Le mie prigioni

I sette neo-battezzati
“Ex Africa semper aliquid novi” diceva Plinio il Vecchio. Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo. Potrei parafrasare che anche dalla prigione di Klessoum dove presto servizio c’è sempre qualcosa di nuovo. Tra le attività che vengono svolte dalla piccola equipe incaricata della pastorale nella prigione, c’è la preparazione della Messa settimanale, l’alfabetizzazione degli uomini e delle donne e la catechesi in preparazione al battesimo. Un gruppo di seminaristi di teologia che risiedono a pochi km dalla prigione vengono, in bicicletta, per la catechesi. Prima di partire in vacanza ci hanno affidato un gruppo di sette giovani, seguiti per 4 anni e pronti per il battesimo, fissato per la vigilia della Pentecoste. Per qualche settimana sono stati al centro dell’attenzione e della preghiera attraverso i riti previsti nelle tappe del catecumenato: scrutini, chiamata decisiva, esorcismo, consegna del Credo e del Padre nostro, unzione dei catecumeni. Al momento di fare l’ultimo rito previsto, l’unzione dei catecumeni, si presentano all’appello in sei. Chiedo: Ma il settimo dov’è? E’ stato liberato, mi dicono, ma ritornerà la settimana prossima per ricevere il battesimo…
E così il sabato successivo ho dovuto fare un po’ di ginnastica con le autorità per permettere all’ex detenuto di rientrare in prigione per essere battezzato. Siamo riusciti a far entrare, con un po’ di fatica, nel luogo della celebrazione anche un parente per ciascuno degli altri battezzati.
Naturalmente la celebrazione ha attirato un numero considerevole di persone e di curiosi, che facevano da siepe… Poiché la celebrazione si è svolta sotto una veranda coperta di lamiere, chiusa su tre lati, e con il quarto lato chiuso dai curiosi, di aria da respirare ne rimaneva poca per il prete celebrante, nonostante sopra la sua testa vi fosse un ventilatore. La Provvidenza di Dio ha voluto che a destra e a sinistra vi fossero due giovani detenuti che facevano da chierichetti. Con un paio di ventagli di grosso calibro hanno continuato durante tutta la celebrazione a farmi aria. Senza di loro, non ce l’avrei fatta a terminare la celebrazione. Ad un certo punto mi sono reso conto che dovevo fare una scelta: o respirare o parlare. Le due cose insieme erano difficili. Al termine della Messa, uscito dalla tettoia, mi sono trovato sotto il sole del mezzogiorno nel cortile della prigione: mi sembrava di ritrovare il fresco di un rifugio alpino…
Sette giorni dopo…
Ieri mattina alle 7.00 ricevo una telefonata da un detenuto. Mi dice: Padre, fuori dalla porta della prigione c’è la mamma di Franklin, uno dei sette battezzati. Ti aspetta perché vuole entrare con voi per partecipare alla Messa assieme a suo figlio. Dopo tre ore arrivo alla porta della prigione e trovo una donna ancora giovane, vestita di bianco, con la croce al collo, che si presenta: sono la mamma di Franklin…
Una volta entrati nella prigione, ecco la sorpresa: il Direttore, che mi conosce, ordina di perquisire la valigia cappella che porto per la celebrazione. Uno zelante militare che parlava solo arabo, come il suo capo, trova immediatamente il corpo del reato: le ampolline (mezze vuote) con il vino e l’acqua per la Messa. Le porta immediatamente dal Direttore che, dopo aver annusato e l’una e l’altra, sentenzia: “Marissa”, cioè, alcool e me le sequestra. Gli dico: ma servono per la preghiera, non possiamo fare la Messa senza il vino. Con dei gesti mi fa sapere: o così o così… Così il giorno della festa del Corpo e del Sangue del Signore, siamo stati obbligati a celebrare solo con il pane. Questo non ha impedito la partecipazione gioiosa e corale di tutti i 138 presenti.
Dopo la Comunione qui c’è l’abitudine di cantare un canto di ringraziamento, ben ritmato, che permette a chi vuole di danzare. E’ stato bellissimo vedere la mamma di Franklin che si è alzata in piedi e ha cominciato a danzare e, dopo di lei, il figlio, con l’abito bianco del battesimo, e poi tutti e due insieme, uno davanti all’altro, attorno all’altare, con il contorno delle grida di gioia degli altri detenuti.
Sono gesti di liturgia vera, che non siamo abituati a vedere.
La consolazione
Domenica mattina mi trovo nel telefonino queste parole:
“Buon giorno, padre. E’ con molto dispiacere che ho saputo del disprezzo di cui siete stato l’oggetto in seguito al comportamento poco responsabile e professionale dei nostri collaboratori. Che Dio calmi il vostro cuore e vi dia forza. Cercate di capire ciò che è successo come una persecuzione.”
Questo messaggio, scritto da un militare cristiano, in servizio presso la prigione, mi ha toccato più del gesto del suo superiore… Mi sono venute in mente le parole di S. Paolo: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci consola in ogni nostra tribolazione perché anche noi impariamo a consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio”.
Colpo di scena
Il sabato successivo incontro la Direttrice del carcere che si scusa dell’inconveniente delle ampolline. Mi dice che lei, protestante, ha spiegato al Direttore, musulmano, che cos’è la Messa per i cattolici e che il vino è usato in quantità minima solo dallo stesso celebrante. Così ho potuto ricuperare il “corpo del reato” e celebrare la Messa “come Dio comanda”. Ho visto però che tra i detenuti c’era un po’ di animazione. Avevano voglia di parlare, sottovoce, senza far notare la loro contentezza: “Padre, hai visto che Dio fa bene le cose? Il Direttore che non ha avuto rispetto del ministro di Cristo, è stato sollevato dal suo incarico”. “Dio ha fatto giustizia, dice un altro, e chi ha voluto prenderlo in giro, ora si trova ben ricompensato!”. Tutti hanno letto questo avvicendamento di responsabilità come un gesto di Dio che ha voluto dare una piccola lezione a chi non aveva avuto sufficiente rispetto per i suoi rappresentanti… Ho risposto che bisogna tenere conto che alle volte le persone agiscono per ignoranza e che si può capire e scusare lo zelo eccessivo del Direttore. Ho avuto l’impressione che le mie parole siano cadute nel vento…
Piccola consolazione finale: il numero dei detenuti presenti alla Messa è cresciuto: 202! Mai sono stati così numerosi… Negli Atti degli Apostoli è scritto che, quando c’era la persecuzione, “la comunità cresceva”…
Un caro saluto. Rimaniamo uniti nella preghiera.
P. Renzo
N’djamena 19.07.2025

Per le “autostrade” del Ciad…