In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola. “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta’. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione”.

L’arte paleocristiana rappresenta Gesù come un giovane pastore che porta dolcemente sulle spalle una pecorella. Tale iconografia si ispira alla parabola della misericordia che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi. La preoccupazione del Signore per la pecorella smarrita è ricordata nella liturgia del Sacro Cuore di Gesù. Il buon pastore ha tutto il cuore rivolto alle sue pecore, non a se stesso. Provvede ai loro bisogni, guarisce le loro ferite, le protegge dagli animali selvaggi. Conosce ogni pecora per nome e, quando le porta al pascolo, le chiama una per una. Si preoccupa in modo particolare della pecora che si è smarrita, non risparmiandosi pena alcuna pur di avere la gioia di ritrovarla. Una pecorella smarrita è assolutamente indifesa, può cadere in un fossato o rimanere prigioniera fra i rovi. Proprio allora, però, nel pericolo, essa scopre quanto sia prezioso il suo pastore: dopo il ritrovamento, egli la riporta all’ovile sulle sue spalle con gioia. Se un lupo si avvicina, il buon pastore non fugge, ma, per la sua pecorella, rischierà anche la vita. In questi frangenti si rivela il cuore del buon pastore.
“Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi” (Gv 3,16).

La solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù – Giornata per la Santificazione dei sacerdoti – viene celebrata il venerdì dopo la solennità del Corpus Domini. Quasi a suggerirci che l’Eucaristia/Corpus Domini, non è altro che il Cuore stesso Gesù, di Colui che, con “cuore” si prende “cura” di noi.

Il 20 ottobre 1672 il sacerdote normanno Giovanni Eudes celebra per la prima volta la festa. Ma già in alcune mistiche tedesche del Medioevo – Matilde di Magdeburgo (1212-1283), Matilde di Hackeborn (1241-1298) e Gertrude di Helfta (1256-1302) – e del Beato domenicano Enrico Suso (1295 – 1366), si era coltivata la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Ma a diffonderne il culto, contribuiranno le rivelazioni ricevute dal Signore tramite la religiosa visitandina di Paray-le-Monial, Margherita Maria Alacoque (1647-1690). Margherita Alacoque vive nel convento francese di Paray-le-Monial sulla Loira, dal 1671. Ha già fama di grande mistica quando, il 27 dicembre 1673, riceve la prima visita di Gesù che la invita a prendere all’interno del consesso dell’Ultima Cena il posto che fu di Giovanni, l’unico apostolo che fisicamente riposò il suo capo sul petto di Gesù. “Il mio cuore divino è così appassionato d’amore per gli uomini che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per questo grande disegno”, le dice. L’anno successivo Margherita ha altre due visioni: nella prima c’è il cuore di Gesù su un trono di fiamme, più lucente del sole e più trasparente del cristallo, circondato da una corona di spine; nell’altra vede Cristo sfolgorante di gloria, con il petto da cui escono fiamme da ogni parte, tanto da sembrare una fornace. Gesù le parla ancora e le chiede di fare la Comunione ogni primo venerdì per nove mesi consecutivi e di prostrarsi a terra per un’ora nella notte tra il giovedì e il venerdì. Nascono così le pratiche dei nove venerdì e dell’ora Santa di Adorazione. In una quarta visione poi, Cristo chiede l’istituzione di una festa per onorare il Suo Cuore e per riparare, attraverso la preghiera, le offese da Lui ricevute. La festa è resa obbligatoria per tutta la Chiesa a partire dal 1856 con Pio IX. Nel 1995, san Giovanni Paolo II istituì in questo stesso giorno la Giornata mondiale di preghiera per la santificazione del clero, affinché Il sacerdozio sia custodito nelle mani di Gesù, anzi nel suo cuore, per poterlo aprire a tutti.

Il paradosso del Vangelo

È un paradosso abbandonare 99 pecore per andare in cerca di una smarrita, col rischio di smarrire tutto il gregge! Eppure questa è la logica di Dio, ci ricorda Gesù nel Vangelo; è logica di “misericordia”. Il Cuore di Dio non si accontenta della gioia delle 99, sapendo che 1 è assente, è smarrita. Questo cuore compassionevole muove il “pastore bello” alla ricerca di quella smarrita, a tal punto da caricarsela sulle spalle e riportarla a casa: il gesto non è casuale. In quel tempo, trovata una pecora “smarrita”, le si spezzava una gamba perché imparasse a non allontanarsi dal gregge. Gesù, pastore bello, è colui che invece se la carica sulle spalle, le manifesta ciò di cui ha più bisogno: tenerezza e misericordia. Questo, ci ricorda Gesù, è il cuore stesso di Dio. E in quel prenderla sulle spalle, intuiamo il suo “prendere sulle spalle” la croce per noi “smarriti”.

La gioia

Un secondo aspetto che merita di essere segnalato, è il clima di gioia e di festa che contraddistingue il ritorno a casa. Non c’è clima di rimprovero o di paura, ma di gioia capace di coinvolgere i vicini. Una gioia che è solo “segno” di quella che esploderà una volta che torneremo in Cielo. Celebrare la solennità del sacratissimo Cuore di Gesù significa sintonizzarsi con questa sua premura, con questo suo farsi prossimo pur che nessuna pecora resti smarrita nei sentieri della storia. Un andare incontro che chiede atteggiamento di fiducia e di misericordia.

Il Cuore

Quando sentiamo la parola “cuore”, pensiamo per lo più all’ambito affettivo, sentimentale. Ma nel linguaggio biblico ha un significato molto più esteso, perché indica tutta la persona nell’unità della sua coscienza, intelligenza, libertà. Il cuore indica l’interiorità dell’uomo, ma anche la sua capacità di pensiero: è sede della memoria, centro delle scelte, dei progetti. In quel costato aperto, Gesù ci mostra e ci dice: “Tu mi interessi”, “Mi prendo a cuore la tua vita”. Ma altresì dice: “Fai questo in memoria di me: prenditi cura degli altri. Con cuore. Abbi cioè i miei stessi sentimenti, prendi le mie stesse decisioni”

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Gesù ha un cuore e già questo dovrebbe farci riflettere molto. Il Vangelo ci rivela anche cosa c’è nel cuore di Gesù e come esso ragiona. Il Vangelo di Luca più di ogni altro Vangelo sembra avere la preoccupazione di farci capire per bene la dinamica del cuore di Gesù per questo ci racconta molte storie che hanno come sfondo la misericordia. La pagina di oggi è proprio una di queste, e narra la parabola della pecorella smarrita. Ci sarebbe molto da dire ma forse l’unica cosa che oggi dobbiamo fissare nella nostra mente è questo: l’amore di Dio non è un amore statico, non è un amore che se ne sta fermo da qualche parte del cielo, ma è un amore dinamico, un amore in uscita. Dio ama cercandoci! Egli non ama e basta, ma ama venendoci a cercare lì dove siamo. E importa poco se siamo in una situazione paradisiaca o infernale, Egli ha a cuore quello di venirci a prendere ovunque siamo finiti. Non c’è situazione o peccato che l’amore di Dio non abbia il potere di raggiungere e tirarci fuori. Oggi è la festa di un Amore così. Come non provare gioia e gratitudine per tutto questo? È la stessa gioia del pastore:
“Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta”.
In questo senso comprendiamo perché
“la gioia del Signore è la nostra forza”.

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La sostanza teologica di questa festa liturgica rende difficile contenere la gioia e lo stupore, per il mistero di amore che cade sotto i nostri occhi. Il cuore del Signore Gesù, rivelatosi già nel Primo Testamento per mezzo dei profeti, è descritto dalle Scritture anzitutto come un luogo di fedele e affettuosa premura.

«Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna […] Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte» (Ez 34,12.16) .

Gesù, nel vangelo, riprende e radicalizza quest’immagine del buon pastore, dichiarando apertamente quanto grande e unico sia il valore di ciascuna creatura presso il suo cuore paterno. Ma il racconto parabolico sembra diffondersi soprattutto sulla descrizione dei sentimenti che proprio questo cuore arriva a provare, quando anche una singola pecora riesce a tornare sulle spalle del pastore, dopo la dolorosa esperienza dello smarrimento.

«Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,5-7).

Così è il cuore del Signore Gesù: pieno di gioia per noi. E non tanto perché Dio non può che essere buono e generoso, felice per la vita e la felicità delle sue creature. Più profondamente, potremmo dire che è un cuore super contento di quello che noi siamo e della possibilità di essere in relazione con noi. Sì, quello di Gesù è un cuore che esulta quando noi siamo, o torniamo, in relazione con lui. Perché bella, anzi meravigliosa, è la nostra vita davanti ai suoi occhi. Persino quando, mediante l’uso sbagliato della nostra libertà, arriviamo a svilirla con il peccato. Proprio allora si rivela l’indistruttibile qualità del suo amore per noi. E noi riceviamo la sua stessa natura. Per opera dello Spirito Santo.

Fratelli, l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disponibile a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5, 5-8).

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La solennità del Sacro Cuore ci porta all’essenza di ciò che il Signore Gesù ci ha rivelato con le sue parole e con i suoi gesti. Il Prefazio di questa solennità, accompagnandoci verso la comprensione del mistero di questa festa, ci fa dire: «nel suo amore senza limiti donò la vita per noi, e  dalla ferita del suo fianco effuse sangue e acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa». Il Prefazio continua spiegandoci il motivo di tutto ciò e lo fa in questi termini: «perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingessero con gioia alla fonte perenne della salvezza». Due movimenti sembrano dominare il cuore di Cristo Signore e quasi coinvolgere i nostri stessi cuori: l’offerta di un amore incondizionato e totale e l’attesa di una risposta altrettanto amorosa, incondizionata e totale. La vita discepolare, quale paradigma della stessa avventura umana che condividiamo con tutti, non è altro che questa duplice apertura a dare e a ricevere, in una gratuità e in una naturalezza che sono le condizioni necessarie perché la nostra esperienza – di qualunque segno essa sia – possa rivelarsi una possibilità di salvezza.
Con il linguaggio della parabola il Signore Gesù cerca di raggiungere non solo il cuore così duro dei farisei, ma anche il nostro e ci interroga direttamente:

«Chi di voi…?» (Lc 15,4).

La parola del Signore va ben oltre la durezza dei nostri cuori e ci immagina capaci di gesti di compassione senza i quali sembriamo irriconoscibili ai suoi occhi. Nella parabola lucana, il Signore Gesù magnificamente non parla di sé, ma  parla di noi: «… se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la ritrova?». Davanti a una simile domanda ci sentiamo descritti in un modo ancora più bello di quanto faremmo noi stessi su noi stessi, tanto che, se non siamo così,  ci viene voglia di diventarlo! Contemplando il mistero dell’amore che si è rivelato nel cuore di Cristo, siamo riportati al nostro stesso cuore riconoscendovi un luogo che, per natura, è pieno di compassione e che, se si chiude all’amore, lo fa normalmente per paura di soffrire e di essere umiliato.
Di questa paura possiamo finalmente sbarazzarci! L’apostolo Paolo ci dà le ragioni profonde di questa redenzione dalla paura di correre il rischio di amare:

«Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto: forse qualcuno è disposto a morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,7-8).

Il profeta Ezechiele non fa che confermare le intenzioni di Dio nei nostri confronti: «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,16). Contemplare è sempre il primo passo per confermare in noi il desiderio di conformare la nostra vita a quella di Cristo Signore, nella consapevolezza bruciante che l’amore è tutto e tutto può essere trasformato dall’amore.

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