di Francesca Lozito
4 Luglio 2025
Per gentile concessione di
http://www.vinonuovo.it

Una questione di posizione

Come ci poniamo nel mondo? Questa domanda risuona da sempre nella mia testa. Sarà perché faccio parte di una generazione che fatica anche solo ad ammettere di aver trovato una sua collocazione, schiacciata com’è da almeno due generazioni precedenti e incapace di rapportarsi in modo sereno con le successive se non attraverso un meccanismo di mimesi. Sarà perché mi piace andare al cuore delle questioni fondamentali. Apro tante parentesi quando parlo, ma non quando penso. E quando prego? Già, pregare.

Pregare senza saperlo

Per molto tempo sono andata avanti a “sussulti inesprimibili”. Chi mi ha aiutata a guardare veramente dentro la mia fede citò San Paolo per spiegarmi che io, pur non essendone cosciente, stavo pregando. Ho impiegato un po’ a capirlo, e quando l’ho fatto ho ricominciato a pregare.

Una generazione in cerca

Paul Murray, lo scrittore irlandese molto letto in Italia per il suo Il giorno dell’ape, quando è venuto a Torino ha detto che questa è un’epoca storica in cui c’è bisogno di misticismo. Che lui non lo credeva, ma ha dovuto convincersi. Siamo coetanei. Ho ritrovato nelle sue parole un’identificazione generazionale, rispetto a una negazione di Dio che per anni ho visto nel mainstream della mia vita: “Sei cattolica? Ma come mai sei così aperta? Non dirlo!” Una catacomba mentale. E una riscoperta, in tempi incerti, che ancora una volta trovo solida negli irlandesi. I quali, pur essendo ancora nel processo di metabolizzazione istituzionale degli abusi, sui punti fermi sanno che non c’è da andare troppo lontano.

God give us more than a pint of Guinness.” Lo disse un prete a Messa, a Bangor, citando uno spot di tanti anni fa. Direi che è abbastanza centrato. Molto, molto di più di una pinta di birra.

Fede come punto d’incontro

Anche i ragazzini a scuola sanno comprendere questa questione del posizionamento. Chi è di religione islamica cerca il confronto. Il terreno comune è l’avere una fede, identificato e riconosciuto come punto di partenza autentico per parlare senza sovrastrutture. Lodare Dio con le opere. Lodarlo e rimettersi nelle sue mani. Che sia Inshallah o “come Dio vuole” poco cambia, se c’è rispetto. Il senso delle ingiustizie del mondo. Le disuguaglianze quotidiane e mondiali. Alle volte penso che quando le guerre sono entrate nella mia vita, da adolescente, io avevo almeno un paio d’anni in più di loro. A loro invece tocca metabolizzare l’orrore troppo presto.

Lavorare su di sé

Eppure devo credere che ci sia speranza in mezzo a questo grande trauma collettivo. Che si possa reagire al di là dell’iper-reazione da stimolo dei social media, da commento al vetriolo, da cattiveria gratuita. Da settimane sto cercando sul sito del Vaticano il testo di una omelia di Papa Francesco, una delle prime, che mi colpì tantissimo. Diceva più o meno che se non lavoriamo su noi stessi non possiamo aiutare gli altri. Io sono sicura di averlo sentito, perché pensai: “Lo sta dicendo proprio a me.” Dobbiamo lavorare, tanto, su di noi. Per trovare la famosa posizione. Per stare bene nella comunità degli uomini, dove ci vuole tutto, ma proprio tutto.

Grazia

“Ahmed, sopra le nostre teste in questo momento ha messo la sua mano Dio. Io non so come la chiami tu, io la chiamo grazia, ma so che ti hanno già insegnato a riconoscerla.” Ahmed alza le spalle e continua ad aiutare il suo migliore amico. Anche quando questo non lo comprende e gli volta le spalle.