Sant’Ignazio di Loyola

Inigo de Recalde de Lodola nacque nelle terre della sua famiglia a Lodola, nella provincia basca di Guipúzcoa (Spagna) nel 1491 e dopo essere stato per qualche tempo paggio di corte entrò nell’esercito e fu dolorosamente ferito durante l’assedio di Pamplona del 1521. Dopo la guarigione decise di dedicarsi al servizio della Chiesa; per prepararsi andò in ritiro a Monserrat ed a Manresa, dove scrisse il libro degli “Esercizi Spirituali”, un classico che ha fatto epoca. A Parigi trovò nove compagni insieme ai quali emise i primi voti nella chiesa di Montmartre. L’obbiettivo di Ignazio era semplicemente questo: lavorare per la maggior gloria di Dio sotto l’obbedienza del Papa. Nel 1537 battezzò il suo piccolo gruppo compagnia di Gesù e nell’aprile del 1541 tutti emisero i voti definitivi a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le mura. Ignazio fu eletto primo generale e governò la Compagnia fino alla morte del 1556; a quell’epoca il gruppo originale si era già trasformato in un vero e proprio esercito sparpagliato per tutto il mondo, dal Giappone in Estremo Oriente alle più lontane Indie Occidentali. Ignazio fu canonizzato nel 1622.
Dagli “Atti” raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant’Ignazio
Provate gli spiriti se sono da Dio
Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d’altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati “Vita di Cristo” e “Florilegio di santi”, ambedue nella lingua materna. Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l’azione di Dio misericordioso.
Infatti. mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: “E se facessi anch’io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l’esempio di san Domenico?”. Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d’animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo.
Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia. Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costato che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti. (Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647).
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Una vita cavalleresca
Íñigo López de Loyola nacque nel 1491 ad Azpeitia, nei Paesi Baschi. Essendo un figlio cadetto, era destinato alla vita sacerdotale, ma la sua aspirazione era quella di diventare cavaliere. Suo padre lo inviò perciò in Castiglia, alla corte di don Juan Velazquez de Cuellar, ministro del re Ferdinando il Cattolico. La vita di corte formò il carattere e le maniere del giovane, che prese a leggere i poemi e a corteggiare le dame. Alla morte di don Juan, Íñigo si trasferì alla corte di don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, e al suo seguito partecipò alla difesa del castello di Pamplona, assediato dai francesi. Qui, il 20 maggio del 1521, fu ferito da una palla di cannone che lo rese zoppo per tutta la vita. La lunga convalescenza fu per lui l’occasione di leggere la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine e la Vita di Cristo di Lodolfo Cartusiano, testi che influirono enormemente sulla sua personalità votata agli ideali cavallereschi, convincendolo che l’unico Signore che valeva la pena di seguire era Gesù Cristo.
Un pellegrinaggio provvidenziale
Deciso a recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, Íñigo fece tappa al santuario di Montserrat, dove fece voto di castità e scambiò le sue ricche vesti con quelle di un mendicante. Barcellona, da dove avrebbe dovuto imbarcarsi per l’Italia, era in preda ad una epidemia di peste, e Íñigo dovette fermarsi a Manresa. Questa tappa obbligata lo costrinse ad un lungo periodo di meditazione e di isolamento, durante il quale scrisse una serie di consigli e riflessioni che, rielaborati in seguito, formarono la base degli Esercizi Spirituali. Giunse finalmente in Terra Santa e avrebbe voluto stabilirvisi, ma il superiore dei Francescani glielo impedì, giudicando troppo povere le sue conoscenze teologiche. Inigo tornò quindi in Europa e intraprese gli studi di grammatica, filosofia e teologia, prima a Salamanca e poi a Parigi. Fu proprio nella capitale francese che cambiò il suo nome in Ignazio, in omaggio al Santo di Antiochia di cui ammirava l’amore per Cristo e l’obbedienza alla Chiesa, che sarebbero poi divenuti caratteri fondanti della Compagnia di Gesù. A Parigi Ignazio conobbe quelli che sarebbero divenuti i suoi primi compagni, fece con loro voto di povertà e progettò di recarsi nuovamente in Terra Santa, ma questo progetto sfumò a causa della guerra tra Venezia e i Turchi. Ignazio e i suoi compagni si presentarono perciò al Papa per obbedire ai suoi ordini. Il Papa disse loro: “Perché andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa, l’Italia è una buona Gerusalemme”.
La Compagnia di Gesù
Papa Paolo III nel 1538 diede l’approvazione canonica alla Compagnia di Gesù che fu da subito animata da zelo missionario: i Preti Pellegrini, o Riformati (solo in seguito assunsero il nome di Gesuiti) vennero inviati in tutta Europa, e poi in Asia e nel resto del mondo, portando ovunque il loro carisma di povertà, carità e obbedienza assoluta alla volontà del Papa. Uno dei principali problemi che Ignazio si trovò ad affrontare fu la preparazione culturale e teologica dei giovani: per questa ragione formò un corpo di docenti e fondò diversi collegi che negli anni acquistarono una fama internazionale grazie all’altissimo livello scientifico e ad un programma di studi che venne preso a modello anche da Istituti scolastici non religiosi.
Roma
Per obbedienza al Papa, Ignazio rimase a Roma a coordinare le attività della Compagnia e ad occuparsi dei poveri, degli orfani e degli ammalati, tanto da meritare l’appellativo di “apostolo di Roma”. Non dormiva che quattro ore a notte, e continuò il suo lavoro e il suo impegno, nonostante le sofferenze procurategli da una cirrosi epatica e da una calcolosi biliare, fino allo stremo delle forze. Morì nella sua povera cella il 31 luglio del 1556, e le sue spoglie sono conservate nell’altare del braccio sinistro del transetto della Chiesa del Gesù di Roma, uno dei monumenti più belli del Barocco romano.
Il discernimento che libera:
la lezione di Sant’Ignazio di Loyol
Mt 13,47-53
La pagina del Vangelo di Matteo ben descrive la spiritualità, il ministero, la missione, la descrizione più efficace di un grande santo come quello di cui oggi si festeggia la memoria: Sant’Ignazio di Loyola.
Questo soldato divenuto discepolo è stato un raffinatissimo uomo di Spirito che ha insegnato alla Chiesa il dono potentissimo del discernimento, cioè della capacità di saper distinguere le cose, di saper vedere la differenza tra il bene e il male, tra ciò che viene da Dio e ciò che viene dal maligno. In barba a tutti i tentativi psicologici che nei secoli successivi avrebbero tentato in tutti modi di catalogare il cuore dell’uomo, Ignazio mostra come la luce dello Spirito sa illuminare e liberare l’uomo dal suo di dentro.
Il frutto più grande di una simile azione è la libertà, quella vera, quella interiore, quella cioè che non dipende dalle circostanze intorno a noi. Chi è libero così è totalmente indifferente a quello che accade fuori di lui. È questo non perché è immune dal male, dagli sconvolgimenti, dagli imprevisti, da tutti gli accadimenti della vita, ma solo perché ognuna di queste cose non ha più il potere di togliergli la pace. Chi vive così ha trovato Dio nel centro stesso del proprio cuore e tanto basta a non avere più paura. Solo chi ha fatto questa esperienza può diventare un aiuto formidabile per gli altri.
Tutti dobbiamo diventare degli scribi convertiti: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». In pratica, chi si converte in questo modo è capace di saper tirar fuori le cose che contano al momento giusto prendendo la decisione giusta.
Luigi Maria Epicoco
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