l’evangelista aggiunge lo stesso dissero tutti gli altri. I discepoli si erano manifestati molto coraggiosi, ora Gesù vuole vedere la fondatezza del loro coraggio.
39 “Andando avanti un poco, cadde con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”È la seconda e ultima volta in cui Gesù prega nel vangelo di Matteo, è la più importante perché vengono riportate le sue parole. Della prima volta, dopo la condivisione dei pani non si dice cosa abbia detto, in questo caso è indicato. Gesù non è angosciato dall’idea di dover morire, avendo fatto per tre volte l’annuncio ai discepoli, della sua passione. L’angoscia non è dovuta alla morte, ma al tipo di morte che affronterà. Una morte che agli occhi degli altri verrà vista come una sconfitta e un fallimento totale, e soprattutto perché può mettere a repentaglio lo stesso disegno di Dio, nel senso che non sia più credibile davanti alla gente, vista la fine in una morte così infame. Per questo Gesù chiede al Padre, se è possibile che il calice possa passare.
Se Gesù che deve manifestare la proposta, la buona notizia va a finire così, che razza di Dio è questo che ci presenta? Rischia che il suo disegno sia messo in pericolo o che questo Dio sia privato di ogni valore. Gesù si rivolge a Dio chiamandolo Padre e richiama la preghiera del Padre nostro che ha insegnato ai discepoli. Però l’evangelista ne accentua il rapporto Padre mio, c’è la consapevolezza di Gesù del legame con il Padre, un rapporto di piena intimità e chiede che il calice possa passare da lui. Abbiamo spiegato l’immagine del calice con l’episodio dei due figli di Zebedeo che chiedono a Gesù di sedersi con lui alla sua destra e alla sua sinistra e nell’Antico Testamento il calice è sempre simbolo della sorte riservata a ciascuno.
Ognuno deve sapere che la sorte è accompagnata da situazione di dolore e di sofferenza o da una prova difficile da affrontare, che non si può assolutamente evitare. Infatti nella cena Gesù quando ha dato loro il calice prendete e bevetene tutti, li ha invitati a condividere il suo destino, a essere pronti ad accettare la morte per manifestare l’amore incondizionato di Dio.
I discepoli dimostrano di non accettare questa morte e che possa essere l’emblema di un Messia sconfitto, di un uomo che perde qualunque credibilità. Questo ci deve far capire, quando si parla della missione di Gesù, della sua morte, che non è un fanatico che compie un gesto eroico, è consapevole che per un uomo è più difficile affrontare una morte ignominiosa rispetto a una morte da eroe, da martire. È molto più difficile affrontare la morte in cui diranno ecco il disgraziato, il rifiuto umano, il maledetto; è l’uomo, la sua umanità che vuole capire bene come bisogna affrontare una situazione così difficile. È quello che chiede al Padre: se questo calice può essere allontanato, se si può evitare una morte così vergognosa. È una richiesta a condizione: se è possibile, non impone la sua volontà, io voglio che questo calice sia allontanato da me, ma lascia che sia Dio a realizzare il volere: però non come voglio io, ma come vuoi tu.
Gesù manifesta nel momento di massima difficoltà, la massima fiducia per il disegno di Dio, e sarà questa forza nella fede del Padre, a portare avanti il suo compito. Nella preghiera di Gesù c’è da tenere in conto che dire se è possibile, passi da me questo calice, ma non come voglio io, ma come vuoi tu, significa accettare la volontà di un Dio, che Gesù ha già manifestato esclusivamente buono, il cui amore si manifesta come debolezza e servizio. Significa riconoscere un Dio debole, un Dio impotente, diverso dal Dio di tutte le religioni, dove gli dei si manifestano con la loro potenza, con la loro forza suprema, il contrario di questo Dio Padre di cui Gesù prende coscienza della sua debolezza e della sua, possiamo dire, impotenza. L’unica maniera di poter realizzare il suo disegno è accettando la situazione così dura, così forte. Dio non può intervenire in un’altra maniera, di fronte al rifiuto del popolo, all’abbandono e al tradimento dei discepoli. L’unica strategia che può adoperare è quello di un amore paziente e pur sentendo il rifiuto continua a manifestarsi all’uomo. Gesù ora sta capendo questo e dice: si compia la tua volontà.
40 “Si avvicinò ai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora con me?”Gesù interrompe la sua preghiera nel tentativo inutile di coinvolgere i discepoli nella sua situazione. Va da loro, ma il loro l’atteggiamento è il contrario di quello che Gesù aveva chiesto: vigilate con me, non sono stati capaci di vigilare neanche per un’ora. È la fragilità di fronte alla spavalderia di Pietro, pronto a morire con Gesù, non è capace di fare la cosa più semplice, vigilare un’ora, immaginiamo poi dare la vita per lui o con lui.
Gesù aveva chiesto di vigilare insieme a lui come espressione della solidarietà nel percorrere la stessa strada, per affrontare una morte così difficile, loro dormono. Il dormire indica il loro disinteresse di fronte a Gesù. Dormire vuol dire totale passività, non mi importa niente, non intervengo su queste cose, è rinunciare a portare fino in fondo l’impegno di un amore che si manifesta nella debolezza e nel servizio. Il vegliare e il dormire sono due atteggiamenti opposti, di cui aveva parlato nella parabola delle dieci ragazze, quelle che hanno l’olio pronto e hanno accolto lo sposo. La caratteristica del discepolo è la veglia, non il chiudere gli occhi; il dormire indica di non voler vedere la realtà, non voler né vedere né comprendere il destino di questo Messia. Non mi interessa, non lo accetto, non voglio assolutamente capire quello che fin ora mi è stato insegnato, ma l’unica possibilità di crescita è quella di poter dare la vita per il bene degli altri. Gesù aggiunge
41 “Vigilate e pregate, per non entrare nella prova.Gesù non chiede più di vigilare con lui, ha ottenuto poco, per garantire l’atteggiamento di vigilanza (vuol dire la lucidità, lo spirito critico, l’obbiezione, la capacità di non farsi sfuggire niente) aggiunge l’invito a pregare per non entrare nella prova.
Questa preghiera è come un’apertura all’azione dello Spirito, perché i discepoli possano prendere coscienza della loro situazione cosa che il sonno non permette loro di fare. Gesù vede che il gruppo dei discepoli può essere travolto da una situazione particolarmente difficile, da cui non sapranno più uscire. La giustificazione di Gesù, per capire che bisogna non solo vigilare ma anche pregare, ci ricorda la richiesta del Padre nostro, che abbiamo già visto in 6,13: di non metterci nella prova.
Quando abbiamo spiegato quella espressione del Padre nostro dicemmo che la comunità non dice al Padre liberaci dalla prova, la prova si presenta a tutti nella vita, ma dice di non perseverare in una situazione, di tirarci fuori da una situazione che ci può completamente travolgere, di evitare di essere travolti da una situazione di pericolo. Gesù dice ai discepoli di non rimanere in una situazione che non si è capaci di gestire, per non trovarsi in una prova che li travolga completamente.
L’entrare nella prova ricorda una espressione che Matteo ha spiegato, quando Gesù parla della vita, entrare nella vita: se la vostra giustizia non supera quella dei farisei non entrerete nel regno. Se non rinunci a certe situazioni di prepotenza, di ambizione, di prestigio, non entri nella vita e l’altra frase è meglio entrare monco o cieco, o zoppo nella vita che andare a finire tutto intero nella Geenna. L’entrare nella vita o nel regno si spiegava come frutto di una scelta, io entro nel regno, che è la vita, perché la mia giustizia supera quella dei farisei e perché rinuncio a ciò che blocca la crescita. Poi capiterà che i discepoli nel momento della prova abbandoneranno Gesù e fuggiranno via.
Perché non si entra nella prova, se non come frutto di scelte negative precedentemente fatte. Entrare nel senso di farsi travolgere, perché la prova si presenta a tutti e l’importante è saper affrontarla. Vivere la buona notizia di Gesù non significa che i problemi spariscono, forse i problemi si accentuano, però è completamente diverso il modo di affrontarli. E aggiunge
“Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Questa frase è entrata anche nel nostro linguaggio comune, indica le due componenti della persona umana. Lo spirito è la forza vitale, l’aspirazione che dà sempre entusiasmo all’uomo per iniziare, per apprendere; la carne rappresenta la debolezza, la fragilità dell’uomo, una debolezza che porta anche alla morte. Gesù mette queste due situazioni che riflettono la realtà dei discepoli che hanno detto: io sono pronto a morire con te, non ti rinnegherò mai. Questo è lo spirito forte; la carne debole è che fra poco lo abbandoneranno. Non basta farsi prendere dall’entusiasmo, bisogna avere la consapevolezza di come si è. Per questo Gesù ha aggiunto la preghiera, cioè l’uomo è fragile, la carne è debole, però in comunione con Dio l’uomo può trovare quella forza, quella potenza per venirne fuori. È quello che Gesù sta chiedendo ai discepoli. Gesù chiede ai discepoli di vigilare e pregare per non cedere ad una situazione che può travolgerli. Alludendo alla preghiera del Padre nostro non metterci alla prova, – in cui la comunità chiede al Padre di intervenire perché i credenti non rimangano in una situazione troppo dura, fa si che possano uscire il più presto – Gesù dice qualcosa di diverso. Ci sono scelte negative che ci fanno entrare nella prova dalla quale non usciamo più e ci travolge. La preghiera serve per prendere consapevolezza della propria fragilità, di cui Pietro e gli altri non ne vogliono sapere, troppo coraggiosi, ma tanto deboli. È una preghiera che mantenendo il rapporto di comunione con Dio, con il Padre, come fa Gesù, rende forti e capaci di venire fuori dalla situazione o di non entrarci. Di nuovo ed è la seconda volta
42 “Allontanatosi pregava dicendo: “Padre mio, se non può questo calice passare da me senza che io lo beva, si compia la tua volontà”.Gesù ha interrotto la preghiera per cercare di coinvolgere i discepoli, li trova addormentati, totalmente estranei alla situazione che egli vive. Allontanandosi, riprende la sua preghiera e in questo pregare c’è l’intenzione di Gesù di accettare il disegno di Dio: non come voglio io ma come vuoi tu. E si vede da come Gesù si rivolge al Padre, non dice più: se è possibile, ma se non può, che constata che l’unica via fattibile per manifestare la fedeltà al Padre è che si compia la sua volontà, che si manifesti l’amore in tutta la sua impotenza, in tutta la sua debolezza. Gesù ne prende coscienza, non accenna più alla sua volontà, non dice più ma non come voglio io, ma direttamente: si compia la tua volontà. C’è una progressione: se è possibile; se non può, unica via da poter scegliere.
L’espressione si compia la tua volontà, Matteo l’ha ricordata nella preghiera del Padre nostro e qui nella preghiera del Getsèmani significa credere che questo amore, nonostante la sua debolezza, è forte e permette di realizzare pienamente la persona. Gesù attraverso la preghiera del Getsemani dichiara di mantenere piena fedeltà al Padre e questo gli permette di superare la prova; pregando ha già capito che l’unica possibilità di portare fino in fondo il suo impegno è realizzare la volontà del Padre.
43 “E tornato, trovò i suoi di nuovo che dormivano, perché i loro occhi erano appesantiti”. Torna ancora dai discepoli, li trova addormentati, ma non rivolge loro alcuna parola, prima aveva detto: vigilate, pregate; ora non dice niente. Matteo ci informa sul motivo del dormire dei discepoli: i loro occhi si erano appesantiti, come se fossero diventati ciechi per il sonno.
I discepoli non sono stati capaci di vigilare con Gesù, né di pregare e dichiarano la loro estraneità assoluta a tutto quanto Gesù vive. Non si vogliono identificare con lui, Messia, che va verso la sconfitta, non vogliono essere coinvolti nella vicenda, non vogliono essere toccati dalla situazione. La figura del discepolo cieco, che non vuol vedere, che non vuole accettare, non vuole condividere, ricorda quella dei ciechi di Gerico 20,29 che dicono a Gesù: figlio di Davide abbi pietà di noi. Gesù li libera dalla loro cecità e avevamo spiegato che i due erano immagine dei figli di Zebedeo, che avevano chiesto i primi posti, perché in preda dell’ambizione del potere.
I discepoli ancora pensano alla figura di un Messia figlio di Davide, e fino all’ultimo aspettano che possa manifestarsi nella sua potenza e possa portare con la forza, con la violenza la realizzazione del loro progetto. Come dice il profeta Isaia i discepoli: guardano ma non vedono, sono completamente accecati.
44 “Lasciateli, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo di nuovo le stesse parole”. L’evangelista tiene a dire che Gesù prega per la terza volta, anche se non vengono ricordate le parole c’è l’accenno che ripete le stesse parole se non si può, si compia la tua volontà. Il numero tre, Gesù che prega tre volte, si ricollega in modo forte con le tre tentazioni della prova nel deserto. Per tre volte il satana avvicina Gesù per metterlo alla prova, per tre volte Gesù risponde su quello che è la sua missione. Qui succede lo stesso, ma un po’ all’inverso. Matteo non ci parla del satana, sappiamo chi è stato il satana nella vita di Gesù, chi si è opposto al disegno di Dio.
Gesù per tre volte ha pregato, per tre volte si è avvicinato ai discepoli che non hanno dimostrato interesse per quello che vive. È la prova di cui dicevamo all’inizio, il sentirsi completamente solo in un momento difficile e di aver forse sbagliato. Facciamo tante volte questa deduzione: se ho tanti con me tutte le cose vanno un po’ meglio, ma se io sono solo, tutti mi abbandonano, forse vuole dire che è una strada che non porta da nessuna parte. È la prova vera per Gesù e ricorda le tentazioni del deserto, rappresentate in maniera più dura, nel senso dell’abbandono, di dire che l’insegnamento di un amore debole, che è servizio, che si dona gratuitamente, non porta da nessuna parte.
La nostra maniera di parlare, di insegnare ci sembra quella di persone un po’ troppo illuse o deboli o utopiche. Pochi ragionano così, tutti vogliono il potere, l’altro sembra tempo perso. Come ci mettiamo di fronte a quest’insegnamento, lo crediamo fino in fondo e ne prendiamo anche le conseguenze? o pensiamo che questo modo di voler vivere sia una cosa per poca gente e non valga niente, che è una cosa da illusi, quindi è meglio che abbandoniamo, lasciamo tutto? È la grande tentazione dalla quale Gesù viene fuori con molta più forza, nonostante l’ostinazione da parte dei discepoli di non voler essere solidali con la sua realtà.
45 “Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: “Così dormite e vi riposate. Ecco, si avvicina l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori”. Gesù torna per la terza volta dai discepoli e c’è il rimprovero per essere stati incapaci a mantenersi svegli e a pregare. Gesù lo aveva chiesto perché anche loro potessero essere forti nella prova che si avvicina. L’evangelista oltre che al dormire aggiunge riposare. Gesù aveva chiesto vigilate e pregate, per non cedere alla prova, i discepoli invece hanno dormito e si sono riposati e fino all’ultimo momento fanno l’opposto di quello che Gesù aveva chiesto, non si fidano della sua parola, non hanno nessuna garanzia che ciò che Gesù dice loro, possa valere qualcosa.
Prima abbiamo detto gli occhi appesantiti come se discepoli fossero ciechi, qui è qualcosa di più forte: non sono solo ciechi, ma sono morti; dormire e riposare è un modo di parlare della morte e si trova nell’Antico Testamento per dire ormai per me tutto è finito, dormo, riposo. È il grande dramma dei discepoli, scelgono un’alternativa che li porta verso la morte, dormono e riposano come se fossero già morti. Però il riposo può essere anche positivo, Gesù lo ha già presentato al capitolo 11,28, vedendo le folle così affaticate e oppresse, ha detto: venite a me e io vi darò respiro, vi ristorerò. Secondo Gesù c’era una maniera di riposarsi mantenendosi in sintonia con lui e il riposo significava essere liberati da tante oppressioni, da tanti sensi di abbandono e di sfruttamento. I discepoli hanno scelto un altro riposo, non frutto della sintonia con Gesù, ma espressione della loro incapacità di essere solidali: dormite e riposate e non si rendono conto di quanto sta per accadere, né a Gesù né a loro stessi. Per tale motivo Gesù dice si avvicina l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Gesù non parla in prima persona, questi capiscono poco, inutile mettersi di nuovo in mostra e riprende la figura del Figlio dell’uomo per dire: il modello di umanità (Matteo lo applica a Gesù) che io vi ho presentato, viene rifiutato e questa è l’ora tragica.
Quando dice: si avvicina l’ora non sono le 17 del pomeriggio, ma è un momento tragico nella vita dell’uomo. Di fronte al modello di umanità che Gesù ha presentato, di essere una persona che possa sviluppare al massimo le proprie capacità, che possa veramente realizzarsi come essere umano, l’uomo rifiuta questo modello, è la difficoltà che si presenta anche ai discepoli. Dice Gesù poi: che il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori, chi sono i peccatori?
Matteo ci offre un identikit favoloso del peccatore, ma chi sono i peccatori? Se prendo un dizionario di morale, peccatore è colui che non osserva certe norme, che fa cose sbagliate; per le autorità religiose del tempo, scribi e farisei, era chiaro identificare i peccatori, erano i pubblicani e i pagani, tutti quelli che non osservavano la Legge, ma guarda caso Gesù predilige la loro compagnia.
L’evangelista non vuole entrare in una definizione del peccatore, non facciamo dibattiti teologici, ma in maniera molto radicale, per Gesù, è peccatore chi rifiuta il progetto di umanità che ha presentato. Anche se è una persona integerrima, ma rifiuta il modello di umanità che ha presentato, è peccatore. Agli occhi Dio non è il comportamento, gli sbagli, le trasgressioni a rendere l’uomo peccatore, ma l’accanimento nel non accogliere il modello d’uomo presentato. Questo ci fa superare situazioni che portano alle persone sofferenza, complessi di colpa, grande angoscia, perché ad un certo punto hanno sbagliato, ma non è questo che conta, Gesù dice: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani dei peccatori e sappiamo che sono i sommi sacerdoti, la più alta autorità religiosa del tempo, sono gli scribi, il magistero ufficiale e gli anziani, i senatori, la classe aristocratica, la crema della società che nessuno avrebbe pensato neanche lontanamente che potessero sbagliare. Sono peccatori perché hanno rifiutato il modello di umanità che vive la sua crescita nella capacità di darsi, di aprirsi, di accogliere senza pregiudizi: è l’umanità che Gesù ci offre. Il peccatore non vuole la solidarietà, non vuole l’accoglienza, non vuole il dialogo, la condivisione. È questo il peccatore che si chiude alla vita, e Gesù lo dichiara con molta forza ai discepoli perché nella loro cecità credono che sono dalla parte del giusto quelli che hanno il potere in mano. Invece bisogna togliersi le squame dagli occhi, per vedere che proprio chi detiene il potere è complice di una situazione di peccato e di morte per lui e per gli altri.
46 “Alzatevi, andiamo! Ecco colui che mi tradisce si avvicina”.Se stiamo nella logica narrativa, i discepoli dormivano, ed ecco: alzatevi. Proviamo ad entrare anche nel registro più profondo dell’evangelista, il verbo alzarsi viene ricordato negli episodi di resurrezione, nella figlia di Giairo, o, andate e resuscitate i morti, o, son venuto per portare la buona notizia ai poveri. È un verbo che ha un connotato di resurrezione, è il verbo che conclude l’episodio della trasfigurazione, quando i discepoli cadono tramortiti, Gesù dice loro: alzatevi. Matteo ci sta dicendo che in tutta la scena del Getsemani Gesù è l’unico vivo, l’unico che agisce, che parla, che interviene, lui che sta per essere consegnato a morte, che sta per andare al patibolo. Gli altri che ci tengono così tanto a salvare la pelle, che non vogliono essere minimamente coinvolti, sono già morti. Chiudendo la pagina dei Getsèmani è come se Matteo dicesse: guardate, noi avremmo pensato che questi andava a finire in maniera infame, non gli diamo nessun voto di fiducia, invece è l’unico vivo in tutta la scena, l’unico che si alza, va a pregare, torna, parla! Gli altri non fanno niente, dormono e si riposano.
Gesù dicendo: alzatevi, di nuovo infonde vita e fino all’ultimo momento prova in tutti i modi di farli entrare nella sfera di vita e liberarli da una realtà di morte. È l’insegnamento di Gesù che i discepoli fanno fatica a capire: chi vuole salvare la vita la perde, ma chi vuole perdere la vita per una causa così giusta come quella della buona notizia del regno, questi l’ha già salvata. Gesù mette in pratica quest’insegnamento, ma i discepoli non vogliono capire, pensano che l’unico problema deve essere accaparrare e che gli altri si arrangino, pensando così, sono già morti. Non conta il tempo che camperai, sei già morto, bisogna che ti trovi inserito nella sfera di vita, i discepoli non sono capaci e Gesù dice: alzatevi, cioè risorgete e andiamo.
Di nuovo l’invito a seguire lui, ma colui che mi tradisce si avvicina, Gesù ci prova, li incoraggia: andiamo incontro all’unica possibilità di realizzarti come persona, se non ti fai prendere dall’apparenza che la morte sia un fallimento, che sia stato tutto inutile, che sono quelli che hanno il dominio in mano ad avere la ragione, ad essere dalla parte giusta.
Andiamo, vuol dire provaci ancora, vai, anche se per te può significare andare incontro a niente. Fino all’ultimo invita, quasi costringendo, i discepoli che possano fare l’esperienza di una vita che cresce sempre più in ognuno di loro. Nella cattura i discepoli fuggiranno, lo lasceranno solo, però non per questo, anche se la situazione è drammatica, Gesù finché c’è una possibilità di far capire ai discepoli la grandezza della missione, non la spreca, la porta fino in fondo.
Finita la preghiera del Getsèmani, la situazione precipita. Nella preghiera Gesù si è manifestato profondamente uomo, che di fronte ad una morte così terribile vuole evitarla, se è possibile. Poi tutto precipita, fino alla morte di Gesù avvengono scene con una grande violenza, un inseguirsi di personaggi e di interventi. Gesù non agisce, dopo che si è manifestato in piena sintonia con il Padre, lascia che siano altri ad intervenire, ma non significa che perda la padronanza sull’evento che prova sulla pelle, perché nel momento opportuno interviene, facendo una dichiarazione per far capire che nonostante tutti lo abbandonino e si trovi solo, non si lascia travolgere dalla situazione.
Cambia lo scenario ed entrano nuovi personaggi.
47 “Mentre parlava ancora, ecco Giuda, uno dei Dodici, giunse e con lui una grande folla con spade e bastoni, da parte dei sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo”. Entra in scena il traditore e Matteo lo descrive con tre particolari: ci dà il nome, Giuda; dice che appartiene al cerchio dei 12, uno dei dodici; poi ci dice che è il traditore che lo ha completamente tradito. Sono le caratteristiche che abbiamo visto nella cena, quando Giuda è andato dalle autorità religiose: quanto mi date se io ve lo consegno?
L’evangelista dice che Giuda guida una folla di gente armata in maniera rudimentale, con bastoni e spade che vanno a catturare Gesù come se fosse un brigante. La folla di gente è mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo, l’alta corte del governo dell’epoca, del sinedrio; sono i peccatori che mandano la gente da Gesù per catturarlo. Le persone con le spade, con i bastoni è la parte del popolo docile ai dirigenti, che si lascia facilmente manipolare da chi ha lo scettro del comando in mano ed esegue quello che viene detto. Sono le persone che non hanno mai avuto la dignità di ragionare con la propria testa, ma si lasciano facilmente manipolare dalle autorità. Loro, i peccatori, porteranno Gesù nelle mani dei sommi sacerdoti e degli anziani,
48 “Ma il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; prendetelo!” Guida si è unito al gruppo armato di spade e bastoni, e ha indicato che farà un segnale, quello che io bacerò, è lui. Il bacio è interpretato sempre come segno di amicizia, di affetto, dopo questo fatto il bacio di Giuda è passato per indicare il contrario. Nell’Antico Testamento poteva essere una manovra per tradire qualcuno: io mi avvicino a te per darti un bacio e in quel momento ti do la pugnalata. Ti sei fidato di me, io ho approfittato della tua ingenuità. Per Giuda il segnale doveva essere un modo di tenere tranquilli i discepoli, perché andando da lui a baciarlo nessuno si sarebbe insospettito o messo in allarme, è un modo per impedire qualunque resistenza da parte dei discepoli.
49 “Subito si avvicinò a Gesù e disse: “Salve Rabbì!” e lo baciò con insistenza. Giuda passa subito all’azione, come Gesù e i discepoli lasciano il Getsèmani, interviene in maniera molto cinica, quasi macabra. Lo saluta baciandolo con ardore, con insistenza, non un semplice bacio, ma proprio un bacio passionale, questo è il termine. Lo saluta come se niente fosse, salve, in greco significa anche rallegrati, lo stesso termine dell’angelo a Maria: rallegrati Maria. Sta per essere consegnato e si deve quasi rallegrare, è molto cinico, ed è per capire la personalità di Giuda, l’unico discepolo che lo chiama rabbì. Gesù ha già detto ai discepoli, quando ha messo in ridicolo gli scribi e i farisei, voi non chiamatemi rabbì, perché questo lo fanno i farisei e i dottori della Legge, che pretendono di avere titoli onorifici. Tra l’altro in quest’insegnamento dice: io sono il vostro maestro, non il vostro rabbì; cambia il termine. Giuda poi lo ha chiamato così nella cena: sono forse io, rabbì? Giuda rappresenta il settore, all’interno del gruppo dei discepoli, che non ha capito la novità di Gesù, per loro doveva essere un rabbì come gli altri, un continuatore della tradizione, o un riformatore. Per Giuda non è mai il Signore, come per gli altri discepoli, è il rabbì e lo tradirà. Gesù nello scontro con gli scribi e farisei aveva detto: questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me, Giuda è l’esponente di questo popolo, ipocrita, rappresentato dai farisei e scribi, molto bravo alle lodi con le labbra, ma ha un cuore omicida, pronto a tradire, se è possibile a farlo fuori.
50 “Ma Gesù gli disse: “Amico, per questo che sei qui!”. Allora si avvicinarono e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Gesù risponde al bacio di Giuda, chiamandolo amico, non tutti interpretano questa risposta allo stesso modo. È un connotato negativo.
Matteo ha usato il termine amico in maniera negativa, soprattutto nella parabola del banchetto del regno, 22,12. Quel tizio entra nel banchetto e il re trova che non porta l’abito nuziale, gli dice: amico, come mai sei entrato qui senza indossare l’abito? Secondo me questo è il significato che dà Matteo, anche se si vuole presentare Giuda come uno che sta baciando Gesù, ma Gesù ha capito che dietro il bacio c’è il tradimento e con l’espressione per questo sei qui, che è difficile da tradurre dal greco, l’evangelista vuole esprimere l’amarezza di Gesù nel vedersi tradito da uno dei suoi, da quello che fino all’ultimo momento ha cercato di conquistare e di constatare fino a che punto l’uomo può essere perverso, è una perversione senza ritorno.
Questa espressione, per questo sei qui, in greco, è molto difficile. Quando prendiamo la lingua greca non possiamo pensare di tradurre tutto come ha pensato l’evangelista, dobbiamo lasciare la possibilità di ipotesi e si può tradurre in tre modi, si può dire: perché sei qui? Oppure come un’affermazione: è per questo che sei qui? E quella che ho scelto io, fa ciò per cui sei qui, quello che devi fare fallo subito. Però la domanda perché sei qui? è assurda. Gesù ha capito anche con il bacio, che cosa intende fare Giuda; Gesù constata questo e dice: sei venuto solo per questo, per te ormai non c’è più possibilità di tornare indietro, fino all’ultimo momento hai portato il tuo istinto omicida. La terza interpretazione fai ciò per cui sei venuto, ritengo la migliore.
Allora gli si avvicinarono, gli mettono le mani addosso, lo arrestano e Giuda non può tornare più indietro.
51 “Ed ecco uno di quelli che erano con Gesù, stese la mano, trasse la sua spada, e colpì l’orecchio del servo del sommo sacerdote staccandogli l’orecchio destro”. Gesù dopo che Giuda lo ha baciato, si lascia catturare senza opporre resistenza, quelli che stanno con lui reagiscono con la violenza, uno del gruppo non è d’accordo con il suo modo di comportarsi; non hanno accettato la proposta di Gesù, non sono pronti a dare la vita per gli altri e uno dei discepoli ricorre alla spada. L’evangelista descrive l’azione, stende la mano per trarre la spada e sembra un di più, invece è importante.
L’espressione stendere la mano, nel vangelo è già apparsa diverse volte applicata alla figura di Gesù quando compie gesti di vita: Gesù stende la mano e tocca il lebbroso e il lebbroso è purificato; Gesù stende la mano e salva Pietro che sta affogando nell’acqua, mentre cerca di camminare come lui sull’acqua; Gesù stende la mano e indica chi è sua madre, suoi fratelli, e le sue sorelle. Stendere la mano è un gesto per comunicare vita, per dare all’uomo la vita di cui ha bisogno. I discepoli fanno l’opposto, stendono la mano per comunicare morte, violenza perché tra loro e Gesù c’è una distanza. Matteo racconta l’episodio in maniera molto dettagliata, erano necessarie queste minuzie?
Nell’espressione c’è un sunto di una ritualità della religione giudaica perché il segno per la consacrazione nel ruolo di sommo sacerdote avveniva attraverso l’unzione del lobo dell’orecchio destro. Dicendo che uno dei discepoli di Gesù colpisce il servo (non è uno schiavetto, ma i dipendenti da un’alta autorità, re o governatore o sommo sacerdote, erano considerati suoi dipendenti, suoi servi), l’evangelista dice che il discepolo con il suo gesto, non riconosce l’autorità del sommo sacerdote come massima autorità all’interno della società giudaica, come capo del popolo giudaico. È una maniera di rispondere con la violenza a chi è violento e l’evangelista lo presenta in maniera molto concentrata attraverso questa immagine, ma i discepoli non hanno capito (il gesto lo dimostra), pensano che il potere si possa vincere con la violenza, che il potente può essere spodestato adoperando le sue stesse armi: la violenza.
Gesù fa capire che è pienamente inutile, spiega anche se non in maniera esplicita, ma in tanti suoi atteggiamenti, che i potenti non vanno combattuti, ma vanno ignorati. Il discepolo non può perdere tempo in polemiche sterili e inutili contro i potenti, deve dedicarsi con la propria energia e con tutte le forze all’assimilazione, alla pratica, all’annuncio del messaggio.
52 “Allora Gesù gli disse: “Rimetti la tua spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Gesù nel discorso della montagna, ha già insegnato il nuovo comportamento della comunità, quali rapporti si devono avere all’interno della comunità: vi è stato insegnato occhio per occhio, dente per dente, io vi insegno un’altra cosa, non opporre mai resistenza all’avversario. Poi aggiungerà di amare addirittura il nemico, di pregare per il propri persecutori. Nelle parole di Gesù, rimetti la tua spada nel fodero, ritroviamo il suo insegnamento sulla giustizia del regno; non si può entrare nella spirale di violenza che provocherà un processo sempre devastante, alla violenza succede altra violenza. Questo rende l’uomo incapace di maturare, non permette di diventare persona in modo pieno.
La spada è simbolo della violenza omicida, simbolo del potere repressivo e chi usa questo simbolo del potere, non si potrà mai sviluppare come persona, non potrà mai raggiungere la maturità. La spada, la violenza, simbolo del potere, creano una spirale di violenza, blocchi la tua possibilità di sviluppo o interrompi la tua crescita come persona e non puoi raggiungere quel modello di umanità che Gesù ha mostrato con la sua stessa persona.
Mettere in pratica il messaggio, la persona del discepolo si distingue non per le dottrine che può professare, ma per il comportamento che dimostra nelle circostanze ben precise e in questo momento di violenza, deve manifestare di aver assimilato il messaggio di una nuova giustizia, di un nuovo modo di comportarsi; ma dall’atteggiamento del discepolo si vede che non è avvenuto.
53 “Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Gesù ci espone la mentalità comune dell’epoca sulla figura del Messia. Si pensava il Messia come luogotenente di Dio nella storia, il braccio forte di Dio che avrebbe ricevuto una investitura potente, una forza con la quale avrebbe sconfitto gli avversari. Questo pensiero c’è nei rotoli di Qumran: il Messia riceverà le schiere angeliche per vincere le forze del male. Era impossibile che venisse sconfitto il Messia di Davide, mandato da Dio per restaurare la gloria di Israele.
Riprendendo la mentalità comune, Gesù rifiuta l’immagine di un Messia che deve usare la forza o la potenza delle armi per imporsi e questo lo ha fatto fin dall’inizio della sua missione, come nelle tentazioni nel deserto. Per aderire alla volontà di Dio, rifiuta l’immagine di un Messia del popolo d’Israele che grazie all’intervento di Dio, ha una forza spettacolare. Le dodici legioni, e ricorda che il dodici è il numero per parlare del popolo di Israele. A Gesù è stato chiesto un segno, anche da scribi e farisei, per tentarlo: mostraci qualcosa dal cielo per credere che tu sei il Messia e Gesù si è sempre rifiutato perché è contrario al disegno, alla volontà stessa di Dio. Infatti al posto delle dodici legioni (la legione era composta da 6000 uomini, una forza di 70.000 soldati armati) di angeli, ha chiamato un gruppo di dodici apostoli mandati come lui alla missione per annunciare la novità del regno, una novità che si crea attraverso il dono di sé, non mediante l’uso della forza o della violenza.
Gesù dichiara di nuovo la sua qualità come Messia, per ricordare che l’unica arma vincente nella comunità che si crea, sarà un amore che si dona gratuitamente per il bene di tutta l’umanità, non già per un popolo in particolare. Gesù conferma il rifiuto di un Messia potente, accennando alle scritture
54 “Ma come allora si adempirebbero le scritture, secondo le quali così deve avvenire?”. Gesù ha rimproverato il discepolo che ha tratto la spada, dicendo che bisogna rifiutare di diffondere violenza; ora rifiutando qualunque intervento spettacolare da parte di Dio dice che né con la violenza né con interventi miracolistici è il modo per costruire qualcosa di nuovo. Gesù vuole un Messia che in base alla fedeltà alla parola di Dio, manifesterà un modo nuovo per rapportarsi con le persone e chiederà alle persone di fare lo stesso tra loro. Per giustificare questo, Gesù parla delle scritture, già altre volte Matteo lo ha detto e noi dobbiamo interpretare bene: così deve avvenire o che si adempiano le scritture, perché c’è il rischio di pensare che tutto era stato prestabilito da Dio, che Gesù faccia una specie di farsa, in fondo la sua morte era già stata decretata dal Padre Eterno. Da nessun punto di vista possiamo mai giustificare l’immagine di un Dio così sadico, che per essere ripagato delle offese esige la morte, il sacrificio dell’unico figlio. È un Dio da sfatare, da avere in orrore.
Gesù dice qualcosa di importante: la storia non è portata avanti in maniera arbitraria dai grandi condottieri e noi siamo delle pedine trascinate da loro; nella storia c’è un progetto inserito da Dio, è lui che lo ha in mano e lo porta avanti e si identifica con le scritture.
Troviamo il progetto di Dio in tutto quello che ha comunicato al popolo a favore della vita, della sua crescita, in tutto quello di cui il popolo ha bisogno per essere una comunità di gente libera, di gente che si può sviluppare, realizzare. Le scritture ci sono, però dobbiamo tenere presente che Dio inserisce il progetto nella storia, ma lascia l’uomo in piena libertà di accoglierlo o di rifiutarlo, e che possa anche inserirvi meccanismi di violenza e di morte. Dio non vuole la morte del figlio, porta avanti il progetto che non si impone con la forza, con la violenza, o con l’intervento di schiere angeliche, ma si realizza con il dono di sé.
Gesù lo ha capito ed è stata la sua grande testimonianza nel Getsèmani ed è d’accordo che il progetto di Dio si può realizzare solo attraverso il dono della propria vita, come espressione d’amore. Se poi subentra la violenza, in questo caso la morte di Gesù, non è perché Dio l’ha decretata, ma perché dice Giovanni: gli uomini potendo accogliere la luce, hanno preferito le tenebre e lì Dio si sente impotente. Nel Messia impotente che non risponderà con la forza all’aggressione dei suoi nemici c’è la stessa immagine di un Dio che pazientemente dice: l’unica mia possibilità di conquistarvi è quella dell’amore, ma se voi lo rifiutate, sono pronto ad andare avanti lo stesso.
È il senso per intendere il discorso delle Scritture, altrimenti si cade in errori fatalistici per cui è Dio che ha deciso tutto e quando ci capitano le cose brutte, diciamo che Dio lo ha deciso, che doveva succedere così, ma è il contrario della volontà del Padre, perché come dice Gesù: l’unica cosa che vuole per noi, è il bene. Da lui non può venire nulla che sia contrario al bene. Questo lo dobbiamo assimilare perché ci libera dall’immagine di un Dio terribile, che si diverte a far soffrire le persone.
Oggi c’è in atto, una ricerca sconvolgente sulla figura di Gesù, e gli autori vogliono dimostrare a tutti gli effetti che Gesù era più ebreo degli ebrei del suo tempo. Ha osservato la Legge, non è vero che era un contestatore, un trasgressore, che Paolo, Giovanni ce lo hanno presentato in maniera sbagliata. La sua morte? Un tragico errore. Gesù ha fatto una cosa sbagliata nel momento sbagliato. Non possiamo, alla luce del vangelo, sostenere che la morte di Gesù sia stato un tragico errore; la morte di Gesù è la scelta volontaria dei rappresentanti delle istituzioni religiose di eliminare colui che può essere il più grande pericolo perché insegna una proposta nuova, il contrario di quanto loro dicevano. Gesù è la conferma che il progetto di Dio si realizza, compie le Scritture; Dio nonostante il rifiuto dell’uomo va avanti, non si tira indietro, Gesù è la conferma di un’apertura totale, del dono d’amore da parte di Dio a tutti gli uomini.
55 “In quell’ora Gesù disse alla folla: “Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio per insegnare e non mi avete arrestato”. È l’unica volta in cui Gesù si difende, non accetta come vanno a catturalo, perché sono con le spade e i bastoni, comese fosse un brigante. Matteo sta accennando agli zeloti, un gruppo di fanatici terroristi. Gli zeloti pensavano di poter combattere con la forza il potere invasore romano, e la coalizione del Tempio, rappresentata dalla casta sacerdotale.
Gesù viene considerato un pericolo come se fosse uno zelota. La cosa veramente subdola è che ai mandanti della cattura interessa presentare Gesù come terrorista, un brigante. Gesù non accetta l’accusa e si difende dicendo: io non sono un brigante da catturare di notte, con spade e bastoni; io sono stato tutti i giorni al tempio ad insegnare (vuol dire avere l’autorità per fare quel tipo d’insegnamento) e non avete fatto niente. Gesù rivendica la sua funzione di persona pacifica, che ha voluto insegnare e non si può confonderlo con un brigante o con uno zelota.
L’evangelista ci informa che Gesù introduce la sua difesa con l’espressione temporale in quell’ora. Che cosa centra ricordare il momento in cui Gesù lo ha detto? Non si indica un momento qualunque. Nell’Antico Testamento si parla dell’ora di Jahve per dire che è il giorno in cui porterà a compimento la salvezza. Matteo dice che per Gesù è arrivato il momento di manifestare questa salvezza. La vita di Gesù, secondo Matteo, è minacciata sin dall’inizio, appena nato lo vogliono far fuori, poi ci saranno diverse occasioni in cui si deve ritirare perché lo vogliono far fuori, ma quando arriva la sua ora, Gesù è pronto per manifestare la qualità d’amore del Padre. Non si tira indietro, va avanti rivendicando la sua identità, non come un brigante, ma come un maestro che ha insegnato pubblicamente davanti agli altri. Questa è la prima umiliazione che vogliono infliggere a Gesù, di passare davanti alla gente come un bandito, perché lo hanno catturato di notte con una folla armata di bastoni e conta l’immagine! E questo vale anche nella nostra cultura.
56 “Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti”. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo fuggirono. Per la seconda volta l’evangelista si rifà alle scritture, al loro adempimento e non è da intendere che ogni particolare era previsto da Dio e Dio sapeva come andava a finire tutto, ma è la conclusione logica del progetto di Dio. Dio non ha altra maniera di farsi conoscere se non attraverso Gesù, che in questo momento non oppone resistenza agli avversari, va avanti dimostrando che con l’amore si può realizzare la scrittura, il progetto.
L’evangelista è molto abile nel richiamare tanti episodi che abbiamo già visto nel vangelo e se abbiamo una memoria agile, l’espressione ci deve ricordare 4,11, le tentazioni nel deserto. In questo gesto in cui i discepoli dicono: lasciandolo, fuggirono, abbiamo le stesse parole che l’evangelista ha posto alla fine dell’episodio delle tentazioni nel deserto.
Abbiamo parlato che nel Getsèmani Gesù prega tre volte per ricordare le tre tentazioni e nel deserto Gesù risponde al satana con la Scrittura, prendendo in mano la parola di Dio e dimostrando che sarà sempre fedele alla sua parola e al suo progetto. Il satana alla fine viene sconfitto nel vedere che Gesù non tradisce la parola per aderire alle sue proposte e l’episodio si conclude: allora il diavolo lo lasciò. Nell’episodio dei Getsèmani si dice: allora tutti i discepoli lo lasciarono e fuggirono. Come si sono comportati i discepoli dopo la cena, nel Getsèmani? Hanno ostacolato la decisione di Gesù di andare avanti in piena fedeltà al progetto del Padre; i discepoli hanno dormito, manifestandosi non solidali con quello che Gesù stava per affrontare. Il dormire o riposare era come se loro fossero entrati nell’ambito della morte, stanno dalla parte della morte non dalla parte della vita. I discepoli hanno risposto con la violenza a quelli che andavano a prendere Gesù, non assimilando affatto il suo insegnamento. Si sono dimostrati sempre apertamente discordi con la sua parola e quando vedono che non c’è più niente da fare e che Gesù è deciso ad andare avanti per la sua strada, lo lasciano, come lo ha lasciato il satana. Non possono bloccare Gesù nella sua decisione di portare avanti il progetto del Padre.
Per questo Gesù è il vero padrone della scena; non i discepoli che lo abbandonano e non quelli che vanno a prenderlo o Giuda. Gesù è il vero padrone, perché nonostante gli ostacoli, i discepoli, gli avversari che lo vogliono umiliare, presentandolo come un bandito, va avanti. L’evangelista in questo momento così critico, ci dice chi sono i veri tentatori di Gesù, chi sono stati coloro che lo hanno voluto mettere alla prova. Sono parecchi, i discepoli compresi che lo lasciano completamente solo. È interessante fare un accostamento dei termini perché ci dà tanta luce sull’insegnamento comunicatoci da Matteo. Pietro in maniera molto arrogante ha chiesto a Gesù: ma noi che abbiamo lasciato tutto, che cosa ne otterremo? Non è vero che i discepoli avevano lasciato tutto, Matteo ora ci dice chi hanno lasciato veramente perché non erano maturi per dare, come Gesù, un gesto di amore incondizionato e di fronte alla scelta di cosa lasciare, lasciano Gesù e si tolgono di mezzo.
57 Quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Gesù dopo che è stato arrestato nel Getsèmani, viene portato direttamente al palazzo del sommo sacerdote Caifa. All’inizio del capitolo si parla di un raduno da Caifa, per ordire la cattura e la morte di Gesù e ora invitandolo al suo palazzo, l’evangelista ci sta dicendo che il vero mandante dell’arresto e della morte è la più alta autorità religiosa del popolo giudaico. Si parla anche degli scribi e questi tre gruppi, i sommi sacerdoti, gli anziani (sono i senatori, l’aristocrazia civile, i ricchi) e gli scribi (hanno l’insegnamento ufficiale), formano il sinedrio, l’alto tribunale giudaico che doveva giudicare le questioni all’interno del popolo.
Sappiamo dai testi dell’epoca che il sinedrio non si radunava mai, per una sessione ufficiale, nella casa del sommo sacerdote, ma nella sua sede. L’evangelista dirà, tra qualche versetto, che l’intenzione di questi che si incontrano non è di fare un processo legale a Gesù, ma trovare un’accusa per condannarlo e toglierlo di mezzo. La condanna, come il vangelo dirà all’inizio del capitolo 27, è stata già decisa. Si erano radunati per vedere come catturalo e farlo morire, ora si radunano per dire di essere al punto finale: possiamo farlo. Il sommo sacerdote Caifa, sarà l’unico che interviene nel processo, viene ricordato per ben sei volte indicando il ruolo preminente che ha avuto in tutto il processo. Ma c’è una piccola parentesi,
58 Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote ed entrato dentro si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione. L’evangelista è molto abile e da questo momento comincia a raccontarci i due processi paralleli: nella sala di Caifa ci sarà il processo a Gesù; nel cortile con i servi, ci sarà il processo a Pietro. Processi che avranno due esiti completamente diversi e vedremo chi si è dimostrato una persona che ha conservato la sua identità e la sua autonomia.
Pietro era colui che si era dichiarato al versetto 35 pronto a morire con Gesù: anche se tutti ti rinnegheranno io non ti rinnegherò e sono pronto a morire e per questo Matteo dice che – tra quelli che fuggono – Pietro rimane in lontananza e segue Gesù. Pietro non ha ancora rinunciato alla speranza che Gesù possa porre resistenza e si dichiari, di fronte ai suoi avversari, un Messia potente. Pietro segue Gesù da lontano, non è una vera sequela, non è pronto ad accettare il destino di Gesù; tra poco è quello che lo rinnega, è lì soltanto per alimentare le sue false speranze che Gesù all’ultimo momento possa fare il colpo di scena e manifestarsi con tutta la potenza di un Messia con schiere angeliche.
Pietro entra nel palazzo del sommo sacerdote, si mette a sedere tra i servi e forse tra la folla, che era andata a catturare Gesù. Questo potrebbe sembrare un aneddoto, invece è importante, perché Pietro ha fatto già la sua scelta di mettersi dalla parte di quelli che ritengono che con la violenza si può risolvere la situazione, non ha fatto la scelta dalla parte di Gesù, che gli aveva detto di rimettere la spada nel fodero. In maniera molto ironica l’autore dice che finisce con i subalterni, con quelli che stanno sotto il potere delle autorità in un ambito di morte.
59 I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte. Matteo è brutale, questi l’hanno combinata grossa, si parla del sinedrio, la più alta autorità del popolo giudaico che ha già deciso tutto, Gesù sarebbe stato fatto fuori. Non si tratta di fare un processo per dichiarare se l’accusato è colpevole o innocente, ma per trovare un modo per condannarlo; serve un’accusa, questo deve essere condannato! Sono messi in primo piano i sommi sacerdoti, che hanno il potere in mano, sono i più accaniti avversari di Gesù e non vedono l’ora di eliminare Gesù di Nazareth, che ritengono il pericolo più grave per la loro stabilità.
Cercavano una falsa testimonianza, era uno dei divieti che la Legge di Mosè osservava: non dirai falsa testimonianza. Non è non dire bugie, come a volte si può insegnare nel catechismo! Nella Legge si dice: tu non andrai mai in un tribunale a dichiarare colpevole uno che è innocente e con la tua parola non puoi mettere a rischio la vita di un altro. I sommi sacerdoti non si fanno assolutamente nessuno scrupolo della Legge e se non serve ai loro interessi la possono trasgredire tranquillamente. Matteo è brutale, perché conosce le norme di purità, sa che il sommo sacerdote era ritenuto ad osservarle con precisione.
Se il sommo sacerdote non faceva quello che era stabilito dalla Legge, il culto non poteva svolgersi. Quando doveva andare al tempio per certi rituali, era portato via da casa due giorni prima, a parte che non poteva avere rapporti con la moglie e se la notte, prima di fare il rito, avesse avuto un sogno erotico e avesse avuto una eiaculazione notturna tutto era bloccato: era impuro. Non si scherzava con le norme di purità. Questi che tengono tanto ad osservare le norme di purità non badano al cuore impuro e come ha detto Gesù (Matteo15,19): non è quello che viene da fuori che vi contamina, ma è quello che esce dal cuore. Quello che contamina l’uomo sono i pensieri malvagi, gli omicidi, le false testimonianze. Per vedere la falsità del tribunale, a questi scrupolosi osservanti delle norme di impurità, non importa che il loro cuore sia pieno di cattiveria. Gesù deve essere condannato con una falsa testimonianza, non c’è alcuna ricerca della verità, ma persecuzione.
Gesù ne ha già parlato nel discorso della montagna, nelle beatitudini, e ha detto: beati voi quando vi perseguiteranno e vi insulteranno e mentendo diranno ogni sorta di male per causa mia. L’arma della calunnia, della menzogna è usata dal potere religioso per colpire il proprio avversario e non importa l’innocenza o meno dell’individuo; l’unica cosa è che il suo potere venga lasciato in pace, non venga minimamente sfiorato, e per annientare risponde con le peggiori armi.
60 ma non ne trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Anche qui Matteo è un po’ ironico perché anche per essere bugiardi bisogna essere ben preparati, non basta la falsa testimonianza, deve quadrare bene. Il processo per essere legale doveva tener conto dei testimoni (ed è quello che la Legge diceva), tanto per accusare quanto per difendere l’imputato. I sommi sacerdoti cercano un’accusa pesante per condannare Gesù, la morte è già stata decisa, e questo ha messo in maggiore evidenza l’innocenza di Gesù. Il fatto che debbano cercare qualcosa per condannarlo, vuol dire che è una persona innocente, che non ci sono dei veri motivi per dichiararlo colpevole, ma bisogna essere bravi a mentire, anche se ci sono testimoni pronti con le proprie menzogne a dare piacere al potere, trasgredendo la Legge di Dio. Non è detto che non siano stati comperati con del denaro; Matteo non lo dice, ma si intuisce perché quando si parlerà della resurrezione i sommi sacerdoti daranno i soldi alle guardie perché dicano che il corpo di Gesù è stato rubato. Se lo faranno con le guardie, lo potevano fare tranquillamente con i testimoni per comprarne la falsa testimonianza. Nel tribunale, l’alta corte di giustizia di Israele, Matteo ci descrive la parodia di un processo legale, l’unica cosa che a questa gente importa è l’immagine, tutto si faccia secondo la legge, pur sapendo che l’intenzione è ben diversa.
Alla fine se ne presentarono due 61 dicendo: “Costui ha detto: Posso distruggere il santuario di Dio e ricostruirlo in tre giorni. Secondo la Legge per sostenere la validità di un’accusa devono esserci due testimoni, non ne basta uno. Si presentano questi due e dicono che Gesù avrebbe minacciato di distruggere il santuario, Matteo non dice il tempio, qui si parla della parte più sacra all’interno del tempio, il santo dei santi, dove c’era la gloria di Jahve. Dal vangelo di Matteo e dagli altri vangeli sappiamo che Gesù ha affermato queste cose per le quali viene accusato; è vero che in Matteo 24 Gesù ha profetizzato la fine del tempio, ma non per mano sua, lo distruggeranno le truppe romane.
In Matteo non troviamo nessuna traccia di ricostruirlo in tre giorni. Èun retaggio del vangelo di Giovanni. In cosa consiste la falsa testimonianza di questi due? Secondo la tradizione religiosa il Messia era l’unico che poteva distruggere e ricostruire il santuario di Gerusalemme, per restaurare la sua gloria. Il santuario era in qualche modo inquinato e dalla presenza dei romani e dal clero corrotto, non sempre ligio ad osservare le norme. Era un tempio ricostruito da Erode, era paganeggiante, ellenizzante e il Messia era l’unico che poteva distruggerlo e ricostruirlo. Accusano Gesù di essersi proposto come il Messia, e poteva essere già una prova sufficiente per portarlo da Pilato come un sobillatore politico, che attenta alla maiestas di Roma. Se questo è un re glorioso e potente, che cosa ci sta a fare l’imperatore?
Indirettamente i falsi testimoni presentano il trionfo di Gesù, i tre giorni di cui si parla è un’allusione alla resurrezione. Gesù nell’annuncio della sua morte ha sempre detto che dopo tre giorni risusciterà e i falsi testimoni accusando Gesù, dichiarano che i tentativi dell’alto tribunale di eliminarlo falliranno e Gesù verrà addirittura esaltato. Le parole dei falsi testimoni anticipano la grande manifestazione che Matteo presenta nella morte di Gesù, quando si strappa il velo del tempio. L’immagine del santuario distrutto è per dire che l’unico vero santuario dove splende la gloria di Dio è quell’uomo appeso alla croce; lì Dio dimora e risiede.
62 Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?” 63 Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. È stata ascoltata l’accusa, non ha avuto esito positivo perché Gesù rimane zitto. In qualità di giudice supremo della corte interviene Caifa perché Gesù si pronunci, dica qualcosa per scolparsi. Al sinedrio interessa che Gesù faccia una dichiarazione per poterlo cogliere in fallo e dichiararlo colpevole. Gesù rimane in silenzio.
In tutto l’episodio anche se Gesù non fa grandi cose, è il vero padrone della situazione; rimanendo in silenzio nega qualunque autorità al tribunale perché ha capito che la loro intenzione è soltanto violenza omicida, che non c’è alcun dialogo e allora nessuna risposta all’accusa. Il sommo sacerdote visto che c’è assenza di risposta, gli pone una domanda chiave, mettendolo alle strette. Gli chiede se è veramente il Messia, è il motivo che aspettano per poterlo condannare davanti a Pilato. La formula che adopera Caifa: Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo il Figlio di Dio, non è sulla divinità di Gesù. Il Messia era Figlio di Dio in senso metaforico, era il protetto da Dio, era colui che doveva ricevere l’aiuto dall’alto per realizzare il compito che gli era stato affidato. Il Messia non era di natura divina e Caifa non chiede a Gesù che si pronunci sulla sua figliolanza divina, ma che si pronunci se lui è il Messia, luogotenente di Dio nella storia. È quello che preoccupa il sinedrio, perché secondo la tradizione dell’epoca il Messia doveva sistemare prima di tutto il clero corrotto e la casta sacerdotale e avrebbe trionfato sui suoi nemici. La domanda del sommo sacerdote ci ricorda la confessione così detta di Pietro a Cesarea di Filippo. Pietro aveva detto a Gesù: tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente, per indicare in Gesù la sua qualità di inviato da Dio.
64 “Tu l’hai detto – gli rispose Gesù – anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza di Dio e venire sulle nubi del cielo”. Gesù non dice né si né no, risponde con le stesse parole che ha rivolto durante la cena a Giuda, che gli chiedeva se era lui il traditore: tu l’hai detto, sei tu che confermi le parole che dici.
Gesù non si rivolge soltanto a Caifa, sommo sacerdote, ma, parlando al plurale: io vi dico, a tutto il sinedrio lì radunato. Matteo unisce due testi importanti, da una parte il salmo 110,1 dove si legge: dice il Signore al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi” Gesù dice il Figlio dell’uomo, non Messia, seduto alla destra della potenza, come dice il salmo. È una perifrasi per non parlare di Dio, è l’attenzione di Matteo di origine giudaica, di non usare il nome di Dio in prima persona, ma alcune espressioni. A questo salmo Matteo aggiunge un altro detto (è una mescolanza esplosiva, che farà incavolare il sommo sacerdote) preso da Daniele 7,13 in cui parlando del Figlio dell’uomo dice: ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Le stesse cose di Gesù, unendo i due testi. Il Messia che siede alla destra (non su una realtà terrena, come pensavano che doveva fare il Messia) investito della massima autorità divina: sulle nubi del cielo. Le nubi del cielo nella mitologia antica, erano il veicolo della divinità; soltanto gli dei cavalcavano sulle nubi, era un loro mezzo bizzarro di trasporto.
Gesù usando questa espressione parla del Figlio dell’uomo, espressione da lui usata per indicare la novità del suo essere Messia: non quello della tradizione, che usa la forza, o spera nell’intervento potente dall’alto, ma l’uomo che risplende della stessa condizione divina. Accanto alla destra di Dio siede l’uomo che ha raggiunto il massimo di umanità e chi la raggiunge è come Dio stesso. È la dichiarazione di Gesù che aggiunge: d’ora innanzi, dal momento che mi mettete alle strette e mi porterete sul patibolo, il Figlio dell’uomo manifesterà tutta la sua potenza anche se agli occhi della gente potrà sembrare uno sconfitto. Rivendica per sé non soltanto la protezione che Dio doveva dare al Messia, come Figlio suo, ma la stessa condizione divina come uomo che ha raggiunto la sua pienezza. Parlando del progetto di Dio, quello che si deve realizzare è che l’uomo possa raggiungere la condizione divina e sedere alla destra dell’Altissimo, per essere della sua stessa condizione instaurando un rapporto di piena uguaglianza.
65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: “Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?” E quelli risposero: “È reo di morte!”.È l’unica volta in cui ha parlato, per dire vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della potenza sulle nubi e il sommo sacerdote, massimo rappresentante dell’istituzione dice: ha bestemmiato e la bestemmia, nel libro del Levitico, era punita con la pena di morte; il bestemmiatore merita la morte.
Adesso a Caifa sembra assolutamente intollerabile non tanto la pretesa che Gesù sia il Messia e poteva essere il motivo per portarlo da Pilato come sobillatore politico, quanto che abbia rivendicato per sé la condizione divina, questo è una bestemmia. Nessuno si può mettere allo stesso livello di Dio, non si può dire che il Figlio dell’uomo siede alla destra della potenza e che viene sulle nubi, affermando di essere lui e Dio la stessa cosa; Gesù sta attentando all’unicità di Dio, che non può essere messo a livello degli uomini. E la bestemmia non ha bisogno di testimoni, tutti l’hanno ascoltata, non devono cercare altre false testimonianze, e non causa tanta meraviglia nella corte del sinedrio.
Il sommo sacerdote dice: ecco, avete udito; già si sapeva perché quando Gesù nell’episodio del paralitico gli ha perdonato i peccati, gli scribi avevano detto: costui bestemmia, perché nessuno poteva perdonare i peccati, se non Dio. Gesù rivendicava anche come uomo la sua condizione divina e la bestemmia viene ricordata ora e non hanno più bisogno di testimoni. Di fronte a Gesù, uomo che raggiunge la pienezza di sé e dove risplende la condizione divina, la capacità di comunicare la stessa vita di Dio, l’evangelista dice (il paradosso di Matteo) che il sommo sacerdote si strappò le vesti, segno di morte, di lutto, in quanto di fronte alla morte di una persona cara ci si strappava le vesti. Il Talmud indicava che quando il giudice ascoltava una bestemmia si strappasse la veste come segno di aver ascoltato qualcosa di mortifero. Nessuna meraviglia, Gesù è reo di morte e tutti sono d’accordo sulla condanna, il sinedrio al completo.
Lo accusano di essere un bestemmiatore, ma questa condanna a morte presentata come già decisa fin dall’inizio, comporta per i rappresentanti dell’istituzione religiosa, per i membri del sinedrio di essere colpevoli di quel peccato imperdonabile di cui Gesù aveva parlato ai suoi discepoli: la bestemmia contro lo Spirito.
Sono loro i veri bestemmiatori, perché dichiarano male quello che è buono e buono quello che è male. I rappresentanti del sinedrio attirano sulla propria testa il peccato imperdonabile della bestemmia contro lo Spirito rifiutando in maniera completa l’amore di Dio. Non ne vogliono sapere niente dell’amore offerto, è qualcosa di brutto, l’unica cosa che vale è la violenza. I sacerdoti, ritenuti pastori d’Israele, si sono dimostrati lupi pericolosi e porteranno il popolo alla rovina, loro che si vantavano di esserne le guide. È un monito contro tutti quelli che si vogliono presentare come guide del popolo e nella dinamica di morte porteranno tutti alla rovina.
67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; il processo è stato una farsa, il sentimento di vendetta contro Gesù è ciò che muove il tribunale del sinedrio. Le autorità non hanno mai sopportato Gesù, gli ha dato sempre un grande fastidio, finalmente possono mettergli le mani addosso, è reo di morte e scatenano un odio e un furore incredibile: gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono.
Gesù aveva detto ai suoi discepoli nel Getsèmani: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani dei peccatori; questi sono i peccatori. Abbiamo già detto che il peccatore non è quello che fa la trasgressione, è quello che va contro il modello dell’uomo che Gesù manifesta. Il peccato non è tanto la trasgressione che si può commettere, quanto la posizione di rifiuto di fronte al modello di uomo che Gesù mi ha mostrato, un modello di uomo in cui il bene di questo uomo è la cosa più importante che esista, l’uomo è l’assoluto non la Legge. Il bene dell’uomo conta come assoluto agli occhi di Dio e i peccatori sono quelli che rifiutano il modello di umanità con lo scherno e con l’odio. Gesù è il modello di umanità disprezzato in un crescendo di violenza con lo sputo in faccia. La faccia è la persona, non tanto il volto: sputo su tutta la tua persona, mi fai schifo; poi c’è la violenza fisica con lo schiaffeggiare che dà sfogo al furore del tribunale dei sinedriti.
Gesù ha parlato del compiersi delle scritture, è un richiamo alla figura del servo sofferente di Isaia, che riceve lo scherno, il disprezzo dalla sua stessa gente e prende questo come uno strumento per dare vita allo stesso popolo.
altri lo bastonavano 68 dicendo: “Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?”.Èla burla, un crescendo di disprezzo nei confronti di Gesù, prendono in giro la sua immagine di Dio; tu ci hai detto che d’ora innanzi vedrete salire il Figlio dell’uomo sulle nubi, seduto alla destra, ma dov’è questo Dio?
Lo prendono in giro dandogli delle botte e chiedendo che indovini l’identità di quello che lo colpisce, è una burla contro la pretesa di Gesù di essere il Messia diverso da quello della tradizione. Secondo i sommi sacerdoti e i membri del sinedrio, questo è l’evidenza di un Dio impotente, di un Gesù fallito, pretesa di un Dio la cui unica forza è quella dell’amore che si concede all’altro in maniera incondizionata.
Alla fine di questo episodio abbiamo due immagini di Dio: il Dio della religione che è il Dio della forza, del potere, che può portare alla trasgressione delle stesse norme pur di aumentare il proprio potere; e il Dio di Gesù che è un Dio debole, impotente, paziente, la cui unica arma è quella del dono di se stesso, il cui amore possa essere accolto come espressione di tutta la stima e tutta la fiducia che nutre per l’uomo. Gesù di fronte alle provocazioni non risponde, rimane impassibile davanti al disprezzo.
69 Pietro intanto stava seduto fuori, nel cortile. Gli si avvicinò una servetta e disse: “Anche tu eri con Gesù il galileo!” Al momento dell’arresto di Gesù ha scritto l’evangelista: tutti i discepoli abbandonatolo si diedero alla fuga. Quindi, quando Gesù è stato arrestato tutti scappano, uno solo resta, Pietro, che non fugge, ma non è capace di seguire Gesù. E l’evangelista dice: se ne stava seduto, per noi per la comprensione del brano che Pietro fosse seduto, in piedi, sdraiato, non mi sembra molto importante, ma per l’evangelista si! Seduto, letteralmente il verbo sedere significa stare installati, radicati, significa la completa immobilità di questo discepolo, è incapace di seguire Gesù nel suo destino, ma è incapace di fare un’altra scelta, se ne sta seduto.
Fuori, questa indicazione nel vangelo di Matteo è sempre teologica, quando appare l’espressione fuori significa esclusione dal Regno di Dio, esclusione dall’ambito di Gesù. Fuori stanno la madre e i suoi fratelli che lo mandano a chiamare, fuori sono coloro che sono destinati la dove sarà pianto e stridore di denti, quindi Pietro si situa fuori dell’ambito di Gesù. “Gli si avvicinò”, a volte i traduttori sono molto approssimativi, e qui l’evangelista non scrive “serva”, ma adopera il diminutivo greco della parola che è “servetta”, e indica una ragazza dodicenne che fa la serva. Perché è importante questa precisazione dell’evangelista? Perché abbiamo visto che Gesù affronta la persona che sta più alta nella gerarchia sociale, il sommo sacerdote, l’uomo che rappresenta Dio, quindi Gesù affronta il sommo sacerdote e di fronte a lui riconosce di essere il Figlio dell’uomo, cioè l’uomo che ha raggiunto la pienezza della sua maturità. E Pietro, Pietro non deve affrontare un sacerdote, Pietro si trova di fronte ad una servetta, cosa significa il fatto che è una servetta? È una donna, e le donne erano all’ultimo posto nella scala sociale, è una fanciulla, quindi una ragazzetta che non viene considerata, e sopratutto è una serva.
Allora l’evangelista con grande abilità presenta Gesù col massimo rappresentante dell’istituzione religiosa, l’uomo che è al vertice della scala sociale, Pietro si trova di fronte ad una servetta, una ragazzetta sui 13 anni che fa la serva. “E gli disse: anche tu eri con Gesù il galileo”. È l’ultima offerta che viene fatta a Pietro, la servetta gli ricorda che lui era con Gesù. Stare con Gesù era l’atteggiamento tipico del discepolo. È un’offerta, Pietro può ancora scegliere di stare con Gesù oppure di abbandonarlo. Ma Gesù viene descritto, ed è l’unica volta nel vangelo di Matteo, come il Galileo; questa indicazione non esprime soltanto la regione di provenienza: il Galileo. Galileo, all’epoca di Gesù era sinonimo, significava, un ribelle, un rivoluzionario, quindi l’atto di accusa con il quale avevano arrestato Gesù, è quella di essere un rivoluzionario. Infatti questa espressione: Gesù il galileo, è affine a quello che troviamo negli Atti degli Apostoli, dove si ricorda Giuda il galileo, chi era Giuda il galileo?
Quando Gesù è nato venne fatto un censimento Giuda il galileo rifiutò questo censimento perché fare il censimento significava riconoscere l’imperatore romano, e loro che non riconoscevano nessuno se non il Signore si oppongono e fecero una rivolta che fu un massacro e i figli di Giuda il galileo vennero crocefissi. Quando Gesù verrà crocefisso insieme a lui verranno crocefissi altri due; il termine banditi indica gli zeloti, quelli che nacquero poi da questa insurrezione.
Giuseppe Flavio uno storico dell’epoca, dice: i galilei sono bellicosi fin da piccoli. Quindi dire: Gesù il galileo, non indica proveniente dalla Galilea, ma significa: anche tu eri con Gesù il rivoluzionario, eri con Gesù il sovversivo. Quindi la domanda riflette l’opinione della gente sottomessa all’istituzione religiosa che ha bollato Gesù come un elemento pericoloso.
Allora Pietro, anche tu eri con Gesù in Galilea, se dice di si è destinato a fare la stessa fine perché l’ordine di cattura non era solo per Gesù, ma era per tutto il gruppo, in quanto la pericolosità non è solo di Gesù, ma è del messaggio che i suoi possono divulgare.
70 Ma lui negò (è la prima volta) davanti a tutti dicendo: “non so che cosa dici”. Pietro non risponde all’accusa della serva, finge di non capire di che cosa stia parlando, ma per l’evangelista non si tratta di comprensione, è una vera negazione.
Pietro nega di conoscere Gesù, Gesù nel suo insegnamento era stato chiaro, ecco perché l’evangelista ci riporta questo testo, o si è con lui o contro di lui. Stare come Pietro seduto fuori non è possibile, o si sta con lui e si raccoglie verso Gesù o si sta contro di lui e si disperde. Incapace di riconoscerlo davanti agli uomini, Pietro finisce per rinnegarlo davanti a tutti.
È stata una serva che gli ha chiesto anche tu eri con lui, lui nega, ma non nega alla serva, nega davanti a tutti, vuole che tutti quanti lo ascoltino, non gli basta rispondere alla serva, risponde e nega davanti a tutti, che non ci sia il dubbio che lui appartiene al gruppo di Gesù.
Allora lui negò davanti a tutti. Come aveva detto Gesù chi non mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti agli uomini. E Pietro vista la mala parata, cerca di uscire, ma sbaglia direzione, anziché andare verso Gesù, che lo avrebbe accolto, e rafforzato, va verso l’uscita e verso la perdizione.
71 Mentre usciva verso la porta, sembra quasi di vederlo questo Pietro, la situazione va male, sta andando alla chetichella verso la porta
lo vide un’altra, non c’è il termine servetta o serva c’è soltanto un’altra,
e disse ai presenti: allora la prima si rivolge direttamente a Pietro, Pietro in maniera che tutti quanti lo sentano ha detto non so di che cosa parla, vista la mala parata Pietro sta guadagnando alla chetichella l’uscita, ma un’altra servetta dice ai presenti, cioè a quelli che hanno sentito la sua smentita
“Costui era con Gesù, il Nazoraio, qui c’è un termine che già abbiamo visto a suo tempo al cap. 2. Costui era con Gesù, prima è stato definito il galileo, adesso è definito il “Nazoraio” che non è “Nazzareno” è strana questa espressione, Nazoraio che cosa significa? Secondo l’intento di Matteo questo termine ha due significati: il primo quello che è più ovvio per i traduttori, prendono semplificandolo proveniente da Nazareth, e questo era un’aggravante dell’essere galileo, perchè Nazareth nella zona montagnosa della Galilea era il rifugio di questi banditi, di questi zeloti. Nel vangelo di Giovanni quando a Nataele gli dicono abbiamo trovato il Messia a Nazareth, lui risponde scettico, da Nazareth? Non può venire niente di buono. Quindi allora il primo significato è quello che proviene da Nazareth, cioè un ribelle.
Il secondo significato, si deve ad una parola ebraica, che è “Neser” che significa germoglio, virgulto, e indicava il Messia.
Perché nella profezia di Isaia, Is. 11,1 il Messia atteso veniva descritto così: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse un virgulto germoglierà dalle sue radici, su di lui si poserà lo Spirito del Signore”, allora l’evangelista che non scrive Nazzareno, e non scrive nezer, adopera questo termine Nazoraio che racchiude le due interpretazioni, proviene da Nazareth ed è il Messia. Questo è il capo d’accusa contro Gesù.
72 Ma egli di nuovo (siamo alla seconda negazione) negò con un giuramento, e questa volta è proprio alla deriva, la frana di quest’uomo. Gesù aveva proibito ai suoi il giuramento, perché il giuramento era una caratteristica degli scribi e farisei, che Gesù definisce ipocriti, serviva sempre per salvaguardare il proprio prestigio, o il proprio interesse e Gesù aveva detto no! Tra di voi dovete essere schietti, cristallini, non c’è bisogno di giurare per essere creduti, perché quello che avete nella lingua è anche quello che avete nel cuore. Allora Gesù vieta la pratica del giuramento ai suoi.
Ebbene Pietro proprio sta franando completamente, non solo nega di nuovo, ma lo fa con un giuramento, ma questo giuramento era anche più grave perché se prima ha fatto finta di non capire, non so che cosa dici, adesso si rivolge, ed era il discepolo che Gesù ha curato più di tutti gli altri, Pietro, si rivolge alla serva con queste parole
“non conosco quell’uomo”, poteva dire Gesù, evita di pronunciare il nome di Gesù, il discepolo amato dal Signore, evita di pronunciare il nome e si rivolge a Gesù con disprezzo per far vedere che lui con Gesù non ha nulla che fare, dice: non conosco “quell’uomo”.
Nell’ultima risposta che Gesù aveva dato al sommo sacerdote, Gesù si era definito il Figlio dell’uomo, Figlio dell’uomo significa l’uomo che ha raggiunto la pienezza dell’umanità che coincide con la condizione divina, che non è una caratteristica solo di Gesù, ma una possibilità per tutte le persone. Tutti coloro che sviluppano attraverso il dono di se, e sviluppano le proprie capacità di potenzialità umana, raggiungono la condizione divina, diventano Figli di Dio. Quindi Gesù di fronte al sommo sacerdote si è definito il Figlio dell’uomo, Pietro davanti alla servetta definisce Gesù quell’uomo che significa quel povero uomo. Quindi Pietro non riconosce in Gesù la realizzazione del progetto del Padre sull’umanità. Quell’uomo sconfitto, per Pietro, non manifesta la gloria di Dio, ma è soltanto un poveraccio: quell’uomo.
Pietro si comporta peggio di Giuda, Giuda almeno si era rivolto a Gesù chiamandolo rabbì, maestro, ebbene Pietro neanche si rivolge a Gesù chiamandolo rabbì, per Pietro è quell’uomo, è un fallito nel quale io non ho più nulla a che fare. E dicendo non conosco, l’evangelista adopera lo stesso termine adoperato da Gesù nella parabola delle 10 ragazze 5 pazze e 5 sagge, e alle 5 pazze Gesù aveva detto: “non vi conosco”, espressione presa dall’ebraico che significa: non ho più rapporti con te. Quindi Pietro con giuramento dice non lo conosco non ho nessun rapporto con quel disgraziato, è un fallito, non è il Messia.
73 Ma dopo poco i presenti tutti quanti gli si accostarono e dissero a Pietro: “davvero anche tu sei di quelli; notate Pietro si è rivolto a Gesù con quell’uomo, con disprezzo, e loro gli ributtano il disprezzo tu sei di quelli.
Infatti il tuo parlare ti fa riconoscere. Cosa significa questo del parlare? I galilei parlavano in una maniera che era sgradevole, sgradita alle orecchie dei giudei, perché non distinguevano le consonanti per cui era facilissimo riconoscere la parlata di un Galileo.
Un aneddoto che c’è nel Talmud, per indicare la difficoltà dei galilei ad esprimersi in perfetto aramaico, si racconta questa storiella: si dice che un galileo andò al mercato di Gerusalemme, a comperare qualcosa che lui chiamava ambr.., allora i mercanti lo deridevano, stupido galileo, nel Talmud i galilei vengono sempre definiti stupidi galilei, stupido galileo vuoi qualcosa da cavalcare perché asino si diceva amor, vuoi qualcosa da bere, perché vino si diceva emer, o vendo sale che si diceva zemer, o il sacrificio di un agnello, imar, quindi questo galileo va al mercato dice che vuole ambr., e nessuno capisce ciò che vuole. Allora la parlata di Pietro lo tradisce, anche lui è galileo.
74 Allora egli cominciò a maledire con forza e a giurare: “non conosco quell’uomo!”. è la deriva totale di Pietro. Questo cominciò ha un significato particolare, ricordate quando c’è stato lo scontro tra Gesù e Pietro? Quando Gesù ha detto: io andrò a Gerusalemme ad essere ammazzato! Pietro aveva afferrato Gesù, lo aveva preso da una parte e aveva detto Dio ti perdoni, perché quello che stava dicendo Gesù era contrario alla volontà di Dio e aveva scritto l’evangelista che Pietro aveva incominciato a sgridare Gesù, ad opporsi alla linea di Gesù perché non riconosceva la linea di Gesù come una linea proveniente da Dio. Comincia a sgridarlo e qui continua a maledire con forza; forse la traduzione imprecare non rende l’idea, il verbo adoperato dall’evangelista significa una maledizione espressa con molta forza e continua a giurare, e di nuovo: non conosco quell’uomo!. Il comportamento di Pietro che passa dalla negazione, allo spergiuro, all’imprecazione, corrisponde alla deriva che lui ha fatto.
Prima si trovava nel cortile, poi esce e adesso esce fuori del tutto. Quindi questo discepolo sta franando completamente. Questo triplice rinnegamento di Pietro, è tanto più grave perché qualche ora prima nell’ultima cena, quando Gesù aveva detto: tutti mi abbandonerete, lui aveva detto, anche se tutti ti abbandoneranno, io sono pronto a morire con te, e non solo, tutti i presenti avevano detto la stessa cosa.
E subito un gallo cantò. Sembra quasi un elemento folcloristico questo del gallo che canta, ma anche questo ha un significato teologico. A quell’epoca credevano nell’esistenza dei dèmoni, che si nascondevano anche sotto delle specie animali, il gallo per il fatto che canta di notte, e la notte era il regno di satana, regno del diavolo, delle tenebre, era considerato il trombettiere del diavolo. Ogni volta che il gallo cantava significava che il diavolo aveva effettuato una vittoria, per questo a Gerusalemme era proibito l’allevamento dei galli. Quindi questo gallo che canta era il trombettiere del diavolo, è satana che canta la sua vittoria.
E il discepolo che più di tutti gli altri Gesù ha curato e amato, proprio questo qui lo tradisce in maniera definitiva. Il numero tre, ricordo quando una cosa nei vangeli è ripetuta tre volte significa: ciò che è definitivo, il numero tre significa completo, è il completo tradimento, e il gallo canta, è la soddisfazione delle tenebre, ma questo verbo “cantare” nella lingua greca si scrive con la parola fonè, una parola che adoperiamo anche in italiano fonetica, fono, e questa espressione si ritroverà anche nella morte di Gesù.
Sembra strano, Gesù è agonizzante, è stato scorticato vivo perché è stato flagellato, è inchiodato sulla croce, eppure dice l’evangelista, che sulla croce Gesù emise un grido potente, sembra così strano per un moribondo che agonizza; spesso i condannati morivano nel corso della flagellazione, la flagellazione, l’abbiamo già vista non è una frusta ma è una frusta al termine della quale ci sono degli uncini, per cui, ad ogni colpo, viene via un pezzo di carne, normalmente il condannato moriva nel corso della flagellazione, per cui abbiamo un moribondo che agonizza sulla croce, eppure Gesù al momento di morire emette un grido grande, e emettete il suo Spirito.
La vita è più forte della morte, il bene è più forte della cattiveria, quindi al tradimento di Pietro e all’esultanza del diavolo che canta il grido di vittoria ci sarà un grido più forte, il grido, il fonè che verrà indicato per Gesù “megale”, anche questo è un termine che conosciamo nel linguaggio, è, megagalattico, mega, e comunicherà il suo Spirito.
Ma lascia uno spiraglio per questo disgraziato di Pietro che nel vangelo di Matteo non fa una bella figura.
75 Si ricordò Pietro della parola di Gesù, che aveva detto: “prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte”. Pur ricordando l’avviso di Gesù, Pietro ha ancora una possibilità il gallo canta accidenti Gesù lo aveva detto che lo avrei rinnegato, ha ancora la possibilità di dare adesione a Gesù, ma Pietro non recede dal suo rinnegamento, avrebbe ancora la possibilità di seguire Gesù, ma adesso, come in precedenza di fronte alla sua spavalderia, sono pronto a morire per te, si ricorda delle parole di Gesù: lo spirito è pronto, ma la carne è debole (ver.41)
E uscito fuori, ricordo che il termine fuori indica quelli che si pongono fuori del Regno di Dio. Pietro fa la sua scelta, il gallo gli ha ricordato le parole di Gesù, lui ha ancora la possibilità di dare adesione a Gesù, e fa la sua scelta definitiva: esce fuori, si colloca fuori, fuori significa nell’ambito delle tenebre, dove l’azione di Dio non arriva e
pianse amaramente. si è pentito? si vuol sempre salvare la figura di Pietro, ma che Pietro si sia pentito, l’evangelista non lo dice, e poi da che cosa si deduce? Ah! perché dopo si ritrova, ma quello è un’altro conto Qui il piangere amaramente di Pietro non indica pentimento. Della figura di Giuda viene espressamente detto che si pentì, di Pietro no! esce fuori e piange amaramente.
L’evangelista calcola ogni parola, calibra ogni indicazione; il piangere amaramente era l’atteggiamento che veniva adoperato per i defunti per i quali non c’era più nessuna speranza. Allora Pietro qui non piange perché pentito, se si fosse pentito si sarebbero dovuti vedere gli effetti, sarebbe rientrato dentro e avrebbe seguito il suo Signore. Pietro piange amaramente perché non fa altro che constatare il fallimento di Gesù e il suo fallimento. Nel vangelo di Luca, quando Gesù muore, il famoso episodio di Emmaus, i due discepoli dicono avevamo creduto che lui fosse il Messia, ha fatto la fine di tutti gli altri.
All’epoca di Gesù i messia nascevano come funghi, ogni tanto spuntava qualcuno che diceva: sono il messia e tutti dietro, c’è sempre nella storia qualche pifferaio magico e tutti gli vanno dietro allegramente. Quindi all’epoca di Gesù spuntavano questi messia e raccoglievano qualche centinaio di persone ed ogni volta era un bagno di sangue.
Questa volta la delusione è stata causata da Gesù, che è il fallito, credevamo che fosse il Messia e invece.., perché non era concepibile che il Messia venisse sconfitto. Quindi piange amaramente che significa è fallito Gesù ed ho fallito io che ho seguito la persona sbagliata.
Da questo momento nel vangelo di Matteo Pietro non appare più. Allora ci si chiede, ci sarà una speranza per Pietro? Come di fatto poi ci sarà, da cosa viene la speranza per Pietro? Da due indicazioni contenute nel vangelo, l’ultima l’abbiamo vista, al canto di vittoria delle tenebre corrisponde il grido potente di Gesù, quindi il bene è sempre più forte della tenebra. Anche se Pietro ha tradito Gesù, Gesù sarà fedele a Pietro, quindi il gallo canta, ma Gesù canta ancora più forte.
Poi c’è un’altra indicazione, quando Pietro aveva riconosciuto Gesù come il Figlio di Dio. Gesù lo aveva fotografato dice: tu sei il figlio di Giona. Perché Gesù aveva detto a Pietro che era il figlio di Giona?
Giona è il profeta dell’A.T. l’unico, che ha fatto esattamente il contrario di quello che il Signore gli aveva chiesto. Il Signore gli aveva detto: guarda c’è Ninive, questa città pagana che è un disastro, ho deciso di eliminarla. Vai a predicare, se si convertono non la elimino, Giona ha detto si, se io vado, predico, si convertono, tu non la elimini, bene! Ha preso e invece di andare a est a Ninive, è andato a ovest, ha preso una nave per andare verso la Spagna. Quindi Giona è l’unico profeta che ha fatto esattamente il contrario di quello che il Signore gli aveva annunciato, ma poi Giona si è pentito e ha fatto quello che il Signore gli aveva indicato.
Allora Gesù indicando Pietro come figlio di Giona, vuol dire tu farai sempre il contrario, non per niente che si chiama Pietro, ma alla fine anche tu mi ascolterai. La conversione di Pietro non la troviamo nel vangelo di Matteo, ma nella seconda parte del vangelo di Luca, quella chiamata gli Atti degli Apostoli. Dove? quando Pietro finalmente si converte bussa a quella che oggi chiameremmo la comunità di base, bussa e c’era una servetta che non gli apre, gli fa fare anticamera, quindi come una servetta era stata la causa della sua caduta, una servetta gli permetterà l’ingresso nella comunità di base, di Gerusalemme, una comunità particolare, dove Pietro finalmente decide di rimanere, e quindi per Pietro c’è stata la salvezza che qui nel vangelo di Matteo non sembra avere.
E nel libro degli Atti al cap.12,12 ci sono tre elementi importanti che indicano qual’è la struttura, la caratteristica della comunità cristiana; Pietro quando si converte e dà adesione a Gesù, entra nella comunità di Maria, che è la madre, che indica amore; è la madre di Giovanni chiamato Marco, l’autore del vangelo, quindi il vangelo. Il terzo componente è Rosa la serva, la servetta. Allora la comunità cristiana è centrata sull’amore si basa sul vangelo, e si esprime nel servizio.
Trascrizioni delle conferenze di fra Alberto Maggi e fra Ricardo Pérez Márquez della comunità dei Servi di Maria, tenute a Montefano tra il 1997 e il 2004, non riviste dagli autori.
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