Iniziamo il capitolo 24 di Matteo, ma dobbiamo fare alcune premesse: è un capitolo complesso perché abbiamo dei preconcetti ricevuti fin da piccoli, e difficilmente riusciamo a entrare in quello che l’autore ci comunica, perché ci lasciamo prendere dalle nostre idee preconcette. Il capitolo 24 fa parte, con il capitolo 25, dell’ultimo grande discorso di Gesù. Quando abbiamo parlato della struttura di questo vangelo, avevamo detto che Matteo da abile scriba, aveva organizzato la sua opera intorno ai 5 grandi discorsi di Gesù: il discorso della montagna, con le beatitudini; il discorso sulla missione, Gesù che manda i discepoli per annunciare il vangelo; il discorso sulle parabole; il discorso sulla comunità e ora il discorso finale. Sono 5 discorsi ben indicati all’interno del testo, perché ognuno si conclude con la stessa frase, quando Gesù ebbe finito questi discorsi.

La distribuzione dell’opera in 5 parti ricorda l’opera biblica dei primi 5 libri, Il pentateuco: la Genesi, l’Esodo…che si pensava fosse stata scritta da Mosè. Matteo distribuendo i 5 discorsi, lungo la sua opera, fa capire che quello che ha fatto Mosè ora lo fa Gesù, ma più di quanto Mosè è riuscito a fare. Ci interessa l’ultimo discorso, il discorso finale e cerchiamo di capire che cosa significa questa fine, alla quale Gesù vuole richiamare l’attenzione dei suoi discepoli. Sarebbe importante per la comprensione di questo capitolo, avere una buona conoscenza dell’Antico Testamento e su questo punto ci sentiamo piuttosto mancanti. Matteo farà dei riferimenti a testi che all’epoca erano molto conosciuti, c’erano molte attese riguardante il libro del profeta Daniele, che in un certo modo, ora, riprende per dare una giusta visione delle cose. C’erano testi del libro del Levitico e del Deuteronomio, dove si diceva che cosa sarebbe successo al popolo se tradiva l’Alleanza con Jahve: se tu sarai fedele all’Alleanza, lunga benedizione, lunga vita; se tu tradirai l’Alleanza, ti succederanno un sacco di guai. Questo ci serve per capire cosa Gesù vuole insegnare ai discepoli.

Cambia lo scenario, fino al capitolo 23 la forte accusa di Gesù, nei confronti delle autorità religiose, avveniva all’interno del tempio. Adesso ci troviamo in uno scenario nuovo e Gesù parlerà soltanto ai suoi discepoli. Vediamo l’importanza di questo grande discorso, l’ultimo, perché dopo le denuncie fatte da Gesù agli scribi e farisei, il suo arresto è imminente. Gesù, alle autorità ritenute il massimo della santità, ha detto: siete guide cieche, sepolcri imbiancati, siete vipere, serpenti, non ha risparmiato appellativi e la sua fine ormai è imminente. Prima che avvenga questo momento drammatico per la sua vita, Gesù vuole dare un insegnamento alla comunità dei discepoli e tratta sulla fine di Gerusalemme, sulla distruzione della città di Gerusalemme con il tempio, centro dell’istituzione religiosa. È interessante fare una panoramica degli insegnamenti di Gesù, i ripetuti inviti ai discepoli a non farsi ingannare, a perseverare, a fuggire, a non tornare indietro, a pregare, a non credere. Sono inviti che ci presentano un quadro complesso della comunità, anche preoccupante. La comunità, nella storia, va incontro a conflitti e pericoli esterni, come la persecuzione, ma anche a pericoli interni, tradimenti, tra gli stessi membri del gruppo. Sono situazioni difficili che non devono dare una nota di pessimismo, ma devono far vedere come stanno le cose, se si vuole evitare di cadere nel trionfalismo o nell’auto esaltazione sentendosi i migliori, i più bravi, perfetti, quelli che sono a posto. Gesù, attraverso queste immagini, chiede ai discepoli di mantenersi fedeli alla proposta del vangelo, che si riduce alla pratica del servizio, essere un lievito per trasformare la realtà e far maturare la storia degli uomini.

L’ultimo grande discorso di Gesù deve essere valutato con molta attenzione dai lettori, dalla comunità, perché Gesù sta presentando un’importante riflessione sull’andamento della storia. Non fa predizioni delle cose che accadranno, non è un veggente, ma dice come ci dobbiamo orientare di fronte alle cose che accadranno, qual è il nostro ruolo nella storia di fronte alle cose che succederanno, come ci dobbiamo mettere di fronte a certe situazioni che sono a volte molto critiche. La comunità dei credenti non deve indovinare il futuro!

Penso sia fondamentale una capacità di sapersi orientare e che si perde più facilmente; oggi sopratutto è facilissimo smarrirsi, perché coloro che detengono i mezzi di comunicazione vogliono far vedere le cose secondo la loro logica. Sapersi orientare nella storia per dare la giusta lettura delle cose che accadranno.

1 “Uscito Gesù dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per mostrargli le costruzioni del tempio”.Gesù, finora si è trovato nel Tempio, l’area più sacra, centro dell’istituzione religiosa e aveva fatto delle denuncie fortissime e rovesciando i tavoli dei cambia valute, aveva detto che la casa era diventata una spelonca di ladri, aveva perso ogni funzione nei confronti di Dio. Finendo lo scontro con le autorità religiose, aveva dichiarato 23,38: Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Le drammatiche parole di Gesù si avverano in quel momento. L’uscita di Gesù dal Tempio significa che Dio abbandona definitivamente il Tempio, trasformato in una spelonca di ladri. La casa, ritenuta la dimora di Dio, è rimasta deserta; il Dio che Gesù manifesta con la sua persona, non si riconosce più in quel luogo.

Gesù esce dal tempio e viene subito trattenuto dai discepoli, che non comprendono il perché della radicale rottura con l’emblema dell’istituzione religiosa. Matteo in maniera molto fine, dice che soltanto Gesù è uscito dal tempio, non parla che sia uscito con i suoi discepoli, anche se è ovvio, però per lasciar da parte la linea narrativa e entrare nella linea logica dell’autore, soltanto Gesù abbandona l’istituzione, ritenuta una spelonca di ladri, luogo dove si possono commettere i più gravi crimini nel nome di Dio. I discepoli sono ancora legati al Tempio, che ritengono l’emblema della loro religione e della loro tradizione. Certo sarà da riformare, da risanare, però è la loro istituzione, non comprendono per quale motivo Gesù abbandoni il Tempio e lo fermano perché ammiri l’imponente opera di costruzioni del tempio di Gerusalemme.

Il Tempio che Gesù ha conosciuto, non era il tempio costruito da Salomone, distrutto da Nabucodonosor nell’invasione dei babilonesi. Venne ricostruito dopo l’esilio, però rimase un luogo modesto e le grandi opere di ristrutturazione cominceranno con Erode il Grande, nell’anno 19 a.C. secondo un progetto faraonico. Erode lo farà grandioso, il complesso del tempio di Gerusalemme era considerato il complesso religioso più vasto del mondo antico e verrà finito nel 66 d.C. Erode ha fatto i lavori di ampliamento, dopo ci sono stati i lavori di abbellimento per arrivare al 66 d. C.

Quando Gesù vede il tempio, i lavori non erano del tutto finiti. Abbiamo una descrizione dello storico Giuseppe Flavio, su cosa significava contemplare la grande mole bianca, luccicante di pietre bianche e di piastre d’oro. Vi leggo alcune parole per far capire perché i rabbini dicevano: Chi non ha visto il tempio di Gerusalemme, non sa che cosa sia una bella edificazione. Dalla cultura giudaica era ritenuto l’edificio più imponente e più bello. Giuseppe Flavio dice: non mancava nulla in quella struttura per impressionare nella mente e nella vista, avvicinandosi a Gerusalemme si rimaneva folgorati dall’impressionante mole sul monte. Siccome era tutto ricoperto da massicce piastre d’oro, fin dal primo sorgere del sole era tutto un riflesso di bagliori e a chi si sforzava di fissarlo, faceva abbassare lo sguardo come per i raggi solari, si rimaneva abbagliati, era troppo forte il luccichio, agli stranieri in viaggio verso Gerusalemme essa appariva da lontano simile ad un monte ricoperto di neve, perché dove non era ricoperto d’oro era bianchissimo, immaginate cosa significasse anche per i discepoli contemplare una meraviglia del genere. I discepoli che non condividono e non comprendono la radicale rottura di Gesù, nei confronti dell’istituzione religiosa, rappresentata dal tempio, lo fermano perché ammiri l’opera.

Ironia della sorte sarà distrutto nell’anno 70 d.C., quattro anni dopo la sua rifinitura. Tanti anni per abbellire, tante tasse pagate per poterlo riedificare, tanti sacrifici, perché Erode non ha risparmiato né mano d’opera, né di soldi, dopo 4 anni dalla fine, è stato fatto fuori.

I discepoli si avvicinano a Gesù, perché contempli quella meraviglia, le cose erano ovvie, ma abbiamo un richiamo all’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto. Il satana porta Gesù sul monte per mostrargli tutti i regni del mondo e la loro gloria, che sono magnifici; ugualmente i discepoli mostrano a Gesù lo splendore del tempio, mentre si avviano per andare verso il monte degli Ulivi. La scena richiama quella tentazione, gli avversari non rinunciano al potere e al prestigio che l’istituzione religiosa può dare a tutti coloro che le si sottomettono. È la tentazione dei discepoli a Gesù: non rinunciamo al prestigio, al potere, anche se dobbiamo essere sottomessi all’istituzione; conta il prestigio, l’apparire davanti agli altri.

2 “Ma egli reagì dicendo: “Vedete tutto questo? Vi assicuro che non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata”. Le parole di Gesù, di fronte all’invito di ammirare l’impressionante mole del tempio, hanno un tono fortemente drammatico. Ha già accusato scribi e farisei di essere i propulsori di una religiosità tanto osservante quanto assassina e ha denunciato che il luogo ritenuto più santo di tutta la terra, è quello dove coloro che osservano le pratiche religiose, si possono permettere di uccidere la vita degli altri. Di questo luogo non deve rimanere pietra su pietra; è la distruzione di un’istituzione impostata sull’osservanza della Legge, pronta a sacrificare la vita degli uomini in nome della Legge. È un’istituzione che deve sparire al più presto, perché quello che voi vedete è l’emblema di una religione che non mira al bene dell’uomo, ma cerca il proprio interesse, e di tutto questo così bello, così impressionante, così maestoso, non rimarrà pietra su pietra.

Infatti nell’anno 70 d.C. Tito Vespasiano conquista Gerusalemme, raderà al suolo il tempio e la città. Giuseppe Flavio ci dice: tutto fu abbattuto e distrutto in maniera così radicale che, chiunque fosse arrivato in quel luogo, non avrebbe creduto che vi sorgeva una città.

Gesù con questa sua dichiarazione che non rimarrà pietra su pietra, si rifà ad alcune profezie. I profeti Michea e Geremia avevano parlato della distruzione del tempio. Ogni volta che il popolo non rispondeva all’alleanza con Dio o la tradiva, il tempio era messo in pericolo e andava a finire male come i traditori dell’Alleanza. Le profezie di Michea e Geremia avevano parlato della distruzione operata da Nabucodonosor. Ci furono poi le profezie di restaurazione del tempio. Gesù con queste parole dice che non ci sono più profezie di un restauro, di ripresa, questa è la fine di un’istituzione tanto osservante della Legge, quanto assassina.

La fine dell’istituzione religiosa, rappresentata dal tempio, rappresenta la fine dell’antica alleanza. Se il tempio era il luogo della presenza di Dio, e Dio era il garante dell’alleanza, dal momento che il tempio–presenza di Dio non c’è, anche l’alleanza è finita. L’antica alleanza fatta tra Mosè e il popolo è finita, si prepara quella nuova che Gesù stipulerà nella cena con i suoi.

3 “Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, gli si avvicinarono i suoi discepoli e in disparte, gli dissero: “Dì a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e del compiersi di quest’età”.Attenzione alla traduzione, non seguo le normali traduzioni sopratutto nell’ultima frase, adesso spieghiamo bene. Arrivati sulla cima del monte, l’evangelista dice che Gesù si mette a sedere; questo ricorda il primo grande discorso delle beatitudini. Anche lì Gesù era salito sul monte e si era messo a sedere; in questo parallelismo si riprende tutto ciò che aveva insegnato ai discepoli. Nel vangelo di Matteo ogni volta che il monte è associato a Gesù (per 10 volte si dice che Gesù sale sul monte o compie azione vitali nel monte) è per dichiarare che il monte è la dimora divina a contatto con quella umana. Il monte non è un luogo geografico, ogni volta che Gesù, manifestazione di Dio, sale sul monte, esso è la dimora di Dio. Diciamo che la dimora di Dio è il cielo, però dal momento che Gesù è il Dio-con-noi, il monte – considerato nelle religioni antiche come il luogo delle divinità – è il luogo dove dimora la divinità.

Gesù siede sul monte, il sedersi significa prendere stabile dimora. Al capitolo 23 gli scribi e i farisei si erano installati nella cattedra di Mosè, è lo stesso atteggiamento, per garantire l’autorità del loro insegnamento. Gesù non siede sulla cattedra di Mosè, ma sul monte, dimora divina a contatto con quella umana per confermare l’autorità del suo insegnamento, autorità che scribi e farisei non hanno. Un altro dato da tener presente: l’ultimo grande discorso è collocato sul monte degli Ulivi, perché l’evangelista si ricollega ad una immagine del profeta Ezechiele 11,23, che, parlando della distruzione del tempio per opera dei babilonesi, disse che il Dio di Israele abbandonò il tempio distrutto: la nube di Dio si alzò e andò a fermarsi sul monte che è ad oriente della città. È il monte degli Ulivi.

Ugualmente Gesù, il Dio-con-noi, dimostra che Dio non si riconosce più nell’ambito dell’istituzione religiosa, il tempio, ma abita in mezzo al suo popolo, dove c’è l’uomo che porta lo Spirito. Il monte era stato ricordato al capitolo 21 all’entrata di Gesù in Gerusalemme, è ricordato di nuovo ora e quando ci sarà la cattura di Gesù, ai Getsemani, sul monte degli Ulivi.

I discepoli si sono avvicinati a Gesù: e in disparte, gli fanno alcune domande. L’espressione in disparte è adoperata dall’evangelista per indicare l’incomprensione o l’ostilità da parte dei discepoli. Ogni volta che nel vangelo, Gesù deve prendere in disparte i discepoli, è per dire che sono talmente ottusi, talmente refrattari che deve dare un insegnamento in più, per far capire cosa vuole comunicare. Qui i discepoli si avvicinano a Gesù e in disparte, non c’era problema, sono sul monte da soli, riguarda l’incomprensione o l’ostilità da parte dei discepoli, che non capiscono perché Gesù ha abbandonato la sede dell’istituzione religiosa. Sono legati alla loro idea nazionalista e vogliono attingere da Gesù delle informazioni.

I discepoli non si rivolgono a Gesù dicendo: maestro, vogliamo sapere; non c’è un atteggiamento per imparare, ma c’è autoritarismo: dicci. È un ordine, dicci; accanto alla pretesa di essere gli unici detentori di una rivelazione particolare: dobbiamo sapere. I discepoli mettendosi in disparte, mostrano con le proprie richieste il legame con una mentalità fanatica, nazionalista. Gesù ha detto che non rimarrà pietra su pietra del tempio di Gerusalemme e nei discepoli non c’è una reazione di dispiacere, di stupore, ma dicono: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno per la tua venuta. Conoscevano alcune profezie del profeta Daniele che parlava di 70 settimane, nelle quali sarebbe finita l’oppressione del popolo d’Israele e ricostruita la gloria d’Israele. Daniele aveva accennato a una situazione di crisi, di devastazione di Gerusalemme, ma di una rinascita della città che avrebbe manifestato tutta la gloria di Israele. Vogliono sapere quando accadranno queste cose, per essere pronti per il trionfo e per la restaurazione del regno di Israele. Sono interessati a questo. Se leggete il libro degli Atti, Gesù risorto appare ai discepoli e prima della sua ascensione continua ad istruirli sul regno di Dio, sul messaggio, e i discepoli dicono Atti 1,6: Signore questo è il tempo in cui ristabilirai il regno d’Israele? quello che conta è che la nazione di Israele, il popolo eletto, possa arrivare al momento di gloria, di trionfo, come popolo scelto da Dio. Chiedono anche un segno, prima hanno chiesto quando accadranno queste cose. Poi chiedono il segno della tua venuta e del compiersi di questa età. Il segno per far capire loro che è vicina la ricostruzione della nazione di Israele; anche Daniele ha parlato di un segno, che doveva precedere la fine dell’oppressione del popolo e la restaurazione gloriosa.

La domanda dei discepoli è interessata sul quando, non ci sono altre reazioni e il fatto che chiedono un segno, non fanno una bella figura. Altri personaggi, nel vangelo, si sono rivolti a Gesù chiedendogli un segno, gli scribi e i farisei per metterlo alla prova, per tentarlo. Anche i discepoli si possono vedere in questa linea di avversari di Gesù che, a quelli che chiedono dei segni, risponde che sono una generazione perversa e adultera. Per i discepoli si tratta di sapere quando sarà la tua venuta, e il termine greco usato è parusia, e lo adopera solo Matteo. È un termine tecnico che in greco indica la visita di un personaggio, re o imperatore, ad una città. Quando un re diceva: andrò a visitare la città di… questo è la parusia, si fa una bella accoglienza perché è un motivo di grande onore per la città. La parusia riguarda la venuta di Gesù; ma loro pensano che Gesù si debba manifestare ad Israele come un Messia glorioso, che la distruzione del tempio sarà il momento in cui Gesù si manifesterà come il Messia atteso dalla tradizione e riporterà la nazione d’Israele al suo momento di gloria.

Noi adesso possiamo fare un altro tipo di discorso, quando Matteo scrive il tempio era distrutto, Gesù era risorto, era inutile parlare di queste cose, però nei discepoli, nelle prime comunità c’era ancora l’idea di un Messia glorioso, liberatore del popolo da tutti i suoi nemici. Pensavano un Messia leader, che doveva risolvere le cose. È un’idea che rimane nella mente di tutti, l’idea del salvatore della patria, come se le cose cambiassero con un salvatore…Ma non cambia niente, se non cambia la gente, il cambiamento della collettività può portare un miglioramento, non il cambiamento di un personaggio. Gesù non risponderà a questo, ma parlerà invece della venuta del Figlio dell’uomo e utilizzerà lo stesso termine parusia. Gesù vuol far capire ai discepoli, che quello che porta la storia avanti è il Figlio dell’uomo; l’uomo portatore dello Spirito è quello che permette il progressivo manifestarsi, nella storia, del progetto di Dio sull’uomo.

Più avanti dirà che nella storia, si manifesterà progressivamente il progetto di Dio sull’uomo, un uomo che portando lo Spirito (possiamo essere tutti), farà da trasformatore della realtà, perché possa piano, piano svilupparsi verso un traguardo di pienezza.

La frase finale è la più difficile: il compiersi di questa data, questa età. Ho tradotto così, ma di solito le traduzioni dicono: la fine del mondo. Tra l’altro il termine mondo, in greco cosmos, non appare, ma i discepoli chiedono qualcosa di molto preciso: quando finisce questa età di oppressione di Israele e quando inizia quella nuova gloriosa, per il popolo. Questo interessa ai discepoli. Troviamo altre volte questo termine, Gesù alla fine del vangelo di Matteo dirà: io sono con voi tutti i giorni fino al compiersi di quest’età. È un modo di parlare, che non riguarda la fine del mondo. In nessun testo del vangelo si parla di una fine del mondo, ma si parla sempre al positivo di una storia che raggiunge il suo traguardo, la fine intesa come il completamento. Quando io ho finito un’opera d’arte, posso dire che è conclusa, non la distruggo, l’ammiro e dico: ecco finalmente quello che io volevo. Quando si parla di fine è di realtà che arriva al suo compimento. Nella mente dei discepoli è diverso, finisce un’età di oppressione umiliante per il nostro popolo e inizia quella gloriosa per tutta la nostra gente.

Ai discepoli interessa (dopo che Gesù ha detto: di tutta questa struttura del tempio, non rimarrà pietra su pietra), che è il momento che aspettavano, che le profezie di Daniele si stanno avverando e nonostante la catastrofe, verrà il momento di una restaurazione come primo popolo fra tutti i popoli della terra. Daniele accennava al re Antioco che aveva portato una grande catastrofe a Gerusalemme, poi il re è finito, ma il popolo non è stato completamente liberato e dicevano: forse la profezia di Daniele si avvera ora, dopo che Gesù ha dichiarato la caduta di Gerusalemme. Da questo primo intervento dei discepoli possiamo vedere che Gesù non parlerà mai di un intervento di Dio per portare il mondo alla sua fine che non fa parte del progetto di Dio.

Dio interviene nella storia per far sì che tutti i mondi, cioè tutte le realtà umane create dall’uomo, contrarie alla sua crescita, alla sua maturazione, vengano superate. Dio interviene in maniera che piano, piano scompaiano, vengano superate, allora si può parlare di una fine di un mondo, di una realtà che ci siamo costruiti, ma non della fine del mondo. Per poter comprendere queste cose, i discepoli fanno soltanto la prima constatazione guarda quanto sono belle queste cose. Di’ a noi quando e quale sarà il segno. Gesù comincia il suo grande discorso, ma teniamo presente che non si può capire l’insegnamento che Gesù darà discepoli, se non usciamo dagli schemi tradizionali sul modo di vedere le cose. È molto importate il fatto che Gesù si è messo sul Monte degli Ulivi, per incominciare l’insegnamento: per vedere la storia con la stessa ottica di Dio, bisogna mettersi dalla sua parte, dove Dio dimora, altrimenti non riusciremo mai a capire il significato degli eventi che affrontiamo. Bisogna uscire dagli schemi tradizionali, per collocarsi nella stessa ottica di Dio.

Gesù non intende dare nessuna rivelazione speciale, non intende istruire i discepoli su conoscenze particolari, ma dà loro invece un forte monito.

4 “Gesù rispose loro dicendo: Guardate che nessuno vi inganni. 5 Perché verranno molti nel mio nome dicendo: Io sono il Messia, e trarranno molti in inganno”. Non risponde direttamente alla domanda dei discepoli, li mette il guardia, li vuole avvertire sui pericoli che corrono, (il pericolo di essere ingannati) se non rompono i vincoli con l’ideologia nazionalista, continuando a pensare che Israele sarà ricostruito, che la loro nazione diventerà il popolo più grande della terra. Gesù non parla né di quando accadranno queste cose, né di quale sarà il segno della tua venuta, che erano le domande dei discepoli, ma parla di come. È inutile che noi stiamo a pensare quando succederanno queste cose. Nei momenti di crisi, nei momenti politici ed economici particolarmente delicati sorgono i veggenti che dicono che tra poco capiteranno queste cose… Gesù non è interessato assolutamente su questo, vuole istruirli sul come affrontare le difficoltà e le situazioni di crisi a cui vanno incontro.

È importante come ci dobbiamo porre di fronte alle situazioni che incontreremo nella nostra vita. Per i discepoli si tratta della distruzione di Gerusalemme, Gesù aveva annunciato: di questo non rimarrà pietra su pietra, l’importante è come ci poniamo di fronte all’evento, come dobbiamo interpretarlo, non quando accadrà, quali segni ci saranno! Gesù li mette in guardia, perché corrono il rischio di essere ingannati; troviamo il verbo ingannare 4 volte in questo capitolo. Gesù lo ha già adoperato al capitolo 18, quando ha parlato della pecora ingannata che va fuori del recinto e il pastore deve andare in cerca di lei sui monti. Nella comunità c’è un inganno a livello di scandalo: quando non si vivono i valori del messaggio evangelico, alcuni vengono scandalizzati e se ne vanno via. Si può essere ingannati in un altro modo, strumentalizzando il messaggio di Gesù e la sua persona. Gesù si riferisce a questo.

Gesù dice: badate che nessuno vi inganni, perché verranno molti strumentalizzando la mia persona e il mio messaggio, per farvi smarrire completamente, verranno nel mio nome (come se fossi io in persona) dicendo: io sono il Messia. Ogni volta che noi troviamo il termine Messia con l’articolo determinativo, è l’immagine tradizionale del liberatore del popolo di Israele, un Messia guerriero, un leader politico che doveva portare il popolo alla esaltazione, facendo soccombere i nemici. È il grande inganno, strumentalizzando il nome di Gesù si vorrà riproporre, alla comunità, la figura di un Messia politico, di un leader liberatore che fa tutto dall’alto: voi non dovete fare nulla, ci penso io a sistemarvi la vita.

È la grande tentazione, il grande inganno; affiora nella vita della comunità quando le persone sono così scoraggiate e si chiedono perché Dio non interviene e fa fuori i mascalzoni. Noi pensiamo che ci vuole uno che deve far fuori i nostri avversari, è il grande inganno sul quale Gesù vuole aprire gli occhi ai discepoli: che nessuno vi inganni, strumentalizzeranno il mio messaggio, presentando situazioni che non porteranno a nessuna realtà di bene, di crescita. Il Signore cercherà di far capire ai discepoli che il cambiamento dell’uomo farà si che le cose diventino diverse.

È la conversione alla quale Gesù ci ha già invitato tante volte nel vangelo: cambiate mentalità, cambiate comportamento, non pensate alla figura di un salvatore della patria che vi risolva i problemi, perché è il grande inganno. Gesù dice che molti continueranno questo lavoro e dalla fonte di Giuseppe Flavio sappiamo che era una realtà molto vissuta, all’epoca di Gesù. Molti si presentavano come messia, liberatori del popolo, poi facevano una fine terribile insieme a quelli che riuscivano a trascinare con loro.

Nel libro degli Atti si parla di alcuni che si sono presentati come liberatori del popolo e finirono male come Teuda e un altro famoso sobillatore. Questi hanno attirato il consenso del popolo, ma i romani hanno fatto fuori tutti. Gesù cerca di far capire ai discepoli che la rovina del tempio, la sua distruzione, non comporta assolutamente la restaurazione gloriosa di Israele e che finalmente è arrivato il momento della rivincita. Questo non ci sarà, bisogna vedere le vicende, anche terribili, secondo un progetto di Dio. La fine di Gerusalemme non coincide con la fine della storia, non è la fine del mondo, come potevano pensare quelli che hanno tradotto male il testo; Gesù parlerà di un inizio di una realtà nuova, un nuovo modo di impostare la storia fino a raggiungere il suo traguardo di pienezza. Purtroppo nella comunità, saranno sempre presenti quelli che vogliono contrabbandare il messaggio di Gesù, per imporre la propria volontà di dominio.

6 “Sentirete poi parlare di guerre, e di rumori di guerre. Vedete di non agitarvi, è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine”. Gesù vuole liberare i discepoli da pregiudizi nazionalisti, dalla mentalità che un popolo deve essere ripagato di tutte le sue disavventure e deve essere portato al primo posto nei confronti delle altre nazioni. Gesù dice: non agitatevi, quando ci saranno queste guerre non vi fate prendere dall’eccitazione perché è quello che aspettavate, ma (questo modo di parlare ci può turbare), è necessario che tutto questo avvenga.

Sembra che dobbiamo per forza, andare incontro a catastrofi, il modo di parlare di Gesù non deve essere confuso! L’espressione del vangelo è necessario, allude al progetto di Dio: Dio ha un progetto e lo sta attuando. Non significa che nel progetto di Dio sono previste le guerre e vuole che ci siano le guerre. Gesù dice: il progetto di Dio si realizzerà, avverrà e arriverà al suo compimento, ma ci saranno contrasti o rifiuto a quello che Dio vuole offrire agli uomini.

I rifiuti, le opposizioni radicali al progetto di Dio comportano situazioni di violenza e di disastro, non sono previste da Dio, né le vuole, nonostante le situazioni terribili che l’uomo è capace di realizzare, il progetto va avanti. Gesù parla della fine, che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. Mentre per i discepoli era la fine di un’età riguardante il popolo d’Israele sottomesso dai romani, per l’inizio di un’età nuova del popolo, Gesù parla della fine, in maniera completamente diversa. La storia dell’uomo sta andando verso una fine intesa come compimento, per arrivare alla pienezza di quello che Dio ha pensato per l’uomo, il progetto di Dio si avvera. Gesù dice: di non pensare quale catastrofe finale la guerra porterà, queste cose devono avvenire, però la fine, il compimento non si raggiungerà.

7 “Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno fame e terremoti in vari luoghi. 8 Ma tutto questo è solo l’inizio delle doglie del parto”. I discepoli volevano sapere il segno che avrebbe mostrato il concludersi dell’età di oppressione, per entrare nella nuova di esaltazione; Gesù non parla di questo, ma presenta la realtà nuova e usa la figura delle doglie del parto. Quando una donna partorisce ci sono momenti difficili, però non si ferma sulle doglie del travaglio, pensa alla nuova creatura che nascerà. Gesù è interessato a far capire che la distruzione di Gerusalemme e delle sue istituzioni, non porta alla fine, come pensavano i discepoli, ma ad un nuovo inizio, a una nuova era nella quale l’uomo giungerà alla sua pienezza.

Gesù parla di terremoti, e sono i disastri che la guerra comporta. Non sono fenomeni sismici, nel linguaggio figurato dell’Antico Testamento i terremoti erano associati agli effetti devastanti delle invasioni nemiche, quando una potenza invadeva un’altra nazione c’era uno sconvolgimento, un terremoto. Parlando delle situazioni tragiche, le presenta da un’ottica più incoraggiante, più positiva: le doglie del parto, che danno inizio ad una nuova nascita. La caduta di Gerusalemme è l’inizio di questi dolori, per arrivare ad una creazione nuova. Inizia un processo di crescita dell’umanità, quando arriverà al suo culmine, si parlerà della fine, del compimento. Non intendiamo la fine come conclusione, ma come evento compiuto, realizzato, è quello che abbiamo desiderato.

9 “Allora vi consegneranno ai supplizi e uccideranno, e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio nome”. Gesù ha già ricordato ai discepoli che prima di lui sono stati perseguitati i profeti, lo stesso succederà alla sua persona e a loro. Gesù, nel programma della comunità mette l’evenienza di situazioni di grossa difficoltà. Come ci dobbiamo porre davanti ai momenti difficili? Gesù li mette in guardia e dice che testimoniare l’amore è causa della persecuzione e dell’odio; in maniera ridondante, Matteo dice tutte le nazioni, sembra un complotto mondiale contro la comunità dei discepoli. Cosa combinano i discepoli per attirarsi un odio così grande? Se penso che devo testimoniare l’amore, che devo parlare del comandamento dell’amore, nessuno mai mi farà niente, non attiro l’odio degli altri! Mi daranno del fesso o del matto, o dell’idealista, ma nessuno mi toccherà. Gesù invece dice: voi sarete perseguitati, consegnati ai supplizi, uccisi, un odio si scatena contro di voi. Che cosa fa la comunità, per andare incontro ad una realtà così dura?

Gesù fa capire ai discepoli che la comunità che vive la fedeltà al suo messaggio, scatena un dinamismo tale, una forza di vita talmente grande, inaccettabile per tutti i sistemi di morte. Porto in giro una testimonianza che dissente da quelle che sono i modi di rapportarsi, di ragionare, di vivere della società; vivo in maniera diversa, propongo altri valori, io comincio a dire: non crediamo a queste cose, non le accettiamo, non siamo sottomessi da nessuno, è inutile che lei si presenti come capo, come principe, lei è uomo come me, non sono tenuto ad ubbidirle. La gente comincia a svegliarsi, ad uscire da quel sopore, da quella situazione amorfa per cui i capi possono fare quello che vogliono. Il messaggio di Gesù è pericolosissimo, perché fa ribaltare le fondamenta delle più sacrosante istituzioni.

Io comincio a dire che a noi non interessa parlare di patria e di religioni, ma noi vogliamo vivere in maniera completamente diversa, perché abbiamo un insegnamento che ci permette di fare così, questo attira l’odio di tutte le nazioni. Per il sistema è inconcepibile che ci possa essere una realtà che non vive secondo i suoi decreti e criteri e che noi possiamo essere liberi dalle loro soggezioni. Questo comporta un odio feroce nei confronti della comunità dei credenti. Gesù ha parlato di essere, lui stesso, oggetto di persecuzione e vuol far capire ai discepoli che nella persecuzione, non devono vedere una sconfitta.

Però uno si sente con il bastone tra le ruote! Io voglio andare in Ancona a fare l’incontro a Colle Marino; i preti stracciano i manifesti dalle chiese perché non vogliono che Alberto vada. Lasciamoli fare, è una persecuzione piccola, è una specie di terremoto nella riunione del clero di Ancona, perché la gente non deve capire, deve rimanere infantile.

Gesù dice che se vi negano la parola, se dicono peste e corna di voi, questo non deve essere come una sconfitta, prendetelo come una conferma della vostra missione. È il grande insegnamento di Gesù, che di fronte ai suoi avversari, non si tira indietro, non si sente sconfitto, ma si conferma ancora di più in quello che sta facendo. Certamente dopo si sta un po’ male, però bisogna saper vedere le cose con un’ottica nuova: io non mi fermo se non posso andare a parlare di là, se quel gruppo mi ostacola, ma dico che è la linea da continuare, che devo continuare. Prendo un input più forte, mi butto di più in questo modo di testimoniare il messaggio di Gesù.

10 “Molti cadranno ed essi si consegneranno e si odieranno l’un altro”. Nel quadro della comunità, che Gesù presenta, ci sono pericoli esterni difficili, quali la persecuzione, l’odio mortale da parte delle nazioni; ma ci sono anche pericoli interni. La comunità non è un’isola felice, che deve fare i conti solo con un avversario esterno, ma anche interno, che produrrà situazioni di tradimento. Gesù parla di molti che cadono, letteralmente dirà: saranno scandalizzati. Lo scandalo è la pietra, un po’ nascosta, in mezzo al cammino, non si vede e fa inciampare. Matteo, l’autore che più usa il verbo inciampare, dice che molti inciamperanno; è consapevole dell’impatto che la novità del messaggio di Gesù avrà sulla tradizione religiosa di Israele.

È il discorso del vino nuovo, che non si può mettere negli otri vecchi; è un impatto talmente forte che per molti sarà motivo di scandalo. Molti non potranno capire perché, vivendo il messaggio di Gesù, si attira l’odio delle più sacrosante istituzioni. Si cercherà di mettere insieme le due cose, ma non è possibile, perché si sta o con loro o contro di loro. Gesù dice: purtroppo cadranno di fronte alle difficoltà, non vorranno accettare la rottura che il messaggio comporta, nei confronti di qualunque sistema politico, religioso, sociale, che sia contrario alla crescita dell’uomo, alla sua emancipazione e autonomia. Non sono d’accordo di rompere con il sistema e si oppongono alla maturazione, alla crescita della persona; molti non saranno convinti e allora cadranno, inciamperanno. Quando Gesù ha spiegato la parabola dei quattro terreni, parlava del seme caduto in una terra sassosa. La pianta ha incominciato a crescere, ma non aveva molte radici, perché c’erano i sassi e appena è venuto il sole l’ha seccata completamente. La pianta o la terra con i sassi, sono quelli che accolgono il messaggio con entusiasmo, ma quando arrivano le prime difficoltà cadono, sono senza radici e Gesù dice: saranno scandalizzati, lo stesso verbo della parabola dei 4 terreni. Ci sono quelli che non hanno fatto proprio il messaggio di Gesù, non sono disposti a accettarne le conseguenze e quando arrivano le persecuzioni preferiscono stare dalla parte del sistema. C’è un cadere, un inciampare, ma anche un tradirsi a vicenda; all’interno della comunità ci saranno quelli che, tradendo il messaggio, saranno nemici dei loro stessi fratelli, li consegneranno alle autorità, saranno spie che li denunciano e rompono il vincolo della fraternità.

Gesù sta facendo una descrizione molto realistica della comunità dei credenti, non per scoraggiare, ma per essere attenti che quello che conta, è vivere in fedeltà il messaggio, per saper affrontare i pericoli. Gesù non vuole illudere nessuno, i pericoli ci saranno però sappiamo come affrontarli; è la nostra possibilità di andare avanti. Il pericolo più grosso sarebbe non sapere che cosa fare, come affrontare la realtà e lì soccombiamo.

11 “Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti”.Gesù ha già messo in guardia dai falsi profeti al capitolo 7, parlando dei lupi travestiti da pecore: questi falsi profeti si presentano come delle pecore, con le vesti di pecora, ma sono dei lupi rapaci, perché loro cercano solo il proprio interesse. È tipico nei momenti di crisi, quando c’è una situazione difficile a livello sociale o a livello mondiale, che ci siano falsi profeti, veggenti, che hanno la situazione in mano, sanno come risolvere i problemi, si fanno avanti ed ingannano molti. Fa parte della storia dell’umanità, in ogni momento di crisi sono venuti sempre fuori impostori che hanno la ricetta magica o la bacchetta magica per risolvere i problemi, Gesù dice: non credeteli, vi inganneranno. È inutile che io mi presento con un programma di governo dicendo: meno tasse per tutti! (siamo nel 2002) Non è possibile questo, dovremmo dire: non ci crediamo. Bisogna aprire bene gli occhi, e diciamo meno tasse per quelli che stanno male, per quelli che non gliela fanno a campare. Quelli che hanno tanto, possono dare qualcosa! Meno tasse per tutti è una cosa equa e una grande fregatura.

12 “Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà”. L’autore usa un termine che dobbiamo comprendere bene ed è l’unico autore che usa iniquità. L’iniquità non è l’ingiustizia, è quello che è inefficace, inutile, quello che non vale niente, che è vuoto, non ha consistenza. Gesù dice che l’iniquità si diffonde, dilaga, e il dilagare dell’iniquità significa che ci saranno molti, in comunità, che non tradurranno nella propria vita il suo messaggio perché sono persone superficiali, grandi ripetitori o grandi uditori, non veri testimoni della parola. È gente vacua, gente inutile, che porterà al raffreddarsi dell’amore. Quella passione che dovevano avere, quella testimonianza, alla fine non c’è più; la vita è completamente vuota perché non hanno tradotto, nell’esistenza, il messaggio di Gesù, non l’hanno fatto proprio con la testimonianza di vita. È il discorso che Gesù ha presentato nei confronti dei falsi profeti, scribi e farisei, coloro che portano l’iniquità, che ingannano gli altri portandoli verso una vita inutile. Nel capitolo 7 Gesù aveva parlato di quelli che costruiscono la casa sulla sabbia, di quelli che dicono: Signore, Signore, nel tuo nome abbiamo fatto questo… Gesù dice: allontanatevi da me voi costruttori del nulla, operatori di iniquità. Le pratiche religiose sono un alibi per dire che ho assimilato il messaggio, ma devo lasciare via tutto quello che non mi permette di assimilare il messaggio affinché mi sento capace di manifestare, in pienezza, quell’amore che deve caratterizzare la mia vita di fronte agli altri.

I vangeli non sono di facile comprensione, non sono stati scritti per essere letti dalla gente, perché la grande parte dei partecipanti alle prime comunità cristiane erano analfabeti, per questo non furono scritti per essere letti dalla gente. È un’opera densa di significati, per noi astrusi perché non apparteniamo al mondo dell’Antico Testamento, fatto di figure, di simboli. Tanto è vero che gli evangelisti, nei passaggi più difficili, dicono: che il lettore capisca bene. Chi è il lettore? Il vangelo veniva inviato ad una comunità, dove c’era il lettore, lo specialista, il teologo, la persona sapiente, che non lo leggeva, ma lo interpretava alla comunità. La difficoltà che oggi abbiamo, in questi testi, dipende dalla traduzione, purtroppo dispiace dirlo ma le traduzioni spesso sono fatte in maniera affrettata, un po’ negligente e se la traduzione è inesatta, è inesatta anche la comprensione del testo. Ad esempio, quello che nelle maggior parte delle edizioni viene tradotto con mondo, in greco ha tre vocaboli differenti. Un qualunque studente, alle prime armi con una lingua straniera o antica come il greco, se trova dei termini differenti li tradurrà in maniera differente, se un professore vede che li traduce con la stessa parola, mette: errore grave! Questo invece, accade nelle traduzioni e stravolge il significato del brano. Nel capitolo 24 abbiamo infatti il termine mondo. Due termini sono facili perché sono entrati nel linguaggio italiano. Uno è il termine cosmos, il cosmo, il mondo in quanto terra; nei vangeli non si parla mai di fine del cosmo, della terra, della creazione. L’altro termine è oikumene, da cui deriva ecumenico, il mondo abitato e in maniera più comprensibile l’umanità. Gesù dirà: questa buona notizia verrà predicata a tutto l’oikumene, a tutta l’umanità. Il terzo termine aion, un po’ più complicato perché non c’è nella lingua italiana e significa tempo o epoca, non va tradotto con mondo. Gesù nel vangelo, dice che ci sarà la fine, non del cosmo, il mondo; non dell’oikumene, il mondo abitato, ma la fine di un’epoca. Le ultime parole alla fine del suo vangelo sono: Io sono con voi fino alla fine delle epoche, un modo per dire sempre. Cosa significa che nel vangelo si dice: ci saranno fine di epoche? Nella storia ci sono dei sistemi di potere, epoche, talmente radicate e talmente consolidati e si pensa che l’umanità non possa andare avanti senza di esse. Il grande sant’Agostino, quando vide che l’impero romano cominciava a scricchiolare sotto le ondate dei barbari, disse: è arrivata la fine del mondo. Non era concepibile che l’umanità andasse avanti senza l’ordinamento perfetto dell’impero romano. L’impero romano è finito, nessuno lo ha rimpianto, ed è stato un progresso per l’umanità.

Nella storia ci sono stati sistemi di potere o di organizzazioni che sembravano talmente durature e talmente radicate da essere eterne. Gesù ci garantisce: una dopo l’altra cadranno; è caduto l’impero romano e nessuno ne sente nostalgia, è caduta l’Unione Sovietica e nessuno ci pensava, è caduta pure la DC che sembrava più eterna del Padre Eterno, e un giorno cadrà pure la Curia Romana e nessuno ne sentirà nostalgia.

A proposito di Curia Romana, nel libro Visione di un monaco, in un’intervista a Benedetto Calati, il grande abate dell’ordine dei Camaldolesi, alla domanda: Che cosa diventa la congregazione del santo uffizio? Risponde: Diciamolo sinceramente, deve andare a farsi friggere. È una maniera profetica per dire che l’umanità andrà avanti, anche senza la Curia Romana. Le strutture alle quali siamo abituati e che ci sembrano eterne, una dopo l’altra cadranno e non ci sarà il rimpianto.

Gesù parlando della distruzione di Gerusalemme e della persecuzione che ne verrà, dice

13 “Chi persevererà sino alla fine sarà salvato”.

Cosa significa perseverare fino alla fine? Non è facile per la comunità cristiana vedersi il mondo contro, Gesù ha detto che i tre pilastri sui quali si regge la società: Dio, patria e famiglia, si rivolteranno contro la comunità cristiana. Sarete portati davanti alle Sinagoghe, ai Sinedri e sarete flagellati, è la religione; sarete portati davanti ai governatori e lì castigati; nella famiglia i padri ammazzeranno i figli, i figli ammazzeranno i genitori. Tutto a causa mia. L’adesione a Gesù, al suo messaggio causa, nelle persone, un odio mortale che si trasforma in esecuzioni di morte. Gesù invita a mantenersi fedeli, per raggiungere la pienezza della vita. La persona umana raggiunge la sua maturazione rimanendo fedele al messaggio di Gesù, anche durante le difficoltà.

Al capitolo 13 Gesù paragona la persecuzione all’azione del sole sulla pianta, che per crescere ha bisogno del sole; se la pianta si secca la colpa non è del sole, ma della pianta che non ha messo le radici. La persecuzione non distrugge l’individuo o la comunità, se il messaggio di Gesù ha messo radici, li rende più forti.

14 “Questa buona notizia del Regno, il termine vangelo non significa altro che buona notizia del Regno, che Gesù ha annunciato al capitolo 5 proclamando le beatitudini: la fine della povertà. Nell’Antico Testamento, il disegno di Dio è che nella sua comunità nessuno sia bisognoso; la prova unica della resurrezione di Gesù negli Atti degli Apostoli dice: testimoniavano con grande forza che Cristo era risorto, perché nessuno di loro era bisognoso (4,33-34). Questa è la buona notizia che l’umanità attende: ci sono persone che accettando di condividere quello che hanno, moltiplicano i beni, in modo che più nessuno abbia fame e l’altro debba fare la cura dimagrante; i beni dell’umanità per tutti, è la buona notizia del Regno. Non è qualcosa di aereo, che riguarda i mistici o gli spirituali, ma qualcosa di molto concreto. Nella buona notizia del Regno, Gesù ha presentato la grande novità: Dio si prende cura di queste persone. Il rapporto con Dio non è quello del popolo ebraico, un rapporto tra servi con un Signore, che erano puniti, se trasgredivano un comando; è quello dei figli con un Padre, che è comunicazione incessante, crescente d’amore di fronte alle attività positive o negative dei figli: questa è la buona notizia che l’umanità attende. Non esiste una categoria di persone emarginate da Dio, allontanate da Dio, maledette da Dio, ma c’è un Dio che vuol far raggiungere il suo amore a tutte le persone, indipendentemente dalla loro condotta, dal loro comportamento, dalla loro religione. Questa buona notizia del Regno

sarà proclamata a tutta l’umanità,il termine adoperato dall’evangelista è oikumene, a tutto il mondo abitato, cioè il programma di Gesù, ognuno di noi si può sentire interpellato, è che la buona notizia venga proclamata a tutta l’umanità.

Non si tratta di proclamare un messaggio, ma di dimostrare dei fatti. Le ultime parole di Gesù a tutta la sua comunità sono: andate e proclamate al mondo questo messaggio mettendolo in pratica. Il compito della comunità dei credenti è la pratica del messaggio di Gesù; non è andare a esporre un catechismo, una teologia, ma dimostrare in una pratica, che è possibile vivere in una maniera differente. Questa possibilità di vivere in una maniera differente Gesù l’ha insegnata con la condivisione della prima beatitudine: beati coloro che scelgono di essere poveri.

perché ne sia resa testimonianza a tutte le popolazioni pagane; in certe traduzioni si adopera ancora il termine gentili, andate dai gentili. Una persona di normale cultura non è tenuta a sapere le distinzioni che ci sono nella lingua ebraica e quando legge gentili pensa: i gentili sono maledetti, chissà perché, e le persone scortesi, ignoranti sono benedetti! Gentili deriva da genti, indicava i pagani, i popoli pagani fuori d’Israele. La buona novità del Regno deve essere proclamata a tutte le genti, le popolazioni pagane; non più sottomissione dei popoli pagani, ma comunicazione a loro del messaggio.

Era una novità incredibile nel mondo ebraico, che pensava un Israele dominatore dei popoli pagani, invece deve andare a dire che la buona notizia è pure per loro, non c’è più il Regno di Israele che si divide dagli altri, ma il Regno di Dio dove il suo amore si estende a tutta l’umanità.

allora verrà la fine delle doglie”. C’è un periodo nell’umanità, che ha iniziato con Gesù le doglie del parto, doglie che continuano, ma la durata dipende dagli uomini non da Dio. Nella misura che la buona notizia del Regno verrà proclamata, praticata, arriva la fine. Se vogliamo che le doglie del parto finiscano al più presto, dobbiamo mettere in pratica il messaggio di Gesù. Il suo messaggio è estremamente positivo ed è un invito: svegliatevi.

Nella lettera di Paolo ai Romani, capitolo 8: la creazione stessa attende con impazienza la creazione dei figli di Dio, quando vi decidete a diventare Figli di Dio, a realizzare in pienezza la vostra persona, la vostra chiamata? Paolo scrive che la creazione geme e soffre fino ad oggi delle doglie del parto. La creazione stessa dice: forza gente, svegliatevi, non vedete che sono nelle doglie del parto? Questa fine delle doglie del parto non dipende da Dio, ma da noi, dalla pratica del messaggio.

15 “Quando dunque vedretel’abominio della desolazione, è il primo dei termini di difficile comprensione tradotto letteralmente,

il sacrilego devastatore, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo sacro colui che legge comprenda,non è semplicemente chi legge il vangelo, in questo caso io sono il lettore. L’evangelista dice: tu che stai leggendo e interpretando cerca di capire bene quello che scriverò e io vorrei dirgli: o Matteo non potevi scrivere un po’ più semplice ed era più facile! Quando ci sono difficoltà di comprensione non è mai colpa dell’evangelista, siamo noi che non abbiamo gli strumenti per entrarci in pienezza.

Gesù dice: quando vedrete l’abominio della desolazione di cui parlò il profeta Daniele, per prima cosa bisogna vedere il libro del profeta Daniele, dove c’è abominio della desolazione e l’espressione è usata per indicare l’installazione, nel tempio di Gerusalemme, di altari di divinità pagane. Nel primo libro dei Maccabei si legge: il re innalzò sull’altare degli olocausti, l’abominio della desolazione, per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicarlo a Giove Olimpio. Abominio significa il massimo dell’impurità, il sacrilegio; il termine desolazione in greco, ha la stessa radice di deserto, colui che rende tutti quanti il deserto. Nel libro del profeta Daniele nel tempio di Gerusalemme, dove si adorava Dio, sono entrati gli dei pagani; il popolo si è prostituito, non adora più Dio, si è rivolto alle divinità pagane. È abominio della desolazione stare nel luogo santo, nel tempio di Gerusalemme dove si credeva si manifestasse la presenza di Dio, c’è una divinità pagana alla quale si rende culto e colui che legge comprenda. Speriamo di capire bene!

A cosa si riferisce Gesù parlando dei tempi che stanno per accadere, in cui vedrete l’abominio della desolazione stare nel luogo santo? La profanazione del tempio, subito dopo la morte di Gesù, sarà causata dalle autorità religiose in rivalità con il partito rivoluzionario degli Zeloti, per il possesso del tempio. Gesù parlando della parabola dei vignaioli, aveva detto che costoro avevano assassinato gli inviati di Dio e anche il figlio, perché: costui è l’erede, venite uccidiamolo e avremo noi l’eredità. L’ingordigia, l’avidità dei sacerdoti aveva già trasformato il tempio nell’abominio della desolazione, e Gesù definisce il tempio: ne avete fatto una spelonca di ladri; spelonca è il luogo dove i briganti accumulavano la refurtiva. I sacerdoti non dovevano fare lo sforzo del brigante, che doveva assalire il viandante e portare la refurtiva nella spelonca; avevano talmente deformato il volto di Dio che la gente andava nel tempio, contenta di farsi rapinare: è l’abominio della desolazione.

Adesso nel tempio, inizierà una guerra civile per la spartizione del bottino e del potere, è il sacrilegio, l’abominio della desolazione. La responsabilità della rovina di Israele, è da ricercare nelle autorità religiose e nel partito rivoluzionario, che hanno scatenato una guerra intestina. Per comprendere questi brani ci si deve aiutare con un’infinità di testi e un libro molto interessante per chi ama la lettura, da cui traiamo tante indicazioni per le spiegazioni, è quello di Flavio Giuseppe, contemporaneo dell’epoca di Gesù. Scrisse tra l’altro: La guerra giudaica, L’invasione dei romani, La conquista della Giudea e di Gerusalemme scrive: esisteva infatti un antico detto di ispirazione divina, secondo cui quando la città fosse caduta in preda alla guerra civile e il tempio del Dio profanato per colpa dei cittadini; l’abominio della desolazione non sono i romani che arrivano a Gerusalemme, ma qualcosa che è stato profanato nel tempio, per colpa dei cittadini, allora essa sarebbe stata espugnata e il santuario distrutto con il fuoco dai nemici. Il tempio cade non perché viene una potenza straniera a distruggerlo, perché si è già diviso nel suo interno per una lotta di potere. Il sacrilegio devastatore di cui parla Gesù, che sta dove non dovrebbe, è l’avidità di potere e di interesse economico delle autorità religiose e del partito degli Zeloti. Giuseppe Flavio dirà che la fine di Gerusalemme fu per colpa dei pazzi rivoluzionari.

16 “Alloraquelli che sono in Giudeafuggano sui monti, è un ordine, il verbo all’imperativo; per comprendere il brano bisogna rifarsi alla tradizione di Israele.

Circa 7 secoli prima, c’era stato un episodio che aveva dato l’illusione, a Gerusalemme, di essere una città imprendibile. Nel 700 a.C. la città fu assediata dagli Assiri e il re Sennacherib con un esercito ciclopico, circondò la città, Gerusalemme allora era piccola. La sera, gli abitanti pensarono che l’indomani sarebbe stata la fine (le battaglie incominciavano al sorgere del sole). Invece al mattino dopo, nessuno si fece vedere, non c’era movimento, e videro completamente deserto l’accampamento degli invasori. Gli storici non sanno spiegare il perché: c’è chi parla di un’epidemia, che ha colto l’esercito invasore; altri, con molta più ragione credo, hanno parlato di un altro pericolo corso da Sennacheribib che – poi sarà assassinato dai figli – decise di rimandare l’assedio a Gerusalemme (era un boccone facile), per portare le sue truppe da un’altra parte. Questo evento diede adito che Gerusalemme fosse una città talmente protetta da Dio che, nel momento di massimo pericolo, sarebbe intervenuto per salvarla.

Nel secondo libro dei Re, Dio dice: proteggerò questa città per salvarla per amore di me e di Davide mio servo. Ed ecco ora in quella notte l’angelo del Signore scese e percosse nell’accampamento degli Assiri 185.000 uomini, quando i superstiti si alzarono al mattino ecco quelli erano tutti morti, Sennacherib re di Assiria levò le tende e fece ritorno e rimase a Ninive. Questo è l’episodio storico che aveva creato la tradizione che, nel momento del più grande pericolo, Dio sarebbe intervenuto. Infatti, nel capitolo precedente, quando Gesù dice del tempio: non rimarrà pietra su pietra, i discepoli non si spaventano, si eccitano, dicci quando sarà, perché sapevano che nel momento di massimo pericolo, sarebbe intervenuto Dio per distruggere l’invasore. Questa era la credenza di Israele ed è stata la tragedia che ne ha determinato la fine; Gesù non solo non dice di trovare rifugio in Gerusalemme, ma “allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti”.

Nella tradizione biblica, la regione della Giudea e la città di Gerusalemme erano i tradizionali luoghi di rifugio, qui si trasformano in luoghi di pericolo e di morte, pertanto: scappate, non c’è nessun intervento, non c’è nessun miracolo, nessuna protezione da parte di Dio, dovete fuggire sui monti. Quando vedete scatenarsi nel tempio di Gerusalemme, la lotta intestina tra le autorità religiose e il partito degli zeloti, scappate, non è il segno di un intervento di Dio, ma è il segno della fine.

Lo storico Eusebio da Cesarea, scrive nel suo libro che le comunità cristiane, grazie all’ordine di Gesù fuggirono, salvandosi dall’assedio e dalla distruzione della Giudea e di Gerusalemme e andarono a Pella, nell’attuale Giordania. Ogni termine, in questo capitolo, rimanda a decine e decine di passi dell’Antico Testamento, noi facciamo una scelta per renderlo il più comprensibile possibile.

L’invito a fuggire sui monti è stato fatto a Lot in occasione della distruzione di Sodoma; nel libro della Genesi, Dio ha distrutto Sodoma e Gomorra, mettendo in salvo Lot e la sua famiglia dicendo: fuggite sui monti. L’evangelista paragona la città santa alla città peccatrice per eccellenza e questo sarà tipico dei testi cristiani.

Nel libro dell’Apocalisse Gerusalemme è paragonata a Sodoma e la denuncia dell’evangelista è tremenda: Gerusalemme, la città santa, la città eletta, è la città più peccatrice che ci sia stata. Nel libro dell’Apocalisse 11,8 si legge: i loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città che simbolicamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocefisso. Sodoma fu punita perché, come dice il libro del Deuteronomio: hanno abbandonato l’Alleanza del Signore, il Dio dei loro padri e sono andati a servire altri dei. Sodoma è stata distrutta perché ha servito altri dei, anziché Dio; Gerusalemme sarà distrutta perché è diventata una città idolatra. Erano testi esplosivi! Gesù dice che la più importante istituzione sacra è idolatra e scomparirà dalla faccia della terra, così come è scomparsa Sodoma. La fuga non deve avere tentennamenti,

17 “Chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, 18 chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello”. La necessità della fuga è talmente immediata, che occorre fuggire subito, i beni materiali non proteggono e non aiutano la fuga. Lasciate tutto e scappate, la vita è più importante. È l’invito di Gesù a quelli che lo accolgono. Leggendo Giuseppe Flavio, si vede come la città era ubriaca dal sapore di conquista, da voler sfidare le truppe romane di Tito: venite ad assediarci perché nel momento in cui sembra che stiamo per soccombere, arriva Dio, l’angelo del Signore, (è un’espressione biblica che significa Dio stesso) che era sceso nell’accampamento e ne aveva fatti secchi 185.000. I morti fatti dal Padre Eterno, nell’Antico Testamento, sono una cifra incalcolabile. Gli ultimi ribelli giudei assediati dai romani nella fortezza di Masada, li sfottevano gettando dall’alto gli avanzi della verdura o dell’acqua come per dire: noi stiamo bene quassù, laggiù siete massacrati dal caldo. Dopo hanno pensato i romani a massacrarli e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. È un rimando all’episodio di Lot a cui il Signore aveva detto: scappate senza voltarvi indietro; la moglie di Lot si voltò e fu trasformata in una statua di sale.

19 “Ahi, (guai) alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni! Vedete come è delicato tradurre esattamente, l’espressione in greco ahi il più delle volte è tradotta con guai, ma i guai sono una minaccia e Gesù non minaccia (piange i ricchi come morti), piange sulle donne incinte e su quelle che allatteranno in quei giorni, perché era pratica sistematica nelle azioni della guerra, sventrare le donne incinte (ancora oggi succede) e ammazzare i bambini piccoli. Un guerriero se la prende con le donne e i bambini piccoli, che sono gli elementi più deboli e più inermi, perché in ogni guerra si innescano meccanismi di violenza, di ferocia, immaginabili.

La guerra è un segno di morte totale, la morte totale non tollera alcuna manifestazione di vita e la donna incinta e il bambino piccolo sono l’immagine della vita. L’odio mortale dei militari si scatena proprio su persone dalle quali non avrebbero niente da temere. Chi è imbevuto di morte, non tollera alcuna manifestazione di vita. E dove le manifestazioni di vita sono più evidenti si scatena l’odio mortale, è la tenebra che non sopporta la luce. È tipico delle guerre proclamate in nome di Dio, lì si massacrano bambini con la coscienza a posto, perché lo ha voluto Dio. Non per niente nella tradizione ebraica, nel salmo 137 si legge: beato chi afferrerà i tuoi bambini, i bambini babilonesi, e li sfracella contro la roccia! A questo porta il delirio della religione e del nazionalismo, quando si sposano insieme. La distruzione di Gerusalemme non è un castigo inviato da Dio, non è una maledizione inviata da Dio, ma una conseguenza della scelta suicida fatta dagli abitanti di Gerusalemme. Dio è sempre solidale con i sofferenti, vuole in qualche maniera soccorrerli e dice

20 “Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno, non avete idea di quanto piova a Gerusalemme d’inverno! Piove più a Gerusalemme che in tutto l’anno a Londra, che immaginiamo sempre piovigginosa. La quantità d’acqua che, a Londra, è distribuita nell’arco di 12 mesi, a Gerusalemme è concentrata da ottobre o novembre, fino a marzo o la prima decina di aprile; le strade diventano dei torrenti ed è difficile camminare. Poi la temperatura dell’estate calcina il suolo, lo rende impermeabile, per cui quando arrivano le piogge invernali la terra non la assorbe e travolge tutto. Pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno, quando è difficile scappare,

o di sabato.” Di sabato esisteva il divieto di fare un determinato numero di passi fuori della città abitata e per chi osava trasgredire c’era la pena di morte.

21 “Poiché vi sarà una tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo, il cosmo, fino ad ora, né mai più vi sarà”. Ci sarà una tribolazione come non è mai avvenuta dall’inizio della terra e mai più ci sarà, non parla della quantità di quello che succederà, ma della qualità: è il fallimento del progetto di Dio sull’umanità. Dio aveva stipulato un patto con il popolo: Se tu osservi le mie leggi, io sono il Dio che ti protegge.

Ogni nazione aveva la sua divinità, come si fa a sapere qual è il vero? Dice il Signore: fate un patto con me mettendo in pratica le leggi che io vi do; la vostra santità e che tra di voi nessuno sia bisognoso stupirà i pagani. Se vedranno questo, arriveranno alla conclusione che il vostro Dio deve essere quello vero, perché c’è giustizia, c’è pace, c’è fratellanza! Invece Israele era una nazione peggiore delle altre, perché l’ingiustizia veniva praticata in nome di Dio. Questa devastazione che non c’è mai stata dall’inizio del mondo e che mai più ci sarà, in cui si distrugge il popolo liberato da Dio, con il quale aveva stipulato un’alleanza, è il fallimento totale. Per questo non ci sarà più un disastro di tali proporzioni; non per la quantità, la storia ha visto tragedie molto più grandi, ma per la qualità di quello che è stato perso: il popolo con il quale Dio aveva stipulato la sua Alleanza.

22 “E se quei giorni non fossero stati accorciati”, Gesù parla al passato, Dio ha già preso una decisione, è solidale con il popolo che soffre, e non accorcia i tempi perché c’è la guerra, ha già deciso che siano accorciati.

nessun uomo si salverebbe, ma a causa degli eletti, quei giorni saranno abbreviati”. Dio ha stipulato l’alleanza con il suo popolo, non tutto il popolo gli è infedele; una parte è rimasta fedele agli insegnamenti di Dio, ha osservato le sue Leggi, e sono chiamati, nell’Antico Testamento, gli eletti. Per l’infedeltà di gran parte del popolo si scatena il disastro, ma verrà limitato a causa di quelli ancora fedeli.

La distruzione di Gerusalemme non è un castigo inviato da Dio, Giuseppe Flavio dice: per la pazzia dei suoi abitanti, l’infedeltà del popolo ha portato la distruzione, la fedeltà di pochi fa sì che questi tempi vengano accorciati. Dio non causa la sofferenza, l’abbrevia. L’immagine di Dio dell’Antico Testamento è un Dio sempre fedele, anche se il popolo è infedele Dio continua la sua fedeltà.

23 “Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Messia è qui o è là, non ci credete”; anche questo è un imperativo. Il vangelo di Matteo comincia: Inizio del vangelo di Gesù Messia; qui si parla di il Messia. La differenza tra Messia e il Messia è che se facciamo precedere il nome dall’articolo determinativo, significa qualcosa che è conosciuto. Se io dico che viene un parroco, è uno dei tanti, ma se dico che viene il parroco, si intende una persona conosciuta. Quando nei vangeli, c’è il Messia, significa il Messia atteso dalla tradizione, l’uomo che avrebbe inaugurato il Regno d’Israele con la violenza. Gesù non è il Messia; è semplicemente Messia.

Nel vangelo il termine Messia o Cristo, significa unto. Il termine nella bibbia ebraica è Meshià, cioè unto, perché il sommo sacerdote o i re venivano unti con olio o con sangue d’ariete, indicando che avevano un mandato particolare. Il messia non era unto da un sommo sacerdote o da un re, ma direttamente dal Signore, era l’unto del Signore. Quando hanno tradotto la bibbia dall’ebraico in greco, il termine è diventato Cristo. Pertanto Gesù Cristo significa Gesù Messia, l’unto del Signore, il liberatore del popolo, non è il Messia atteso dalla tradizione, il Messia figlio di Davide, che avrebbe inaugurato il regno di Israele attraverso la violenza, come Davide. È inconcepibile che nel momento di più grande pericolo per Israele, il Messia non si faccia vivo.

Gesù assicura che il Messia non verrà, quando è venuto, è stato assassinato e dai dirigenti. Mentre il popolo e i discepoli attendono la realizzazione del regno di Israele attraverso una guerra santa, appoggiata da Dio, Gesù è venuto a inaugurare un regno che inizia solo con il cambiamento di comportamento degli uomini.

Il versetto 24 è molto, molto importante; più volte abbiamo detto che la lettura dei vangeli non è archeologia, non è andare indietro nella storia di 2000 anni fa. I vangeli vengono chiamati parola di vita eterna, perché in ogni tempo danno, a chi li accoglie, il criterio di valutare le situazioni che si ripresentano nella storia. Perciò gli inviti di Gesù sono sempre validi in tutti i tempi.

24 “Sorgeranno infatti falsi messia, per falsi messia si intendono coloro che non sono liberatori, inviati da Dio, perché non intendono liberare gli uomini dal potere, ma intendono conquistare loro, il potere. Ciò che determina la verità o la falsità del profeta è l’atteggiamento nei confronti del potere. Gesù parla non solo di falsi messia, ma

e i falsi profeti”.È la terza volta, cioè qualcosa a cui occorre prestare attenzione perché è completo. I falsi profeti sono i profeti di corte, non a servizio di Dio, ma di coloro che detengono il potere, sono il megafono dei falsi messia.

I falsi messia hanno bisogno dell’attività di falsi profeti. Nella mente di coloro che ascoltavano, si richiamava l’ennesimo episodio tragico della storia di Gerusalemme, che si ripete. Nabucodonosor parte da Babilonia, all’assedio di Gerusalemme, e Geremia, il profeta inviato da Dio dice: non resistete, l’unica maniera per sopravvivere è di non resistere. Anania, un falso profeta, diceva: resistiamo! Nel libro del profeta Geremia si legge: Non date ascolto alle parole dei profeti che vi dicono: Non sarete sottomessi dal re di Babilonia, perché vi profetizzano menzogna. Io infatti non li ho mandati, dice il Signore, ma profetizzano falsamente in mio nome perché io li cacci e voi periate, voi e i profeti che vi profetizzano.” (27,14-15) Per Geremia una città come Gerusalemme, non poteva resistere all’impero babilonese; per il falso profeta Anania, invece era possibile perché Dio era con loro e avrebbe sconfitto Nabucodonosor. Questi arriva e fa piazza pulita di Gerusalemme, distrugge il tempio, la città e gli abitanti vengono deportati. Quando Gesù parla, la gente conosce la storia tragica di Israele.

Al tempo di Gesù i falsi messia, i falsi profeti, sorgevano come i funghi; negli Atti degli Apostoli 5,36-37 si legge: Qualche che tempo fa venne Teuda, dicendo di essere qualcuno e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso e quanti si erano lasciati persuadere da lui, si dispersero e finirono nel nulla. Poco dopo di lui sorse Giuda, il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anch’egli perì e quanti si erano lasciati persuadere da lui furono dispersi. All’epoca di Gesù ogni tanto sorgevano dei messia, dei liberatori, e dei falsi profeti; radunavano un gruppo di uomini ed erano stragi tremende. Gesù dice che nei momenti di crisi della società sorgono dei falsi liberatori, in realtà vogliono conquistare il potere, e dei falsi profeti, che avvallano con il loro messaggio i falsi messia.

Ma chiediamoci: da cosa si distingue il vero dal falso profeta? Si vede dall’atteggiamento nei confronti del potere; quando il potere ringrazia, premia i profeti, significa che sono falsi, sono sul libro paga del potente di turno. Quando il potere perseguita i profeti, si ha la sicurezza che sono autentici profeti. Gesù l’aveva detto nelle beatitudini: vi insulteranno e vi perseguiteranno, come hanno fatto con i profeti, prima di voi.

C’è qualcosa di pericoloso e bisogna tenere gli occhi aperti, le orecchie attente

e faranno grandi segni e portenti,così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti”. Prima gli eletti erano i fedeli dell’antica alleanza, adesso Gesù intende i fedeli della nuova alleanza, quelli che hanno accolto il suo messaggio. Gesù prevede il pericolo di un disastro all’interno della comunità, che ha accolto il suo messaggio e pratica le beatitudini: rischia di cadere nella trappola dei falsi profeti e dei falsi messia, perché compiranno grandi segni e prodigi. Cosa sono segni e prodigi?

Lo troviamo nell’Antico Testamento e nel Deuteronomio 13,1-2 si legge: Quando sorgerà in mezzo a te un profeta, un sognatore, che ti annuncia un segno o un prodigio e il segno e il prodigio di cui ti avrà parlato si compie, fanno segni e prodigi, ed egli ti dice: andiamo dietro agli stranieri che tu non hai mai conosciuto e serviamoli, tu non darai retta alle parole di quel profeta. Segni e prodigi è un’espressione tecnica con la quale, nell’Antico Testamento, si indicavano le azioni compiute da Mosè per liberare il popolo, le famose dieci piaghe d’Egitto, azioni che trasmettono morte.

Gesù non compirà mai segni e prodigi, però ci sono quelli che compiono segni e prodigi e sono falsi messia e non sarà facile distinguerli. Quanti sono alla ricerca di miracoli o segni prodigiosi, saranno sempre esposti alla seduzione dei falsi profeti, cadranno facilmente in inganno. Non invitano il popolo alla sofferenza, prometteranno milioni di posti di lavoro, meno tasse per tutti, ma sono trappole mortali in ogni tempo. I vangeli non sono storia, non sono archeologia, ci affinano le orecchie e la vista per vedere i pericoli; i falsi unti del Signore compiono segni e prodigi, e la comunità cristiana può cadere in inganno.

I segni e i prodigi non sono la garanzia di un mandato divino, ma il comportamento verso il potere, essi ambiscono a detenere il potere. Gesù verrà ammazzato dal potere, e per distinguere un falso liberatore e un falso profeta bisogna vedere il loro atteggiamento nei confronti del potere. Conclude dicendo:

25 “Ecco io l’ho detto prima a voi”. Gesù insegna con autorità, liberando la sua comunità da ogni visione fanatica; il discorso è rivolto ai discepoli, ma è preoccupato che la sua comunità, pur avendo accolto il suo messaggio e il suo insegnamento, corra il rischio di cadere nella trappola nei momenti di difficoltà. Si sa che con i falsi liberatori ci sono tragedie tremende.

26 “Se dunque vi diranno: Ecco è nel deserto, non ci andate; sia perché i capibanda, i falsi messia dovendo conquistare il potere, si radunavano con le loro truppe nel deserto; sia perché al tempo di Gesù, nel deserto, c’erano delle comunità monastiche rigorose, come gli Esseni. Questi si erano separati da Gerusalemme e conducevano una vita severa dal punto di vista morale, sicuri che il Messia si sarebbe manifestato da loro. La prima indicazione nel deserto, non andateci è un ordine imperativo, il Messia non si manifesterà né dove si riuniscono movimenti di insurrezione per il potere, né in luoghi che godono di un grande fascino spirituale per la vita rigorosa, ascetica.

oppure vi diranno, nascosto in cantina, non ci credete”.Il termine è difficile da tradurre nella lingua italiana, Vediamo cosa significa. La casa tipica nel mondo palestinese, aveva un parte scavata nella roccia, era la parte più sicura della casa, era l’unica dove c’era la porta che si poteva chiudere; era la parte più igienica, dove venivano messi i generi alimentari e le cose preziose; poi c’era una parte in muratura, che finiva sul cortiletto di casa. Chiamiamolo magazzino o cantina, era la parte più nascosta della casa e si diceva che il Messia c’era già, nascosto non si sa dove: non andate a cercare queste balle. Il Messia non è nascosto, il Messia con Gesù si è manifestato, ma non è stato riconosciuto e accettato proprio dai suoi discepoli: il dramma di Giovanni Battista.

Giovanni ha riconosciuto pubblicamente in Gesù, il Messia, dopo un po’ gli manderà la scomunica dicendo: sei tu quello che doveva venire o ne dobbiamo aspettare un altro?

Giovanni aveva detto: adesso viene il giustiziere, ogni albero che non porta frutto lo taglia e lo brucia. È l’immagine del Dio della religione, il Dio che premia i buoni e castiga i malvagi. Gesù in polemica con quest’annuncio, dice: se un albero non porta frutto, io lo zappetto attorno, lo concimo uno, due, tre anni (un tempo completo). Questo significa che Gesù non è venuto a distruggere, è venuto a vivificare, non era l’immagine del giustiziere atteso. È venuto come Messia, come Messia non è stato riconosciuto, perché non era quello della tradizione. Gesù viene

27 “Come il lampo che viene da oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo”. Adesso ci liberiamo dalle categorie ebraiche, è la fine del Messia e finalmente un termine che comprendiamo: Gesù parla del Figlio dell’uomo, uomo con la U maiuscola; non più messia, categoria che potevano capire gli ebrei, e che già nel mondo greco non si comprendeva.

Gesù non parla della venuta del Messia, liberatore di un popolo, ma della figura del Figlio dell’Uomo che viene a liberare tutta l’umanità. Figlio dell’Uomo è un’espressione biblica che significa l’uomo completo, non fatto di sola carne, ma che ha la pienezza dello Spirito ricevuto da Dio. L’azione di Gesù è quella di battezzare nello Spirito Santo, cioè immergere le persone nell’amore di Dio; chi accoglie quest’amore si sviluppa, cresce e realizza la persona. Il criterio di sviluppo dell’individuo è la capacità di amore che si fa dono generoso. Chi traduce la propria esistenza in un dono d’amore generoso per gli altri, cresce e diventa Uomo, come Gesù. Non è un titolo esclusivo di Gesù, è una possibilità per tutti coloro che gli danno adesione. Quello che viene non è più il Messia, concetto di una piccola regione dell’umanità, ma come il lampo viene da oriente, come luce che brilla da per tutto, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. Comprendiamo man mano, la parte positiva di tutto il discorso: quando Gerusalemme cadrà, la catastrofe della sua caduta sarà la venuta dell’Uomo. Ogni volta che cade un potere ingiusto, un’oppressione o un oppressore, si manifesta la venuta dell’Uomo e l’umanità ne guadagna. Dio che si manifesta nell’Antico Testamento, non è percepibile, non appare di persona, si manifesta dagli eventi che sono i fulmini, i tuoni, i lampi; così la venuta del Figlio dell’Uomo non è la manifestazione di un Gesù Cristo in carne e ossa in qualche posto, ma ogni qualvolta cade un sistema di oppressione, lì si manifesta Dio.

28 “E dovunque sarà il cadavere, là si radunerannole aquile, il termine greco può significare sia avvoltoi sia aquile, ma nel libro di Giobbe c’è la citazione: dove sono cadaveri là, l’aquila si trova, va interpretato comele aquile. Nella bibbia l’aquila è un animale impuro, ma ci interessa sapere che l’aquila, segno di Roma, capeggiava nell’insegna dei romani e la venuta dell’Uomo è collegata alla distruzione di Gerusalemme, da parte delle truppe romane. Non sono stati i pagani, i peccatori, ad essere distrutti dal Messia come loro credevano, ma Gerusalemme, città assassina.

Conoscete i Testimoni di Geova o anche persone che appartengono ai troppo cattolici, che prendono la bibbia alla lettera, e ora c’è un brano bellissimo, positivo, che è di liberazione, tanto è vero che Luca nel suo vangelo dice: quando accadranno queste cose alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

29 “Subito dopo la tribolazione di quei giorni,la distruzione di Gerusalemme è una tappa nell’umanità,

il sole si oscurerà, la luna perderà il suo splendore, le stelle cominceranno a cadere giù e le potenze saranno sconvolte”. Quando leggiamo il vangelo dobbiamo entrare nelle figure di quella cultura, non le possiamo interpretare con la nostra, non è una fine del mondo, è il contrario. Sole, luna, stelle, erano considerati, nei paesi pagani, delle divinità; erano gli dei pagani. Le stelle sono degli astri più piccoli, non paragonabili al sole e alla luna ed indicavano i re e gli imperatori. A quell’epoca, chiunque deteneva un potere era un semidio, il faraone era una divinità, l’imperatore romano era un figlio di dio e simbolicamente sono chiamati stelle.

C’è un brano molto famoso nel libro di Isaia, dove l’autore prendendo in giro il re di Babilonia dice: come mai sei caduto dal cielo, stella del mattino? tradotto in latino con Lucifero ha dato adito alla favola di Lucifero l’angelo bello. Tu dicevi in cuor tuo: io salirò in cielo, che significa la condizione divina, innalzerò il mio trono di sopra delle stelle di dio, comanderò sopra tutti quanti, invece ti hanno fatto scendere nello Sheol, nella regione dei morti.

È più complicato il termine le potenze e appartiene ad un mondo culturale che non è il nostro. Una volta nei prefazi c’era una filastrocca di nomi: troni, potenze, dominazioni, potestà e nessuno mai ha capito cosa fossero. Allora sopra la terra c’erano i 7 cieli, nel terzo cielo c’era il paradiso, al di sopra del settimo cielo c’era Dio; tra il primo cielo e la terra, c’erano gli spazi celesti, abitati da esseri semidivini che Dio non aveva ancora sottomesso e che condizionavano la vita delle persone.

La lettera ai Corinti 8,5-6 dice: in realtà anche se ci sono i cosidetti dei sia nel cielo che sulla terra e difatti ci sono molti dei e molti signori, per noi c’è un solo Dio, queste divinità sono gli spiriti del male che abitano le regioni celesti, è lo zodiaco, una realtà talmente lontana dalla nostra che è difficile comprendere; sono gli astri che governano la vita delle persone, l’oroscopo. Ci sono ancora oggi dei cretini, che leggono l’oroscopo, conoscono il segno, l’ascendente… era una credenza antica. Le persone credevano che la propria vita era condizionata dall’astro sotto cui nascevano, le potenze che regolavano la vita degli uomini. Gesù sta dicendo qualcosa di positivo, verrà annunciata la buona notizia del regno, Gesù è la luce e ha detto ai suoi discepoli: voi siete la luce del mondo, man, mano che la luce del vero Dio incomincia ad espandere la sua brillantezza, oscura quella delle false divinità e la gente si rende conto che erano delle nullità, le stelle cominceranno a cadere, cioè cadono quei potenti che appoggiano il loro potere sulle divinità. L’imperatore era una divinità, che poggiava il suo potere su Giove e quando la gente capisce che non c’è Giove, le stelle una dopo l’altra cominciano a cadere.

È più difficile che cadano i potenti che la gente si tolga dalla testa certe, lasciatemelo dire: coglionerie. E ancora oggi mi fanno imbestialire le persone che si definiscono cristiani e sanno tutto sul segno zodiacale quale sono nati…ma come si fa? Gesù assicura che il sole e la luna perdono lo splendore, le stelle cadono, cominciano a tremare, perché bisogna che si lasci posto all’unico che è nei cieli. Quando Gesù ha insegnato, in Matteo, il Padre Nostro, ha detto: Padre nostro e non è una banalità che sei nei cieli; non è l’indirizzo del Padre Eterno, significa l’unico che ci governa. Io non sono governato da una stella, un pianeta, una costellazione sotto la quale sono nato; Dio è l’unico che dirige la vita, l’unico Padre. Quando diciamo Padre Nostro che sei nei cieli, significa: che tu sei l’unico al quale noi riconosciamo la dipendenza della nostra esistenza.

Nella misura che uno crede che è il Padre a governare la propria esistenza e non quest’altre scemenze, queste incominciano a tremare e una dopo l’altra incominciano a cadere. Gesù chiama i discepoli ad essere luce del mondo per provocare un’eclisse delle false divinità; i potenti non verranno spodestati attraverso un’azione guerriera, ma quando non si crederà più nel loro potere.

Conoscete la favola del re nudo, quando uno si accorge che era una illusione, che il re è nudo, il potente perde il suo potere. È un’immagine straordinariamente positiva, non catastrofica, chissà quale disgrazia dovrà capitare sulla terra! Grazie all’annuncio del messaggio di Gesù le false divinità perderanno lo splendore, i potenti, che basano il loro potere sulle false divinità, cadranno come birilli uno dopo l’altro e le convinzioni radicate nella gente, cominceranno a tremare, ma bisogna che venga scelto l’unico Padre, l’unico che ha diritto di cittadinanza nei cieli.

Il termine potenze è il più complicato, nella lettera agli Efesini troviamo: gli spiriti del male che abitano nelle regione celeste; cioè sono spiriti che ancora Dio non aveva sottomesso e il famoso elenco: troni, dominazioni, principati e potestà, una volta credute categorie di angeli, sono i rivali di Dio.

Nella lettera ai Colossesi si dice: Avendo privato della loro forza i principati e le podestà, ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo. Paolo si rifà all’immagine del corteo trionfale della celebrazione del re vittorioso: quando il re vittorioso entrava nella città, era seguito dai principi o dai re che aveva catturato con tutti i loro beni. I troni, dominazioni, principati e podestà, sono termini che hanno a che fare con il potere, verranno come pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale del Cristo. Cristo ha trionfato con la nostra collaborazione e il corteo trionfale porta queste potenze.

Matteo accenna al tema della fine, non è la fine del mondo, ma il compimento. Una realtà storica e individuale, non va verso la catastrofe, ma con l’inizio delle doglie va verso il compimento; compimento della storia e maturazione dell’individuo, del discepolo, una fine personale che ci permetterà di rendere piena testimonianza della nostra fede. La fine individuale comporta, per la persona, il raggiungimento della condizione divina. Nulla di catastrofico, ma qualcosa di molto incoraggiante. Negli ultimi versetti troviamo gli insegnamenti di Gesù presentati sotto forma di piccole parabole, attraverso le quali incoraggia i discepoli di fronte alle situazioni di vita, perché scoprano di raggiungere nella pratica del servizio, la condizione divina, la maturazione come compimento della propria persona. Di fronte agli ostacoli interni ed esterni, la comunità deve manifestare nella storia, un impegno al servizio del regno.

30 “Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’Uomo,” Allora, in concomitanza con questi avvenimenti descritti nel versetto 29, nel cielo appare il segno del Figlio dell’uomo. Al versetto 26 Gesù aveva messo in guardia i discepoli, arriveranno falsi profeti che vi diranno: Ecco il Messia, è nel deserto, e nella cantina, e Gesù diceva: non andate nel deserto, non credete che sia nella cantina, è una pura invenzione. Infatti il Figlio dell’uomo non appare nel deserto, né nella cantina, ma si manifesta in un luogo ben visibile a tutti, in cielo, ambito della divinità; questo dopo lo sconvolgimento dell’ordine stabilito, la caduta degli astri, lo spegnimento del sole e della luna.

L’ordine che si pensava immutabile, viene sconvolto per dare spazio a qualcosa di completamente nuovo. L’immagine del sole che non dà la luce, della luna delle stelle sono dei cliché dell’Antico Testamento e non vanno mai presi alla lettera e nessuno si sognerebbe di interpretare, anche se ancora oggi i fondamen­talisti pensano che ci sarà l’oscuramento del sole e cose del genere. Sono dei cliché per presentare una novità grandissima. Se domani compro il giornale e leggo a caratteri cubitali La bomba: il presidente del consiglio si ritira dalla politica. Nessuno pensa che qualcuno ha lanciato un ordigno, ma che si deve rifare il governo. Dobbiamo saper interpretare bene che cosa l’evangelista voleva dire: in cielo, ambito della divinità appare non il Messia, che i discepoli si aspettavano, appare un uomo, il Figlio dell’Uomo, l’uomo nella sua pienezza. Quello che appare in cielo è visibile a tutti, non è legato ad una cultura religiosa, non è il Messia che soltanto gli ebrei potevano capire, non è legato ad una tradizione particolare, corrisponde a quello che tutti possiamo comprendere: i tratti di un uomo. I tratti umani sono riconoscibili da tutte le culture, da tutte le religioni, senza nessun tipo di pregiudizio. Nel cielo appare l’uomo che ha raggiunto la condizione divina, l’uomo nel suo splendore, l’umanità che è arrivata al massimo di sé: questo è proponibile a tutti i popoli, non c’è più legame religioso, non bisogna entrare in un codice di precetti.

Matteo parla del segno del Figlio dell’Uomo, il termine segno è già comparso in 12,39 e in 16,1-4 quando gli avversari di Gesù, i farisei, gli scribi e poi i sadducei, vanno da Gesù per chiedergli: quale segno tu ci fai, o ci dai. Vogliono metterlo alla prova: se tu veramente sei il Messia, fai qualcosa di portentoso. Gesù in quella situazione ha risposto: nessun segno sarà data a questa generazione, se non il segno di Giona, profeta. L’evangelista riprende una pagina famosa in quell’epoca.

Giona è il profeta inviato da Dio a predicare ai Niniviti, ma è contrario perché i niniviti erano i nemici più accaniti del popolo di Israele; non devono essere convertiti, ma eliminati completamente. Dio ha un altro ragionamento e dice: Giona tu devi andare a predicare anche a loro; succedono molte cose e Giona finisce nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti. Il segno di Giona, a cui Gesù fa riferimento, è che i Niniviti si sono convertiti: questa è la grandezza presentata dalla pagina profetica. Mentre Giona e gli ebrei dicevano di eliminare i nemici, Dio dice: convertiamoli, ricuperiamoli.

Gesù parlando a scribi e farisei si rifà a questo segno. Anche Gesù, il Figlio dell’uomo, trascorrerà tre giorni e tre notti nel seno della terra, e i pagani, si apriranno a questa novità di vita, si convertiranno alla proposta di Gesù. È il segno del Figlio dell’uomo, nulla di straordinario, di portentoso, ma è la presenza di Gesù, un uomo come noi, che manifesta il Padre. È l’uomo che raggiunge la pienezza, è la presenza e la manifestazione stessa di Dio. Il segno appare quando il cielo è stato liberato dagli astri, potenze, che si arrogano la pretesa di salire lassù per comandare, per dominare gli altri. Sconvolto l’ordine stabilito si lascia l’accesso libero alla manifestazione dell’uomo. La luce del Figlio dell’uomo splende quando si spegne quella del sole, della luna, degli astri, di tutte le false divinità, false ideologie, che vogliono dominare l’uomo e imporre un pensiero che non corrisponde al progetto di Dio, alla sua proposta di vita.

allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e” dovremmo sentire la gioia per un messaggio del genere, e le tribù della terra fanno un segno di lutto. Battersi il petto voleva dire riconoscere il proprio errore, sentirsi frustrati per qualcosa che è accaduto, che non si è compreso. Per capire il significato di le tribù della terra, ci dobbiamo ricollegare a Matteo che ha parlato già di tribù riguardante Israele; Gesù ha detto ai suoi discepoli: voi siederete sui 12 troni e voi giudicherete le tribù di Israele. Invece Israele credeva che con la venuta del Messia e con la restaurazione gloriosa di Israele, le 12 tribù sarebbero state ricostituite e loro sarebbero stati i giudici di tutta la terra. Gesù dice il contrario, sarete voi, discepoli, che avete scelto la strada del servizio a fare da giudici a quelli che hanno la presunzione di essere superiori agli altri, alle tribù della terra, le tribù di Israele.

Quanti presumono di essere superiori agli altri, di considerarsi una cultura superiore, vedranno crollare i loro sistemi, svanire i loro sogni di grandezza, per questo si batteranno il petto. La manifestazione del Figlio dell’uomo comporta per loro la consapevolezza: credevamo che i nostri sistemi ci avrebbero dato potere, gloria, abbiamo capito che è il contrario, siamo finiti nel nulla. “si batteranno il petto le tribù della terra e

vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo”, constatano la manifestazione e si battono il petto. Per comprendere l’espressione il Figlio dell’uomo che viene sopra le nubi l’evangelista si rifà al termine biblico di teofania, teos in greco è Dio, faneo manifestazione, manifestazione di Dio. Nell’Antico Testamento Dio non è riconoscibile dall’entità, si presenta: io sono Colui che sono, Dio si rende identificabile attraverso l’attività che compie, è colui che sta vicino al suo popolo. Nell’Antico Testamento Dio non compare mai personalmente, ma appaiono dei fenomeni che fanno capire la sua presenza. Questi fenomeni sono: lampi, tuoni, un monte che fuma, espressioni prese dalla natura per capire che Dio è vicino, è presente al suo popolo.

Per parlare della venuta del Figlio dell’uomo sopra le nubi, non si prende il testo in maniera letterale; è un modo di parlare di come si manifesta il Figlio, in qualità di uomo e viene riconosciuto come uomo. È un segno, qualcosa che deve essere interpretato, che deve essere compreso secondo la sua matrice simbolica: è il modello di uomo, il Figlio dell’Uomo, l’uomo con la U maiuscola e manifesta la piena condizione divina. Nelle culture orientali gli dei cavalcavano le nubi, uno dei titoli di Baal, divinità pagana fenicia, era cavalcatore delle nubi.

Matteo prendendo l’immagine pagana (anche di Jahve si diceva: ha il suo trono sulle nubi), dice che in Gesù, uomo come noi, si manifesta la condizione divina. Venire sulle nubi del cielo significa possedere la stessa condizione di Dio. Questa visione non è per i discepoli, ma per le tribù della terra, per coloro che si sono chiusi al messaggio e che hanno testimoniato la caduta degli astri; costoro vedranno lo splendore del Figlio dell’Uomo. Matteo dice che come viene scalzato un sistema di potere, contrario al bene dell’uomo, automaticamente splende, si manifesta la vera condizione umana, cioè si manifesta il Figlio dell’uomo e l’avanzata del suo messaggio. La manifestazione del Figlio dell’Uomo non avviene una volta sola, alla fine del mondo, è qualcosa di progressivo: ogni volta che voi constaterete la caduta di un sistema contrario al bene dell’uomo, ogni volta che voi vedrete spegnersi una ideologia che annullava le persone, questo sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. L’uomo si manifesta nella sua Signoria, si manifesta come colui che ha realizzato il progetto di Dio, di essere libero e di raggiungere la pienezza divina. Le stelle cadono, il sole si oscura e splende la luce del Figlio dell’uomo, non possono essere contemporaneamente, bisogna che una si spenga perché l’altra possa brillare.

con potenza e grande gloria”.Non è altro che ribadire la divinità che si manifesta nell’uomo, potenza e gloria sono attributi divini. Nell’Antico Testamento la potenza e la gloria vengono dati a Dio, qui vengono applicate all’Uomo, al Figlio dell’uomo.

Matteo si rifà al capitolo 7 del testo del profeta Daniele, che descrivendo il potere, dice che in sogno ha visto uscire dal mare quattro bestie terribili, un leone, un orso, un leopardo e un drago terribile. Le quattro bestie sono i re della terra, perché la bramosia di potere imbestialisce le persone; chi si fa prendere dall’ansia di comando, si deforma, diventa come una belva, pronto a depredare, ad azzannare chi gli si mette davanti. Ma il regno, la potenza, e la gloria viene data, in questa visione, a uno che aveva i tratti umani; il servizio è quello che umanizza e rende la persona capace di ricevere gli stessi attributi divini: la gloria e la potenza.

Matteo si rifà a questo retroscena profetico, per far capire che mentre le potenze nel cielo rappresentavano fonte di morte, la potenza del Figlio dell’Uomo significa una vita che si comunica è il contrasto tra quelli che vogliono innalzarsi con la propria prepotenza (prima o poi cadranno) e quello che si trova in alto come frutto del proprio servizio, del proprio dono di sé.

31 “Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli”. Sono immagini da interpretare, simboliche, il profeta Zaccaria e Isaia, il libro del Deuteronomio, parlando dei dispersi di Israele (Israele ha vissuto guerre, invasioni, che il popolo era dimezzato, una parte era nella terra di Israele, la maggior parte nella diaspora), dicono che questi aspettavano l’arrivo del Messia, che avrebbe radunato tutti quelli che facevano parte dell’Antica Alleanza.

Matteo prende queste immagini per applicarle agli eletti, a una realtà nuova: tutti coloro che hanno dato adesione al vangelo, tutti coloro che hanno subito sulla propria pelle gli effetti di questa adesione, cioè la persecuzione, vedranno la fine della loro oppressione e saranno radunati come un popolo nuovo, per partecipare pienamente della salvezza. La tromba, la grande tromba, era lo strumento usato nelle grandi assemblee liturgiche di Israele, nelle grandi feste solenni, e il profeta Isaia la riprende: nel giorno in cui verranno radunati tutti gli sperduti di Israele, si sentirà il suono della tromba. Matteo applica alla nuova comunità degli credenti, quello che il popolo di Israele si aspettava per il suo futuro; finirà l’oppressione di chi è vissuto a favore del vangelo, che ha subito sulla propria pelle gli effetti dell’adesione, e sarà radunato per vivere come popolo nuovo, capace di partecipare alla condizione divina.

L’immagine della tromba ha una carica molto forte dal punto di vista simbolico; c’è una preghiera che gli ebrei ancora oggi fanno in sinagoga, si chiama la preghiera delle 18 benedizioni e la decima benedizione parla della grande tromba, come liberazione e come raduno degli eletti. Era molto importante per la tradizione giudaica e Gesù l’applica alla comunità dei credenti.

Ma il Figlio dell’uomo non viene per giudicare nessuno, non fa il giudice. Le potenze sono state sconvolte, gli astri sono caduti, il sole … come effetto della diffusione del messaggio di Gesù, Figlio dell’Uomo, per radunare gli eletti, riconfermare quelli che si sono mantenuti fedeli alla nuova alleanza. Gli eletti sono quelli che hanno dato adesione al vangelo di Gesù e che Gesù, alla fine del vangelo di Matteo, li manderà a tutte le nazioni, andate in tutte le nazioni e fate miei discepoli tutti. Se c’è una specie di dispersione, Gesù li manda a tutte le nazioni, ma con la garanzia che dopo saranno radunati come un popolo nuovo. Matteo ha voluto rappresentare in Gesù, Figlio dell’Uomo, la manifestazione divina e il raduno degli eletti nell’Antico Testamento era compito specifico di Jahve. Matteo dice che il Figlio dell’Uomo lo fa con i suoi collaboratori, con gli angeli, i risorti. Lo abbiamo già visto al capitolo 22 con la questione dei sadducei: la donna aveva avuto sette mariti che sono morti e Gesù dice che nella vita dei risorti si è come angeli, non si prende più moglie, né marito.

Gli angeli sono i risorti che continuano a collaborare con il Figlio dell’Uomo, con Gesù, nel raduno degli eletti. Coloro che hanno aiutato Gesù nel seminare la proposta del regno, lo aiutano a raccogliere il frutto. Cambia il tono del testo,

32 “Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina”. Il discorso prende un tono più incoraggiante, e l’insegnamento di Gesù è centrato su alcune parabole. Il fico è una delle poche piante che, in Israele, perdono le foglie durante l’inverno, quando incominciano a spuntare le gemme e le prime foglie, si sa che l’estate è in arrivo. È un bel segno perché arriva l’estate, il periodo dei frutti, il periodo della fecondità, dell’abbondanza.

Gesù dice ai discepoli: dovete imparare dal fico questa parabola. L’ultima parabola che Gesù ha esposto ai suoi avversari al capitolo 21, è quella dei vignaioli omicidi. Dio ha mandato sempre degli inviati per la sua vigna, ma coloro che avevano in affidamento la vigna li hanno fatti fuori uno dietro l’altro e per ultimo il figlio dicendo: questo è l’erede facciamolo fuori, così la vigna diventa nostra. Gesù chiede ai capi religiosi: ma che cosa farà il padrone della vigna con questi vignaioli? Rispondono: la toglierà dalle mani e la darà ad un altro. È il discorso di Gesù: il popolo di Israele ha finito la funzione di essere il popolo delle promesse, adesso quella realtà di vita, quel regno che produrrà i suoi frutti, viene dato ad un altro popolo. L’evangelista dice che tutte le cose che stanno succedendo, non si devono interpretare come una catastrofe, è un qualcosa che porta verso l’abbondanza come quando il fico incomincia a mettere le foglie. Quello che prima era ristretto a una popolazione sola, che non ha saputo né custodirlo né alimentarlo, verrà dato a tutte le genti; tutti potranno dare frutti dalla proposta di vita che Dio farà loro. Gesù invita ad imparare dal suo insegnamento: imparate dal fico, dalla parabola.

Gesù non chiede mai una comprensione intellettuale (per comprendere il vangelo, ci vuole, io questa settimana mi sono messo solo su questi versetti), dobbiamo comprendere le cose anche dalla nostra esperienza vitale. Quando vedo una pianta che sta buttando le gemme, capisco che succede qualcosa di buono; lo stesso deve fare il discepolo, deve imparare che sta avvenendo qualcosa di buono perché la buona notizia del vangelo si diffonde e più si diffonde più sarà capace di dare frutti.

33 “Così anche voi: Gesù si rivolge in prima persona ai discepoli,

quando vedrete tutte queste cose, sappiate che (l’estate)è vicino alle porte”.

I discepoli sono testimoni di questa novità e di nuovo Gesù ricorda a loro che la distruzione di Gerusalemme non comporta la restaurazione gloriosa di Israele, ma l’inizio di un tempo nuovo. Il regno di Dio, la proposta divina si apre ai pagani, alle genti, cessa di essere appannaggio esclusivo di Israele. Questa è la testimonianza che dovranno rendere i discepoli: quando voi vedrete queste cose sappiate che la realtà di vita è vicino alle porte, la realtà di vita che sta crescendo piano piano, e darà il frutto abbondante come il fico, che mette le gemme e già anticipa il frutto.

Uno può dire: ma il regno di Dio (una società nuova in cui le persone si scoprono nella loro dignità, libertà, che non è l’aldilà), non si vede ancora! Ci sono tante malvagità, tante catastrofi, tante angherie e dobbiamo imparare dal fico. Anche se le cose non si vedono ancora completamente, sappiamo che il messaggio di Gesù, diffondendosi, ha una carica talmente grande, una dinamica di vita talmente grande, che porterà un’esplosione di frutti, di abbondanza per tutti. È una maniera di incoraggiare, non lasciamoci ingannare a volte dalle apparenze, questo processo comporta del tempo. 2000 anni di cristianesimo non sono niente nei confronti di tutta la novità che il messaggio di Gesù comporta; bisogna essere pazienti però consapevoli che è iniziata una realtà nuova, che al tempo opportuno darà frutti abbondanti di vita.

34 ”In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada”.In maniera molto chiara afferma che i contemporanei saranno testimoni di questa novità che sta per iniziare. Circa 40 anni dopo queste parole (Gesù parla intorno agli anni 30-35, la guerra dei romani contro Gerusalemme nella Giudea, inizierà nel 66 d.C. e Gerusalemme verrà distrutta nel 70 d.C.) la generazione sarà testimone della catastrofe del popolo di Israele e della apertura nuova per la comunità dei credenti. Saranno testimoni dell’inaugurazione del regno di Dio proprio quelli che lo hanno rifiutato, proprio quelli che uccisero tutti gli inviati che Dio aveva mandato loro.

35 “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Questa è un’altra espressione da prendere con tutta la sua ricchezza, perché è molto incoraggiante. Nel discorso della montagna, 5,18, Gesù aveva detto: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla Legge neppure uno iota o un segno senza che tutto sia compiuto. Aveva già informato i suoi discepoli che le promesse di Dio, contenute nella Legge, si realizzeranno; non passerà il cielo e la terra finché questo non sarà compiuto.

Quando il regno verrà inaugurato, vorrà dire che i cieli e la terra di prima ormai non avranno più nessun valore, la Legge (tutte le promesse riguardanti il regno di Dio) ha finito la sua funzione, ora c’è una realtà nuova di vita per tutti. Realizzata la Legge, rimangono le parole di Gesù. Mentre la Legge era destinata a un periodo storico, le parole di Gesù rimangono per sempre. Queste parole non rimangono lettere, suoni strani, ma noi le facciamo sentire, noi riecheggiamo le parole di Gesù. Se le parole rimangono per sempre, anche noi rimaniamo per sempre; la Legge è passata, i sistemi politici passano, tutto questo passa.

Noi ci impossessiamo della parola di Gesù che è una parola che mantiene sempre la sua vitalità, la sua qualità divina. Nell’Antico Testamento solo la parola di Dio non passa mai e adesso viene applicato a Gesù e alle sue parole; vuol dire che le sue parole sono le stesse di Dio. Queste parole siamo noi che le pronunciamo, non sono parole che si gettano nel vento, automaticamente noi riceviamo gli effetti di quella perennità, di quella eternità che la parola comporta. Mentre tutto passa, la parola rimane e rimane chi è capace di portare questa parola, di annunciarla e di farla conoscere con la propria vita. Queste parole hanno una vitalità tale che non perdono mai la loro validità; chi la ascolta e la mette in pratica automaticamente riceve questa validità per sempre. Tutto passa, l’unica cosa eterna che rimane per sempre è la carica vitale contenuta nella parola di Dio.

36 “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Ci troviamo davanti un versetto misterioso, a che giorno e a che ora si riferisce Gesù? In 24,34 aveva detto: non passerà questa generazione prima che tutto accada, prima che passi questa generazione ci sarà la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio. Qui si riferisce e sembra un po’ enigmatico, a un altro appuntamento di cui nessuno sa né giorno né l’ora.

Abbiamo già imparato a leggere il testo col testo, Matteo stesso ci aiuta a comprendere e vedremo che quel giorno e quell’ora, riguarda la fine individuale di ogni discepolo. Soltanto il Padre conosce quando il discepolo avrà raggiunto la sua maturazione e quando dovrà rendere testimonianza, anche fino al dono di sé, della fede nella parola di Gesù. Il Figlio non lo conosce, non perché sia minore del Padre, ma perché non spetta al Figlio. È il Padre che stabilisce con noi il rapporto di paternità o di figliolanza, solo Dio ci considera come figli suoi, ci ha messo nella statura di figli e conoscendo la nostra crescita e la nostra maturazione sa il giorno e l’ora in cui noi dovremmo rendere testimonianza di essere persone mature. Il discepolo non si deve preoccupare per il giorno e l’ora, a noi deve interessare come viviamo, come impostiamo la nostra vita, perché lo sviluppo personale va sempre avanti.

Vivendo in sintonia con l’insegnamento di Gesù, la vita cresce in noi che maturiamo come persona. Il giorno e l’ora ci sarà per tutti, ma questo lo sa soltanto il Padre in base al processo di crescita di ognuno. Poi non andate a chiedermi: ma riguardo a quel giorno.., lo sa soltanto il Padre, non chiedetemelo a me.

Preparando la fine del capitolo 24 a volte mi veniva la disperazione perché – cerchiamo di consultare commenti, le fonti che abbiamo a disposizione – mai nessuno che dica qualcosa di interessante, se non scopiazzature sul giudizio finale, incontro con il giudice. Ma è possibile che Matteo abbia sprecato tempo ed energia per dire una cosa così sbiadita?

Qui c’è qualcosa di più interessante, nella mia limitazione cerco di farvelo comprendere; io intuisco questo: che il Padre conosce la nostra crescita, non ci sono violenze nei nostri confronti, ma lascia che questo processo avvenga, come Gesù ha parlato del chicco, della piantina che cresce, nel vangelo di Marco. Come? Non si sa, però la pianta sta crescendo, ci interessa sapere che stiamo crescendo e che nel momento in cui dovremmo rendere testimonianza, come persone mature manifesteremo la nostra piena adesione al vangelo di Gesù. Ed ecco la spiegazione, io ritengo che questo versetto venga spiegato da quelli successivi.

37 “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano e prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’Uomo”.Gesù parla di una venuta, di un incontro del Figlio dell’Uomo con la persona che deve rendere testimonianza della propria vita. Gesù fa un paragone con la storia di Noè, una storia che tutti conosciamo. Matteo dice che la gente non si aspetta le situazioni di crisi (è la storia di Noè in cui sta per accadere qualcosa di molto grosso), che vive con la presunzione che va tutto bene, a che serve il confronto con gli altri, a che serve impegnarsi per le cose se in fondo, è tutto uguale? È il rischio di vivere in maniera superficiale, il grande pericolo, non si accorsero di nulla, in maniera un po’ triste, dice che non accorgersi di nulla fa parte dell’atteggiamento umano.

Il Talmud, fonte di scritti giudaici, dice: tre cose vengono quando meno ci si pensa. Viene il Messia, una bella trovata, uno scorpione. La gente purtroppo non pensa a queste cose, si fa sfuggire le buone occasioni e va a finire in una situazione brutta. Che cosa succedeva nei giorni di Noè? Stava per arrivare qualcosa di straordinario, ma la gente si alimentava, si sposava, come se nulla fosse. L’evangelista per mangiare, alimentarsi, adopera un verbo poco elegante trangugiare, inghiottire.

La gente nella normalità di vita, nella routine di alimentarsi, sposarsi, non si accorge che sta per accadere qualcosa di molto grosso. È il rischio, dice Gesù, di non essere pronti per affrontare la verifica della propria vita. Spieghiamo meglio con i versetti 40-41.

40 “Allora due uomini saranno nel campo, uno sarà accolto,attenzione alla traduzione,

e l’altro sarà lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola; una sarà accolta e l’altra lasciata”.Queste parole non alludono ad alcun tipo di predestinazione, ma alcune persone saranno accolte e altre non. Gesù aveva già detto in 24,13 chi persevererà sino alla fine, entra nella vita; entriamo nella vita se siamo persone fedeli, se perseveriamo. Si parla dell’ambito quotidiano, lavorare in campagna o lavorare alla mola del mulino per fare la farina; sono gruppi di persone che fanno le stesse cose, entrambi lavorano in campagna, stanno alla mola, però c’è qualcosa che li distingue: una diversa qualità di vita.

Uno vive in maniera superficiale: mangia, si sposa, lavora, però gli scivola tutto; altri mangiano, si sposano, lavorano e la domenica, anziché andare al mare, vanno ad ascoltare il vangelo. Non sono diversi dagli altri, tutti lavorano durante la settimana, però c’è un vivere la vita in modo serio, non pensare soltanto a nutrirsi, a mettere al mondo figli, un vivere con un’altra consapevolezza.

La vita ha un valore talmente grande se serve per far risuonare la parola di Gesù e io voglio che della mia vita non sia perso neanche un centimetro della mia persona, ma che si sviluppi e cresca fino al massimo. Gesù dice che le due persone fanno le stesse cose, il discepolo non fa cose straordinarie: si ritira dal mondo, vive in un eremo, sta tutto il giorno in preghiera! Fa lavori come gli altri, va in campagna, in fabbrica, però ha la consapevolezza di quello che fa e che lo fa entrare in una dimensione di vita che già appartiene a quella vita: sarò accolto, mi sento parte di una vita più grande di quello che io posso percepire con i miei occhi. Forse questo non accade per la maggior parte della gente, e dispiace.

Il messaggio di Gesù deve diffondersi perché liberi la capacità di aprire le menti e la gente non viva come un vegetale, uno zombi, che fa le cose perché lo dicono gli altri: le potenze dei cieli che devono essere sconvolte. L’altra volta Alberto spiegava le potenze dei cieli in allusione agli oroscopi, gente che vive in base alle stelle; possiamo dare l’interpretazione che le potenze dei cieli sono i mezzi di comunicazione che viaggiano nell’etere, i satelliti che ci mandano le notizie dall’Australia, dall’America e ci dicono come dobbiamo mangiare, cosa pensare, come vestirci, quali sono i nostri nemici, qual è l’impero del male che dobbiamo combattere. Tutto questo ci frena enormemente e la gente non se ne accorge. Arriva il diluvio, arriva il momento della verifica, chi è stato furbo è entrato nell’arca, chi ha lasciato perdere viene inghiottito dal flutto di mare, di acqua, di pioggia.

Non si parla di nessuna predestinazione, nessuna moralità degli altri, ma di una consapevolezza su come impostare la propria vita e che non bisogna mai sfuggire le occasioni per far crescere la vita; questo fa parte del discepolo. Sono convinto che Dio pone, davanti a noi, tante possibilità per far crescere la vita che è in noi, noi non dobbiamo farcele sfuggire mai e significa fare il proprio lavoro, stare alla mola; però mi sento già accolto, perché mi fido della proposta e cerco di impostare la mia vita secondo l’insegnamento. Gesù vuole spiegare ancora questa situazione di massima attenzione,

42 “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”.Di nuovo non sapete il giorno e l’ora, a noi interessa sapere come dobbiamo vivere. Gesù dice vegliate, siate persone che non si preoccupano per il quando, non si fanno prendere dalle ansie, dai fanatismi, ma in maniera precisa si danno da fare sapendo che si incontreranno nel Signore. Questo non ci crea nessuna paura perché ci sentiamo già accolti, ci sentiamo partecipi di questa vita.

L’invito a vegliare, lo troveremo poi al capitolo 26. Gesù va al Getsemani a pregare, ai suoi discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni chiede: Venite e vegliate. Non sono capaci di vegliare con Gesù, non perché erano stanchi. Quando si parla di veglia non è una veglia notturna, ma essere solidali con colui che sta per affrontare un momento particolarmente difficile della propria vita. Gesù chiede ai discepoli: siate solidali con me, perché ho bisogno del vostro aiuto, sto per affrontare qualcosa di molto grande. I discepoli si lavano le mani, questa è la difficoltà di non essere consapevoli delle cose che stanno accadendo, da cui ci dobbiamo fare coinvolgere. Il vegliare significa siamo solidali con le persone che vivono situazioni particolarmente difficili, che non ci sfugge la causa di questa oppressione, di questo dolore, e noi possiamo intervenire per alleviare.

Gesù paragona la sua venuta con il momento della persecuzione: non sapete quando il Signore vostro verrà, quando anche voi dovrete rendere testimonianza, quando dovrete dimostrare che avete accolto in pienezza il messaggio. Nella parabola dei quattro terreni Gesù dice: quello che è stato seminato nel terreno sassoso, è l’uomo che ascolta la parola e subito la accoglie con gioia, ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge la tribolazione o la persecuzione a causa della parola resta scandalizzato. Gesù dice che noi non dobbiamo essere persone superficiali, come quelli dei giorni di Noè, dobbiamo essere persone che mettono radici, che assimilano la parola. Questo ci permetterà di affrontare la prova e quando arriverà una situazione di crisi io non dirò: non voglio sapere più niente di tutto questo, sono tutte chiacchiere. Gesù lo ha messo in programma e richiama i discepoli perché siano sempre svegli, abbiano gli occhi aperti e possano rendere testimonianza della loro fede.

43 “Questo invece considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe sfondare la casa. 44 Perciò anche voi siate pronti perché nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’Uomo”. Di nuovo l’ora, prima ha parlato del giorno, è una maniera di richiamare i discepoli ad essere persone che fanno funzionare il cervello: non vi lasciate plagiare, non vi lasciate addormentare da chi dice che va tutto bene, basta che vi fidate di me e io vi risolvo tutti i problemi, ho tutte le ricette! Non lasciamoci ingannare da queste cose, teniamo gli occhi aperti sapendo che la realtà è molto più dura di quello che sembra, però possiamo fare qualcosa per trasformarla.

Il vegliare in questo giorno che non si sa, nell’ora che non si sa quando verrà il Signore, non deve mettere ansia, deve essere un richiamo per essere vigili perché è il distintivo del discepolo. Gesù lo ripete ancora un’altra volta, anche nella parabola che segue. Il vegliare è in senso attivo: voglio che la mia vita sia una vita attiva, capace di leggere gli eventi, di interpretare le cose. Gesù ora parla di un padrone di casa: se il padrone di casa sapesse quando arriva il ladro, non andrebbe a dormire. Questo non accade, i padroni di casa vanno a dormire di notte, e il giorno che meno se lo aspettano, il ladro li frega.

Prendendo un esempio della vita di ogni giorno, dei compiti e delle responsabilità, dice ai discepoli: voi dovete essere il contrario di quel padrone di casa, voi già sapete che ci sarà quest’incontro, datevi da fare perché in quel giorno voi possiate rendere testimonianza della vostra vita e non vi troviate con le mani vuote. È il discorso che poi vedremo nel capitolo 25, la parabola delle ragazze stolte e delle ragazze furbe che, dovendo incontrarsi con il Signore, portano l’olio, non si trovano a mani vuote. Gesù ha fatto comprendere ai discepoli che seguirlo comporta di vivere anche in una precarietà di vita. Al capitolo 10 aveva detto: Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il proprio figlio.

La vita del credente è esposta a tanti pericoli, a tante situazioni di difficoltà, in ogni momento si può scatenare la persecuzione; siamo pronti per rendere testimonianza che veramente crediamo nella sua proposta, che l’abbiamo assimilata come norma della nostra vita e siamo come Gesù, pronti a dimostrarlo. Gesù richiama i discepoli a questo: mantenere l’impegno di fedele adesione a lui ed al suo messaggio.

Continua con un’altra parabola che conclude il capitolo,

45 “Quale è dunque il funzionario fedele e saggio, a cui il Signore ha posto a capo dei suoi domestici con l’incarico di darloro il cibo al tempo dovuto?”Prima ha detto: dovete essere svegli, adesso vediamo come lo presenta con un’altra parabola. Il padrone di casa prende uno dei suoi funzionari e gli dà un incarico importante: devi provvedere a dar da mangiare a tutti quelli che stanno nella casa. Gesù dice che questo deve essere il modo di essere svegli, di essere persone sagge che sanno realizzare, sanno attuare il compito affidato. Prendendo lo spunto da questa parabola Gesù dice, cercate sempre di svolgere i vostri incarichi, non l’incarico di dominio, il padrone non affida a quel servo un comando con la frusta. Il padrone dà un incarico al servo: procurati di dare vita, alimento a queste persone.

46 “Beato quel funzionario che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così”.È l’ultima delle quattro beatitudini che noi troviamo nel vangelo, dopo quelle del discorso della montagna. Gesù ha parlato in altre occasioni delle beatitudini, questa è l’ultima e riguarda la risposta del Signore al comportamento del funzionario, che ha svolto il compito di nutrire quelle persone: tu sei beato. Il servo viene chiamato beato perché si è fidato pienamente del suo Signore. Che cosa il Signore chiede anche a noi? Che ci fidiamo di quello che Gesù ci chiede di fare.

Uscendo da Montefano, mi è successo qualcosa di grandioso: questa mattina il Signore mi ha dato l’incarico che mi devo preoccupare del tuo bene. Io non sto più dalla gioia! Mi devo dar da fare perché a te non manchi niente, perché tu sia una persona veramente più serena. Non è un compito gravoso, adesso mi tocca sgobbare, ma è il contrario! Guarda che fiducia il Signore ha nei miei confronti, mi ha detto: ti do quest’incarico, procura vita agli altri. Si fida di me, ha una stima talmente grande di me, che io sono beato. Non devo aspettare che il Signore me lo dica, ma uno che mi affida un compito così questa è la cosa più grande che mi poteva capitare nella vita, io devo interessarmi per il bene degli altri.

47 “In verità vi dico: gli affiderà l’amministrazione di tutti i suoi beni”. Se ti fidi di me, dice il Signore, di quest’incarico che ti do, tu capirai quanto è più grande la mia stima nei tuoi confronti: gli affiderà tutto. A quanti si occupano della vita degli altri, il Signore in maniera figurata, li chiama a prendere parte di tutti i suoi beni. Non c’è più un Signore e un servo, ma tutti e due sono la stessa cosa. Il Signore dice: ti sei fidato di quest’incarico, tutto quello che è mio è tuo, non c’è più distinzione fra noi. Siamo la stessa cosa, hai nelle tue mani tutti i miei beni.

Il Signore dona sempre molto di più di quello che l’uomo di per sé può dare, con tutta la sua buona fede. Non si tratta di una ricompensa, il funzionario viene chiamato fedele e saggio perché ha fatto bene il suo lavoro, ha sperimentato la stima che il padrone gli ha dato. Per lui è una grande gioia poter fare quel lavoro, non lo fa perché aspetta un premio, ma per il fatto che il padrone gli ha dimostrato una stima così grande. È la grandezza del discepolo che raggiunge la sua maturità, il suo pieno sviluppo, fidandosi pienamente del Signore. Purtroppo non funziona sempre così, la parabola si conclude

48 Ma se questo funzionario malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, 49 e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi,” è il pericolo presente nella comunità: ci sono quelli che si fidano e non vedono l’ora di svolgere l’incarico che Gesù, il Signore, pone nelle loro mani; ci sono quelli che dimenticano l’incarico di servire gli altri e si comportano da padroni, vogliono dominare, e pensano soltanto a nutrire se stessi e spadroneggiano sugli altri.

Sui pastori che curano se stessi, i profeti hanno parlato tanto, come il profeta Ezechiele e la 1 lettera di Pietro in cui si dice, in maniera molto dura, per i responsabili della comunità, che non bisogna mai agire per interesse vergognoso, per spadroneggiare, ma per far del bene alle persone con le quali si deve vivere e collaborare.

La parabola presenta l’altra faccia della medaglia: quelli che non si fidano del Signore e dicono: questo è un padrone come tutti gli altri, finché lui è presente mi do da fare, appena lui se ne va faccio quello che mi pare, perché non c’è nessuno che mi controlla. Non si fidano del rapporto di comunione, di stima grande da parte del padrone. Nell’assenza del padrone, il servo si può dedicare a sfruttare e viene fuori la sua falsità e la sua cattiveria all’interno della comunità. È il rischio che bisogna evitare e alla fine comporta una situazione terribile.

Gesù ha già avvertito i discepoli: 24,12 l’amore di molti si raffredderà. Anche all’interno della comunità ci saranno delle defezioni, ci saranno persone che non comprenderanno la natura, il ruolo del Signore: non è un padrone che domina e anch’io faccio lo stesso quando lui è assente; non è un Signore con il quale io devo fare il bravo, perché voglio riceverne i complimenti; è una persona che vuol diventare una cosa sola con me, che mi vuole affidare tutti i suoi beni; bisogna che io mi fido di lui.

50 “arriverà il padrone nel giorno in cui il funzionario non si aspetta e nell’ora che non sa, il discorso del giorno e dell’ora,

51 lo squarterà in due e la sua sorte sarà quella degli ipocriti: dove sarà pianto e stridore di denti”.Il capitolo finisce con questo versetto che può sembrare un macigno, però siamo nella parabola e bisogna entrare nel personaggio.

Al secondo personaggio viene data più attenzione, però la parabola è una bilancia. C’è un aspetto molto positivo e c’è l’altro aspetto che rovina la vita della persona. Alla fine della parabola, si insiste su questo personaggio che ha perso il senso della sua condizione, non ha capito che era stato chiamato per servire gli altri, ha dimenticato il compito di pensare agli altri, perché non c’è un padrone che lo controlla, e si mostra interessato solo a se stesso. E Gesù dice: quando verrà il padrone, per il funzionario infedele, malvagio, ci sarà una punizione terribile.

Qui viene indicata la morte per squarciamento e nell’Antico Testamento era riservata ai traditori; questi venivano legati alle gambe, fatti a pezzi. È la stessa morte di Giuda che il libro degli Atti 1,18 ci racconta: Comperò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipitandosi, si squarciò in due e si sparsero tutte le sue viscere. Gesù dice che l’atteggiamento di quanti sono stati chiamati a dare vita e poi non solo non la danno, ma la tolgono agli altri, è un grande tradimento. Sono vampiri che nella comunità, anziché contribuire alla vita degli altri, la succhiano per i propri interessi. Lo fanno perché non si sentono controllati, o perché credono che con il loro potere, la posizione che hanno assunto, a loro sia permesso tutto. Per questi la fine sarà terribile e viene paragonata alla fine degli ipocriti che, li abbiamo già trovati nel vangelo, sono stati individuati nella figura degli scribi e dei farisei.

La sorte sarà quella di coloro che rappresentano una scena, Nella cultura greca l’ipocrita, l’abbiamo già spiegato, è l’attore che porta la maschera. Gli ipocriti sono i discepoli, che all’interno della comunità fanno opera per essere ammirati o perché non si sentono controllati, o perché sono talmente prepotenti che credono di potere imporre la loro prepotenza, ma la sorte è quella dei teatranti, commedianti: stridore e il pianto.

È il rendersi conto di aver perso un’occasione unica, sperimentare la frustrazione totale: sono stato chiamato per dare vita, mi sono lavato le mani, ho preferito togliere vita agli altri. Chi si indirizza su questa strada sappia che va incontro a una frustrazione, a un annientamento totale, lasciando perdere l’immagine dello squartamento che è molto scenografica. Fa capire come bisogna evitare di entrare in quel comportamento perché quanti non sono fedeli al mandato che Gesù affida loro, vengono accomunati agli stessi avversari, scribi e i farisei, nemici della comunità e sperimenteranno la frustrazione totale. Matteo ha voluto chiudere questo capitolo molto complesso, con un’immagine positiva, senza nascondere l’altra faccia della medaglia. A noi interessa sapere che Gesù ci dà un incarico di ridare vita con lui, se noi ci fidiamo di quest’incarico siamo beati, perché il Signore ha capito che ci fidiamo di lui e ci darà ancora più vita e capacità di sperimentare la sua comunione con lui.

Per quelli che sono falsi, per quelli che rappresentano nella comunità un ruolo, ad un certo momento verrà tolta loro la maschera (potrebbe essere l’interpretazione dello squarciamento). Sei una persona doppia, uno schizofrenico, dici una cosa e ne fai un’altra, pensi soltanto a stesso, non costruisci niente; ti verrà tolta la maschera e comprenderai la nullità della tua vita; hai rappresentato molto bene, non sei cresciuto, non sei maturato come persona.

Trascrizioni delle conferenze di fra Alberto Maggi e fra Ricardo Pérez Márquez della comunità dei Servi di Maria, tenute a Montefano tra il 1997 e il 2004, non riviste dagli autori.
www.studibiblici.it