Si è detto stamani che bisogna vedere che cosa implica il fatto che nel tempo noi viviamo la fine, perché la Presenza del Cristo è già l’Escaton, è già la fine dei tempi. Che cosa vuol dire tutto questo? Debbo dirvi che nel mio orgoglio, veramente grosso, io trovavo una certa difficoltà ad accettare di vivere oggi, per quelli che verranno domani. Io sono escluso dal processo del tempo, dal processo della storia. Naturalmente dovevo accettarlo, fintanto che non ho capito invece che non era orgoglio il mio, era un’esigenza che è propria del cristiano. Il cristiano deve veramente legare i due estremi. Io sono fratello e devo vivere in comunione con tutte le nazioni anche della preistoria, con tutti i popoli che ormai sono anche scomparsi. Non sono slegati da me, non sono separati da me. Se io vivo in Cristo, se io sono in Lui, io sono veramente anche in un legame vivo, vero con tutti gli uomini del passato.

Posso dire di più che come tutta la storia antica tendeva a Cristo e in Cristo trovava il suo compimento, così io debbo se voglio vivere la mia vocazione cristiana, debbo essere il compimento della religione egiziana, della religione assiro-babilonese, della cultura cinese, non posso sentirmi diviso ed estraneo, perché sarebbe un negare la mia cattolicità. Essere cristiano vuol dire essere cattolico ed essere cattolico vuol dire avere un respiro universale che tutto abbraccia, nell’unità, perché si noti bene, la cattolicità e l’unità sono non solo due prerogative fondamentali della Chiesa, ma anche due prerogative fondamentali del cristiano come tale. Anche il cristiano deve essere uno e deve essere cattolico.

Ebbene proprio per questo motivo, dovevo sentire come in Cristo si adempiva tutta la storia, così si adempie in me. Devo dunque sentire che la religiosità, la vita, la cultura dei popoli anche più lontani da me, trovano un loro compimento in Cristo totale, in me in quanto sono nel Cristo. Non sono estraneo a nulla, non posso sentirmi estraneo a nulla. Ma questo lo sapevo già da tempo, questo lo dicevo in quel librettino piccolo: “La lotta con l’Angelo”.

Questa volta ho capito un’altra cosa, che (…) io sono già arrivato in fondo [ai secoli], perché sono nel Cristo, cioè veramente nulla la storia potrà raggiungere a quello che io vivo se io vivo nel Cristo. Del Cristo io vivo già la fine, non vivo nel 1985, vivo nel 447450, vivo cioè la fine, e tutto il tempo è incluso nell’atto della mia adesione a Cristo Gesù. E questo mi ha dato un grande respiro; vuol dire che il Signore non mi toglie nulla, non mi nega nulla, non mi interessa nulla se domani scoprono qualche cosa, l’ho già scoperta io. Non l’ho scoperta, ma quello che implica ogni scoperta, sia scientifica sia anche ogni approfondimento filosofico, non è approfondimento e non è vera scoperta se non è qualcosa che di fatto già implicitamente contiene il Cristo Signore, perché come si è detto tante volte, non si può andare oltre il Cristo. Tutti i secoli, tutti millenni non potranno aggiungere nulla a Cristo Gesù.

Ecco quello che ho capito, allora sono stato veramente contento. Vedete nel mio orgoglio sento veramente di essere cattolico, sì che veramente io abbraccio ogni cosa. Non per me (…), non per quello che io sono in me stesso. Per il fatto che io sono nel Cristo (…) vivo tutto lo spessore del tempo, che tutto Egli in Sé non solo conclude, ma riassume. Perché se lo concludesse soltanto, sarebbe già una perdita, perché bisogna che includa tutto quello che precede, non essere soltanto una fine. Una fine sarebbe sempre qualche cosa di povero, se la fine non include tutto il processo. Ora invece nel Cristo vi è tutto e tutto è incluso e tutto è presente. La presenza del Cristo non è soltanto la presenza, è la presenza dell’umanità salvata in quanto Dio stesso l’assume.

Ed ecco allora che il nostro tempo non si aggiunge all’eternità, non è altra cosa dall’eternità. Come la creazione non è altra cosa da Dio, – per dire in altre parole -, perché non è Dio, ma non è nemmeno diviso da Dio. Ma anche la creazione è in Dio, e così il tempo, non è qualche cosa divisa dall’eternità, è nell’eternità stessa. Ora se io vivo l’atto del Cristo e nell’atto del Cristo, io vivo una certa partecipazione alla divina eternità, all’immutabilità divina, in questo atto io vivo già tutto lo spessore del tempo; nulla mi è veramente negato. Tutto questo come? Mediante l’Eucaristia, è sempre lo stesso mistero, il Cristianesimo vuol dire vivere l’Eucaristia, null’altro.

E dobbiamo capire che anche la devozione alla Madonna, anche questa maternità di Maria, io o la vivo nella Messa o non la vivo fatto. Per questo quando dico la Messa mi vien fatto di fermarmi molto quando parlo della Vergine perché voglio realizzare precisamente questo mio incontro con Lei, questo sentirmi suo figlio, perché è in quel momento che Ella mi riceve come figlio. Non mi ha forse ricevuto ai piedi della Croce? E non è nell’atto stesso della Croce che si fa presente per me, che io vivo la mia filiazione da Lei? che Ella vive la sua maternità nei miei confronti? Togliete la Messa, anche la Madonna rimane un’estranea.

È sempre in Cristo che tutto si fonda. E in Cristo tutto si fonda non nella sua nascita, non nella sua predicazione, non nei miracoli che Egli fa, ma nel Cristo nell’atto della sua morte e resurrezione. Questo atto è l’atto veramente che riassume ed è tutta la vita dell’universo. In questo atto si realizzano tutti i misteri, perciò si realizza anche la maternità di Maria. Ecco come devi vivere la Messa. In questo atto si realizza la maternità di Maria. Certamente Maria lo vive poi anche se tu non ascolti la Messa, però è nell’atto del Cristo che muore e risorge che Ella stessa diviene la Madre di tutti i viventi, associata al Cristo, come corredentrice del genere umano.

Nell’atto del Cristo, non vivo soltanto la mia comunione con Dio, la mia comunione con un Dio che è l’Eterno, vivo anche tutto lo spessore del tempo; non un segmento del tempo, non la mia piccola vita. Nella mia piccola vita si fa presente tutta la vita dell’universo, in che modo? Probabilmente tutta la luce del sole attraverso dei cristalli, le lenti, si fa presente in un solo raggio, tutta la luce, (…)

Tempo, mondo, valori umani, tutto mi è dato. E mi ha dato tutte le grazie; fosse c’è stata qualcuna di voi un po’ gelosa di Santa Teresa? o di San Francesco? Io sono stato un po’ geloso di non essere Santo Tommaso o di non essere San Francesco. È stupidità, perché Dio ha dato quelle cose a me, non le ha date mai ad uno per sottrarle a me. Se Dio si ordina totalmente a ciascuno, non vi è grazia che Dio faccia ad un’anima, che non la faccia anche a me, perché sono inseparabile da qualsiasi anima.

Di qui che cosa ne viene? Che ho la santità di San Francesco? L’avrei se avessi la sua fede. Il problema è sempre questo, la misura poi del dono non è in Dio che si dona, è in noi che non crediamo, in noi che non ci apriamo ad accogliere il dono divino, perché il dono di Dio rimane il dono di Dio. Dio non si dà per parte; Dio ama ciascuno come se fosse l’unico a Sé. E amando ciascuno come se fosse unico, ama ciascuno con tutto il suo amore; perciò non toglie nulla che Egli abbia dato che non abbia dato te. Posso pensarlo? Lo posso pensare, [ma] la cosa grave è che debbo viverlo e invece non lo vivo. Chi di voi lo vive?

Probabilmente anche qui l’ha potuto vivere soltanto un’anima così semplice e così umile come la Vergine, perché tutti gli altri sono stati condizionati anche nella loro fede anche dalla loro esperienza umana, che è sempre una esperienza relativa. Ma dobbiamo capirlo perché anche questo è un mistero profondo del Cristianesimo. Il relativo non è l’assoluto, ma l’Assoluto si fa presente soltanto nel relativo, altrimenti non si fa nemmeno presente. E il relativo sono io e il relativo è la mia vita. Si è fatto presente in Cristo Signore, in un uomo, Nostro Signore. È vissuto trentacinque anni, in Palestina. Limitatissimo, condizionatissimo più di me, perché non sapeva che l’aramaico probabilmente, perché ha viaggiato molto meno di me. Condizionato e pur tuttavia Egli veramente è Dio.

L’umanità che Egli ha assunta nei suoi condizionamenti anche più grandi, non impedisce a Lui di essere Dio. Il sacramento della sua umanità fa presente Dio stesso. Il relativo non è l’assoluto, come dice il buddismo, ma l’assoluto non si fa presente che nel relativo. D’altra parte se non si facesse presente nel relativo, dove si andrebbe a finire dopo la morte? È invece dopo la morte che la nostra anima diviene veramente la condizione di una presenza divina. Dio tutto si rivela noi, Dio tutto si fa presente in noi, Dio tutto si comunica a noi. Il relativo è il sacramento dell’Assoluto e il relativo che è sacramento dell’assoluto sono io. (…) Egli si dona me. Non si è incarnato per Se stesso, perché che ragione aveva l’Incarnazione se non era per noi: “Propter nos et propter nostram salutem descendis de coelis”. (…) Ed ecco allora quello che sempre vi ho detto: che in fondo la vita del cristiano è soltanto soprattutto l’esercizio di fede. Ma la fede che cosa ci chiede? Veramente si capisce come il mondo oggi non creda più, perché quello che il Cristianesimo impone di credere è talmente sproporzionato alle nostre stesse ambizioni, è talmente sproporzionato alla nostra esperienza umana, che noi rimaniamo interdetti, sgomenti, e non riusciamo più a credere.

Ma giustamente diceva San Giovanni della Croce, che in nessuna altra cosa l’uomo si proporziona a Dio. Le altre virtù sono proprie dell’uomo. La fede ci proporziona a Dio, infatti ci fa capaci di Lui nella misura che crediamo. È ecco perché possiamo crescere sempre nella fede e questa fede è sempre autentica, non possiamo mai pensare che si creda troppo, perché siccome ha per oggetto Dio, la fede può crescere infinitamente. (…) Non è nel sapere più cose che la nostra fede aumenta, è nella intensità della adesione, ed è nella apertura e nell’abbandono a questo Dio che si abbandona a noi che la fede diviene più grande.

Per questo la fede di Santa Gemma Galgani era più grande di quella dei teologi che facevano scuola di teologia a Lucca, perché Santa Gemma Galgani non sapeva nulla del Padre Celeste, non riusciva nemmeno a capire il rapporto fra Nostro Signore e il Padre, stando ai suoi scritti, ma la sua fede era molto più grande dei teologi, perché la teologia facilmente può divenire un’ideologia, l’adesione a Dio certamente può divenire un’adesione poi alle singole verità. Ma più che alle singole verità la fede è l’adesione a Dio stesso nel suo mistero. È questa adesione di tutto l’essere a un Dio non nel suo mistero impenetrabile, ma nel mistero per il quale Dio si è voluto comunicare al mondo, si è donato a me, perché io non posso aderire nella fede al mistero impenetrabile e trascendente nella Sua vita, in quanto questo mistero mi sarà nascosto anche nella vita eterna, anche nel cielo.

Io posso aderire soltanto alla rivelazione che Dio mi fa di Se stesso, ma questa rivelazione non è esattamente tutto Dio. Perfino Nostro Signore nella sua umanità non conosce il Padre come lo conosce il Verbo divino nella sua natura divina, perché ha un’intelligenza umana anche Lui, non si identifica la conoscenza umana del Cristo alla sua conoscenza divina come Verbo di Dio. Comunque rimane vero questo, che nella misura che cresce la mia fede, io veramente vivo che cosa? Si diceva prima, veramente vivo tutto, tutto posseggo, perché Dio si dona a me, veramente divengo il sacramento che fa presente Dio, e il relativo diviene segno dell’assoluto. Questo è vero del Cristo, in modo perfetto, in noi è vero soltanto nella misura della nostra fede, la nostra fede in un Dio che si comunica in Cristo all’uomo, perché anche Dio non entra in rapporto con noi che attraverso l’Incarnazione del Verbo.

Se si mette fra parentesi il Cristo, Dio stesso rimane sconosciuto, ritorna ad essere puro mistero. Ma voi mi dite, nell’Antico Testamento Dio era conosciuto, precisamente in quanto già l’Antico Testamento è un processo di incarnazione divina. Non possiamo pensare l’Incarnazione indipendentemente da questo processo. Già il fatto stesso che Dio parli, implica un’incarnazione, Dio si fa parola umana per essere accettato dall’uomo.

Allora, quello che vi dicevo prima, quello che mi ha sbalordito è proprio questo sentirmi alla fine dei tempi. Dopo di me il diluvio, diceva Luigi XIV, dopo di me non c’è nulla dico io, non c’è nemmeno il diluvio: io in Cristo vivo la fine. Vivo non solo il passato, vivo anche tutto il futuro, la Presenza è al di fuori del passato e del futuro, è prima ed è dopo questo segmento del tempo che è l’avventura dell’uomo, questo segmento del tempo ancora più piccolo c’è la vita di ciascuno di noi. Noi viviamo la fine, vivere il Cristo. Ma una fine che include tutta l’avventura umana, perché tutta la salva. La morte di Cristo veramente è la salvezza di tutto il passato, è la salvezza di tutto l’avvenire perché l’atto del Cristo è di per sé l’Escaton, è veramente la salvezza di tutto, tutto include in sé.

Se io vivo in quell’atto e, nella misura che il Cristo fa presente in me questo suo, ecco io vivo la vita non solo di Dio, la vita di tutta l’umanità. Tutti sono in me, io sono in tutti. Chi lo può dire questo? È orgoglio spaventoso il dirlo, perché abbiamo così poca fede, ma pure implicitamente possiamo dire che è vero per tutti, esplicitamente lo sarà sempre più nella misura che in noi cresce, con la fede, anche la nostra trasformazione nel Cristo. Se noi potessimo vivere la stessa vita di Maria, noi potremmo vivere allora un’associazione così perfetta a Gesù, che come il Cristo è salvatore di tutto il mondo, così la Vergine ottiene di essere la Madre di tutti i viventi. Una povera fanciulla, una povera bambina, madre di tutti i viventi! Perché? Che cosa ha fatto? Come può essere madre per quelli che verranno? Eppure è stata Madre nell’atto in cui Ella è stata ai piedi della Croce, non dopo, perché non c’è un dopo per la Madonna, perché non c’è un dopo per Nostro Signore; non c’è un dopo. Con la morte tutti sono fissati per sempre in quell’atto in cui la morte li trova.

La Vergine è Madre di tutti in quell’atto che l’ha associata a Cristo Signore, ed è l’atto in cui Egli ha redento l’universo, ha redento il mondo. Dobbiamo capire che non c’è una vita oltre la morte, la morte ti fissa eternamente in quello che vivi. Di qui l’importanza che nella vita presente cresca la fede, perché noi nella fede sempre più ci proporzioniamo al dono di Dio e lo possiamo accogliere, non dico senza misura, perché una misura necessariamente l’abbiamo, ma eliminando tutto quello che la nostra poca fede invece potrebbe mettere come limite al dono di Dio.

Adunanza e Ritiro
Seconda meditazione
Firenze 9-6-1985
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