Il vangelo secondo Matteo
Commentato da fra Alberto Maggi e fra Ricardo Pérez Márquez

Capitolo 23
Il capitolo 23 è ben strutturato e l’evangelista, che è un abile scrittore, riesce a organizzare l’argomento in modo che sia il più esplicito possibile e che i suoi ascoltatori possano entrare meglio nel messaggio che intende comunicare.
Il capitolo si può dividere in un trittico, in tre quadri: 1-12 le folle e i discepoli a cui Gesù si rivolge; 13–36 i famosi sette guai contro scribi e farisei; infine 37-38 Gesù si rivolge a Gerusalemme. A Matteo interessa mettere a fuoco il quadro centrale, dove vengono elencati i sette guai, per arrivare a denunciare, in un crescendo di tensione, scribi e farisei come gli assassini dei profeti, come coloro che hanno eliminato sistematicamente, uno dietro l’altro, tutti i profeti che Dio aveva mandato al suo popolo.
1 “Allora Gesù parlò alle folle e ai suoi discepoli 2 dicendo: gli oppositori sono stati messi al silenzio, nessuno era in grado di fargli una domanda. Gesù convoca non solo i discepoli, ma anche la folla, rivolgendosi in maniera pubblica a tutti i suoi ascoltatori, come aveva fatto nel messaggio delle beatitudini. Al capitolo 5, prima di cominciare a proclamare le beatitudini, aveva convocato le folle e i discepoli. L’accenno alle folle, in questa dichiarazione, è importante; è punto di denuncia terribile contro scribi e farisei, perché ricorda quello che Gesù ha voluto proporre come il distintivo della comunità dei credenti: le beatitudini. Non possiamo vivere il messaggio delle beatitudini, se non teniamo conto delle realtà che si infiltrano nella comunità e che possono portare a completo fallimento il tentativo di viverne il messaggio.
È da tener presente il luogo dove Gesù fa il discorso alle folle e ai discepoli, è l’area del tempio di Gerusalemme, il cuore dell’istituzione religiosa, il luogo più sacro, dove gli scribi attingevano la loro autorità per insegnare, per dominare il popolo e dove i farisei si esibiscono come professionisti del sacro. Al tempio erano collegate tutte le norme di impurità, tutti i sacrifici, tutti i pellegrinaggi, tutto quello che riguardava l’ortodossia, la piena osservanza dei precetti e della legge.
Luca nella parabola dei due uomini che salirono al tempio per pregare, mette a confronto il fariseo e il pubblicano, e il fariseo fa mostra di sé.
Da quest’ambito ritenuto il più sacro per la religiosità dell’epoca, Gesù scaglia, contro scribi e farisei, le parole più dure di tutto il vangelo. Non si lascia condizionare dall’atmosfera del tempio, non si lascia intimorire dal silenzio dei suoi oppositori, che covano un odio mortale, ma reagisce proprio dal tempio. La tensione cominciata al capitolo 21, quando i capi del popolo hanno cercato di metterlo in cattiva luce, ora sfocia in una requisitoria, in una violenta accusa contro gli scribi e farisei, rappresentanti di tutti i suoi oppositori. Gli scribi avevano l’autorità di insegnare e i farisei praticavano quello che gli scribi insegnavano, erano i due pilastri della religiosità giudaica.
Gesù davanti alle folle, davanti ai discepoli, intende squalificare quelli che si presentavano come modelli di santità e scardinare la dottrina che teneva il popolo assoggettato in una situazione di non vita, di mancanza di totale libertà. Ora Gesù adopera parole violente, insulti che noi dobbiamo sapere interpretare bene. In questa pagina Matteo non cerca di dire come erano malvagi scribi e farisei, – non facciamo una ricostruzione archeologica – è preoccupato che nella comunità a cui si rivolge, si riproducano gli stessi atteggiamenti di scribi e farisei.
Il capitolo così violento, è un monito per la comunità di tutti i tempi, in modo che non ricada in quegli errori, in quei comportamenti che sono l’opposto del messaggio delle beatitudini. Non possiamo vivere il programma del regno delle beatitudini, se non stiamo attenti a certe situazioni che facilmente si riproducono all’interno della comunità. Ed è talmente facile che questo avvenga, che Gesù ha richiamato i suoi discepoli dicendo: attenti al lievito dei farisei, a presentarsi come modello di santità, di grandi devoti, di grandi affezionati alle tradizioni religiose. Questo agisce come un lievito che fermenta piano, piano, per rovinare la realtà in cui essi si trovano.
“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti installati, gli scribi e farisei”. Gesù accenna alla cattedra di Mosè, riguarda le sinagoghe dove si faceva la preghiera, l’insegnamento, la proclamazione della Torà e possiamo indicarla come l’autorità per insegnare; su questa si sono installati o seduti, scribi e farisei.
Per meglio capire il significato di cattedra di Mosè, andiamo nel libro del Deuteronomio 18,15-18, e si legge quello che Dio aveva assicurato a Mosè: Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un profeta pari a me; a lui darete ascolto. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. In questa promessa a Mosè, viene assicurato un profeta, una voce garantita da Dio, a favore del popolo per portare la vita, la benedizione che veniva da Dio. A garantire tale promessa, nelle sinagoghe c’erano cattedre, seggi, che ricordavano che Dio parlava al popolo attraverso i suoi profeti e sapeva indirizzarlo verso la via di bene e di vita per una realtà sicura dal punto di vista teologico. In Palestina, in alcune sinagoghe si sono trovati dei seggi in pietra e isolati dai restanti posti a sedere; qualche commentatore vi identifica la cattedra di Mosè.
La voce dei profeti che doveva guidare la vita del popolo, è stata usurpata da coloro che hanno imposto, in maniera severa e fortissima, la Legge da loro stessi codificata. Non c’era più la voce del Dio Creatore, che parlava attraverso i profeti, che poteva comunicare la vita piena al popolo, ma c’era la voce dei legislatori, di coloro che avevano il potere e l’autorità per insegnare. Essi avevano codificato in regole, in precetti e in osservanze, la vita che Dio voleva dare al popolo. Sono i nuovi titolari della cattedra, però uccidono la profezia. C’è una frase molto bella nella 2 lettera ai Corinzi, in cui Paolo dice: mentre la Legge uccide, lo Spirito è quello che dà la vita. L’evangelista parte da questa constatazione: la voce dei profeti, che doveva guidare la vita del popolo, è stata sostituita dall’intervento degli scribi e farisei, che ora detengono il potere per insegnare e che hanno trasformato tutto in un insieme di norme, di precetti.
I farisei seduti sulla cattedra non hanno l’autorità per insegnare, solo gli scribi insegnano, erano loro i teologi, però in Matteo tutti e due formano un fronte comune di opposizione contro Gesù. L’accenno ai farisei seduti sulla cattedra di Mosè, serve all’evangelista per introdurre la denuncia di Gesù di fronte alle folle e richiamare in confronto Gesù, che si era messo a sedere sul monte, in Galilea, per la proclamazione delle beatitudini, il nuovo programma di vita. I farisei e gli scribi, seduti sulla cattedra, sono quelli che cercano in tutti i modi di troncare la proposta di vita di Gesù.
3“Quanto vi dicono fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere parchè dicono e non fanno”. I commentatori che cercano di spiegarlo, vanno in tilt, perché sembra esserci una contraddizione in partenza. Gesù direbbe: folle e discepoli devono fare e osservare tutto quello che dicono gli scribi e i farisei, però non devono fare secondo come questi si comportano, perché dicono e non fanno. Il contrasto è evidente, e l’evangelista ci vuol dire qualcosa di molto profondo adoperando la tecnica letteraria del contrasto. Come faccio a dare retta ad un ipocrita? questa sarebbe la situazione degli scribi e dei farisei, rappresentanti dell’istituzione religiosa: dicono ma non fanno. Come mi posso fidare delle parole di un falso? questo non può avvenire. Di per sé la frase, così come è stata impostata, crea un rifiuto, non funziona nella pratica; è difficile fidarsi delle parole di un altro sapendo che è un falso, incoerente. In questo modo di presentare la figura degli scribi e farisei si intuisce un tono volutamente ironico da parte di Matteo, che sta per aprire una serie di accuse fortissime contro i rappresentanti delle istituzioni religiose e ne prepara il terreno. Nel vangelo di Matteo che cosa ha fatto finora Gesù quando si è incontrato con scribi e farisei? Gesù ha condannato in precedenza e in maniera molto chiara il loro insegnamento; sono stati condannati come gente da non ascoltare.
Abbiamo visto al capitolo 15,9 la polemica e le tradizioni sulla purità, le cose da osservare, e Gesù dice: questi scribi e farisei insegnano dottrine che sono precetti di uomini, hanno inventato loro i precetti e li vogliono contrabbandare come volontà di Dio. Gesù ha denunciato il grande abuso di presentare, come parola di Dio, quello che è un’invenzione di uomini, sono già stati screditati di fronte al popolo. Inoltre Gesù li ha chiamati guide cieche, persone delle quali non bisogna fidarsi mai, perché chi segue un cieco fa una brutta fine, vanno a finire entrambi in un fosso.
Al capitolo 16,5 Gesù ha detto: guardatevi dalla dottrina dei farisei e dei sadducei, sono indicazioni che noi troviamo nel vangelo e ora, non possiamo arrivare a dire il contrario: va bene, si è detto così però quanto loro dicono, fatelo e osservatelo! abbiamo visto che è già stata negata la loro autorità, scardinata la loro dottrina di fronte al popolo. Cerchiamo di capire bene questo versetto, alla luce di tutto il contesto. Partiamo dal primo passo.
Matteo ha già parlato della cattedra di Mosè, che sicuramente nelle sinagoghe ricordava l’autorità per insegnare e Mosè come garante dell’interpretazione della Legge. Mosè ha portato la Parola di Dio, non la sua, scendendo dal Sinai con le tavole della Legge, che dovevano guidare la vita degli Israeliti. Tra l’altro sono state ricordate, in parte da Gesù, nell’episodio del giovane ricco al capitolo 19,18 e costui avvicinandosi dice: Maestro che cosa devo fare per avere la vita eterna? Gesù gli ricorda i comandamenti in relazione agli altri: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire il falso, onora il padre, ama il prossimo. Non tira in ballo Dio, non ricorda i comandamenti legati al culto a Dio, ma solo quelli legati all’impegno, al rapporto con gli altri. Gesù ha ricordato la Parola di Dio che Mosè aveva dato al popolo e questa doveva essere detta dalla cattedra di Mosè, non dovevano essere dette le parole degli scribi e dei farisei. È la prima indicazione e Matteo che è un abile scrittore, conosce la tradizione giudaica e l’Antico Testamento e nel libro dell’Esodo 24,7 ritroviamo quasi uguale la frase quanto vi dicono, fatelo e osservatelo. LìMosè ha ricevuto la Legge, l’alleanza stipulata mediante Mosè tra Jahve e il suo popolo, Mosè presenta le tavole della Legge, il popolo dice: Tutto ciò che il Signore ha detto, noi lo faremo e lo eseguiremo.
Sono praticamente le stesse parole, cambia l’ultimo verbo; nel libro dell’Esodo si dice eseguire ed ascoltare, qui osservare, ma è lo stesso campo semantico. La frase del libro dell’Esodo è importante perché, quanto il Signore ha detto, noi lo faremo e lo eseguiremo, mettel’accento sul fare, per evitare di essere delle persone false che dicono, ma non fanno, tutto quello che il Signore ha detto noi lo faremo.
Matteo dice: bisogna fare tutto quello che Dio ha detto, non quello che dicono scribi e farisei, per evitare ogni forma di falsità. In questo versetto Matteo ci dice che scribi e farisei (le istituzioni), hanno tradito la fedeltà a Jahve, perché loro dicono, ma non fanno, e l’impegno di Esodo 24,7 dove il popolo si era dichiarato pronto a fare tutto quello che Jahve aveva detto. Non possono essere rappresentanti autorevoli per l’insegnamento, perché quello che bisogna fare è la Parola di Dio, non quello che loro dicono.
Ancora un’altra frase nel libro dell’Esodo e nello stesso contesto dell’Alleanza. Jahve dà un avviso al popolo, che entra in quella terra: voi adesso state per andare in una terra promessa, di libertà e lì troverete altri popoli, i Moabiti, i Cananei, che hanno i loro dei. Voi non dovete cadere nelle pratiche idolatriche di quelle divinità. Esodo 23,24: Tu non ti prostrerai davanti ai loro dei, e non li servirai, tu non farai secondo le loro opere.
E la stessa frase di Matteo: non fate secondo le loro opere; nel libro dell’Esodo si cerca di evitare che il popolo cada nelle pratiche idolatriche, bisogna stare lontano dalle opere degli idoli perché causano rovina. Applicandola agli scribi e farisei Gesù dice: state alla larga dagli scribi e farisei, perché questi al posto di Dio hanno innalzato i loro idoli, l’ambizione, il prestigio e il potere. Per questo non bisogna fare secondo le loro opere, sono caduti nella idolatria più terribile e quello che loro dicono e non fanno, non possono eseguire la volontà di Dio, la Parola proclamata a Mosè sul Sinai.
Gesù non intende assolutamente invitare i suoi discepoli e la folla a seguire le direttive dei capi del popolo, prepara il terreno per smascherare la loro falsità e malvagità. Gesù ha ricordato ai suoi discepoli le parole del libro dell’Esodo e ha detto: non chiunque mi dice Signore, Signore, si salva, ma chi fa la volontà del Padre mio. Anche Gesù è dell’idea che l’accento va messo sul fare e non sul dire; scribi e farisei sono bravi nel dire, nel dire le loro proclamazioni, professioni, preghiere, però non fanno; hanno tradito la volontà di Dio e Gesù li ritiene non degni di essere seguiti. Non più chi dice, Signore, Signore, non è il dire che conta, ma il fare è quello che serve per essere con Gesù.
Comincia la denuncia nei confronti degli scribi e farisei,
4 “Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. I farisei e scribi sono stati indicati come quelli che dicono, ma non fanno quello che Dio aveva chiesto di fare; fanno altre cose.
Vediamo che cosa è l’opposto di quello che Dio aveva chiesto tramite Mosè, perché il popolo potesse avere la vita. La prima azione è creare dei pesanti fardelli e porli sulle spalle degli uomini.
Al capitolo 11,28-30 di Matteo abbiamo visto un’immagine che si può allacciare a questo versetto. Gesù vedendo la situazione del popolo, dice: venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io sarò il vostro respiro. Voi tutti che portate sulle spalle un peso insopportabile che vi toglie il respiro, la vita, sbarazzatevi di esso, venite da me e troverete il respiro. Pone l’alternativa di prendere il suo giogo, che definisce dolce e leggero; non solo non toglie la vita, ma ti dà il gusto di vivere, ti dà quella leggerezza per poter camminare come una persona libera. Gesù aveva garantito che prendendo il suo giogo, l’impegno a seguire il suo insegnamento, il popolo avrebbe ritrovato il respiro. È quello che qui manca, perché avendo sulle spalle pesanti fardelli è impossibile poter vivere come persone libere e serene.
Abbiamo un altro testo, nel libro degli Atti, dove è indicato cos’è il fardello pesante imposto sulle spalle degli uomini. Pietro, all’assemblea di Gerusalemme, denuncia: Perché tentare Dio imponendo sul collo dei discepoli un giogo, che né i nostri padri né noi siamo in grado di portare? Questo peso insopportabile viene identificato nell’osservanza della Legge, secondo l’interpretazione degli scribi e dei farisei. Sono loro che impongono questo peso, sono quelli che hanno tradito la volontà di Dio. Un testo del profeta Geremia, parlando della Legge, dice: ma di che legge mi parlate voi, della Legge di Dio, questa legge è stata ridotta a menzogna, dalla penna menzognera degli scribi. Gli scribi avevano fatto un insieme di norme, di precetti, di commenti alla Legge, rendendola qualcosa di insopportabile. Perché Gesù accenna ai fardelli pesanti?
Scribi e farisei erano preoccupati che la Legge venisse trasgredita, legge che doveva essere il cammino per vivere in sintonia con fedeltà a Dio, ma si può facilmente uscir dal cammino, la trasgressione è facile. La Legge dice: non uccidere, non bestemmiare…sono norme molto generiche e facilmente uno può uscirne fuori senza accorgersi. Gli scribi, nei loro testi, avevano fatto una siepe (così la chiamavano) attorno alla Legge per aiutare il popolo; erano i 613 comandamenti, un’infinità di precetti, di norme, di obblighi che abbiamo spiegato altre volte. Questi impedivano di uscire dal cammino, tante erano le norme da osservare!, ma sicuramente non permettevano di vivere i comandamenti più importanti. La siepe è quel fardello pesante imposto sulle spalle degli uomini.
I farisei dicevano che se il popolo avesse osservato per due sabati consecutivi la Legge (se non avesse trasgredito il giorno del sabato), sarebbe arrivato il Messia, ma non viene perché il popolo trasgredisce la Legge. Con questa siepe era difficile trasgredire, ma era impossibile vivere e prima o poi sarebbe avvenuta la trasgressione. È la denuncia di Pietro all’assemblea di Gerusalemme: un peso che né noi, né i nostri padri siamo stati in grado di portare, è inutile continuare a porlo sulle spalle delle persone.
Gesù fa la denuncia non solo perché hanno caricato la Legge di 613 comandamenti, rendendone impossibile l’osservanza, ma perché c’è la malvagità di scribi e farisei che non intendono muoverli (i pesanti fardelli) con un dito. Scribi e farisei non fanno la cosa minima più facile, muovere un dito! Non ci vuole niente per aiutare le persone a portare questi pesi, ma non fanno nulla. Matteo ci offre una fotografia esagerata, ma vera, in cui per scribi e farisei il servizio agli altri non conta nulla. Conta la loro figura, la loro auto esaltazione, tutti devono essere al loro servizio e non devono muovere un dito per nessuno, poiché sono investiti dall’autorità dell’insegnamento della dottrina, di guidare gli altri con i loro insegnamenti. Gesù mette allo scoperto la cattiva volontà dei capi religiosi, che non fanno nulla per aiutare, anzi è una volontà omicida.
Infatti nei guai, non solo non vogliono muovere con un dito i pesanti fardelli, ma cercheranno di eliminare sistematicamente tutti coloro che, inviati da Dio, cercheranno di riportare la Legge al suo compito, di espressione dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo. Gli inviati che Dio manderà al popolo perché la Legge sia presa nella sua forza, nella sua verità, saranno uccisi da scribi e farisei.
A questo riguardo è la parabola, già spiegata, dei vignaioli omicidi, gli inviati vengono fatti fuori e anche l’ultimo, l’erede, il Figlio. Il giogo che Gesù invita a prendere, mentre scribi e farisei non intendono muovere un dito per aiutare, garantirà il respiro; Gesù garantisce la vita piena a coloro che si sbarazzeranno di quei testi prendendo la sua proposta.
5 “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; abbiamo una dichiarazione radicale sul comportamento degli scribi e dei farisei: le loro opere, quello che fanno dalla mattina alla sera, è impostato sulla base della loro vanità. L’unica cosa che conta è l’apparenza, l’auto esaltazione davanti alla gente, perché fanno solo per essere ammirati dagli uomini; hanno la sindrome dell’ossequiosità religiosa, che si presta meglio per esibirsi, per presentarsi davanti agli altri come modelli di santità, di osservanza. La tentazione di ostentare insegne religiose, il presentarsi davanti agli uomini con i filattèri e le frange, non serve altro che a nascondere la povertà interiore, l’assenza di comunione con Dio. Matteo fa un richiamo alla sua comunità: è facile farsi prendere dall’apparire davanti agli altri, con le scatole attaccate sulla testa, o sulle mani, o sul corpo che fanno dire: ecco lui è veramente una persona di fede. Ma dietro c’è il vuoto e c’è l’assenza di comunione con Dio, quando si cerca di distinguersi dagli altri (le insegne religiose sono mirate a questa distinzione), per meglio dominare gli altri, in modo che possano essere miei succubi, perché io rappresento un’autorità, un potere che gli altri non hanno e devono sottomettersi ai miei disegni. Per imporre il dominio, scribi e farisei allargano i filattèri e allungano le frange.
Abbiamo due accenni alla pratica religiosa del giudaismo dell’epoca. Ancora oggi si sono mantenuti i filattèri, scatoline in cuoio con delle strisce di cuoio; in queste scatole erano inseriti dei testi del Deuteronomio, dell’Esodo, che riguardavano la Legge, la fedeltà…Una scatolina era messa sulla fronte, legata con le strisce; un’altra sul braccio destro ed era una maniera di rispondere a un richiamo del libro dell’Esodo. Parlando della liberazione dall’Egitto, diceva così: questa liberazione sarà un segno nella tua mano, un ornamento tra i tuoi occhi per ricordare che con braccio potente il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto.
Gli scribi volevano vivere letteralmente la liberazione del libro dell’Esodo che doveva essere interpretata come un segno sulla fronte e sul braccio. Perciò avevano fatto queste scatole che si legavano sulla fronte e al braccio, per dire che erano dalla parte della liberazione fatta da Dio.
I filattèri in greco, e in ebraico tefillin, è un termine che ricorda una custodia, qualcosa che custodisce anche dal male. Erano degli amuleti: indossare qualcosa di religioso che allontanava il male. All’origine sicuramente, c’era una pratica magica di tener lontano il male. Allargano i filattèri, non è che fanno le strisce più grosse di quello che potevano essere, perché la testa è quella che è e il braccio pure, allargare è nel senso cronologico. Gli ebrei maggiorenni, dopo i 13 anni, dovevano indossare i filattèri sulla fronte e sul braccio per lo shemà, la preghiera del mattino. Non per tutti i giorni; per il sabato e per le feste avevano segni diversi della fedeltà a Dio. Allargare i filattèri significa che scribi e farisei andavano in giro tutto il giorno, con queste scatole sulla testa, sul braccio per far vedere che erano fedelissimi alla liberazione operata da Dio.
Lo stesso è per le frange, riguardano il mantello degli uomini giudei: ai 4 angoli del mantello c’erano attaccati dei fiocchi ed erano obbligatori dai 13 anni in su, per ricordare un precetto che Jahve aveva detto a Mosè: parla agli israeliti e ordina loro che si facciano di generazione in generazione, fiocchi agli angoli delle loro vesti, che mettano al fiocco di ogni angolo, un cordone di porpora viola e quando li guarderete vi ricorderete di tutti i comandi che Jahve vi ha dato per metterli in pratica. Le frange del mantello, dovevano ricordare di essere fedeli ai comandamenti di Dio. Allungandole, le mettono ancora più in vista; questi dicono, ma non fanno, più mettono in mostra i distintivi religiosi e meno fanno; sono dei grandi ipocriti.
Gesù dice: non vi lasciate mai impressionare dai segni religiosi, dietro si nasconde un grande vuoto o una grande assenza di comunione con Dio.
Gesù dice: non fatevi prendere dal modo di presentarsi della gente di potere, perché il potere ha bisogno dell’ammirazione. I potenti vogliono che i sudditi abbiano ammirazione verso di loro. Basta guardare certi sorrisi istrionici, che fanno dire: questa persona non può essere così felice da portare sempre un sorriso da orecchio a orecchio, lì si nasconde qualcosa. Quando i sudditi (usiamo questo termine) non ammirano più i propri capi, sono pronti ad obbiettare, criticarli o contestarli in maniera molto libera.
Rapportato al discorso nell’ambito della religione è molto più perverso, perché quel modo di dominare è fatto nel nome di Dio. Questo è gravissimo, perché è un elemento potente per tenere ancor più sottomessa la gente. Che lo faccia un politico è una cosa, che lo faccia una persona investita da autorità divina, come scribi e farisei, è altro.
Paolo nella lettera ai Colossesi 2,23, ha già individuato questo atteggiamento all’interno della comunità e fa una denuncia molto forte su quanto significa portare insegne religiose, ostentare, essere distinti o superiori. Paolo dice: queste cose hanno una parvenza di sapienza; con la loro falsa religiosità e umiltà di mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore, se non quello di soddisfare la carne, esibire la mortificazione serve per la propria vana gloria, per aumentarla e sentirsi superiori agli altri.
6 “Amano – scribi e farisei – il primo posto nei convitti e i primi seggi nelle sinagoghe,”è partita la dichiarazione: questi dicono, ma non fanno la volontà di Dio, però fanno tante altre cose con lo scopo preciso di avere l’ammirazione della gente, perché il loro potere sia sempre più consolidato. Hanno capito che il modo migliore per consolidarlo è incrementare il proprio prestigio: io devo essere una persona prestigiosa.
L’ambizione, il prestigio e il potere sono gli idoli di scribi e farisei. Se detengono i titoli di maestri e guide religiose, se hanno autorità per insegnare con il loro sapere, intendono ordinare meglio gli altri. La loro autorità, la loro dottrina, deve essere riconosciuta da tutti mediante un rigoroso rituale, perciò ci vogliono delle forme che indicano il loro ruolo diverso dagli altri.
Matteo ricorda alcuni rituali: i primi posti riservati, i saluti nelle piazze, i titoli, le onorificenze. I primi posti nei conviti e nelle sinagoghe sono i sintomi della loro patologia religiosa, e Gesù lo denuncia perché viene dalla menzogna delle sacre insegne che indossano. Gli scribi e farisei essendo i primi a vantarsi della loro osservanza religiosa (allargano i filattèri, le scatole di cuoio, portandole tutto il giorno e allungano le frange) e dimostrando di essere i più fedeli osservanti, è naturale che hanno riservati i primi posti nei conviti e, durante le manifestazioni civili e religiose, nelle sinagoghe. Dal Talmud sappiamo che, nelle sinagoghe, i primi seggi erano staccati dal restanti posti a sedere, il Talmud dice: che i sapienti (dottori, scribi) sedevano nei posti loro riservati e non accanto al popolo. Coloro che si investono dell’autorità di insegnare nella sinagoga, luogo della dottrina, sono staccati per mostrare la propria autorità.
Ironicamente Matteo dice: nelle sinagoghe i posti distaccati, nei conviti i posti più vicini all’anfitrione, dove si mangia meglio, dove arrivano subito le prime pietanze e le cose più buone, questa è la loro falsità, vivere a proprio vantaggio. Matteo dice: amano i primi posti, non possono farne a meno, andrebbe contro il loro prestigio, contro l’autorità che essi detengono. Quest’amare si manifesta in una corsa continua a che nessuno prenda il loro posto. Nasce una rivalità e nei protocolli c’è sempre il problema grossissimo: chi mettiamo accanto a questo? Continua il rituale
7 le riverenze nelle piazze, come anche sentirsi chiamare dagli uomini “rabbì.” il dominio degli scribi e dei farisei invade ogni ambito della vita sociale e religiosa della gente. Nella casa hanno i primi posti, nella sinagoga i posti di potere, nelle piazze le riverenze; controllano tutto, dal luogo pubblico al luogo religioso, al luogo famigliare intimo, hanno un potere illimitato, possono arrivare dovunque. Il saluto è importante, perché in oriente ha un ruolo fondamentale nella vita delle persone e attraverso il saluto si indica la categoria sociale, ci sono forme di saluto in base alla persona che si ha davanti.
È il discorso di ostentare le insegne religiose: che nessuno mi scambi per un altro; io esigo la riverenza, il piegarsi davanti a me o il baciamano! l’importante è che il saluto metta in risalto che non sono come voi, sono al di sopra di voi; tutto serve per attirare verso di sé il popolo. Chi mi riverisce mi deve chiamare “rabbì”; in ebraico rab vuol dire grande, si può anche intendere signore, maestro. Rabbì è una persona grande, una persona di autorità; il titolo era dato a studiosi, interpreti autorevoli della Legge, autorizzati a formulare le prescrizioni pratiche, era soltanto di alcune categorie di persone. Ecco l’insegnamento di Gesù ai discepoli
8 “Ma voi non fatevi chiamare “rabbì” perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli”. Fratelli è il termine distintivo della comunità di Gesù. Non permette ai suoi di essere chiamati “rabbì” perché il titolo pone uno al di sopra degli altri, indica una diversità, una superiorità, mentre distintivo della comunità è la fraternità, l’uguaglianza. Matteo parla di maestro e fratelli perché Gesù al capitolo 10, sull’insegnamento alla missione dei discepoli, ha detto: il discepolo non è più grande del maestro. Anche se lui è il maestro, non ritiene il suo essere maestro, un qualcosa di superiore ai suoi discepoli. Non c’è distinzione tra maestro e discepoli, perché entrambi condividono la stessa saggezza, lo stesso insegnamento che viene dal Padre. Per tale motivo Gesù non permette che nella comunità ci siano titoli che creano disuguaglianza e fanno aumentare il privilegio o il rango alle persone. L’unico maestro è Gesù e in Matteo 11,27 dice: nessuno conosce il Padre se non il Figlio e quelli a cui il figlio lo voglia rivelare. L’unico che ci può rivelare il Padre è Gesù.
Gesù dice: non mi dovete chiamare “rabbì”, ma Maestro. Non accetta il titolo nei suoi confronti perché è indice di un rango, di una gerarchia, che crea distinzione tra le persone. Io non sono rabbì, io sono il vostro Maestro e non crea disuguaglianza tra loro. Si potrebbe fare una piccola ricerca, nel vangelo, sulle volte che Gesù è chiamato “rabbì”: una sola, da Giuda. Giuda è l’unico che lo chiama “rabbì”, nel racconto della passione, nella consegna alle guardie nel Getsemani, con la scena del bacio. Nella mente di Giuda prevale il discorso del rango, del privilegio; non accettava quanto Gesù proponeva.
Da chi Gesù è chiamato Maestro, nei vangeli? Mai dai discepoli, che si rivolgono a lui chiamandolo Signore. Di solito lo chiamano maestro gli oppositori: Maestro, Mosè ci ha insegnato, i sadducei; gli scribi, Maestro, qual è il comandamento più importante. Da questo si vede che il titolo maestro gli era dato dalle autorità religiose per prenderlo in giro, per screditarlo. Gesù non poteva essere una persona autorizzata ad insegnare!
9 “E non chiamatevi tra voi “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo.Nella comunità non ci sono titoli, che indicano un rango un privilegio, non bisogna riconoscersi padre. Era il titolo che si davano i componenti del sinedrio, il maggiore organo di governo in Israele, all’epoca di Gesù. I membri del sinedrio erano 72 persone altolocate, avevano il titolo di padre, nel senso di autorità nei confronti del popolo.
Gesù dice che l’unico Padre vostro è quello del cielo, a lui bisogna dare questo titolo. Abbiamo una distinzione. Sulla terra si chiamano padre, quelli che hanno i figli e trasmettono loro la propria tradizione e condizionano, con la propria autorità, la scelta dei figli: devi fare come dico io, perché sono tuo padre. Gesù dice: noi non riconosciamo altra autorità se non quella del Padre del cielo, un Padre che non comanda imponendo tradizioni, o condizionando la scelta dei figli con dei precetti. È un Padre che al posto del comando, si mette al servizio dei suoi figli, non li condiziona, li lascia pienamente liberi.
Per questo motivo Gesù dice: fra di voi non chiamatevi padre, perché il padre secondo le vostre categorie è attaccato alla propria tradizione, la trasmette al figlio e gli condiziona la vita. Nella comunità non ci sono maestri e padri.
Noi che apparteniamo ad un ordine religioso, prendendo sul serio questo insegnamento, abbiamo dato il massimo con la figura del padre-maestro!
10 “E non fatevi chiamare “capi”, guide, perché il vostro capo è solo il Cristo”.È l’unica volta che il termine guida è adoperato nel Nuovo Testamento, e ha il significato di conduttore, duce, capo, leader, colui che traccia un cammino, colui che si mette in testa e trascina gli altri dietro. Gesù dice: nessuno all’interno del gruppo si deve chiamare capo, guida. Perché?
In Matteo, Gesù ha cominciato la chiamata dei discepoli invitandoli a seguirlo. Venite dietro me, seguitemi, è l’invito ai discepoli, a Matteo il pubblicano: seguimi! Il posto del discepolo è dietro al maestro, mai davanti. Se il discepolo si vuol mettere davanti al maestro, fa la fine di Pietro, chiamato satana. Quando Gesù gli fa conoscere il destino infame, che lo attende a Gerusalemme, Pietro gli sbarra la strada, si mette davanti a lui dicendo: questo non ti succederà mai; noi non vogliamo un Messia che fa una brutta figura, noi lo vogliamo potente. Gesù gli dice: torna dietro me, altrimenti fai la figura del satana (quello che si mette davanti per indicare la strada secondo il proprio criterio). Nella comunità, chi si vuole mettere a capo degli altri, fa la figura del satana, perchè il discepolo è quello che va dietro a Gesù.
Il richiamo da parte di Gesù ai suoi discepoli – ascoltatori, per ben tre volte, di non adoperare titoli onorifici rabbì o padre all’interno della comunità, non è solo per quelli furbi da farsi chiamare padre, ma per quelli che sono deboli da chiamare gli altri padre. Nella comunità non deve innescarsi un meccanismo di domino di alcuni e di sottomissione di altri che accettano. Gesù dice: non basta che uno non si faccia chiamare padre, ma neanche voi dovete chiamare uno padre, non dovete essere succubi di nessuna persona che si presenta a voi con un rango particolare, con una posizione superiore. Questo è l’insegnamento fondamentale di Gesù, altrimenti la comunità non è una comunità di fratelli, ma una comunità dove predomina la rivalità, l’invidia, la gelosia, la voglia di fregare il posto all’altro, la voglia di essere ubbidienti ma pronti a prendere il comando. Queste persone molto remissive, molto ubbidienti alle autorità non vedono l’ora di essere investiti di un ruolo, di avere quel posto e diventano tiranni peggiori di quelli che hanno dovuto subire.
Non si può costruire una comunità con titoli che creano divisione; è un discorso difficile da capirsi, perché difficilmente si riflette seriamente su queste parole.
11 “Ma il più grande tra voi sia vostro servitore; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato, chi si abbasserà sarà innalzato.L’antidoto contro la tentazione di dominare, di essere ammirato dagli altri, di cercare di consolidare il proprio potere con un prestigio in crescendo, è di mettersi, per amore, al servizio degli altri. Il più grande tra voi, se qualcuno aspira a incarichi di grandezza, sia il servitore degli altri. Gesù insegna ai discepoli che il vero concetto di grandezza nella comunità, non è il dominio sull’altro, il poter esercitare la forza, ma mettersi in aiuto dell’altro. Colui che fa questa scelta, è veramente grande agli occhi di Gesù, e punto di riferimento di quanto Gesù ha detto: il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito, ma per servire.
I principi del mondo signoreggiano, e i grandi sottomettono, ma non così tra di voi. È in Matteo 20,26 dopo la richiesta dei figli di Zebedeo di avere il posto alla destra e alla sinistra di Gesù. La scelta di servizio a favore degli altri, è l’unico concetto di grandezza che Gesù riconosce all’interno della comunità. Qui c’è un’opposizione molto evidente tra capo e servitore; Gesù per spiegare meglio la sua dichiarazione parla di innalzare e abbassare, chi si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato. Agli occhi di Dio conta solo colui che fa la scelta di non dominare gli altri. Dominare gli altri significa innalzarsi, chi non fa questa scelta – conta agli occhi di Dio – lo manifesta con il servizio, cioè abbassarsi. Quando uno non entra nel meccanismo del domino, Gesù dice che il Padre lo innalza.
Nella preghiera di ringraziamento Matteo, 11,25, ci ha ricordato che il Padre si è rivelato ai semplici: ti ringrazio Padre perché hai rivelato queste cose ai semplici. Non sono i sapienti, gli intelligenti, oggetto della rivelazione del Padre, ma i semplici che possono capire il disegno di vita di Gesù. Quelli che rinunciano ad ogni forma di domino sull’altro, sono innalzati allo stesso livello del Padre, gli assomigliano per quell’impegno che il Padre manifesta di rendersi disponibile mediante il servizio.
Si potrebbe pensare, vista questa assenza di titoli che la comunità è nell’anarchia totale, non ci sono più gerarchie! Invece la proposta di Gesù è molto più allettante, molto più impegnativa, perché significa che all’interno della comunità si è fatta la scelta di presentare Gesù come unico Signore, Maestro e Guida. Dio è unico Padre e la comunità è guidata dal Maestro, che è Signore ed è garantita, nella sua vita, dal Padre che comunica una vita sempre continua.
Matteo, in questa prima parte del trittico che è il cappello prima di entrare nei guai contro gli scribi e i farisei, cerca di chiarire le idee dei discepoli, perché c’è il rischio, sempre presente, di dominare gli altri, di trascinarli secondo un criterio personale. Si arriva ai guai perché, da parte della comunità, non si accetta di non potere dominare l’altro, che l’altro non ubbidisca nelle cose che siano da fare. Questo significa rinunciare alla libertà, la cosa più importante che Dio ci ha dato. Io mi posso confrontare con tutti, ma non devo dipendere da nessuno.
È terribile l’immagine del direttore spirituale, di uno che mi debba guidare nello spirito! Significa che io non riconosco che l’unica mia guida è il Cristo, il Signore. È uno dei meccanismi religiosi per dominare la coscienza dell’altro, di non lasciare l’altro mai da solo. È un’immagine che gli altri siano sempre dei minorenni, degli immaturi, che hanno bisogno di qualcuno che li guidi. Chi conosce il messaggio di Gesù e lo assimila, ha lì una forza di maturazione che lo porta ad essere una persona sempre più autonoma, capace di fare la scelta del servizio, la grandezza di cui parla Gesù. Questa è la vera maturità della persona: non ho bisogno di nessuno che mi guidi, nessuno che mi debba trascinare, perché io ho capito il messaggio di Gesù. Sicuramente uno si potrà confrontare con tutti, avere un dialogo, ma senza delegare a un altro quello che riguarda la sua coscienza, la sua libertà. Questo per Gesù è suicida, perché toglie alla persona la libertà, unica possibilità di crescita che gli è stata data.
Alla fine di questo primo quadro del trittico, abbiamo visto che Matteo ha usato un vocabolario tipicamente giudaico, rabbì, filatteri, frange, senza spiegalo. I suoi ascoltatori appartenevano alla tradizione giudaica e sicuramente sapevano di che cosa Matteo parlasse. È anche un indice per vedere come l’uditorio, non solo è di provenienza giudaica, ma è ancora attaccata alle tradizioni provenienti dal giudaismo. Bisogna liberarsene per lasciare spazio alla proposta di Gesù: la proclamazione delle sue beatitudini. Questo serve sopratutto a noi oggi, per stare attenti a come costruire la nostra comunità e quali sono i criteri per considerarci una comunità di credenti.
La parte che segue è di una violenza inaudita; la maggior parte dei biblisti, dei teologi, cercano di attenuarne i toni; qualcuno è arrivato a scrivere che è la pagina meno cristiana del vangelo di Matteo, non è così, è una violenza salutare. E siamo nella parte centrale del trittico, Matteo 23,13 la più importante, che fa comprendere gli altri due aspetti..
Mentre Luca nel suo vangelo, presenta quattro beatitudini, seguite poi da quattro guai, Matteo contrappone alle otto beatitudini i sette guai (non sono guai); la costruzione della frase è identica a quella delle beatitudini. Matteo nelle beatitudini dice: beati, perché…qui dirà: guai a voi, perché. All’ultima beatitudine, che riguardava i perseguitati, corrisponderà l’ultimo guai, riservato ai persecutori.
Noi curiamo in maniera attenta la traduzione, siamo dei maniaci e a volte stiamo settimane per fare le ricerche su una singola espressione. Questo è il sesto anno che stiamo lavorando alla traduzione del vangelo di Matteo, ancora non è stato terminato perché ogni singola parola esige tanto lavoro.
Normalmente l’espressione è tradotta con guai, nella lingua greca si scrive ouai, che è la traduzione del termine ebraico hòi. Era un’espressione adoperata nel lamento funebre, nella veglia funebre, di fronte al cadavere. Nel 1 libro dei Re leggiamo: depose il cadavere nella propria tomba ed egli e i suoi figli lo piansero dicendo: ahi fratello mio, l’espressione tradotta con ahi, è un’espressione di dolore e può essere tradotta legittimamente anche con guai. Ma i guai sono una minaccia, che prevede una punizione, di questo non c’è traccia nei vangeli. Noi preferiamo tradurlo con ahi, perché non è una minaccia che Gesù dirige a una categoria di persone, ma è un pianto su di un morto; ci sono degli individui che pur essendo fisicamente e biologicamente in vita, sono già dei cadaveri. Come Gesù, nel vangelo di Luca non maledice i ricchi, ma li piange come morti dicendo: ahi voi ricchi, così ora Gesù piange; è il lamento funebre su persone fisicamente vive, ma spiritualmente morte.
La conferma della traduzione ahi, è nel capitolo 24, dove troveremo la stessa espressione rivolta alle donne incinte e a quelle che, in quei giorni, allatteranno. Possiamo capire Gesù che se la prende con scribi e farisei, non si capisce perché minacci le donne incinte!
È un lamento, era pratica normale degli eserciti (di tutti i tempi), sventrare le donne incinte e sfracellare i bambini che prendevano il latte. Iniziamo la serie dei sette lamenti funebri, i sette ahi, e il numero ci ricorda, nel Talmud, le sette categorie di farisei. Vediamo il primo ahi, chi preferisce rimanga con guai, ma con ahi il significato è più profondo.
13 “Ahi a voi, scribi e farisei”, Gesù prende di mira, con una violenza inaudita, due categorie. Gli scribi erano i teologi, il magistero infallibile dell’epoca, avevano la stessa autorità di Dio. Si diceva: quando parla uno scriba, è Dio stesso che parla. Quando trovi una contraddizione tra il testo della bibbia e una sentenza dello scriba, segui lo scriba e non il testo della bibbia. I farisei erano laici, che mettevano in pratica l’insegnamento degli scribi. I primi rappresentano il potere teologico, i secondi il potere spirituale; l’uno ha bisogno dell’altro. Gli scribi hanno bisogno dei farisei, che mettono in pratica i loro insegnamenti; i farisei hanno bisogno degli scribi, che sostengano il loro stile di vita. Ahi a voi scribi e farisei
commedianti, è la denuncia di Gesù, che non ha molto rispetto per le gerarchie religiose.
Il termine adoperato dall’evangelista è il greco ipocrita; nel suo significato originario indicava l’attore di teatro. Il verbo da cui la parola deriva, significa fingere, simulare, caratteristica, in ogni epoca, delle persone molto religiose.
Anziché tradurre ipocrita, che da noi ha una connotazione morale, preferiamo il significato originario di commedianti o teatranti. Gesù ritiene gli scribi e farisei commedianti, che recitano una commedia. E l’invettiva è di una severità unica. Quello che l’evangelista scrive non è tanto una critica all’istituzione religiosa giudaica, che ormai è stata abbandonata dalla comunità cristiana, ma è un severo avvertimento alla comunità cristiana affinché non si ripetano in essa gli atteggiamenti che Gesù denuncia.
È un monito alla comunità cristiana perché si accorga che lo spirito perverso della religione (che l’evangelista chiama il lievito dei farisei) si è infiltrato in essa.
Ogni comunità cristiana, che deve vivere nell’ambito della fede, tende a tornare alla religione e alle sue perversioni; non è una denuncia che riguarda il passato, ma un monito rivolto al presente; non è un giudizio rivolto ai giudei, ma una critica diretta ai cristiani. L’evangelista per far capire questo, fa vedere che Gesù all’inizio si rivolge alla folla e ai discepoli e poi a scribi e farisei; parlando alla folla e ai discepoli vuol far capire che la serie di lamentazioni sono un monito alla comunità cristiana. Gesù definisce, scribi e farisei, commedianti e poco prima aveva detto che sono coloro che dicono, ma non fanno; la commedia delle persone religiose è dettata dall’esibizionismo, dalla ricerca esasperata dell’ammirazione degli altri, per confermare e accrescere il loro prestigio.
Sanno di non essere amati dalla gente, ma almeno cercano di piacere; nel Talmud c’è un proverbio dove c’è scritto che su 10 parti di ipocrisia che sono sulla terra, 9 sono a Gerusalemme, il luogo più santo, più sacro, più religioso è il luogo della menzogna. L’evangelista indicando scribi e farisei come commedianti, ci invita ad aprire gli occhi per non lasciarci ingannare dai bei vestiti, dalle belle liturgie, dalle belle cerimonie, fumo negli occhi per accrescere il loro prestigio sulla gente. Gesù dice:
“perché chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini;” mentre Gesù è venuto a togliere ogni fardello, la loro teologia fatta di regole, lega pesanti fardelli sulle spalle della gente e non fa altro che chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini, rendendo impossibile la comunicazione di Dio agli uomini.
La religione di per sé è perversione, e una delle sue massime perversioni è aver dato alla vita sessuale, elemento tra i più belli dell’esistenza, una connotazione di impurità. Il momento di incontro tra un uomo ed una donna, nella bibbia, è sotto il segno dell’impurità perché interrompe il rapporto con Dio. Anche nel nostro cattolicesimo, prima del concilio, le persone che stavano insieme di notte, non facevano la comunione il giorno dopo, perché il sesso era qualcosa di sporco. La religione ha raggiunto il massimo della perversione, infangando il miracolo che si può toccare con mano, la nascita di un bambino. Nel libro del Levitico, quando la madre partorisce un maschio è impura per 33 giorni, se partorisce una femmina per 66 giorni.
Gesù dice: voi chiudete, con la vostra teologia, il regno dei cieli davanti agli uomini, chiudete loro la comunione con Dio, perché anche le normali situazioni dell’esistenza, il mangiare, il bere, li rendono impuri davanti a Dio. Ma non solo:
così voi non entrate, chi chiude la strada agli altri non entra neanche lui,
e neanche lasciate entrare quelli che vogliono entrarci”. Perché? Farisei e scribi appartengono alla sfera del potere, alimentano l’idea di un Dio di potere, per esercitare a loro volta il loro potere sugli uomini. Chi crede in un Dio di potere, non può accogliere un Dio amore che si fa servizio per gli uomini. La novità per la quale Gesù verrà assassinato è l’avere cambiato l’idea di Dio: non un Dio che domina gli uomini, ma un Dio al servizio degli uomini. Idea talmente nuova che ancora non è stata compresa. Quanti sono partitari di un Dio di potere, non possono entrare in comunione con un Dio d’amore, non entrano e sbarrano la porta a quelli che li seguono. È un primo avvertimento per la comunità cristiana: attenti a quelli che vi dicono che per entrare in comunione con Dio ci sono regole da osservare, che bisogna essere puri, degni.
La novità portata da Gesù è che l’amore di Dio non va meritato per gli sforzi degli uomini, va accolto come dono gratuito e di conseguenza come tale va trasmesso agli altri.
Se avete dei vangeli aggiornati, vedrete che manca il versetto 14 e così molti versetti che si credeva appartenessero al testo, sono delle aggiunte o prese in prestito dagli altri vangeli. Il versetto 14 non appartiene al testo originale, è stato preso dal vangelo di Marco 12,40 ma ci torneremo, il versetto era: guai a voi scribi e farisei ipocriti che divorate le case delle vedove e ostentate lunghe preghiere, per questo voi subirete la più severa condanna. Il secondo ahi,
15 “Ahi a voi scribi e farisei commedianti o ipocriti, perché percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito,”. È l’attività missionaria degli scribi e farisei, un’attività che significa uno spreco di energia. Percorrono mare e terra per fare un solo prosèlito, il risultato non corrisponde allo sforzo, è inutile. Il termine prosèlito indicava i pagani che, accettando la circoncisione e il battesimo, iniziavano la via per essere ammessi all’ebraismo: fate tutto questo per conquistare un solo prosèlito.
“e quando lo è divenuto” ci aspetteremo bravi! avete speso tante energie anche se il risultato è uno solo, ne avete salvato uno, ecco la doccia fredda
“lo fate figlio della Geènna peggio –letteralmente il doppio – di voi”. L’evangelista vuol dire che vi date tanto da fare per attirare le persone alla vostra visione dell’ebraismo e quando ne avete conquistato uno, anziché dargli la salvezza, lo rendete figlio della Geènna, il doppio, cioè peggio di voi. Cosa significa figlio della Geènna?
La Geènna era l’immondezzaio di Gerusalemme, era l’inceneritore dei rifiuti, equivaleva a simbolo di distruzione totale della persona. Gesù, sembra cosa assurda e incredibile, dà un avvertimento ai pagani: è meglio per voi rimanere pagani, piuttosto che convertirvi al giudaismo; da pagani avete una speranza di salvezza, se vi convertite al giudaismo perdete pure quella. Infatti è tipico che i convertiti, presi dal loro fervore, tendono a fare molto di più di quello che viene richiesto. I convertiti normalmente, sono fanatici in tutti i campi; quelli che si convertono vogliono ricuperare il tempo perduto e fanno più degli altri. Attirati nella mentalità di un giudaismo fatto di regole, di precetti, diventano fanatici e non solo non si salvano, ma vanno a finire nella perdizione, peggio di voi. È meglio per voi rimanere pagani, almeno come pagani avete una possibilità di salvezza, piuttosto che finire nella brace della Geènna. Al terzo ahi
16 “Ahi a voi”, Gesù prende in giro scribi e farisei perché li definisce
guide cieche. Nel mondo farisaico, essere chiamati guida dei ciechi (erano i pagani) era un titolo molto ambito e veniva da una profezia di Isaia: Vi renderò luce delle nazioni. Gesù si rifà a questo titolo onorifico molto ambito e dice: Ahi a voi, non guide dei ciechi, ma “guide cieche”. Matteo si richiama a quanto Gesù aveva detto al capitolo 15: quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadono in un fosso. In questo modo i farisei ricadevano sotto la maledizione contenuta nel libro del Deuteronomio: maledetto chi fa smarrire il cammino al cieco. Se i farisei sono guide cieche, facendo smarrire il cammino ai ciechi, ritenuti maledetti in quanto non conoscono la Legge, in realtà sono loro ad essere maledetti. Gesù li chiama ciechi e probabilmente il riferimento è legato a ipocrita.
Nel mondo teatrale dell’epoca, l’attore recitava con una maschera posta sul volto, la maschera della commedia rappresentata li rende ciechi. Gesù avverte di non seguire queste persone, anche se il loro insegnamento è il massimo dell’ortodossia, anche se la loro vita sembra il massimo della santità, perché sono guide cieche e chi segue il cieco finisce nella distruzione, nel nulla. Sono guide cieche
“perché dite: Se si giura per il santuario non vale, ma se si giura per l’oro del santuario si è obbligati”.A cosa si riferisce? L’evangelista fa vedere la sua mano di scriba e si rifà a dispute, a disquisizioni dell’epoca: evitavano di giurare sul nome di Dio per rispetto, e usavano dei sostituti quali: Gerusalemme, il santuario, il tempio, il cielo.
Facevano questo perché, e succedeva spesso, non mantenendo il giuramento, non si ritenevano obbligati, non avendo giurato per Dio. Era un sotterfugio, nel giuramento, per essere esentati dal suo mantenimento. Ma Gesù dice: se si giura per il santuario non vale, ma se si giura per l’oro del santuario si è obbligati; in questa denuncia Gesù smaschera il vero dio adorato dai farisei e dagli scribi; non è il Padre di Gesù, ma l’oro, il tesoro del tempio.
Il tempio di Gerusalemme era la più grande banca del Medio Oriente, perché tutti i nobili ricchi vi depositavano i loro beni. Nel tempio c’era un comando di polizia, 24 ore su 24, di 200 poliziotti in servizio, era pressoché difficile svaligiare la banca del tempio. Poi c’era il timore superstizioso perché era la casa di Dio e la gente non si azzardava a effettuarvi un furto. La pietà e la devozione di queste persone tanto pie e tanto religiose, non è che una maschera con la quale nascondono mammona, il vero dio adorato, al quale rendono culto.
L’ipocrisia e la falsità è una caratteristica delle persone tanto pie e tanto religiose; fate la prova del nove riguardo all’interesse: normalmente la pietà e la devozione ostentata è in rapporto con l’attaccamento al denaro. Più sono pii e più sono avidi e attaccati al soldo.
Già Marco aveva detto denunciando gli scribi: come coloro che divorano le case delle vedove. Le vedove rappresentano gli emarginati della comunità, coloro che non hanno un uomo che provveda al loro sostentamento e nella Legge di Dio si diceva che con l’avanzo delle entrate del tempio si doveva mantenere le vedove. Succede il contrario, sono le vedove che devono mantenere il tempio. Il tempio viene rappresentato come una sanguisuga che, anziché trasmettere sangue alle vedove, ne succhia sangue. Lo abbiamo già accennato, quando Gesù parla dell’obolo della vedova, non è una lode, ma è una constatazione tremenda: le vedove dovevano essere mantenute con l’obolo del tempio, qui c’è una vedova che dà l’obolo al tempio! È un’istituzione alimentata dai suoi oppressi, per questo deve finire. Nel vangelo di Luca, i farisei vengono definiti amanti del danaro. Tra poco Gesù parlerà di questo loro atteggiamento, come una rapina ed una ingordigia. Per fare soldi, sfruttano in nome di Dio le paure e le necessità della gente.
17 Pazzi e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che santifica l’oro?
Qui c’è qualcosa che manda in crisi biblisti e commentatori. Nel discorso della montagna, capitolo 5, Gesù aveva detto: chi dice pazzo al proprio fratello sarà destinato al fuoco della Geènna. Pazzo non è un insulto, come per noi oggi; era una sentenza con la quale si escludeva una persona dal proprio accampamento. Quando Israele era ancora nomade, se un figlio si ribellava ai genitori, se uno aveva commesso peccati particolarmente gravi, era cacciato dall’accampamento, ma fuori c’era la morte. Dentro l’accampamento si era protetti, si mangiava e si beveva, fuori c’era soltanto la morte. Dichiarare una persona pazza, cacciarla dall’accampamento, significava escludere ogni rapporto con lui. Gesù dice: se tu escludi una persona dalla tua vita, ti escludi anche tu da quella di Dio. Gesù dice che non si può mai adoperare questo termine per nessuno.
Stupisce invece che Gesù, li dichiari pazzi. Normalmente i traduttori cercano di attenuare le parole forti adoperate da Gesù, perché così bello e così buono non può adoperare parole tanto forti, e normalmente traducono stolto. Invece la parola di Gesù è molto forte, pazzi, che significa escluso. I samaritani vengono dichiarati quel popolo pazzo, il popolo escluso dalla comunione di Israele. È il termine che troviamo per l’uomo pazzo che va a costruire la casa sulla sabbia, alla prima tempesta la sabbia viene via e la casa crolla. Solo un matto fa una cosa del genere, oppure le vergini stolte, le vergini pazze, che rimangono escluse dalla comunione con Dio. La situazione degli scribi e dei farisei è veramente disperata, non solo sono ciechi e non vedono il disastro nel quale precipitano, ma sono pazzi. Allora comprendiamo il perché del lamento funebre, vanno pianti come morti.
Nel libro del Siracide ci sono due versetti, li leggo per interi, perché fanno capire il motivo del lamento di Gesù. Matteo probabilmente era uno scriba, un teologo passato a Gesù, conosceva benissimo la tradizione della Sacra Scrittura ed è pieno di riferimenti, Siracide 22,9-11: “Piangi per un morto perché ha perduto la luce, piangi per un pazzo perché ha perduto il senno. Piangi meno tristemente per un morto, perché ora riposa, ma la vita del
pazzo è peggiore della morte. Il lutto per un morto sette giorni; per un pazzo tutti i giorni della sua vita”. Comprendiamo perché Gesù piange questi pazzi: siete dei pazzi, siete persone che hanno perso non solo l’indirizzo, ma l’orientamento e come i pazzi sono pericolosi per sé e per gli altri. Gesù arriva ad adoperare per scribi e farisei un insulto che significa esclusione dalla comunità e che aveva vietato all’interno della comunità. Si vede che la misura era piena; sembra una contraddizione: non dite a nessuno pazzo, l’unica volta che c’è, pazzi è in bocca a Gesù. Continua la disquisizione tipicamente rabbinica:
18 “E dite ancora: Se si giura per l’altare non vale, ma se si giura per l’offerta che vi sta sopra si è in debito. 19 Ciechi! È la terza volta che li dichiara ciechi,
Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che consacra l’offerta? 20 Ebbene chi giura per l’altare giura per l’altare, e per quanto vi sta sopra; 21 e chi giura per il santuario, giura per il santuario e per Colui che lo abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è seduto”. Questi versetti tradiscono la mano dell’evangelista, i vangeli sono anonimi, ma in questo vangelo c’è la firma dell’autore che ad un certo momento dice: perchè il regno di Dio è come uno scriba, che dal suo tesoro tira fuori cose nuove e cose vecchie. Probabilmente è un’indicazione dell’autore, sono versetti tipicamente rabbinici. La condizione degli scribi e dei farisei, definiti guide cieche, è drammatica, essendo incapaci di stabilire rapporti con Dio e sono relegati nel buio. Passiamo al quarto ahi,
23 “Ahi a voi, scribi e farisei commedianti, perchè pagate la decima”(i preti hanno inventata la tangente; la prima è nella bibbia, naturalmente a Dio si può far dire tutto quello che uno vuole, e i preti dell’epoca hanno detto che Dio chiede la decima parte di ogni prodotto: ogni dieci pecore la decima è di Dio, ogni dieci mele la decime è di Dio, è una pratica che continua ad essere abbastanza alimentata). La decima parte dei prodotti alimentari bisognava darla al tempio, è una mentalità che Gesù è venuto a contrastare, perché sotto, sotto c’è la teologia di un Dio che chiede agli uomini, di un Dio che toglie. Il Dio di Gesù è il contrario, non chiede, ma dà, c’è pieno contrasto tra l’insegnamento di Gesù e quello degli scribi. Gesù li prende in giro: perché pagate la decima
“sulla menta, sull’anèto, un finocchio selvatico e sul cumino”, nel Talmud c’è l’elenco dei generi alimentari e delle erbe, per le quali bisognava pagare la decima, ma queste tre erbe più comuni non ci sono, erano insignificanti. Per essere sicuri di mangiare solo prodotti dei quali si fosse pagata la decima, avevano costruito delle cooperative e Gesù li prende in giro: andate a pagare la decima sulle erbe più comuni e in contrapposizione
“tralasciate le prescrizioni più importanti della Legge: la giustizia, la misericordia, e la fede. Gesù racchiude la Legge nelle tre regole della giustizia, della misericordia, della fede. Perché andavano a pagare la decima di queste erbe? Nel Talmud c’è l’invito a costruire la siepe: per essere sicuro di osservare il divieto, oltre a questo divieto ne aggiungi altri.
Un esempio, la regola dice: è proibito nominare il nome di Dio e si proibisce di scriverlo, di leggerlo, cioè una siepe di protezione per non arrivare a nominare il nome di Dio. Bisogna pagare la decima per certe erbe? Pagala per tutte, così si è sicuri di stare a posto con Dio. Gesù alle tre erbe contrappone la giustizia: gli scribi spesso erano del partito dei farisei, facevano parte del sinedrio, il massimo organo giudiziario di Israele, conosciuto per la grande ingiustizia. Anche a quell’epoca bastava pagare, corrompere un giudice, che dava la sentenza favorevole a chi pagava di più. Al centro c’è la misericordia, la più importante, che è stata già oggetto di una beatitudine di Gesù, e poi la fede. La fede ha valore soltanto in base alla misericordia. San Paolo nella sua lettera dice: Or dunque rimane la fede, la speranza e l’amore, ma di queste tre cose la più grande è l’amore.
“Queste erano da fare, naturalmente con ironia,
senza omettere quelle. 24 Guide cieche, è la terza volta che li chiama guide cieche,
che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Gesù si rifà alla pratica tipica dei farisei che, per paura di ingoiare anche un solo animale impuro, bevevano mettendo una garza sopra il bicchiere, per essere sicuri di non bere un microscopico animale che poteva esserci caduto, ed essere puri con Dio. Attenti a non ingoiare un moscerino, e ingoiate il cammello! Nel libro del Levitico, il cammello è l’animale più grande degli animali impuri.
Purtroppo è il ridicolo di una religiosità talmente preoccupata delle minime osservanze delle regole e dei minimi aspetti, da tralasciare aspetti più importanti. Nel vangelo di Giovanni avremo un esempio clamoroso, i capi dei giudei portano Gesù a Pilato per farlo condannare a morte, ma non mettono il piede dentro la casa di Pilato, è pagano. Mettere anche un piede sulla soglia della casa di un pagano faceva sì che l’impurità del pagano si attaccava all’ebreo, ma ingoiano il cammello. Vanno lì per far condannare a morte una persona innocente, un giusto, colpevole di aver minato il loro prestigio. Questa non è un’invettiva contro i giudei, ma è un avvertimento alla comunità cristiana che non ricada in questi errori. Nei credenti di ogni tempo, nasce la tentazione di regolare il proprio comportamento in base a regole e precetti, che diventano più importanti dell’amore da rendere agli altri. Ci sono persone talmente preoccupate di esaurire la lista delle preghiere che si sono prefisse o che hanno dato a loro, che non hanno tempo di occuparsi degli altri. Sono persone pericolosissime che quando voi state male e li incontrate, vi dicono: ti ricorderò nelle mie preghiere e tu rimani peggio di prima. Gesù denuncia l’idea pericolosissima della perfezione spirituale, che centra l’uomo su se stesso: come devo pregare, come devo comportarmi, come devo regolarmi. Tanto più è grande l’ambizione dell’uomo, quanto più irraggiungibile l’idea di perfezione spirituale. Gesù dice: lascia stare la perfezione spirituale e mettiti nell’amore che si fa dono all’altro. Mentre la prima è irraggiungibile, l’altra è immediata e concreta. La perfezione spirituale centra l’uomo su se stesso, sulla propria devozione e santità; l’amore e il servizio orientano l’uomo verso l’altro, favorendone la crescita.
Gesù con questa reprimenda vuole evitare che la comunità si trasformi in una istituzione rigida. Possiamo dare, da quanto appare in questo vangelo, una definizione della Chiesa.
La Chiesa pensata dall’evangelista e da Gesù vuole essere una comunità dinamica, che è animata dallo Spirito, e può esserci la tentazione che la comunità si trasformi in una istituzione rigida, regolata dalla Legge. Quando questo accade (e la storia ci insegna che spesso accade), gli aspetti secondari della fede, diventano i più importanti e quelli che sono importanti diventano secondari. Voi conoscete la caricatura, spesso veritiera, della persona molto pia, molto religiosa; è una persona fedelissima nei suoi rapporti con Dio, ma fredda e distante di fronte alle esigenze degli altri. Lo vediamo nei romanzi, nella filmografia, la persona molto pia è indubbiamente devota al suo Signore, ma insensibile alle sofferenze degli uomini. È il rischio che corre la comunità cristiana, che l’amore del Padre venga relegato agli aspetti periferici e quelli che sono gli aspetti periferici, l’osservanza, la regoletta, il precetto diventano più importanti. Al quinto ahi,
25 “Guai a voi scribi e farisei commedianti, perché purificate l’esterno del bicchiere e del piatto, i riferimenti sono ai dibattiti di quell’epoca. C’è un intero trattato del Talmud che riguardava le erbe sulle quali pagare la decima, e c’era una controversia tra il rabbino Hillel, di manica larga e il rabbino Shammai, di manica stretta, su come purificare un bicchiere. Hillel diceva: basta purificare l’interno; Shammai che era più rigoroso, diceva di purificare anche l’esterno. “purificate l’esterno del bicchiere e del piatto,
mentre dentro sono pieni di rapina e di ingordigia. 26 Fariseo cieco, purifica prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi puro”. Ancora una volta il comportamento ipocrita delle persone molto pie e molto religiose, nella ricerca del rispetto e dell’ammirazione di tutti per le quali conta l’apparenza, il volere essere di esempio. L’importante è l’aspetto esteriore, l’importante che gli altri pensino, sappiano e li riconoscano come persone pie e devote. Gesù dice: dentro pieni di rapina e di ingordigia. Cos’è questo riferimento? I farisei e gli scribi erano abilissimi nello sfruttare il loro prestigio spirituale per far soldi, per abusare della credulità della gente, facendo credere di essere i più vicini al Signore. Hai bisogno di un favore dal Signore? Rivolgiti a me che sono così vicino al Signore, io pregherò il Signore per te, offerta! Le vere vittime sacrificali della religione erano quelli che ricorrevano alle preghiere di intercessione degli scribi e farisei, ritenendoli più vicini al Signore. Gesù denuncia questo come oscena rapina. Attenti ai santoni, che sembrano tanto in comunione con Dio, ma all’interno sono pieni di avidità e di ingordigia.
27 “Ahi a voi scribi e farisei commedianti, perché rassomigliate a sepolcri intonacati; all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni immondizia”. Gesù si rifà alla pratica funeraria del mondo palestinese. Il funerale avveniva lo stesso giorno della morte, il cadavere era posto in una grotta e dopo circa un anno, quando ormai la decomposizione era avvenuta, le ossa venivano raccolte e depositate in buche. A volte erano anche in campagna; per evitare che la gente non le vedesse, venivano imbiancate con la calce bianca. Così anche di notte, un viandante si accorgeva del sepolcro e non correva il rischio di metterci un piede diventando impuro; il sepolcro infatti è luogo impuro per eccellenza. L’imbiancatura veniva fatta ogni anno, alla fine della stagione delle piogge, più o meno in aprile, in occasione della Pasqua.
28 “Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti agli uomini, ma dentro siete pieni di falsità e di iniquità”. Per Gesù quelli che agli occhi degli uomini si presentano e vengono ritenuti modelli di santità e di comunione con Dio (ed è più tragico), sono in realtà impuri e veicoli di impurità. Avvicinarli non induce alla santità, ma è fonte di contagio e di impurità. La denuncia di Gesù è tremenda e non meraviglia che Gesù sia stato ammazzato, meraviglia che Gesù sia riuscito a campare tanto, perché è senza il minimo rispetto. Immagino la Madonna che gli tirava la manica e diceva: figlio mio sta zitto, perché ti vai a cacciare nei guai? Gesù non risparmia nessuno, specialmente gli scribi che indossavano abiti particolari per mostrare il loro alto grado di comunione con Dio e i farisei, che erano dei santoni e dice che agire come loro non favorisce la comunione con Dio, ma rende impuri, sono immondezzaio di impurità. Gesù che non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, mette allo scoperto la falsità di costoro che appaiono giusti di fronte al mondo. La distorsione tra l’essere e l’apparire, è tipico delle persone molto religiose!
Ricordo che Gesù non ci invita a recriminare contro il mondo giudaico, che la comunità cristiana aveva abbandonato, ma che all’interno della comunità cristiana ci può essere il rischio di persone che, dominate dall’ambizione, dalla vanità, si fanno passare per modelli di santità. La gente ci crede, questo è anche più tragico. Gesù dice: non imitateli, se li avvicinate non entrate in comunione con Dio, ma siete immondi pure voi.
Gesù dice: dentro siete pieni di falsità e di iniquità; il termine dentro appare 4 volte in Matteo, di cui tre in questo brano e secondo le tecniche letterarie dell’epoca ci fa capire che sono in relazione l’uno con l’altro.
Gesù aveva adoperato il termine dentro per la prima volta, nell’invito di stare attenti ai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecora, ma dentro invece sono lupi rapaci. Attenti alle vesti di pecora, sono le più pericolose, perché l’abito sembra indizio di pace, invito di comunione con Dio, ma in realtà nasconde dei lupi rapaci che si mascherano da pecore e dentro sono pieni di iniquità. Il termine iniquità, nella bibbia, indica non solo ciò che è nocivo, ma ciò che è inutile: il loro darsi da fare per entrare in comunione con Dio è inutile. Saul il fariseo pentito, divenuto poi Paolo, dice: non mi batteva nessuno nell’osservanza, ero il primo in queste regole e prescrizioni, quando ho conosciuto Gesù ho reputato tutto schipalà, in greco è merda, ma i traduttori mettono sterco, che è un po’ più nobile. La denuncia dell’evangelista, parlando dei falsi profeti, indica chiaramente che è rivolta alla comunità cristiana, è nel suo ambito che possono nascere dinamiche di falsità. Settimo e ultimo ahi,
29 “Ahi a voi scribi e farisei commedianti, che costruite sepolcri dei profeti e adornateo decoratele tombe dei giusti, 30 e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti. 31 Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Quando si esaminano i vangeli, si rimane stupiti dall’attualità del messaggio e della sua perennità. Per Gesù scribi e farisei non vanno seguiti, non sono pastori del popolo, sono lupi rapaci portatori di morte; onorano i profeti del passato, ma in nome dei profeti del passato ammazzano quelli del presente. La vera conversione nasce da un vero pentimento, non consiste nel chiedere perdono per le colpe dei padri, ma nell’impegno di non commetterle o chiedere perdono per le proprie colpe, non per quelle degli altri.
Il ragionamento di Gesù è un tipico ragionamento rabbinico: e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti, così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Va spiegato, altrimenti non si comprende con una semplice lettura. I loro padri hanno assassinato i profeti, perché erano sordi agli inviti di conversione. Il ragionamento di Gesù si basa su questo: i loro padri hanno assassinato i profeti, perché ritenevano se stessi incapaci di sbagliare, in quanto persone religiose e irreprensibili. Ora scribi e farisei, affermando che non si sarebbero mai macchiati di questi crimini, presumono anch’essi di essere irreprensibili come i loro padri. La denuncia dell’evangelista è che normalmente, il profeta viene massacrato, mai riconosciuto, poi passa del tempo e si dice che aveva ragione, e in nome del profeta assassinato si perseguita il profeta che nel frattempo è apparso!
L’istituzione religiosa è sempre in ritardo sui tempi del Signore. Il Signore continuamente invia profeti, l’istituzione religiosa non li riconosce, li condanna e quando può li ammazza. Poi a distanza di tempo dice: abbiamo fatto un errore, era un santo, un profeta e in nome della teologia di questo profeta, si condanna il profeta che appare.
32 “Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!” Non è una constatazione, è un ordine imperativo. Gesù dice: siete assassini come i vostri padri, riempite la misura dei vostri padri. In forma paradossale, Gesù incita scribi e farisei a continuare sulla strada dell’assassinio, nella strada di ingiustizia come i loro padri.
I loro padri (dovremmo tenere presente questa caratteristica) hanno assassinato in nome di Dio. Gesù dicendo: colmate la misura dei vostri padri, si distanzia; i loro padri hanno assassinato in nome di Dio. In nome del Padre di Gesù si può soltanto donare la propria vita. Infatti scribi e farisei continueranno nel loro disegno criminale e saranno i mandanti della morte di Gesù. E continua (si vede che non c’era la Madonna che gli tirava la tonaca), in un crescendo di violenza,
33 “Serpenti, razza di vipere” è la terza volta che, nel vangelo, chiama scribi e farisei razza di vipere, gente di morte, ma con un’aggravante: serpenti. La prima volta è Giovanni Battista, la seconda volta Gesù, qui è la terza. Ogni parola dell’evangelista è ben studiata, non è messa a caso, perché il serpente? Il serpente, nel libro della Genesi, è colui che ha introdotto la morte nel mondo e nella tradizione giudaica era diventata immagine del diavolo. Gesù dice che scribi e farisei non solo vi danno la morte, ma sono essi stessi il diavolo. I rappresentanti di Dio sono diavoli che vi portano la morte! È tremendo. L’immagine del serpente fa dire a Gesù
“come sfuggirete al giudizio della Geènna?” Qui c’è un brano dell’apocalisse: il serpente antico che è chiamato diavolo e satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù sulla terra e con lui furono gettati anche i suoi angeli. La distruzione, l’annientamento totale da parte dell’angelo.
34 “Per questo io vi mando profeti, sapienti e scribi”,nell’Antico Testamento Dio mandava profeti, ora è Gesù, che nel vangelo di Matteo è stato dichiarato il Dio con noi,
“di questi alcuni ne ucciderete, e crocifiggerete altri ne flagellerete”, sono i tre verbi adoperati per la morte di Gesù,
“nelle vostre sinagoghe”, Gesù prende le distanze,
“e perseguiterete di città in città;”.Gesù aveva detto: quando vi perseguiteranno in una città fuggite in un’altra; aveva detto: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che verrà il Figlio dell’uomo. Profetizza la distruzione totale di Gerusalemme da parte dei romani, avvenuta nel 70 d. C. trent’anni dopo queste parole. Ma nel frattempo i profeti, i sapienti, gli scribi inviati da Gesù, li ucciderete, li crocifiggerete, e distingue tra crocefiggere e uccidere, perché la crocifissione non era un modo per dare la morte, ma una tortura lenta, che portava alla morte.
In questo crescendo, Gesù dichiara l’istituzione religiosa assassina dal principio alla fine, dalla A alla Z.
35 “perché ricada su di voi tutto il sangue giusto effuso sopra la terra, Gesù sembra esagerato,
“dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa che avete ucciso tra il santuario e l’altare”. Il primo libro della bibbia, la Genesi, contiene il primo assassinio: Caino che ha ammazzato Abele; l’ultimo libro della bibbia ebraica è il II libro delle Cronache e contiene l’ultimo assassinio perpetrato verso un uomo di Dio, il sacerdote Zaccaria. Gesù prendendo il primo assassinio della bibbia e collegandolo all’ultimo assassinio dice: siete dei delinquenti dalla A alla Z, dal primo libro della bibbia, all’ultimo libro della bibbia. La denuncia di Gesù è incredibile: avete ucciso tra il santuario e l’altare, trasformando quello che doveva essere un luogo di culto, in luogo di morte.
Nel vangelo di Giovanni dirà: verrà il momento in cui chiunque vi ucciderà crederà di fare culto a Dio. E questo la storia non ce lo ha insegnato, e lo si continua a fare. Chi uccide, uccide in nome di Dio, Dio benedici i nostri eserciti, Dio benedici la nostra nazione, e con questa benedizione andiamo ad ammazzare altri eserciti, benedetti dal loro Dio.
36 “In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione”. Gesù aveva già definito scribi e farisei una generazione perversa, adultera e idolatra, perché il vero dio che adorano non è il Padre di Gesù, ma mammona, il tesoro del tempio. Gesù li ritiene responsabili dei crimini perpetrati dall’istituzione religiosa, non salva nessuno, indubbiamente tra questi scribi e farisei ci sarà stata una persona brava, ma per il fatto di appartenere a una struttura di potere, sono tutti complici e tutti colpevoli. Ricordo ancora, non è che l’evangelista, Gesù, che denuncia scribi e farisei, ma perché tra i cristiani non capitino queste dinamiche infernali.
37 “Gerusalemme, Gerusalemme”,è lo stile di scrittura dell’evangelista. Gerusalemme, il nome della città santa, nella lingua greca si può scrivere in due maniere: Jerusalem, è il nome sacro e indica l’istituzione sacra, Ierosolyma indica la città geografica.
Per fare un esempio, il Vaticano e la Santa Sede; il Vaticano è il luogo geografico, la Santa Sede è il luogo teologico. È la prima volta che nel vangelo si adopera il nome teologico, il nome sacro Jerusalem, con il quale l’evangelista vuole indicare l’istituzione religiosa giudaica, che ha messo le radici nella società. Jerusalem, Jerusalem, la ripetizione accentua il pianto di Gesù, che si lamenta sopra la città. Alla fine dei lamenti, ahi, c’è un pianto finale carico di mestizia, soprafatta da una grande impotenza:
“che uccidi i profeti”. L’istituzione religiosa anziché riconoscere gli inviati di Dio, li ammazza, perché il profeta è un uomo in sintonia con Dio, che è sempre nuovo e ritiene insufficienti gli strumenti della gente della sua epoca. Per esprimere la comunione con Dio, ha bisogno inventarne dei nuovi e l’istituzione religiosa lo vede come un grave attentato. L’istituzione religiosa è il luogo dove impera il detto: si è sempre fatto così, perché cambiare? Il profeta è l’uomo del cambiamento: uccidi i profeti
“e lapidi quelli che ti sono inviati”, l’evangelista sceglie con cura ogni termine, perché lapidi? La lapidazione era una pena che il libro del Deuteronomio riservava agli idolatri, a coloro che facevano sviare il popolo portandolo a idolatrare altri dei. Santo Stefano, il primo martire, sarà lapidato.
Gesù denuncia un’istituzione religiosa ormai idolatra (aveva detto: voi adorate mammona, il dio del tempio), che ritiene idolatri gli inviati di Dio. È il peccato contro lo Spirito Santo chiamare male il bene e bene il male. L’istituzione religiosa, che doveva essere in comunione con Dio è idolatra, e forte del suo potere, denuncia e condanna come idolatri quelli che sono in comunione con Dio: è il sovvertimento totale. Questa è la gravità! Come dice il profeta Isaia denunciando questo: sono coloro che chiamano bene il male e male il bene; e questo, Gesù nel suo vangelo, lo dichiarerà peccato contro lo Spirito Santo.
Il peccato contro lo Spirito Santo, che non potrà mai essere perdonato è quello di coloro che per interesse e per potere, dicono che è bene ciò che è male, e male ciò che è bene. Gesù piangendo su questa situazione dice:
“quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali e voi non avete voluto!Ogni tentativo è fallito. Gesù parla al passato adoperando un’immagine dei salmi, che riguardava la protezione di Dio per il suo popolo; notate la sottigliezza dell’evangelista: nel salmo si parla di Dio che come un’aquila sorveglia la sua nidiata, ma l’aquila è un’immagine di potenza di maestosità! Gesù è molto più semplice, prende la gallina. Ricordate l’episodio dell’albero della senape? Dal profeta Ezechiele il regno di Dio è immaginato come un cedro su di un monte maestoso; invece Gesù dice: è un arbusto di senape nell’orto della casa. E non si presenta come l’aquila, segno di maestosità e di aggressività, ma come una gallina che sorveglia la sua nidiata.
38 “Ecco, vi sarà lasciata la vostra casa, un deserto,”Gesù ancora una volta prende le distanze con l’istituzione, la casa è il tempio di Gerusalemme, la casa del Signore è stata trasformata in una spelonca di ladri. Gesù dice: avete ridotto la casa del Padre mio in spelonca di ladri e il termine spelonca indicava il luogo dove i banditi accumulavano la loro refurtiva. I banditi dovevano andare a rapinare i passanti e poi portare via la rapina; i sacerdoti evitavano la fatica, perché la gente andava al tempio a farsi rapinare, contenta, credendo che fosse la volontà di Dio. Gesù dice: avete ridotto il tempio in una spelonca di ladri, ammassate la refurtiva e le vittime sono queste persone che pensano Dio esigente, un Dio al quale hanno fatto dire nella bibbia: nessuno si presenti a me a mani vuote. Per evitare di sbagliarsi, c’era un preciso tariffario su come le mani dovevano essere piene. Il Dio del tempio non è più il Padre di Gesù, è il mammona e nel 70 d. C. il tempio verrà distrutto completamente.
39 “Vi dico, infatti che non mi vedrete più fino a quando non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”.Quando Gesù nel capitolo 21 è entrato a Gerusalemme, la folla lo ha acclamato dicendo: benedetto colui che viene nel nome del Signore, ma c’era un equivoco: osanna al Figlio di Davide. Hanno ammazzato Gesù perché entra a Gerusalemme su di un asinello. Tutta la folla che lo ha accolto dicendo: osanna, mezz’ora dopo dice: ammazzalo, crocifiggilo. L’ingresso a Gerusalemme non è sulla mula, la cavalcatura dei re, ma su di un asinello! La gente lo ha acclamato: osanna al Figlio di Davide e ricordo che figlio, significa colui che si comporta come il padre. Davide era stato il grande re che aveva unificato, attraverso la violenza, le tribù di Israele. Gesù non è il figlio di Davide, ma il Figlio di Dio e appena ci si accorge che il Messia non è quello che si aspettava, non sa che farsene e lo elimina.
Gesù dice: vi dico che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, salta osanna al Figlio di Davide. Gesù non chiude, ha fatto una filippica contro le autorità, ma offre loro una possibilità: se riconoscete che vengo nel nome del Signore, per voi c’è possibilità di salvezza. Invece non lo riconosceranno e quando il sommo sacerdote chiederà a Gesù: sei tu il Figlio di Dio e Gesù lo ammetterà, il sommo sacerdote dirà: ha bestemmiato e la bestemmia meritava la morte dell’individuo.
Trascrizioni delle conferenze di fra Alberto Maggi e fra Ricardo Pérez Márquez della comunità dei Servi di Maria, tenute a Montefano tra il 1997 e il 2004, non riviste dagli stessi.