XVIII settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz


Giovanni-Bellini-Trasfigurazione

Lunedì 4 Agosto (Memoria – Bianco)
San Giovanni Maria Vianney
Nm 11,4-15   Sal 80   Mt 14,13-21: Alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.

Martedì 5 Agosto (Feria – Verde)
Martedì della XVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno C dispari)
Nm 12,1-13   Sal 50   Mt 14,22-36: Comandami di venire verso di te sulle acque.

Mercoledì 6 Agosto (FESTA – Bianco)
TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE (ANNO C)
Dn 7,9-10.13-14   Sal 96   2Pt 1,16-19   Lc 9,28-36: Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto.

Giovedì 7 Agosto (Feria – Verde)
Giovedì della XVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Nm 20,1-13   Sal 94   Mt 16,13-23: Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli.

Venerdì 8 Agosto (Memoria – Bianco)
San Domenico
Dt 4,32-40   Sal 76   Mt 16,24-28: Che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?

Sabato 9 Agosto (FESTA – Rosso)
SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE
Os 2,16.17.21-22   Sal 44   Mt 25,1-13: Ecco lo sposo! Andategli incontro!

Domenica 10 Agosto (DOMENICA – Verde)
XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Sap 18,6-9   Sal 32   Eb 11,1-2.8-19   Lc 12,32-48: Anche voi tenetevi pronti.

Giovanni (Lione, Francia, 1786 – Ars 4 agosto 1859), «curato» di Ars per un quarantennio, attirò moltitudini di persone di ogni estrazione sociale con le sue catechesi e con il ministero della riconciliazione. Uomo di austera penitenza, unì alla profonda vita interiore, incentrata nell’Eucaristia, un generoso impulso caritativo. E’ modello della cura d’anime nella dimensione parrocchiale attraverso l’esempio della sua bontà e carità anche se lui fu sempre tormentato dal pensiero di non essere degno del suo compito. Trascorreva le giornate dedicandosi a celebrare la Messa e a confessare, senza risparmiarsi. Morì nel 1859. Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925. Verrà poi indicato patrono del clero parrocchiale.

Tira una bruttissima aria per i profeti. Gesù non è sciocco, né imprudente, non sfida la sorte, né vuole sparigliare le carte. Ha saputo della morte di Giovanni Battista e decide, prudentemente, di ritirarsi in disparte per vedere come si mettono le cose. La sua fama, però, lo ha preceduto e ad aspettarlo c’è una folla immensa affamata di Parola di Dio e di pane. Da quella temporanea fuga nasce il più importante dei miracoli di Gesù, raccontato per ben sei volte dagli evangelisti. Da una cosa negativa, drammatica, e da una scelta saggia scaturisce una straordinaria manifestazione dell’amore di Dio per noi. Anche a me succede di non capire gli eventi che, inattesi, sparigliano la mia vita. E di prendermela con le cose che non funzionano, facendo un po’ la vittima, incolpando anche un po’ Dio il quale, come tutti sanno, dovrebbe pur dedicare qualche minuto del suo tempo anche ai miei serissimi problemi! Se capissi, invece, che quando affronto con prudenza e intelligenza le situazioni, che mai derivano da Dio ma dal susseguirsi degli eventi, spalanco il mio cuore a nuovi ed inattesi miracoli!

Non è andata granché bene la condivisione dei pani e dei pesci. Non per la folla, anche se in Giovanni capiremo che quel miracolo segna l’inizio della fine di Gesù, ma per la reazione dei suoi apostoli. Li abbiamo sentiti: davanti alla folla affamata propongono a Gesù, come soluzione, il fatto di rimandarli a casa, di cacciarli! Gesù è visibilmente irritato: dopo avere sfamato la folla obbliga letteralmente i discepoli ad attraversare il lago, a raggiungere l’altra riva, quella pagana. Quando sono in mezzo al lago, in piena tempesta, Gesù, dall’alto, li osserva senza intervenire. Cosa avrà pensato Gesù, in quelle lunghe ore? Si sarà pentito della sua scelta? Sul fare del mattino li raggiunge e Pietro chiede di camminare sulle acque, particolare che Marco (discepolo di Pietro!) trascura… Non hanno imparato la compassione, i suoi, e Pietro, invece di brillare in tenerezza e compassione, vuole stupire gli altri… Insomma: tutti devono ancora imparare tanto, come noi, quando pensiamo di essere diventati capaci di fare i cristiani… La conclusione del brano ci offre una via d’uscita: diventare mendicanti, cercare di toccare almeno la frangia del mantello del Signore…

Nel cuore dell’estate saliamo sul Tabor, ammiriamo la bellezza di Dio. Perché solo la bellezza salverà il mondo. Un sei agosto Hiroshima venne rasa al suolo. Un sei agosto san Paolo VI incontrò il suo Cristo per sempre.
Siete già saliti sul Tabor nella vostra esperienza di fede? Dio ci dona – a volte – di assistere alla sua gloria. Raptim, diceva il grande Agostino. Fugacemente. Un momento di preghiera che ci ha coinvolto, una messa in cui siamo stati toccati dentro, una giornata in quota in mezzo alla neve con la bellezza della natura che diventa sinfonia e ci mozza il fiato. Attimo, barlumi, in cui sentiamo l’immenso che ci abita. E il sentimento diventa ambiguo: talmente grande da averne paura, talmente infinito da sentircene schiacciati, talmente immenso da restarne travolti. Dovremo forse ricuperare questo aspetto nella nostra vita cristiana, ripartire dalla bellezza. Le nostre periferie sono orrende, orrende le città, orribili le finte-vacanze che ci vengono proposte in mezzo a finti paesaggi immacolati. Orribile il linguaggio e le persone che ci raggiungono dal mondo della politica e dello spettacolo. Orribile la vita caotica e tesa che siamo costretti a vivere. Orribile il dolore che nasce quando l’amore esplode, quando il dolore che ci creiamo e alimentiamo, ci travolge. Abbiamo urgente bisogno di bellezza, della bellezza di Dio che è verità e bene e bontà.

Spera in una guarigione, la donna cananea. Gli hanno detto che Gesù è un grande guaritore, qualcuno che opera miracoli straordinari. Non sa nemmeno cos’è la fede, non conosce la promessa di Israele, non si occupa di queste cose. Sa solo che Gesù potrebbe guarire la figlia e grida, sbraita, fa la sceneggiata sperando di intenerire questo straniero. Gli apostoli sono in imbarazzo tanta è la passione con cui lei cerca di attirare l’attenzione. Gesù, invece, non la degna di uno sguardo e, alla sua insistenza, dà una risposta tagliente: non va bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani. Che durezza! Eppure questa durezza smuove la donna: ha ragione, il Maestro, passiamo il tempo lontani da Dio ma quando ci serve aiuto per un dolore improvviso, per una malattia, subito ci scopriamo devoti e sgraniamo giaculatorie. Siamo dei cani quando trattiamo Dio come un potente da corrompere e non meritiamo attenzione. Dio si deve occupare dei suoi figli, di coloro, cioè che lo ascoltano e lo servono con verità… Ma la donna non se ne va offesa e lo schiaffo in pieno volto la apre al confronto: sì, ha ragione il Maestro. Basta questo atteggiamento per far cambiare idea a Gesù…

«Chi sono io, per te?». Simone il pescatore osa, si schiera.  Per Simone, dire che Gesù è il Cristo è un salto mortale. E Gesù gli restituisce il favore. Simone dice a Gesù: “Tu sei il Cristo”, che significa: “Tu sei il Messia che aspettavamo”, una professione di fede bella e buona e, decisamente, ardita.  Pietro, riconoscendo nel falegname l’inviato di Dio, fa un salto di qualità determinante nella sua storia, un riconoscimento che gli cambierà la vita. Gesù gli risponde: “Tu sei Pietro”. Simone non sa di essere Pietro. Sa di essere cocciuto e irruente. Ma, riconoscendo in Gesù il Cristo, scopre il suo nuovo volto, una dimensione a lui sconosciuta, che lo porterà a garantire la saldezza della fede dei suoi fratelli. Pietro rivela che Gesù è il Cristo, Gesù rivela a Simone che egli è Pietro.  Scambio di cortesie. Quando ci avviciniamo al mistero di Dio, scopriamo il nostro volto; quando ci accostiamo alla Verità di Dio riceviamo in contraccambio la verità su noi stessi. Confessare l’identità di Cristo ci restituisce la nostra profonda identità. Il Dio di Gesù non è un concorrente alla mia umanità.

Domenico di Guzman (Caleruega, Spagna 1170 – Bologna , 6 agosto 1221) è, con Francesco d’Assisi, uno dei patriarchi della santità cristiana suscitati dallo Spirito in un tempo di grandi mutamenti storici. All’insorgere dell’eresia albigese si dedicò con grande zelo alla predicazione evangelica e alla difesa della fede nel sud della Francia. Per continuare ed espandere questo servizio apostolico in tutta la Chiesa, fondò a Tolosa (1215) l’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani). Ebbe una profonda conoscenza sapienziale del mistero di Dio e promosse, insieme all’approfondimento degli studi teologici, la preghiera popolare del rosario.
Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle grandi penitenze, il 6 agosto 1221 muore circondato dai suoi frati, nel suo amatissimo convento di Bologna, in una cella non sua, perché lui, il Fondatore, non l’aveva. Gregorio IX, a lui legato da una profonda amicizia, lo canonizzerà il 3 luglio 1234.

Venerdì della XVIII settimana del Tempo Ordinario
Mt 16,24-28: Che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?

Cosa è essenziale nella nostra vita? Su cosa stiamo investendo? Cosa rappresenta per noi un bene assoluto? Gesù pone con forza queste domande con parabole ed allegorie, con una sottigliezza psicologica che ci affascina e ci stupisce. Ma la sostanza resta la stessa: e se dopo tanta fatica ci trovassimo a scoprire di avere perso la nostra vita dietro mille inutili cose? In mille inutili preoccupazioni? Prendere la croce, per Gesù, non ha nulla a che vedere con l’atteggiamento autolesionista con cui, troppe volte leggiamo queste parole. Dio non ci manda nessuna croce (perché dovrebbe?) ma, al contrario, ci insegna ad accogliere le difficoltà che la vita ci pone davanti (non Dio!) con spirito positivo e costruttivo. A non caricarci le spalle con croci che noi stessi ci siamo procurati ma, al contrario, a vivere con amore anche le situazioni di difficoltà. Abbandoniamo le croci inutili e teniamo solo quelle necessarie, se riescono a tirare fuori da noi stessi il bene e l’amore che Dio ha messo nei nostri cuori. E seguiamo con gioia il Cristo che perde la sua vita donandocela.

Nella festa di santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, la liturgia propone come prima lettura una selezione di versetti tratti dal profeta Osea. In essi si ascolta una voce che evoca la presenza della persona amata con tale intensità da renderla presente. All’inizio, infatti, si sente una voce in prima persona che parla dell’altra in terza persona, annunciando: «La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» e «Là mi risponderà». In seguito, il dialogo si realizza tra un «io» e un «tu» reciprocamente presenti: «Ti farò mia sposa […] e tu conoscerai il Signore».
Le parole dell’oracolo divino rivolte a Israele infedele, diventano, così, nel contesto liturgico parole che evocano la vocazione alla consacrazione verginale: è Dio colui che per primo cerca e invita a entrare in relazione sponsale con lui. Anche la parabola delle dieci vergini, lungi dall’essere un invito all’individualismo e all’indifferenza nei confronti dei bisogni altrui, riguarda la relazione con lo sposo ed esorta a restare focalizzati sull’incontro con lui.
La vita di Edith Stein e il suo originale cammino di santità vengono messi in risalto da queste letture. Ebrea di nascita, filosofa della scuola fenomenologica, diventata agnostica e poi cattolica, monaca carmelitana, mistica e martire, Edith ha vissuto un’intensa ricerca, fino a scoprire di essere prima di tutto cercata e non anteponendo nulla all’incontro con Dio.

Francesco, Benedetto, Cirillo e Metodio ed ora Edith Stein. La Chiesa affida l’Europa ai propri patroni, li invoca come modelli e come intercessori per aiutarci ad uscire dall’impasse in cui ci siamo infilati. Cosa ci serve una moneta unica con un cuore diviso? Francesco ci richiama alla povertà e alla gioia, Benedetto all’interiorità come metro di giudizio delle cose, i fratelli dell’est Cirillo e Metodio alla cultura come forma di evangelizzazione. Edith Stein, figlia dell’orribile ventesimo secoli, ebrea di nascita, filosofa di formazione (docente universitaria!), vittima della furia nazista che la venne a cercare, una volta convertita e fattasi monaca, ricercata fin dentro il monastero per essere uccisa, insieme ad altri milioni di esseri umani, nella camere a gas, propone ai popoli rissosi un percorso di riconciliazione e di pace. La Chiesa vuole dire a tutti gli europei che nelle tenebre che furono le guerre mondiali ci furono uomini e donne che riuscirono ad essere testimoni di luce. E fra essi moltissimi cristiani, molti discepoli che ancora oggi brillano come modello.

Nella festa liturgica di san Lorenzo martire, le letture aiutano a meditare sul dono della vita e su quali siano le condizioni di possibilità. Le parole del profeta Isaia, che esprimono un oracolo di salvezza, forniscono l’orizzonte: l’appartenenza al Signore, che per primo si è impegnato e promette di intervenire nuovamente per colui che è «prezioso ai suoi occhi» e che «ama», si traduce in un continuo invito a non temere: quale che sia il cammino che si troverà davanti, passerà indenne da ogni pericolo. Queste parole, dette a Israele che è legato a Dio attraverso la relazione di alleanza, ben esprimono anche l’orizzonte dell’amore di Dio nel quale i martiri come Lorenzo hanno compiuto le loro scelte. Sentirsi dire: «Tu sei prezioso ai miei occhi e io ti amo» permette di sbilanciarsi fino al dono della vita per colui che così si esprime, anche se non sottrae dal turbamento.
Anche per Gesù, di cui il brano evangelico narra una preghiera che ricorda quella del Getsèmani narrata dai Sinottici, l’orizzonte dell’amore del Padre è fondamentale, tuttavia, non gli è risparmiata l’esperienza del turbamento e dell’angoscia di fronte al proprio morire. Si tratta di una reazione umanissima: Gesù l’ha abbracciata con la propria incarnazione e l’affronta fino in fondo. Ricollocandosi nell’orizzonte dell’amore del Padre con la preghiera e mettendo se stesso e la sua vita in mani più grandi delle sue, riceve un immediato conforto; anche noi siamo invitati a far nostro il medesimo atteggiamento
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Oggi la Chiesa celebra la santità di Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, luminoso esempio di martirio e di amore per i poveri. Sappiamo poco di Lorenzo. Ma quel poco basta. Vive in un momento di grande persecuzione della Chiesa, sotto l’imperatore Valeriano, che vieta le assemblee di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, anche se non obbliga a rinnegare la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la morte di vescovi e preti: fra i tanti muore papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. È la volta di Lorenzo che, come diacono, amministra i beni della comunità di Roma. Il prefetto imperiale lo arresta intimandogli di consegnare i tesori della Chiesa. Già allora si vagheggia di ricchezze tenute nascoste scaltramente. Lorenzo chiede del tempo, si affretta a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra una gran numero di malati, storpi, poveri che lo accompagnano, dicendo: ecco, i tesori della Chiesa. Sarà ucciso, ovviamente, forse ustionato sulla graticola. Ma lo ricordiamo per quel gesto, quella provocazione che ancora oggi ci interroga. Non gli ori, le opere d’arte, le meravigliose basiliche sono i tesori della Chiesa. Ma i poveri che serviamo, servendo in loro Cristo.