XX Domenica
Tempo ordinario – Anno C
Luca 12, 49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
(Letture: Geremia 38,4-6.8-10; Salmo 39; Ebrei 12,1-4; Luca 12, 49-53).
Il Vangelo che separa
Clarisse Sant’Agata
Siamo davanti ad una Parola tanto radicale che siamo chiamati ad accogliere. La nostra vita è una grande confusione, tiepida, una grande ambiguità e arriva un parametro per la nostra vita; Gesù è venuto a portare un fuoco sulla terra. Il fuoco, se da un parte distrugge, dall’altra crea cose nuove.
C’è un fuoco che viene gettato sulla nostra vita.
C’è un desiderio ardente di Gesù di fare un battesimo, una immersione, una croce da accogliere e che nel buio del mondo sarà una luce, un fuoco. C’è un male, una violenza che su di lui si abbatterà, ma lui in questo brillerà.
Gesù però non è venuto a portare pace, ma una spada di divisione. Essere introdotti nella vita dei figli di Dio rompe con qualche cosa, essere discepoli porta con sé una inquietudine. Nella vita spirituale l’inquietudine non è per nulla assente e proprio l’inquietudine è il segno dell’azione dello Spirito che ci vuole distogliere dal male. A volte è stata proprio l’inquietudine a condurci all’incontro con Cristo. L’inquietudine non è da guardare subito con sospetto perché ci può essere una situazione infelice, ma c’è anche una inquietudine gravida di vita. Gesù è venuto a portarci una inquietudine. La venuta di Gesù, il suo messaggio si scontra con tutto ciò che è nemico di Dio e obbliga gli uomini a pronunciarsi pro o contro. Il Vangelo non può essere soggetto a compromessi, o strumentalizzato ed è la nostra propria pace che deve essere persa per servirlo.
Il cristiano non può andare d’accordo, e non può scegliere come via per sé, con chi si oppone alla custodia della vita, con chi non ha una morale, con chi mette il proprio benessere prima del fratello, con chi non rispetta la dignità dell’uomo, con chi sceglie la discriminazione e la chiusura: non ci può andare bene tutto, pur di stare in pace, una finta pace. Essere cristiano chiede di porsi contro un certo stile di vita, chiede uno schierarsi.
Siamo chiamati a portare su di noi una divisione perché Cristo è un segno di contraddizione, una spada che trafigge l’anima che chiede di fare chiarezza dentro di noi. Siamo chiamati ad entrare nella nostra propria contraddizione e sappiamo che saremo in travaglio che è dolore, ma anche parto, in una libertà sempre più grande con la mentalità del mondo.
Ogni giorno, nelle nostre piccole scelte siamo chiamati a vivere tante piccole divisioni dal male, dalle tenebre senza preoccuparci di andare d’accordo con tutti, di essere piacevoli a tutti, ma di non essere veri, custodendo però sempre la speranza che ogni uomo in Cristo può trovare la salvezza, il senso vero della vita in questo fuoco che si può rifiutare, ma non si può non vedere. Tutto questo in un Vangelo che non divide, ma separa.
Sorelle Povere di Santa Chiara
http://www.clarissesantagata.it
Ritti, controcorrente, discepoli di una Parola che brucia
Ermes Ronchi
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra. Tutti abbiamo conosciuto uomini e donne appassionati del Vangelo, e li abbiamo visti passare fra noi come una fiaccola accesa.
«La verità è ciò che arde» (Christian Bobin), occhi e mani che ardono, che hanno luce e trasmettono calore: «la vita xe fiama» (Biagio Marin).
Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. Lui che ha chiesto di amare i nemici, che ha dato il nome di “divisore”, diavolo, al peggior nemico dell’uomo, che ha pregato fino all’ultima sera per l’unità “ut unum sint”, qui si contraddice. E capisco allora che, sotto la superficie delle parole, devo cercare ancora.
Gesù stesso, tenero come un innamorato e coraggioso come un eroe, è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione. Il suo Vangelo è venuto come una sconvolgente liberazione: per le donne sottomesse e schiacciate dal maschilismo; per i bambini, proprietà dei genitori; per gli schiavi in balia dei padroni; per i lebbrosi, i ciechi, i poveri. Si è messo dalla loro parte, li chiama al suo banchetto, fa di un bambino il modello di tutti e dei poveri i principi del suo regno, sceglie sempre l’umano contro il disumano. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza, ma la risvegliava dalle false paci! Paci apparenti, rotte da un modo più vero di intendere la vita.
La scelta di chi si dona, di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire gli altri, di chi non vuole vendicarsi diventa precisamente divisione, guerra, urto inevitabile con chi pensa a vendicarsi, salire, dominare, con chi pensa che è vita solo quella di colui che vince. Leonardo Sciascia si augurava: «Io mi aspetto che i cristiani qualche volta accarezzino il mondo in contropelo». Ritti, controcorrente, senza accodarsi ai potenti di turno o al pensiero dominante. Che riscoprano e vivano la “beatitudine degli oppositori”, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e al cuore dei figli di Dio.
Gesù nel Vangelo di Tommaso ha questa espressione: «Stare vicino a me è stare vicino al fuoco». Siamo discepoli di un Vangelo che brucia, brucia dentro, ci infiamma qualche volta almeno, oppure abbiamo una fede che rischia di essere solo un tranquillante, una fede sonnifero? Il Vangelo non è un bavaglio, ma un megafono. Ti fa voce di chi non ha voce, sei il giusto che lotta in mezzo alle ingiustizie, mai passivo e arreso, mai senza fuoco.
Quanto vorrei che questo fuoco fosse già acceso. Eppure arde! C’è dentro le cose il seme incandescente di un mondo nuovo. C’è una goccia di fuoco anche in me, una lingua di fuoco sopra ognuno di noi a Pentecoste, c’è lo Spirito santo che accende i suoi roveti all’angolo di ogni strada.
Avvenire 2016
Fuoco, immersione, divisione
Enzo Bianchi
Il brano evangelico di questa domenica, che contiene alcune parole “dure” di Gesù, è stato ed è tra i testi più incompresi, sovente manipolato dai predicatori, strumentalizzato e citato a favore della propria ideologia cristiana. Lo leggiamo cercando di non glossarlo, di non commentarlo troppo, per riconoscergli quell’autorità che è propria soltanto della parola del Signore e quindi spiegarlo con altre parole di Gesù, convinti del principio secondo cui “Scriptura sui ipsius interpres”, “la Scrittura è l’interprete di se stessa”.
Gesù sta salendo a Gerusalemme con i suoi discepoli e le sue discepole, tenendo ben presente che la meta di quel viaggio è la città santa che uccide i profeti e li rigetta (cf. Lc 13,33-34), dunque il luogo del suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Lc 9,31; Gv 13,1) attraverso la morte in croce. Tra i suoi insegnamenti e le sue parole Luca testimonia alcune convinzioni di Gesù espresse a voce alta: confessione e profezia! Innanzitutto Gesù dichiara: “Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già divampato!”. Questa la ragione della sua “venuta” da Dio sulla terra: è venuto a gettare fuoco! È evidente che qui il linguaggio di Gesù è parabolico, che non parla del fuoco divorante che brucia e terrorizza ma di un altro fuoco, di una forza divina che egli è venuto a portare tra gli umani e che desidera si manifesti e agisca. L’esperienza della presenza e dell’azione di Dio è sentita da Gesù come fuoco che brucia, illumina e riscalda, ed egli deve essere ricorso più volte a questo linguaggio simbolico.
Nel vangelo apocrifo di Tommaso questa parola è riportata quasi uguale: “Ho gettato il fuoco sul mondo, ed ecco lo custodisco fino a che divampi” (10). Un altro ágraphon, una parola non scritta nei vangeli canonici ma ricordata da Origene, da Didimo il cieco e dallo stesso vangelo di Tommaso (82), è accostabile a questo detto: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco; chi è lontano da me, è lontano dal Regno”. Da queste diverse testimonianze comprendiamo che Gesù era un uomo divorato da un fuoco, un uomo passionale, che la sua missione era quella di spargere come fuoco la presenza efficace di Dio nel mondo, che lui stesso era fuoco ardente, amore bruciante come “la fiamma di Jah” (Ct 8,6), del Signore. Nel vangelo secondo Luca il fuoco è soprattutto segno, simbolo dello Spirito santo, già annunciato da Giovanni il Battista come forza, presenza divina nella quale il Veniente immergerà chi si converte, cioè “battesimo in Spirito santo e fuoco” (cf. Lc 3,16); è quel fuoco che negli Atti degli apostoli scende come presenza bruciante del Risorto sulla chiesa nascente, radunata in sua attesa (cf. At 2,1-11).
Gesù è un uomo di desiderio grande e profondo, un uomo di passione e qui all’improvviso confessa questa passione che lo abita. Quel fuoco dello Spirito che egli ha portato dal Padre sulla terra, fuoco di amore, dovrebbe incendiare il mondo, ardere nel cuore di ogni essere umano: questo lui desiderava fortemente! Lo desiderava nei suoi giorni terreni e lo desidera ancora oggi, perché quel fuoco da lui portato spesso è coperto dalle ceneri che la chiesa stessa gli mette sopra, impedendogli di ardere. È così, lo sappiamo: basta leggere tutta la storia della fede cristiana per rendersi conto che il fuoco del Vangelo divampa qua e là, di tanto in tanto, in persone e comunità che lo fanno riapparire smuovendo la brace, ma poi presto, troppo presto, è nuovamente coperto dalla cenere. Riscalda sempre un po’, viene tenuto vivo e conservato, ma certo non arde… Gesù invece desiderava che ardesse nei cuori dei credenti come ardeva nel cuore dei due discepoli sul cammino di Emmaus (cf. Lc 24,32), quando prendevano fuoco le Scritture spiegate dal Risorto; come ardeva nella chiesa nata dalla Pentecoste.
Segue poi un altro pensiero di Gesù strettamente collegato al primo: “Io devo ricevere un’immersione, e come sono angustiato finché non sia compiuta!”. Ecco un altro desiderio di Gesù, desiderio sofferente! È un annuncio della sua passione e morte, quando sarà immerso nella prova, nella sofferenza e nella morte di croce. Questo evento lo attende, ed egli deve entrare nell’acqua della sofferenza ed esservi immerso come in un battesimo. Non perché le sofferenze abbiano valore in sé, ma perché, se lui continua a essere fedele, obbediente all’amore, alla volontà del Padre che conosce solo l’amore, allora dovrà pagarne il prezzo: rifiuto, rigetto da parte dei potenti religiosi e politici, da parte del popolo stesso, perché Gesù è un “giusto” – come il centurione proclama sotto la croce dopo la sua morte (cf. Lc 23,47) – e se il giusto rimane tale non solo è di imbarazzo, ma va tolto di mezzo (cf. Sap 2,10-20).
Siamo sempre nello spazio del linguaggio simbolico: il battesimo per Gesù non è un rito, ma è un reale bagno di sangue e di morte. Egli è certamente angosciato di fronte a tale prospettiva, ma è ansia che si compia presto, che sia cosa fatta per sempre. Non che desideri la morte e la sofferenza, nessuna volontà “dolorista” da parte sua, ma volontà che si acceleri il cammino verso il compimento pieno della volontà di Dio, che è anche la sua volontà.
Vi è infine un terzo pensiero di Gesù, che consegue ai primi due, un pensiero che riguarda i discepoli, dunque anche noi oggi. Quale pensiamo sia l’esito della venuta di Gesù, dell’apparire del “segno del Figlio dell’uomo” (Mt 24,30), cioè della croce di Cristo, del Vangelo che si mostra come epifania nella vita delle persone? Pensiamo che tutto andrà meglio? Ecco l’inganno presente nei nostri cuori, pur colmi di desiderio e di passione. Confesso che, grazie all’insegnamento ricevuto, sono sempre stato lucido al riguardo: anche durante il Vaticano II e subito dopo, seppur giovanissimo, osai oppormi agli entusiasmi dei miei amici, peraltro più autorevoli di me, i quali guardavano al concilio come a una nuova fase, una fase più “bella” nella vita della chiesa. Io invece ricordavo loro che nel mondo, più emerge il Vangelo, più divampa il fuoco dello Spirito, peggio si sta! Perché la buona notizia scatena “le potenze dell’aria” (Ef 2,2; cf. 6,12) e quelle della terra che, di fronte all’emergere del Vangelo, fanno una guerra più sfrenata. È così, è così! Più la chiesa si riforma, più nella chiesa non si sta quieti, ma emergono la divisione e la contrapposizione…
Ecco perché Gesù dice: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la divisione!”. Attenzione, non che Gesù desiderasse la divisione tra gli umani e nella sua comunità, non che amasse vedere le contrapposizioni alla pace, ma sapeva bene che questa è la necessitas, “il necessario” nell’ordine di questo mondo. Appare un giusto, ed ecco che tutti si scatenano contro di lui; appare una possibilità di pace, e quelli che sono armati reagiscono; appare Gesù, e subito, fin dalla sua nascita, si scatena il potere omicida. Mentre gli angeli a Betlemme annunciano “pace in terra agli uomini che Dio ama” (Lc 2,14), il potente tiranno di turno, allora Erode, fa una strage di bambini innocenti e ignari (cf. Mt 2,16-18). Sono i falsi profeti a dire e a cantare sempre che “tutto va bene!” (cf. Ger 6,13-14; Ez 13,8; Mi 3,5), mentre invece bisogna essere avveduti. Ripeto, più il Vangelo è vissuto da uomini e donne, più appaiono la divisione e la contraddizione, anche all’interno della stessa famiglia, della stessa comunità. Fino al manifestarsi dell’indicibile: padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre…
Gesù è e resta “Principe di pace” (Is 9,5), e la sua vittoria è assicurata, ma al Regno si accede attraverso molte tribolazioni (cf. At 14,22), prove, divisioni. Così è accaduto per lui, Gesù; così deve accadere per noi suoi discepoli, se gli siamo fedeli e non abbiamo paura del fuoco ardente del Vangelo e dello Spirito di Gesù.
Un’unica sorte accomuna i profeti
Fernando Armellini
Introduzione
Stupisce la facilità e la rapidità con cui lo scetticismo, il discredito o l’irrisione riescano a raffreddare gli entusiasmi, a spegnere gli ideali, a rendere innocui gli insegnamenti più nobili.
Abbiamo conosciuto giovani che, mossi da sincera passione, si erano impegnati per costruire un mondo nuovo e una chiesa più evangelica. Nel breve volgere di alcuni anni hanno ammainato le bandiere e rinunciato ai sogni. Si sono adeguati al perbenismo imperante, a ciò che prima consideravano futile, effimero, banale. Per comodità, per opportunismo? Alcuni forse sì, ma altri hanno rinunciato con profondo rammarico agli slanci e ai progetti giovanili perché… si sono lasciati prendere prima dallo scoraggiamento, poi dalla rassegnazione. Non avevano messo in conto l’opposizione, le resistenze, i conflitti, le difficoltà e non hanno resistito.
Chi si impegna nella comunità si aspetta l’approvazione, la lode, il sostegno per le iniziative che porta avanti, per il tempo e le energie che dedica. È un’illusione! Presto avrà a che fare con le critiche malevole, le invidie, le gelosie. E fin qui siamo ancora nell’ambito delle incomprensioni e dei normali dissapori. Il contrasto diviene più serio quando in gioco ci sono scelte ecclesiali decisive, l’adesione alle nuove prospettive aperte dal Concilio, le proposte evangeliche incompatibili con la logica di questo mondo. Allora l’ostilità si manifesta in modo aperto e assume tutte le sfumature che vanno dall’insulto, alla calunnia, all’emarginazione, al linciaggio morale.
Chi si sente osteggiato in questo modo è tentato di scoraggiarsi e di rimettere in discussione le scelte che ha fatto. La tentazione di adeguarsi alla mentalità dominante, ai principi e ai valori comunemente accettati diviene quasi irresistibile.
Gesù ha messo in guardia i suoi discepoli da questo pericolo: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo” (Gv 15,18). Ha tranquillizzato i loro animi perplessi e vacillanti ricordando che un destino drammatico accomuna, da sempre, tutti i giusti: “Allo stesso modo, infatti, facevano i loro padri con i profeti… Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo, infatti, facevano i loro padri con i falsi profeti” (Lc 6,23.26).
Vangelo (Lc 12,49-57)
Cos’è il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra (v.49)? Cos’è il battesimo che egli deve ricevere (v.50)? Come mai afferma di non essere venuto a portare la pace, ma la divisione (v.51)? Cosa sono i segni del tempo che gli ipocriti non riescono a riconoscere (v.56)? Che c’entra in tutto questo discorso la parabola sulla necessità di evitare il giudizio davanti al magistrato (vv.58-59)? Il Vangelo di oggi accosta una serie di detti del Signore piuttosto enigmatici. Vediamo di coglierne il significato.
Cominciamo dalle immagini del fuoco e del battesimo (vv.49-50).
Al termine del diluvio appare nel cielo l’arcobaleno, simbolo della pace ristabilita fra il cielo e la terra e Dio giura: “Non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più diluvio devasterà la terra” (Gen 9,11). Da questa promessa nasce e si diffonde in Israele la convinzione che, per purificare il mondo dall’iniquità, Dio non si sarebbe più servito dell’acqua, ma del fuoco: “Con il fuoco il Signore farà giustizia su tutta la terra” (Is 66,16). Anche il Battista annunciava la venuta del messia con parole minacciose: “Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Brucerà la pula con un fuoco inestinguibile” (Mt 3,11-12). Di fuoco parla anche Gesù e, dopo di lui, un po’ tutti gli autori del NT.
Di che si tratta? Viene spontaneo pensare al giudizio finale e al supplizio eterno che attende i malvagi. Andiamoci piano! Forse così lo immaginavano il Battista e i discepoli Giacomo e Giovanni che volevano invocare il fuoco del cielo contro i Samaritani (Lc 9,54), ma non certo Gesù.
Il fuoco di Dio non ha lo scopo di annientare o torturare chi ha commesso degli errori, ma è lo strumento con cui egli vuole distruggere il male e purificare dal peccato.
È meglio lasciare il fuoco che castiga ai fondamentalisti e ai predicatori fanatici delle sette apocalittiche! Quello annunciato dai profeti e acceso da Gesù salva, monda, risana: è il fuoco della sua parola, è il suo messaggio di salvezza, è il suo Spirito, quello Spirito che, nel giorno di Pentecoste, è sceso come fiamma sui discepoli (At 2,3-11) e ha cominciato a diffondersi nel mondo come un incendio benefico e rinnovatore.
Ora siamo in grado di dare un senso all’esclamazione di Gesù: Come vorrei che fosse già acceso! (v.49). È l’espressione del suo ardente desiderio di vedere al più presto distrutta la zizzania che è nel mondo. Malachia ha annunciato: “Sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà” (Mal 3,19). Gesù attende con ansia la realizzazione di questa profezia e già vede spuntare il mondo nuovo nel quale non ci sarà più spazio per i malvagi. Questi spariranno, annientati dalla fiamma irresistibile del suo amore.
La seconda immagine, quella del battesimo, è legata alla precedente. Gesù afferma che, per scatenare questo incendio, egli deve prima essere battezzato. Battezzare significa sommergere e Gesù si riferisce alla sua immersione nelle acque della morte (Cf. Mc 10,38-39). Quest’acqua è stata preparata dai suoi nemici con l’obiettivo di spegnere per sempre il fuoco della sua parola, del suo amore, del suo Spirito; invece ottiene l’effetto opposto: comunica a questo fuoco una forza incontenibile. Gesù “guarda con angoscia” alla passione che lo attende. La prospettiva che ha di fronte è drammatica: verrà travolto dai flutti dell’umiliazione, della sofferenza e della morte, ma sa che, uscendo da queste acque oscure, nel giorno di Pasqua, darà inizio al mondo nuovo.
Se è questo il destino del Maestro, quale sarà quello dei discepoli, tedofori del suo fuoco? Provocheranno anch’essi – assicura Gesù – dissensi, divisioni, ostilità e dovranno mettere in conto dolorose lacerazioni all’interno delle loro stesse famiglie (vv.51-53).
“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione”. Un’affermazione sorprendente che lascia sconcertati perché nei libri dei profeti è scritto che il Messia sarà “il principe della pace”; durante il suo regno “la pace non avrà fine” (Is 9,5-6); “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme” (Is 11,6-9); “l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra” (Zac 9,10). A Betlemme gli angeli cantano: “Pace sulla terra!” (Lc 2,14) e Paolo scrive: “Egli è la nostra pace!” (Ef 2,14).
L’annuncio del Vangelo porterà nel mondo, fra i popoli, nelle famiglie armonia o discordie?
È vero, i profeti hanno promesso la pace per i tempi messianici, ma hanno anche annunciato conflitti e separazioni. Quando Gesù parla di incomprensioni fra le generazioni (giovani-anziani) e fra coloro che vivono nella stessa casa, non fa che citare un testo del profeta Michea (Mic 7,6) il quale aveva intuito che la nascita del mondo nuovo non sarebbe avvenuta in modo pacifico e indolore e che ci sarebbero state dolorose lacerazioni.
Luca verifica nelle sue comunità che queste rotture sono avvenute. Alla luce delle parole del Maestro capisce che erano inevitabili e il contesto in cui queste parole sono collocate ci aiuta a capire il perché.
Il messaggio di Gesù è un fuoco e – com’è logico – chi ha dei beni da proteggere, dei palazzi da custodire non vede di buon occhio gli incendiari. Il Vangelo è una fiaccola accesa che vuole ridurre a un immenso rogo tutte le strutture ingiuste, le situazioni disumane, le discriminazioni, la bramosia del denaro, la frenesia del potere.
Chi si sente minacciato da questo “fuoco” non rimane passivo. Si oppone con ogni mezzo. Reagisce con violenza perché vuole perpetuare il mondo del peccato. È a questo punto che scoppiano prima le incomprensioni, poi le divisioni e i conflitti, infine le persecuzioni e le violenze.
Non sempre l’unione è buona e va approvata. Si deve cercare l’unione, ma a partire dalla parola di Dio, a partire dalla verità. La pace fondata sulla menzogna e sull’ingiustizia, non può essere favorita. È doveroso a volte provocare, con molto amore e senza offendere nessuno, salutari divisioni.
Non si deve confondere l’odio, la violenza, le parole offensive e arroganti – che sono incompatibili con la scelta cristiana – con il confronto leale, con i dissensi che nascono da proposte nuove, evangeliche. Questi sono necessari, anche se dolorosi, soprattutto quando coinvolgono i membri della stessa famiglia.
Per gentile concessione di
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Immagine: Bill Viola, The Crossing (Il passaggio), 1996, video su due schermi opposti con 4 canali audio, durata 10 min. e 57 sec., 4,9 x 8,4 x 17,4 m, Solomon R. Guggenheim Museum, New York.