Padre Nostro

Padre Nostro
A cura di Don Bruno Maggioni
Estratto da “Padre Nostro” Editrice Vita e Pensiero 1998
La natura missionaria della preghiera
è insita in ogni richiesta
con la quale si pensa all’umanità.
L’amore del Padre non è circolare ma espansivo,
è guidato dalla gratuità, non dalla reciprocità.
Il Padre Nostro ci è giunto in due forme: quella di Matteo (6,9-13) e quella di Luca (11,2-4). La prima è più ampia e strutturata, la seconda, più breve. La diversità fra le due versioni ci dice che i primi cristiani non erano rigidamente attaccati alle precise parole, ma alla sostanza. E difatti le parole sono diverse, ma la sostanza è uguale in tutte e due le versioni.
Matteo ha collocato il Padre Nostro nel grande discorso della montagna (6,9-13), per suggerire ai cristiani come pregare, non moltiplicando le parole come fanno i pagani, bensì rivolgendosi a Dio con sobrietà e umiltà. Luca ha invece collocato il Padre Nostro in un contesto ancora più bello. I discepoli sono colpiti dal rapporto che intuiscono esserci tra Gesù e il Padre e desiderano entrare anch’essi in questo circuito di amore: “Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare»” (11,1). La preghiera che Gesù insegna ai suoi discepoli sgorga dalla sua preghiera personale. Il Padre Nostro non è semplicemente una preghiera da recitare. E’ un riassunto dell’intero Vangelo e ogni sua frase deve essere accuratamente meditata e compresa.
E’ ciò che faremo. Anche perché il Padre Nostro è una preghiera altamente missionaria. Lo è ciascuna sua frase e ciascuna sua parola. Il Padre Nostro che ora leggiamo nella versione di Matteo si apre con un’invocazione e si snoda poi in sette domande: le prime tre hanno come oggetto il Regno, le ultime tre il perdono e la vittoria sul male, al centro c’è la richiesta del pane di ogni giorno.
Giustamente si è osservato che queste domande hanno molti paralleli nelle preghiere bibliche e giudaiche. La preghiera insegnata da Gesù è profondamente radicata nelle tradizioni del suo popolo. Ma se le pietre sono antiche, nuova è la costruzione che ne risulta. Le singole domande si possono rintracciare nella pietà biblica e giudaica, ma non radunate tutte insieme, né formulate con tale intensità.
Padre Nostro: Padre è il nome di Dio. L’uomo può rivolgersi a Lui come un figlio, chiamandolo familiarmente “Padre”, come ha fatto Gesù. La familiarità del rapporto con Dio – che nasce nei cristiani dalla consapevolezza di essere figli nel Figlio – è ricordata molte volte nel Nuovo Testamento. È infatti una nota qualificante, che segnala l’originalità cristiana.
La vera novità, però, non sta nel rivolgersi a Dio con l’appellativo di Padre (questo avviene anche in altre religioni), ma nel poter rivolgersi a Lui con lo stesso tono di Gesù, figli nel Figlio, aspetto questo che Luca col suo semplice “Padre”, senza aggiunte, sembra sottolineare: il discepolo si rivolge a Dio chiamandolo semplicemente “Padre”, come ha sempre fatto Gesù.
Il semplice vocativo “Padre” è infatti il modo costante con cui Gesù si è rivolto a Dio. Ma la paternità di Dio si esprime al plurale: Padre Nostro.
Il suo amore per tutti invita gli uomini a fare altrettanto. Il Padre è insofferente delle discriminazioni: fa sorgere il sole sopra i buoni e sopra i cattivi (Mt 5,44-45). Si noti l’uso del plurale anche nella domanda del pane, del perdono e della prova. In ogni richiesta il discepolo deve pensare all’umanità.
La preghiera cristiana è una preghiera “espropriata” e “missionaria”. Un’ultima osservazione: i passi evangelici insegnano costantemente che la risposta dell’uomo all’amore del Padre che lo raggiunge è la fraternità. L’amore di Dio discende, ma la nostra risposta non deve anzitutto preoccuparsi di risalire verso di Lui, bensì di estendersi agli altri. La nostra risposta al Padre è inclusa nel comportamento fraterno che sappiamo assumere nei confronti di tutti.
L’amore del Padre – come sempre l’amore di un vero padre – non è circolare, ma espansivo. E’ guidato dalla gratuità, non dalla reciprocità.
Che sei nei cieli
L’uomo è sospeso alla memoria di Dio,
e qui trova la sua grandezza
nonostante la sua piccolezza nei confronti dell’universo.
L’esperienza più profonda dell’uomo biblico
è lo stupore di essere amato da Dio.
L’invocazione del Padre Nostro secondo la versione di Matteo non si accontenta di dire “Padre Nostro”, ma aggiunge subito “che sei nei cieli”. Questa precisazione vuole ricordarci che Dio è vicino e Signore, creatore e Padre, amore e onnipotenza. Ogni sincero rapporto con Dio risulta sempre di confidenza e timore, familiarità e obbedienza. Ma i sentimenti prevalenti sono altri. La consapevolezza che il creatore del mondo è un Padre ci permette di vedere in ogni cosa e in ogni evento un dono. E ci fa capire che l’essere da Lui scelti e amati è un’immensa e gratuita degnazione, cosa che impedisce di trasformare la grazia del suo amore in spirito di gretto settarismo. E ci conduce inoltre alla fiducia e alla serenità, al senso della provvidenza, conseguenza questa che Matteo esplicita subito dopo (6,24-34).
Se qualcuno mi chiedesse: quale testo biblico può considerarsi il miglior commento alla nostra certezza che Dio è al tempo stesso Padre e creatore, non esiterei a indicare il Salmo 8. Non c’è in questo salmo il nome Padre, ma è ugualmente una preghiera piena di stupore rivolta a un Dio che ha creato il mondo intero, e tuttavia concentra il suo amore verso l’uomo.
E’ un salmo da leggere con cura. Il Salmo 8 si apre proclamando la grandezza di Dio: «O Signore, Signore nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: al di sopra dei cieli è la tua magnificenza!». E si conclude allo stesso modo: «O Signore, Signore nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». All’interno di questa duplice proclamazione della grandezza di Dio, che in qualche modo fa da cornice, il pensiero corre poi all’uomo: «Quando contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita, che cosa è l’uomo, perché ti ricordi di lui? Eppure tu l’hai fatto poco meno di un Dio, e ogni cosa hai posto sotto i suoi piedi». Che cos’è uomo? E’ una domanda importante, una domanda che ogni uomo serio si pone.
Dio solo può rispondere a questa domanda. L’uomo ne è incapace. L’uomo biblico non chiede a se stesso, o agli altri uomini, la propria identità, ma a Dio. Per conoscersi guarda in alto. Ma a ben guardare, la domanda del Salmo non è semplicemente “che cosa è l’uomo?”, bensì: “che cosa è l’uomo, perché ti ricordi di lui?”. Il salmista si accorge che l’uomo è piccola cosa. E la meraviglia è che nonostante questo egli sia oggetto della memoria di Dio. L’uomo è sospeso alla memoria di Dio, e qui trova la sua grandezza nonostante la sua piccolezza nei confronti dell’universo. E difatti nel salmo c’è un alternarsi di grandezza e di piccolezza. La grandezza di Dio è affermata all’inizio e alla fine, è il punto fermo. Da qualunque parte lo guardi, Dio è grande. Diverso è invece il caso dell’uomo. Ti appare grande o piccolo, secondo l’angolatura da cui lo osservi.
Se lo confronti con la immensità dei cieli (ma noi potremmo dire: se lo misuri col tempo, con la morte, con il susseguirsi delle generazioni, con il numero sterminato degli uomini che nascono, che vivono un’esistenza che pare insignificante, che muoiono) ti viene da pensare: cosa conta un uomo? Eppure Dio, esclama il salmista, si ricorda di lui e l’ha fatto di poco inferiore a se stesso.
Se lo guardi dall’angolatura di Dio, l’uomo è grande, un solo uomo vale più del firmamento: “tutte le cose hai posto sotto i suoi piedi”.
Si direbbe, dunque, che la Bibbia non è giunta ad affermare la grandezza dell’uomo, di ogni uomo, osservando concretamente l’uomo e la sua capacità di dominare la natura, la sua distanza dalle cose e la sua superiorità su di esse. La partenza biblica è teologica: ha accolto la grandezza dell’uomo, di ogni uomo, riflettendo sul comportamento di Dio, sul suo amore, sulla sua alleanza. Tutto questo è significativo.
Ci assicura che il riconoscimento di Dio non è a scapito del senso dell’uomo, ma ne è il fondamento. L’uomo biblico è affascinato dalla bellezza dell’uomo, e lo considera un capolavoro che le mani di Dio misteriosamente costruiscono nel grembo della donna. Ma alla fine l’uomo biblico è convinto che la sua dignità non sta nella propria bellezza, o nella forza, o nell’intelligenza. E’ l’amore di Dio che dà dignità all’uomo. L’esperienza più profonda dell’uomo biblico è lo stupore di essere amato da Dio. Che cosa è l’uomo, perché ti ricordi di lui?