“Questo è il mio Corpo che è dato per voi. Questo il Calice del mio Sangue sparso per voi in remissione dei peccati”. Le parole di Nostro Signore secondo i Vangeli di Marco e di Matteo, prima di tutto ci assicurano la teologia paolina. Non è un’invenzione di Paolo, che la morte di Cristo sia per la redenzione del mondo, non è un accidente qualunque capitato perché il procuratore romano o i sacerdoti non potevano tollerare la predicazione di questo uomo.

Tanti altri falsi messia sono stati uccisi, o perché facevano ombra al procuratore romano, o perché non rispondevano alle attese dei sommi sacerdoti. E se non ci fossero queste parole dell’istituzione e poche altre, però tutte dette dal Signore, proprio nell’imminenza della sua Passione, noi potremmo dubitare che anche la morte di Gesù fosse una conseguenza naturale, si può dire, della gelosia e dell’odio dei suoi nemici, ma che Egli non l’avesse preveduta e l’avesse soltanto passivamente supportata, sia pure con i migliori sentimenti, anche di abbandono alla volontà del Padre.

Ma sono le parole dell’istituzione che ci dicono che la sua morte è per noi, è per la nostra salvezza. Ed è proprio per questo, vedete, che la morte di Croce non è separabile dal Mistero eucaristico, questo perché fa tutt’uno con il mistero della Croce, dal momento che nella morte di Croce, il sacrificio non è consumato che da Dio. La consumazione di Dio, cioè l’accettazione da parte di Dio e l’offerta che Gesù ha fatto del suo Corpo e del suo Sangue, della sua vita, si manifesta nella resurrezione gloriosa, perché il fuoco della divinità, ecco investe l’umanità del Cristo e la trasforma.

Ma dove è una comunione del Cristo con gli uomini? In che modo gli uomini hanno partecipato al sacrificio; in che modo gli uomini veramente hanno tratto da questa morte di Croce una loro redenzione? Non potrebbe essere soltanto un’invenzione di Paolo che la morte di Croce è per la salvezza del mondo? Che Gesù ha voluto morire, che ha accettato liberamente, con amore la morte per la nostra salvezza?

Sono queste parole che ce lo dicono, più di qualsiasi altra parola dei Vangeli; sono queste parole che ci assicurano come Egli, non soltanto avesse preveduto la morte, ma la avesse accettata liberamente, e la avesse accettata liberamente proprio per noi. Il “per” è finale, dice il motivo, dice la ragione della morte, Egli muore per noi; in vista di noi, in beneficio di noi: e ecco quello che ci dicono le parole dell’istituzione.

Ma d’altra parte noi non vediamo in che modo gli uomini comunicano a questa morte, ecco perché prima di morire Egli istituisce l’Eucaristia, prima ancora che i suoi nemici gli diano la morte, Egli già in un atto che precede la sua morte fisica dona già il suo Corpo e il suo Sangue ai discepoli, e i discepoli comunicano al Corpo e al Sangue versato.

Nella Chiesa anche oggi, il sacrificio di Gesù si fa presente, ma si fa presente per essere comunicato al mondo; ma si fa presente perché noi possiamo mangiare il suo Corpo e bere il suo Sangue, perché mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue noi entriamo in comunione con Lui.

Ogni qualvolta noi celebriamo il Mistero eucaristico, dice Paolo, noi annunciamo la morte di Gesù fin­tanto egli Egli venga. L’annunceremo, in che modo l’annunceremo? Non annunceremo soltanto la morte, annunceremo anche la sua resurrezione. Secondo gli Atti, l’annuncio cristiano non è soltanto l’annuncio di una morte salvifica, è l’annuncio anche di una resurrezione in cui la salvezza già si vede operante.

Come si annuncia? L’annuncio apostolico, l’annuncio della Chiesa è soltanto un discorso che il popolo di Dio fa a chi non ha fede? È soltanto un annuncio che narra un avvenimento passato o non è piuttosto un annuncio che implica la nostra trasformazione in Colui che noi annunciamo? La vera manifestazione, il vero annuncio della morte e resurrezione del Cristo è la partecipazione nostra a questo stesso Mistero; noi dobbiamo capire che il Mistero eucaristico ci chiama precisamente a trasformarci in Cristo Gesù.

E trasformarci in Cristo Gesù vuol dire morire a noi stessi e far sì che Dio veramente ci trasformi in Sé per essere noi quaggiù nel mondo il sacramento della sua presenza. È soltanto così che Gesù ha rivelato il Padre; la sua umanità è stata il sacramento primario di Dio, perché attraverso la sua umanità gli uomini hanno veduto Dio. Non si vede direttamente Dio, ma chi vede Gesù, vede il Padre: “Chi vede me, vede il Padre”. È questo l’annuncio fatto dal Signore, è questa la funzione rivelatrice del Verbo Incarnato; nella sua umanità Egli si è reso visibile al mondo.

Ed è ugualmente nella nostra umanità che il Cristo deve rivelarsi, ora, agli uomini. Nella umanità che ha tratto dal seno della Vergine Egli si è reso ora visibile, ma – come altre volte vi ho detto – il mondo ha la necessità di vederlo, perché non possiamo noi aderire nella fede alla rivelazione divina se questa rivelazione divina è cessata per noi. La rivelazione deve essere ferma, fino alla fine dei tempi. Come la creazione è rivelazione di Dio non solo per i popoli pagani, ma anche oggi per noi, come non fu soltanto rivelazione di Dio all’Ebraismo antico, ma è ancora mezzo di rivelazione per noi, così deve essere mezzo, sacramento vivo, presente, visibile di Dio, il Cristo Signore, perché è in Cristo che Dio si è rivelato ultimamente.

Ma come si rivela agli uomini il Cristo, se noi non siamo trasformati in Lui? Quello che Gesù diceva: “Chi vede me, vede il Padre”, ora ogni cristiano ha il dovere di dirlo; dovere, perché si impone per noi una trasformazione, dovere perché veramente implica per noi l’obbligo di una nostra trasformazione nel Cristo. Chi vede me vede il Cristo, questo lo deve dire il cristiano. L’uomo ha il diritto di incontrarsi con Gesù se si incontra con uno che deve continuare la sua missione nel mondo. Il mondo ha il diritto a questo. Il mondo nei riguardi della Chiesa, i cristiani nei riguardi del Sacerdote, ma anche ogni cristiano nei riguardi dell’altro cristiano. Ognuno deve essere il sacramento visibile di Gesù Salvatore.

Come è possibile tutto questo? Si diceva già nella meditazione precedente, mediante l’Eucaristia, noi viviamo la Presenza del Cristo perché Cristo c’investe, perché il Cristo entra in noi, perché Cristo in Sé ci trasforma, è questo il compito nostro. Tante volte vi ho detto, la vita cristiana non consiste in una morale, la morale certamente è inerente alla vita cristiana, ma non è essenzialmente la vita cristiana, la vita cristiana è Cristo. “Mi vivere Christus est”, la vita cristiana è il mistero di una comunicazione che Dio ha fatto di Sé mediante il Verbo suo, mediante il Figlio suo agli uomini e che continua a fare mediante la Chiesa nella quale continua il mistero di una incarnazione divina.

Se noi celebriamo la Festa del Corpus Domini, noi dobbiamo capire che non tanto si tratta per noi di portare in processione il Santissimo Sacramento, perché per la massima parte degli uomini oggi, non vi è più una fede così viva da saperlo scoprire sotto il segno del pane. Ma dobbiamo capire che invece tutta la nostra vita deve essere questa processione sacra, deve essere un manifestarci al mondo, un entrare nel mondo per portare agli uomini il Cristo. Dobbiamo portarlo nella semplicità della nostra vita, dobbiamo farlo presente nell’umiltà della nostra condizione umana, dobbiamo renderlo soprattutto visibile nel nostro amore per tutti.

La rivelazione suprema del Cristo è stata precisamente la sua morte, secondo San Giovanni nel IV Vangelo. Per noi la rivelazione che dovremmo dare del Cristo presente nella nostra medesima vita, noi l’avremmo soltanto nella misura che sapremo amare come ha amato Gesù. Tutto questo non possiamo presumere di viverlo se il Signore stesso non ci trasforma in Sé.

Ecco il perché della Comunione eucaristica. Il Mistero eucaristico non è un mistero che noi dobbiamo tenere chiuso. Voi sapete che nell’Oriente cristiano anche oggi non c’è nemmeno la riserva, o almeno se c’è anche la riserva, non è adorata, non vi è nessun culto per l’Eucaristia al di fuori della Messa, perché il fine dell’Eucaristia è il cristiano. Una certa devozione eucaristica rischia di compromettere quello che è il vero valore del Mistero eucaristico, perché fa sì che noi ci ordiniamo al Sacramento e questo è contro la teologia, perché sacramenti sono per gli uomini, non gli uomini per i sacramenti.

Fine dell’Eucaristia è il cristiano, perché l’Eucaristia si dona a noi per trasformarci precisamente nel Corpo di Cristo, per far sì che in noi si renda visibile Gesù benedetto; ed è questa consegna che dobbiamo ricevere stamani in questa Santa Messa che noi celebriamo. Egli si dona noi: “Prendete, mangiate, questo è il mio Corpo, che è dato per voi”. E noi dovremo mangiarlo. Una volta mangiato il pane non esiste più; il segno del pane non esiste più. Ma se il segno del pane non esiste più, il Cristo rimane e rimane per trasformarci in Sé. Non si digerisce Gesù, è Lui piuttosto che in Sé ci trasforma.

Noi dunque mediante il Mistero eucaristico che stiamo per celebrare, dobbiamo donarci a Cristo perché Cristo ci prenda, ci possegga, ci assuma, ci faccia veramente suo Corpo e si renda visibile in noi e si renda operante per mezzo nostro nel mondo.

Questa e l’esigenza propria della Chiesa. La Chiesa non adempie la sua missione se non vive la missione del Cristo. Ma non può vivere la missione del Cristo che in quanto in Lui si trasforma, la Chiesa e la Chiesa siamo tutti noi, dobbiamo capirlo. È una grandezza immensa quella alla quale Dio ci chiama. È una missione di un’estrema gravità quella di cui noi siamo investiti; la responsabilità che ricade su di noi!

Certo è Gesù che ci ha salvato mediante la sua morte. Ma se al mondo presente la morte non è annunciata, non è fatta presente, – e non è operante che attraverso la Chiesa, che attraverso noi -, in fondo la redenzione compiuta in atto primo non raggiungerà gli uomini di oggi, non raggiungerà i miei compagni di viaggio, non raggiungerà le nazioni che vivono oggi, che vivono oggi l’assenza di Dio, che vivono oggi il silenzio di Dio!

Miei cari fratelli, siamo noi disposti ad accettare questa missione? a viverla? Oh, dovrei dirvi una cosa che mi sembra tanto lapalissiana che non meriterebbe il conto di dirla, però so che in alcune famiglie è stato detto che noi non dobbiamo fare apostolato, non dobbiamo avere nessuna missione; noi facciamo la vita contemplativa! Non possiamo dividere la nostra dignità di figli di Dio dalla missione del Cristo nei riguardi del mondo. C’è un modo di vivere questa missione, ma tutti noi dobbiamo sentirci responsabili; tutti noi dobbiamo caricarci del peccato del mondo; tutti noi dobbiamo sentirci responsabili della salvezza degli uomini. Tutti noi, perché noi si ha una trasformazione nel Cristo che in quanto diveniamo figli di Dio e salvatori dell’umanità. (…)

Noi possiamo renderci conto di che cosa il mondo ha bisogno, di come il mondo sia privo di Dio. Ebbene come sottrarci a questa missione? La Comunione eucaristica che noi facciamo stamani, non deve soltanto trasformarci in Gesù, Figlio di Dio, deve anche renderci strumento di questa universale salvezza, che è stata la missione del Cristo che si fa presente in ciascuno di noi. Non quasi che manchi qualche cosa alla morte di Croce, ma nel senso che questa morte di Croce raggiunga oggi gli uomini come annuncio di salvezza, e come dono di salvezza, attraverso il ministero sacerdotale di tutta la Chiesa. Non del ministero soltanto del sacerdozio ministeriale, ma del sacerdozio di tutta la Chiesa, perché tutti i cristiani sono partecipi del sacerdozio di Cristo e la partecipazione al sacerdozio di Cristo ci impegna tutti a vivere suo stesso sacrificio di amore. Non vi è altro esercizio al sacerdozio che quello di offrire noi stessi in dono di amore Dio come figli, in dono di amore ai fratelli, come offerta di salvezza. È quello che dobbiamo fare.

La Messa è la nostra Messa, non c’è un atto diverso fra quello che vive il Cristo e quello che deve vivere il cristiano. Siamo tutti impegnati nella stessa missione, tutti impegnati nel vivere la stessa dignità, ed è la dignità del Figlio di Dio, ed è la missione di Gesù Salvatore. (…)

Che la Comunione eucaristica che stiamo per fare, veramente ci trasformi, ci faccia sacramento di Cristo Signore fra gli uomini. Noi con la fede e possiamo scoprirlo anche sotto il velo del pane, gli altri debbono scoprirlo non più sotto il velo del pane, ma in noi la trasparenza di questa presenza del Cristo deve essere tale che si imponga anche a chi non ha fede e faccia nascere la fede anche in chi non l’ha. La nostra santità miracolo vivente di una presenza di Dio dovrebbe essere tale da ridonare agli uomini la fede che hanno perduto.

Adunanza e Ritiro
Firenze 9-6-1985
Omelia
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