Lunedì – Giovedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Il libro dei Giudici
P. Francesco Rossi de Gasperis
Prima riflessione
Per questi nostri incontri abbiamo scelto di leggere il libro dei Giudici, uno dei più difficili e più densi. Vorrei cominciare facendo un breve riassunto del significato di questo scritto.
Nel libro dei Giudici troviamo tanta storia, tanta psicologia, tanta cultura umana e quindi una grande ricchezza anche dal punto di vista letterario, ma, se affrontiamo la Bibbia come vuole essere, cioè come una Scrittura che vuole darci una conoscenza di Dio che interviene per la nostra salvezza, questo libro ci aiuta soprattutto a comprendere chi è il Signore, al di là di tutte le componenti umane del nostro approccio. È un po’ come il libro di Giobbe che pone la domanda: “Ma tu chi sei? Perché sei così? Perché mi tratti in questo modo?”.
La Bibbia è una sorta di perpetua ripetizione della lotta di Giacobbe con il Signore al guado dello Iabbok: passare tutta la notte abbracciati a qualcuno con cui si lotta e con cui si fa l’amore, ripetendo la domanda: “Tu chi sei? Come ti chiami?”.
Ecco, questo mi sembra l’approccio più giusto e più adeguato per tutta la Scrittura, e quindi anche per il libro dei Giudici. Mi sembra davvero una buona lettura per aprire l’anno della fede, che sembra proprio interpellare su quelle domande: “Perché io credo in Te? Non credo in dogmi o in simboli, ma proprio in Te, e Tu chi sei?” Con l’anno della fede, poi, avanza anche l’anno della nuova evangelizzazione, per cui si tratta di fare conoscere agli altri il Signore per quello che è. È Qualcuno che si interessa della ‘nostra’ salvezza, e non solo della ‘mia’, e che affida a noi, a questa piccola Chiesa, il compito di far conoscere il suo Nome. Poi sarà il Nome stesso che si farà conoscere nelle coscienze degli uomini, perché noi non possiamo aprire le coscienze altrui, visto che a malapena riusciamo a tenere gli occhi sulla nostra.
Dicevo che quello dei Giudici è uno dei libri più densi perché si dispiega in tutta la vicenda umana: la psicologia umana, l’umana malizia, la ristrettezza mentale, gli egoismi… È un libro in cui, sia pure in buonafede, un padre sacrifica la propria figlia, e che termina con una donna tagliata a pezzi.
È quindi un libro anche violento, che presenta le guerre tra le tribù e la quasi totale distruzione di quella di Beniamino; è un libro pieno di tutte le passioni umane e in cui non c’è un mediatore.
Da una parte c’è Dio, il più possibile solo, e gli uomini sembrano abbandonati a loro stessi; Dio fa il suo gioco senza intromettersi sistematicamente nelle vicende umane. Si potrebbe dire che Egli è libero da tutti i suoi mediatori per quanto è possibile, ma in qualche modo una mediazione gli è necessaria per intervenire nella storia dell’uomo, e questa mediazione, questo contatto, è rappresentato appunto dai giudici. Costoro sono il minimo indispensabile, tanto che appena hanno finito il loro servizio, spariscono e ritornano nell’anonimato.
Dunque troviamo da una parte tutte le passioni umane, e dall’altra tutta la purezza di Dio, che vuole farsi conoscere per quello che è e non per come appare da quello che di Lui si afferma mediante i dogmi, le dottrine e i catechismi. Tutto questo, se vogliamo, verrà appresso e comincerà con la storia della monarchia, ma sappiamo che poi sparirà.
Quello dei Giudici è quindi anche un libro escatologico perché, in fondo, noi andiamo verso la rivelazione del regno di Dio senza mediatori umani, ma con un solo Mediatore che è il Figlio di Dio, Gesù Cristo nostro Signore, l’Uomo che appartiene alla sfera di Dio.
È un libro esplicitamente trinitario, poiché il suo soggetto è lo Spirito, che viene richiamato come in un ritornello: «Lo spirito del Signore fu su…». C’è quindi il Dio misterioso, il Padre, che si rivela attraverso la forza dello Spirito, il quale ci conduce attraverso tutte le più piccole mediazioni umane per arrivare poi, nel Nuovo Testamento, a Cristo Gesù, vero Mediatore e unico Giudice. Sarà però necessario capire bene che cosa significa ‘giudice’ e che cosa è il ‘giudizio’ secondo il Signore.
Un altro ritornello del libro dei Giudici, specialmente negli ultimi capitoli è: «Allora non c’era un re in Israele… Quando non c’era ancora un re in Israele…». E chi c’era, allora? C’era Dio. Ma questo riguarda un passato o un futuro? Anche tutti noi, infatti, andiamo verso la rivelazione di un Regno in cui non c’è più un re o, meglio, ce n’è uno solo, ed è il Signore, il Figlio, il Re dei re.
Quello dei Giudici è perciò un libro del passato e del futuro. Non è solo un libro storico, anche se effettivamente racchiude in sé della storia relativa a tutti i popoli della terra. I protagonisti di tutta la Bibbia sono sempre tre: il Signore, Israele, e infine tutti i popoli della terra (Ammoniti, Gebusei, Amorrei, Cananei…), gli abitanti del Medio Oriente antico, che costituiscono il quadro geografico e politico del libro dei Giudici. Israele è il popolo di Dio, mandato tra le nazioni per farlo conoscere.
È un concetto molto attuale anche per noi oggi, poiché la mediazione della Chiesa si fa sempre più esigua, dal momento che essa diventa sempre di più una minoranza, anche se è tentata di credersi maggioranza e di desiderare che il mondo sia fatto a immagine sua. Questo è falso ed è drammaticamente impossibile. Per fortuna, direi, dal momento che se facessimo il mondo a nostra immagine e somiglianza sarebbe un vero disastro: siamo noi al servizio del mondo, e non il mondo a servizio nostro! La Chiesa si sta assottigliando sempre di più e, dove la sua testimonianza si deve fare più pura e più incisiva, noi siamo più liberi di essere come dobbiamo essere, senza metterci la maschera dell’uomo in generale: noi siamo cristiani, siamo segnati dal nome di Gesù. Questa situazione ci favorisce, ci rende più liberi di essere cristiani! Il libro dei Giudici, premonarchico, appartiene all’antica alleanza, ad un tempo di cui abbiamo poca documentazione storica, ma si apre pienamente alla nuova alleanza, anche se in questa c’è un solo Mediatore, un solo Sacerdote: Gesù Cristo, Parola del Padre.
Di ogni libro che costituisce la Bibbia si può fare un’analisi storico-critica e letteraria. Giudici è un libro problematico perché, di per sé, nella sequenza dei libri biblici, viene dopo quello di Giosuè che, a sua volta, viene dopo i libri di Mosè. Apparentemente, quindi, è il seguito del libro di Giosuè.
Qui però ci sono già problemi molto seri dal punto di vista storico-critico, problemi che però non approfondiamo, dal momento che non siamo qui per studiare storicamente e letterariamente la Bibbia, ma per una lectio divina, cioè per una lettura di fede. Noi leggiamo la Bibbia come l’ha conosciuta e letta Gesù.
Non dobbiamo mai dimenticarlo, perché oggi si studia la Bibbia a tutti i livelli e qualche volta ci si ferma esageratamente sul piano storico, letterario o geografico. In questo caso diventa un fatto di cultura, e dal punto di vista culturale ci sono diverse teorie. Se leggiamo di seguito il libro di Giosuè e quello dei Giudici, si ha uno shock, un impatto psicologico, perché il libro di Giosuè si chiude con una conquista già realizzata. Ci racconta una sorta di guerra-lampo. Giosuè, successore di Mosè, dopo la morte di questi si pone alla testa del popolo uscito dall’Egitto, conquista la terra promessa, passa il Giordano, sconfigge i re del nord e del sud. I popoli precedenti vengono spazzati via con un’azione di guerra rapida e vittoriosa, e le varie tribù d’Israele si spartiscono il territorio. La conquista, dunque, è un fatto compiuto.
Quando si legge il libro dei Giudici, che inizia con la morte di Giosuè, si scopre che i popoli precedenti non se ne sono andati affatto, anzi occupano le vie di comunicazione, e le tribù d’Israele sono costrette a vivere sulle cime delle colline e si difendono a fatica. La conquista di Giosuè è quindi ridotta ai minimi termini e la vita degli israeliti nella terra promessa è difficile a causa delle continue minacce. E si dice che il Signore aveva lasciato di proposito i popoli nemici: «Avevo anche detto: “Non infrangerò mai la mia alleanza con voi, e voi non farete alleanza con gli abitanti di questa terra; distruggerete i loro altari”. Ma voi non avete obbedito alla mia voce. Che cosa avete fatto? Perciò anch’io dico: non li scaccerò dinanzi a voi; ma essi vi staranno ai fianchi e i loro dèi saranno per voi una trappola» (Giudici 1,1-3). Così il Signore si serve dei popoli precedenti, rimasti nel territorio, per pungolare Israele e riportarlo alla fedeltà, alla purificazione dall’idolatria che pervade gli altri popoli.
La conquista non è affatto un evento così rapido e vittorioso come può sembrare nel libro di Giosuè. Storicamente, come sono andate le cose? Ci sono diverse teorie, e oggi gode di un certo successo, dal punto di vista letterario e storico, la tesi che sostiene che tutta la storia dell’esodo e della conquista sarebbe una specie di invenzione elaborata negli ultimi tempi della monarchia, nell’esilio e nel postesilio, da coloro che hanno scritto la cosiddetta ‘storiografia deuteronomica’, a partire da Giosuè fino alla fine del regno di Gerusalemme con l’esilio babilonese. La situazione da loro vissuta – soprattutto dal regno di Giosia fino a dopo l’esilio – viene riproiettata indietro nella storia dell’esodo e della conquista.
In altre parole, ci sono degli storici estremi che sostengono che l’esodo non c’è mai stato, come non c’è mai stata la conquista della terra promessa; tutto questo sarebbe stato ricostruito a partire da quello che è accaduto dopo. Il ritorno dall’esilio in Babilonia ha fatto da ‘carta-carbone’ per raccontare la storia prima della conquista e della monarchia.
Non credo che si debba prendere sul serio questo modo di ragionare e farlo nostro, perché noi dobbiamo leggere la Bibbia accogliendo seriamente tutta la storia. Dire che Mosè non è mai esistito significa dire che la lettera agli Ebrei è un falso, poiché è tutta costruita sul parallelo tra Mosè e Gesù. Gesù è ben cosciente di Mosè e della conquista! Leggiamo nella lettera agli Ebrei, quando si illustra tutta la storia del popolo come ‘popolo della fede’: «E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti» (Eb 11,32).
Quindi il Nuovo Testamento prende sul serio l’Antico e i suoi protagonisti. Tutto questo era nella coscienza di Gesù che, nell’episodio di Emmaus, dice ai due discepoli avviliti: «“Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Luca 24,25-27).
A noi interessa la storia canonica della Bibbia come la prende la Chiesa dalla tradizione d’Israele. Non ci interessa sapere come sono andati storicamente gli avvenimenti, ma come questi sono raccontati nella parola di Dio, e come di questa sua parola il Signore si serva per formare il suo popolo, sapendo che sotto questo racconto c’è sicuramente una storia.
Non ci interessa sapere a quanti chilometri di distanza tra Gerusalemme e Gerico sia accaduto il fatto del buon samaritano, ma ci interessa conoscere che cosa ci vuole raccontare Gesù mediante quella parabola. Ci interessa di conoscere chi è il Signore, e non di sapere quanti anni avesse Iefte quando ha sacrificato la propria figlia! Nella lettura della Bibbia bisogna mantenere sempre questo ‘asse’ per comprendere quello che Dio ci vuole insegnare attraverso una storia, senza andare a cercare documenti che non ci sono.
Nella storicità della Bibbia c’è un massimo e un minimo, e l’elaborazione di questa storia che gli autori del tempo dell’esilio hanno scritto con la loro opera deuteronomica è certamente seria, ricca e abbondante, e ha rispettato il passato, il presente e il futuro. Sotto questo racconto c’è davvero il tessuto storico che attesta l’evento dell’esodo di un gruppo di israeliti dall’Egitto (anche se non di tutti), gruppo che poi ha costituito il nucleo centrale della popolazione nella terra promessa. Ci deve essere stato un condottiero (o più condottieri) come Mosè, e ci deve essere stata una conquista, attuata forse con scorrerie di bande guidate da persone come Giosuè. È vero tuttavia che questa storia è stata celebrata in modo epico, in modo letterario, durante e dopo l’esilio, per dare ragione del ritorno dall’esilio stesso.
Tutti e due i periodi vanno considerati, senza poter evidentemente determinare quale capitolo rispecchi più fedelmente la situazione. Gli studiosi che sostengono la tesi dell’invenzione non vanno neppure d’accordo tra di loro, perché ciascuno interpreta la cosa a modo proprio. Tutto questo fa parte della storia della letteratura e dei popoli, e a noi non interessa direttamente. A noi interessa la parola di Dio, ossia ciò che Dio ci vuole insegnare raccontandoci quegli avvenimenti.
Purtroppo oggi, anche nella Chiesa, si moltiplica questo costume critico. Immaginate che Gesù ci stia parlando e ci racconti le sue parabole per farci conoscere chi è il Padre, e che qualcuno si alzi per chiedergli come si chiamasse quel ricco epulone a cui si rivolgeva Lazzaro, o di chi fosse figlio.
Che cosa c’entra? Gesù ti sta insegnando qualcosa che deve cambiare la tua vita! La Bibbia deve essere letta così, e non come un libro di storia o di letteratura. È parola di Dio, e non sta nelle notizie topografiche, familiari o sociologiche, bensì nell’insegnamento che deve penetrare nel tuo cuore per cambiare la tua vita e farti diventare figlio di Dio.
È importante, anche dal punto di vista letterario, notare che nel libro dei Giudici si parla molto di più delle tribù settentrionali che di quelle centrali, come quella di Giuda. Gerusalemme, poi, non fa storia. Possono essere dei racconti con una base storica, tramandati e posti poi nel canone ebraico dagli esuli del Regno del Nord; si parla della Galilea, della tribù di Efraim e di Manasse.
Come dicevo, l’inizio di questa storia interessa noi oggi, in particolare, perché ci risulta che l’Europa non è affatto stata conquistata dal cristianesimo. Si vede bene che gli europei non sono cristiani! La Chiesa si è radicata in un modo certamente privilegiato in Europa rispetto all’Oriente, ma non l’ha cristianizzata. Ci si sta rivelando, ai giorni nostri, una situazione che rispecchia la realtà: l’Italia non è stata cristianizzata, non è cristiana. La cultura italiana è certamente stata toccata dal cristianesimo, e noi vediamo più chiese che moschee (che pure sono in aumento), ma la società italiana, lo Stato italiano, non si muove secondo i costumi cristiani.
Il libro dei Giudici ci rivela che la conquista non è stata realizzata al cento per cento, ma nemmeno al trenta per cento. E possiamo dire di noi quello che il libro dice del popolo d’Israele: il Signore ha lasciato molta gente non cristiana accanto a noi per pungolarci e insegnarci ad essere cristiani tenendo presenti coloro che non lo sono, senza farci prendere da patemi d’animo pensando di essere soli. Tra i dialoghi del Cardinale Martini hanno riportato una cosa che lui diceva: “Insomma, nella Chiesa ci sono io, ci sei tu, e poche persone sono buone. Ma queste poche persone buone sono la Chiesa, non quelle che hanno il passaporto cattolico!”. (…)
Oggi mi pare che ciascuno si metta in piedi e cammini per conto suo, con la sua coscienza e la sua intelligenza. Vogliamo leggere il libro dei Giudici tenendo presente questa situazione perché fa parte di questo testo e della nostra realtà. (…)
Una cosa su cui (il Cardinale Martini) insisteva molto (non dottrinalmente, ma vivendo) era l’importanza data alle persone. In un dialogo avuto con lui a Gerusalemme ci siamo trovati a parlare degli omosessuali e delle persone risposate, e lui diceva: “Dottrinalmente è una cosa, ma quando tu ti trovi davanti alle persone e vedi tutta la loro ricchezza umana e la loro sofferenza, come fai a giudicare solo con i princìpi?”. Esistono le persone, non i princìpi! E i princìpi sono per le persone, e non viceversa.
È un po’ il problema del libro dei Giudici. Ricordavo la figura di Iefte che sacrifica la propria figlia; ebbene, quella è una storia di falsa buonafede. Non si può far voto di sacrificare la prima persona che si incontra in cambio della vittoria: «Iefte fece voto al Signore e disse: “Se tu consegni nelle mie mani gli Ammoniti, chiunque uscirà per primo dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io lo offrirò in olocausto”. Quindi Iefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore li consegnò nelle sue mani. Poi Iefte tornò a Mispa, a casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con tamburelli e danze. Era l’unica figlia… Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: “Figlia mia, io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi”». Ed è la ragazza a rincuorarlo: «Ella gli disse: “Padre mio, se hai dato la tua parola al Signore, fa’ di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici”» (Gdc 11,30ss).
La giovane, condannata a morire dal voto del padre, consola il padre perché sente che ha promesso in buonafede e prima di tutto viene il Signore.
Ecco, noi camminiamo su un campo di uova che sono in gran parte cose da noi fatte o credute in falsa buonafede. Non è malafede! Sono cose viste come buone e sante solo perché la nostra coscienza le avverte così. Certamente tutti hanno la coscienza di fare qualcosa di buono e di sensato.
Gruppi di lettura continua della Bibbia in Bergamo
Settimana Biblica 2012 Bergamo 24 – 29 settembre 2012 Il libro dei Giudici
Relatore: p.j. Francesco Rossi de Gasperis
Il testo non è stato rivisto dal relatore