Sia fatta la tua volontà

Padre Nostro
A cura di Don Bruno Maggioni
Estratto da “Padre Nostro” Editrice Vita e Pensiero 1998
Non si tratta semplicemente
di compiere delle azioni buone,
ma di un modo di esistere
che coinvolge la persona nella sua totalità.
La terza invocazione del Padre Nostro ripete sostanzialmente le prime due, sottolineandone però maggiormente l’aspetto morale: «Sia fatta la tua volontà». Diciamo subito che per volontà di Dio non si deve intendere soltanto i comandamenti, la legge, ma il disegno di salvezza.
Ma che cosa significa fare la volontà di Dio? E quale è il preciso contenuto della volontà di Dio? Per rispondere – o, meglio, per avvicinarci a una risposta – possono bastarci tre passi evangelici; due di Matteo e uno di Giovanni.
Nel discorso della montagna si leggono queste parole di Gesù: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21-23). Dunque c’è chi parla continuamente di Dio («Signore,. Signore»), ma poi dimentica di fare la sua volontà. C’è chi si illude di lavorare per il Signore («abbiamo profetato nel tuo nome, cacciato i demoni e compiuto miracoli nel tuo nome»), ma poi scoprirà, nel giorno del rendiconto, di essergli sconosciuto («Non vi ho mai conosciuto: allontanatevi da me»). Con queste forti parole – e con la parabola delle due case che le illustra – Matteo probabilmente polemizza con certi entusiasti presuntuosi che avevano sempre sulle labbra il nome di Gesù, e che poi non concludevano nulla.
C’è il rischio di una preghiera («Signore, Signore») che non si traduce in impegno («la volontà di Dio»), o di un accolto che non diventa pratica.
Certo, Matteo non condanna la preghiera né l’ascolto. E’ anzi convinto che sono la radice della prassi cristiana. E tuttavia l’essenziale non è l’ascoltare e il dire, ma il fare. La differenza fra l’uomo saggio che costruisce la casa sulla roccia e l’uomo stolto che la costruisce sulla sabbia sta appunto nel “fare”. Con una precisazione: non un qualsiasi fare – neppure cacciare i demoni e operare i miracoli! -, ma fare la carità, come è appunto detto nel discorso della montagna e come è ribadito nel grande affresco del giudizio (Mt 25,31-46).
«Le mie vie non sono le vostre», ripete spesso la Bibbia. Fra il progetto di Dio e il progetto dell’uomo non raramente si insinua una tensione. Fare la volontà di Dio può richiedere – a volte – un totale cambiamento dei nostri desideri. Un esempio è la preghiera di Gesù nel Getsemani, che riporto nella versione di Matteo: «E, scostatosi un poco, cadde con la faccia a terra e pregava dicendo: Padre mio, se è possibile passi da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi Tu» (26,39). Gesù è nell’angoscia e la sua preghiera la esprime. Non si tratta dell’angoscia del dubbio, ma quella dell’obbedienza dolorosa. La lacerazione non è fra obbedienza e disobbedienza. Gesù è costantemente in un atteggiamento di fondamentale obbedienza. Non lo sfiora il pensiero che l’uomo possa fare la propria volontà anziché quella di Dio. Nell’imminenza della passione, però, chiede che la volontà di Dio sia, se possibile, diversa. Si osservi, poi, come l’angoscia non metta in crisi la fede di Gesù. Anche in questa circostanza Egli non cessa di rivolgersi a Dio con l’appellativo “Padre”, che è stata la scoperta e la rivelazione più grande che egli ha fatto ai suoi discepoli.
Nel Vangelo di Giovanni il tema dell’obbedienza è ancora più fortemente sottolineato. L’evangelista presenta Gesù come l’obbediente, la trasparenza della volontà del Padre. Suo cibo è fare la volontà del Padre. Un’immagine, questa, che dice la totalità dell’obbedienza. Fare la volontà del Padre, e non la propria, è la tensione di tutta la vita di Gesù, il punto verso cui tutte le sue azioni e le sue parole si protendono, senza distrazioni. Gesù sembra annullare radicalmente la propria volontà in una totale obbedienza, ma è proprio in questa obbedienza che egli ritrova la sua libertà e la sua consistenza di Figlio. Gesù è la “trasparenza” del Padre. Per questo è portatore di una rivelazione decisiva, nell’ascolto o nel rifiuto della quale l’uomo gioca il proprio destino.
La conclusione è che la terza domanda del Padre Nostro fa riferimento a Gesù. Se la si vuole comprendere si deve guardare a Lui. E se ne deduce che fare la volontà di Dio non è semplicemente compiere delle azioni buone, ma è un modo di esistere. Coinvolge la persona nella sua totalità.
Come in cielo così in terra
Lo sguardo largo di questa preghiera
sottolinea la signoria universale di Gesù
e di conseguenza
l’universalità della missione dei discepoli.
L’espressione che conclude la prima parte del Padre Nostro («come in cielo così in terra») non si riferisce soltanto alla terza domanda («sia fatta la tua volontà»), ma anche alle prime due. Può significare semplicemente «dappertutto», e in questo caso viene sottolineata l’universalità delle prime tre domande: si prega perché Dio sia dovunque santificato, il suo Regno venga esteso a tutto il mondo e la sua volontà sia fatta in ogni angolo della terra. Una preghiera, dunque, di grande respiro. Soprattutto una preghiera missionaria. Lo sguardo largo segnala sempre, infatti, una passione missionaria. Gesù stesso – come si legge nella conclusione del Vangelo di Matteo – è ricorso all’espressione «in cielo e in terra» per indicare la sua signoria universale e, di conseguenza, l’universalità della missione dei discepoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra: andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni» (28,18-19).
«Come in cielo così in terra» può però avere anche un senso più pregnante: come in cielo il nome di Dio è santificato, il suo Regno perfettamente compiuto e la sua volontà obbedita, così avvenga sulla terra. Il discepolo chiede al Padre che la terra diventi il risvolto del cielo. E’ questo un pensiero ricco di prospettive. Significa, ad esempio, che il cristiano deve guardare verso il mondo di Dio, se vuole veramente comprendere se stesso e la propria attuale esistenza.
Per valutare nel modo giusto le cose del mondo il cristiano non desume i suoi criteri valutativi dal mondo stesso, ma dal Regno di Dio. Per comprendere le cose di quaggiù il cristiano guarda in alto. Ce lo fa comprendere Gesù stesso parlando della sua regalità con Pilato: «Il mio Regno non è da questo mondo: se il mio Regno fosse da questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei; ma il mio Regno non è di quaggiù» (Gv 18,36).
Il Regno di Gesù è qui, nel mondo, ma la sua origine viene da altrove. E così è il cristiano: vive nel mondo, ma le regole del proprio vivere le mutua da un’altra parte – dal mondo di Dio -, la sua regola di vita obbedisce a un’altra logica. Si può leggere «come in cielo così in terra» anche da un’altra angolatura.
Pregare perché la terra assomigli al cielo significa riconoscere che la pienezza è nel cielo, non qui: un modo di pensare, questo, che relativizza il mondo. Questo non è il nostro tutto. Siamo fatti per una patria che è altrove.
Al tempo stesso, però, questo modo di pensare dà importanza al mondo, a questo mondo: la vita terrena non è la pienezza del Regno, questo è vero, ma può esserne il riflesso! Le cose del mondo futuro si preparano qui, ora. Di più: si possono anticipare qui, pregustarle, sia pure in modo incompiuto. Un riflesso, non la pienezza della luce. Ma anche il semplice riflesso di una grande luce è già luminoso!
Due passi del Vangelo possono aiutarci a chiarire questi pensieri. Il primo è il canto degli angeli nella notte di Natale (Le 2,14): «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama». Sono parole da considerare con attenzione, a incominciare dalla loro forma. Si tratta di due brevi frasi disposte in modo che il pensiero passi continuamente dall’alto al basso: i cieli e la terra, Dio e gli uomini, la gloria e la pace. Risulta così con evidenza che la pace fra gli uomini è la contropartita terrestre della gloria che Dio ha nei cieli.
E’ soprattutto, però, nella grande preghiera di Gesù che si legge nel cap. 17 del Vangelo di Giovanni che tutto si chiarisce. Gesù prega perché il dialogo di conoscenza e di amore che circola fra Lui e il Padre venga esteso alla comunione dei discepoli fra loro. L’amore vicendevole è il risvolto umano, terrestre, già ora possibile, del mondo divino.