Lunedì – Giovedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

IL LIBRO DEI GIUDICI
P. Francesco Rossi de Gasperis
Ottava riflessione
Vediamo, allora, quale è il significato di questa storia nell’ambito di tutta la Bibbia, libro che leggiamo e di cui possiamo dire: “Parola di Dio”. Innanzitutto ci chiediamo quale possa essere stata l’intenzione dei redattori biblici nel ricordarci questa vicenda nel libro dei Giudici, visto che può perfino essere isolata e raccontata per se stessa. E ancora: quale è la rilettura cristiana di un testo simile, con la figura quasi ‘stramba’, e certo originale di Sansone?
Vediamo, prima di tutto, che viene presentata come quella di un bambino figlio di una donna sterile. Questi sono i segni privilegiati degli interventi di Dio nella storia del suo popolo, facendo salvezza con dei mezzi disperati. In questo senso la storia di Sansone si iscrive con quella di Gedeone o di Debora: il Signore compie cose grandi con strumenti poveri, dal punto di vista umano. È una costante di tutta la Scrittura che suppone la salvezza dal peccato ottenuta non con i mezzi della potenza, non con l’economia della creazione, ma con le cose più umili. Con la sterilità porta frutto! È davvero il motivo di speranza che attraversa tutta la Scrittura fino al Nuovo Testamento.
La situazione disperata che si pone all’inizio della storia di Sansone non è tanto la sterilità di sua madre, ma la condizione d’Israele sottomesso ai filistei per quarant’anni. La salvezza non si identifica con la sparizione immediata della servitù del popolo, ma Sansone dà inizio alla liberazione dagli oppressori. C’è quindi un apparire iniziale di cose che richiederanno più di quarant’anni, cioè tutto uno svolgimento nel tempo fino al regno di Davide, dopo quello di Saul. Anche Saul, del resto, sarà in qualche modo successore di Sansone, nel senso che comincia a sconfiggere i Filistei sul campo, cioè mostra come anche questo popolo più evoluto di Israele possa essere vinto.
La salvezza comunque si svolge nel tempo e perciò sono importanti i suoi inizi perché sono una promessa della realizzazione. Anche nei giorni più grigi il Signore è capace di suscitare qualcuno o qualcosa che dà speranza. Come in tutte le altre storie del libro dei Giudici, quello che interessa è la salvezza d’Israele. Si potrebbe dire che è uno dei libri in cui più apertamente la fede si distingue dalla morale. Troviamo questo già nella storia dei patriarchi, i quali sono i patriarchi del popolo della fede, e non tanto della santità morale degli individui. Anche qui vediamo che in Sansone non c’è molta santità morale, anche se è un uomo che prega e che sa di appartenere al Signore. Il suo essere segnato dalla consacrazione a Dio in un certo senso funziona, se è vero che «furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita».
Questa è una conclusione pasquale che non possiamo farci sfuggire, proprio anche da una lettura neotestamentaria: la morte del nemico causata dalla morte dell’amico, del testimone. È un modo per annunciare il mistero della Croce: Gesù ha sconfitto Satana con la propria passione e morte; la vittoria sua e del suo popolo ha seguito la sua morte. (…)
Sansone, personaggio così eccentrico, fa parte della Bibbia, sia pur con la sua vita morale che è un caos. Ma in tutto il libro dei Giudici traspare questo aspetto di violenza, di istintività, di sesso, che ci ricorda il problema eterno dell’uomo e della donna da cui derivano poi altre questioni di peccato e di salvezza.
È sottolineata anche l’importanza della famiglia, poiché in essa si trovano le radici di ciascuno di noi. Ma nella famiglia si annida anche lo sbocciare di un rischio, perché nessuno può prevedere che cosa sarà di quel figlio che viene al mondo. Nulla però sfugge dalle mani del Signore: la vita è sempre nelle sue mani, e dove c’è la vita il Signore è impegnato per ricavarne qualcosa. Nessuna vita è inutile; nessuna vita è di troppo. La vita di ogni uomo è esposta, come quella di Sansone, a proposito del quale molte volte si ripete che «lo Spirito del Signore irruppe su di lui».
Il Signore non ci mette al mondo per poi lasciarci andare, ma ci accompagna sempre con il suo Spirito. E lo Spirito è capace di insinuarsi nelle nostre vite qualunque cosa noi facciamo. Non è al nostro servizio, ma siamo interpellati noi per metterci al suo servizio. (…)
Nella storia di Sansone c’è ancora un elemento che mi pare interessante sottolineare. Abbiamo visto che il padre di Sansone si chiama Manòach, nome che rimanda alla ‘pace’, al ‘riposo’.
A proposito del termine ‘riposo’, S. Girolamo afferma di aver conosciuto un “Vangelo degli Ebrei”, scritto in lingua ebraica, di cui noi abbiamo perduto ogni traccia. Ci rimangono però delle citazioni prese appunto da S. Girolamo e poste nelle sue opere. Ebbene questo vangelo ha una parola che dedica specialmente al battesimo di Gesù: «Avvenne che quando il Signore salì dall’acqua, discese e si posò su di lui tutta la fonte dello Spirito Santo (Sono le stesse parole usate nel libro dei Giudici: “Lo Spirito scese su di lui…”) e gli disse: “Figlio mio, in tutti i profeti aspettavo che tu venissi per riposarmi in te. Tu sei infatti il mio riposo, il mio Figlio primogenito che regna per sempre”».
Ecco, questo “Vangelo degli Ebrei” dice che, durante il battesimo di Gesù, lo Spirito gli ha dichiarato che da secoli stava aspettando qualcuno su cui poter riposare. Ebbene, io vedo questo ‘riposo’ dello Spirito di Dio non solo come “qualcuno che mi accoglie, ma come qualcuno che poi conforma tutta la propria vita a quello che Io sono, cioè dove fede e santità morale si congiungono”.
Sansone non è qualcuno su cui lo Spirito Santo si possa riposare! Certo, lo Spirito agisce su di lui, ma non tutta la vita di Sansone è animata dallo stesso spirito.
Lo Spirito aspettava qualcuno che fosse fedele fino in fondo, al cento per cento, a questa mano materna che si posa su di lui. In questo senso vedrei Sansone come una profezia che annuncia il Figlio di Dio fatto carne, in cui lo Spirito si possa finalmente riposare. Tutta la ‘carne’ di Gesù è penetrata dallo Spirito. Dio trova riposo in Gesù, e attraverso Gesù può raggiungere tutti gli altri.
Nella tradizione cristiana c’è poi ancora un altro aspetto che rimette in campo la figura di Sansone. Nella storia delle Chiese – soprattutto orientali, ma anche occidentali – c’è tutta una tradizione di ‘pazzi di Dio’, cioè di coloro che colgono l’aspetto sconvolgente della grazia e della salvezza divina.
Un esempio della ‘follia di Dio’ potrebbe essere questa salvezza che si esprime attraverso le madri sterili. Nella Bibbia il segno visibile della benedizione divina sono i molti figli e le molte figlie, i molti campi, le molte greggi, i molti beni. È l’economia della creazione, che resta del tutto valida anche nel Nuovo Testamento, e noi benediciamo il Signore per l’abbondanza dei frutti della terra. Ma la salvezza non segue questa economia, che può arrivare ad essere addirittura la deviazione nel consumismo.
Ricordo che alla fine degli anni ’80 gli ebrei russi arrivarono in Israele, e poco tempo dopo i supermercati israeliani rischiarono di dover chi udere perché quelli, non abituati a tanta abbondanza messa lì a disposizione, arraffavano di tutto. Gli israeliani dovettero proibire ai russi di entrare nei supermercati e aprirono dei negozi solo per i russi. L’abbondanza, infatti, era un invito al furto! Non è davvero detto che la crescita indiscriminata sia un segno della benedizione.
Ricordiamo una bella preghiera, uno dei ‘Detti di Agùr’, che si trova nel libro dei Proverbi: «Signore, non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il mio pezzo di pane, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi e dica: “Chi è il Signore?”, oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e abusi del nome del mio Dio» (Pr 20,8-9). Entra così in campo un’altra economia, oltre a quella della creazione: è qualche volta anche quella dell’indigenza, della sterilità. Avere figli in condizione di sterilità è una specie di follia…
In seno alla Chiesa, iniziando soprattutto nella Siria pre-islamica, prima dell’invasione araba, ci sono state queste presenze di ‘pazzi di Dio’. I Padri dicono che costoro, ‘non potendo ancora salire al cielo, si mettono in cima alle colonne’. Erano gli stiliti. Poi questa tradizione si è radicata soprattutto in Russia, dove c’erano delle persone che si comportavano da pazze pur essendo molto sagge, per dimostrare che Dio se ne infischia della sapienza umana. Erano quelli che potevano parlare apertamente ai re e ai principi dicendo tutto quello che si sentivano dentro, come dei ‘buffoni di corte’, e ricevevano da loro protezione. Potevano dire anche delle stupidaggini, ma in esse c’era sempre della verità. Talvolta andavano in giro nudi, facendo sciocchezze, ricevendo insulti per rendere gloria a Dio.
La santità di Dio non è un multiplo della sapienza umana; la vera sapienza è la stoltezza di Dio: «Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25). Così, per essere segno di tutto questo, nasce la spiritualità della follia, di cui Sansone potrebbe essere un ‘protettore’, un esempio da portare.
C’è anche un altro aspetto che non possiamo dimenticare: Sansone, innamorandosi di tutte quelle donne filistee, comincia a rompere la barriera con quel popolo, comincia ad aprirgli le frontiere d’Israele. Promuove una comunione di culture, di civiltà tra le nazioni. È, in un certo senso, il primo che mette piede nel mondo filisteo e rende possibile la comunicazione. Anche nella Palestina di oggi ci sono famiglie in cui un coniuge è palestinese e l’altro israeliano; non sono molte, ma ci sono. È molto interessante l’incontro di famiglie nemiche che si mettono insieme, non immediatamente sul piano matrimoniale, ma su quello dell’amicizia. Questo avviene soprattutto tra famiglie che hanno perduto i loro cari proprio nella lotta tra i due popoli: il dolore di queste perdite avvicina le persone colpite dal lutto, che proprio dalla loro sofferenza traggono la forza per un dialogo di pace non solo interno ai loro due popoli, ma anche nelle nazioni estere, nei vari gruppi umani dissidenti. È la redenzione attraverso la croce.
In questo senso Sansone è un ‘esploratore’ dell’altra cultura e apre in qualche modo un accesso, pur accendendo le code delle volpi per bruciare il grano o portandosi via le porte della città (cc. 15- 16). Sono i vari modi con cui il Signore si fa presente nella nostra vita. Si potrebbe pensare che il Signore non sia una ‘persona per bene’ e nasconda in sé qualche follia. Non scarta nulla e si sa servire di tutto. Non è una personcina educata, da salotto: non ha nessuna paura di sporcarsi le mani! E questo è importante per noi, perché anche noi dovremmo essere così. Certo, Sansone compie azioni assolutamente deplorevoli, ma non è Dio a comandargliele: la condotta morale dipende da noi! Dio non gli suggerisce di andare dalla prostituta, ma resta il fatto che Sansone ci va, e il Signore sa servirsi anche di questo per i propri fini.
Questo non significa che il fine giustifichi i mezzi, ma che il fine si può ottenere anche tutti i mezzi possibili, anche quelli che noi ‘imponiamo’ a Dio. Se fosse il Signore a condurre la nostra vita morale potremmo pensare che sia Lui l’autore di queste scelte. No, l’autore dei peccati commessi da Sansone è Sansone stesso, tuttavia il Signore sa servirsi anche di questi – come di tutte le azioni umane – per il proprio progetto di salvezza. Però, quando l’uomo si sintonizza talmente con il Signore da seguire nella propria condotta morale le regole e le azioni del Signore, allora si tocca la santità cristiana. È la santità della fede che diventa morale, e della morale che traduce adeguatamente la fede. (…)
Non c’è niente di perduto che Dio non voglia salvare. «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); anche se c’è una legge che punisce con la lapidazione quella donna adultera, Gesù la lascia andare con l’invito a non peccare più. Il Cardinal Martini diceva spesso che ci sono tante regole morali, ma quando ti si presentano davanti delle persone e ti accorgi che la loro vita fa parte di un tutto, in cui c’è insieme il bene e il male, non le puoi ‘buttare via’. Bisogna in qualche modo tener conto sia della regola morale che della persona in sé, e questo comporta una fatica terribile e suppone un’intelligenza che trovi una via d’uscita ma, ancora prima, una profonda simpatia per le persone, una profonda accoglienza. Perciò non posso respingere nessuno per rimanere ligio ad una regola: Dio non fa così! (…)
E se pensiamo anche a Sansone, è interessante comprendere il senso di queste fini tragiche dei testimoni di Dio, approfondire il loro valore, poiché hanno un ruolo molto importante nella storia del popolo di Dio, che ha dovuto conquistare la propria terra, la propria vocazione, la propria identità. (…)
Gruppi di lettura continua della Bibbia in Bergamo
Settimana Biblica 2012 Bergamo 24 – 29 settembre 2012 Il libro dei Giudici
Relatore: p.j. Francesco Rossi de Gasperis
Il testo non è stato rivisto dal relatore