di Gilberto Borghi
24 Maggio 2025
Per gentile concessione di
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Questa parola appartiene ad un gergo un po’ specifico, teologico ed ecclesiale, che fatica a filtrare nell’uso linguistico del fedele comune. Quando ciò accade, diventa sinonimo di “sacramento della confessione”, indicandone l’esito, la ricostituzione della relazione tra uomo e Dio e, come conseguenza, la riapertura delle relazioni tra le persone. In realtà è una parola che ha un signifcato ben più ampio.

Intanto i due prefissi indicano una azione in cui si ritorna (ri), nuovamente, a fare qualcosa assieme (con). Qualcosa aveva interrotto questa azione fatta assieme e ora la si riprende.

Poi, la radice profonda della parola, “cilia”, può indicare due significati precisi. La prima direzione richiama un verbo greco che significa chiamare, adunare, raccogliere. Riconciliazione, qui, sarebbe quell’azione in cui i due ricominciano assieme a chiamarsi, a raccogliersi assieme, a cercare tra loro l’unità: un nuovo riconoscersi l’un l’altro che fa sì che possano scoprirsi ancora di più fatti l’uno per l’altro, per la loro radicale unificazione.

Non si tratta, quindi, solo di risistemare il legame interrotto, ma di prendere spunto dall’interruzione per scoprire di più chi sono. Cioè, riconoscere che la loro affinità è fatta anche di una distanza reciproca, che l’interruzione ha evidenziato e che, quindi, la loro unità non è l’annullamento di uno nell’altro, ma la realizzazione piena di entrambi nel dono reciproco, che li unisce in una armonia superiore.

La seconda direzione, invece, ipotizza che la radice “cilia” si colleghi ad un altro verbo greco che significa muovere, spingere, promuovere. Riconciliazione, quindi, sarebbe quell’azione in cui i due ricominciano assieme a promuovere, a dare spinta nuova, a far avanzare il loro rapporto amorevole: una ristrutturazione migliorativa della relazione.

Anche qui, non si tratta, appena di ricucire un legame interrotto, ma di prendere spunto dall’interruzione affinché questa relazione aumenti la sua consistenza e la sua solidità. Riconciliarsi, perciò, è fare l’amore, nel senso di costruirlo, innalzare il livello dell’essere l’uno per l’altro, affinché la vita cresca più di prima, proprio attraverso l’aumento del dono reciproco tra loro.

C’è, però, una differenza sostanziale se la riconciliazione avviene tra l’uomo e Dio, rispetto a quella tra persone le umane. Con Dio, noi sappiamo che è lui a realizzare la riconciliazione, come atto unilaterale di amore gratuito: “Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe” (2 Cor 5, 19). E noi possiamo solo accettare questo regalo e farlo vivere dentro di noi (“A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” – Gv 1,12), oppure rifiutarlo e mantenere la nostra chiusura (“Voi non volete venire a me per avere la vita” – Gv 5,40).

E quando accettiamo ci mettiamo nella posizione di poter diventare anche noi operatori di riconciliazione con gli altri: “noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20). Come papa Francesco dice nel discorso per la giornata della pace del 2025: “la pace vera, viene donata da Dio a un cuore disarmato” (13).

A dire che solo chi si lascia riconciliare con Dio, può diventare capace di riconciliazione con i fratelli. Le armi, gli armistizi, i trattati possono far tacere le guerre (e sarebbe già molto), ma al massimo questo produce la “non belligeranza”, non la riconciliazione. Per far ripartire la relazione di amore, di unità, di costruzione e aumento della vita è necessario aver accolto la riconciliazione che Dio ci dona. La mancanza di unità profonda tra persone, tra popoli, tra culture è sempre un tentativo, fatto “per procura”, attraverso la relazione con l’uomo, di rifiutare l’amore che viene da Dio.