Lectio divina
GENESI 12-50
Corso biblico
Ileana Mortari
XII-XII-XIV settimane del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Commento e indicazioni per la Lectio
Testo PDF (completo) Lectio divina – Genesi 12-50
Testo PDF (parte 1):

1° – ABRAMO
- Le “tradizioni” di Genesi 12-50
- Epoca storica dei Patriarchi
- Vocazione di Abramo
- L’alleanza tra Dio e Abramo
- La fede di Abramo
2° – ABRAMO E LOT
- Origini storiche di Israele
- Genesi 13: separazione tra Abramo e Lot
- Genesi 14 e la figura di Melchisedek
- La vicenda di Sodoma e Gomorra
3° – ABRAMO E ISACCO
- Genesi 18: annuncio della nascita di Isacco
- Genesi 22: il sacrificio di Isacco; lettura ebraica e lettura cristiana
- Morte di Abramo
4° – GIACOBBE ED ESAU’
- Infanzia e giovinezza di Giacobbe ed Esaù
- Significato della “benedizione” presso i Patriarchi
- Genesi 28: il sogno di Giacobbe
5° -GIACOBBE E LE TRIBU’ DI ISRAELE
- Matrimonio e discendenza di Giacobbe
- Origine storica delle 12 tribù di Israele
- Genesi 32: la lotta tra Giacobbe e l’angelo
6- GIACOBBE E BETEL
- Genesi 35,1-15: da Sichem a Betel
- Excursus sulla religione dei Patriarchi
- Genesi 35,16-29: morte di Rachele e e di Isacco e nascita di Beniamino
- Nota sulla longevità dei Patriarchi
7- GIUSEPPE IN EGITTO
- Storia di Giuseppe in Israele e in Egitto
- Giuseppe: personaggio storico?
- Origine del racconto di Giuseppe
- Giuseppe, esempio di uomo sapiente
- I sogni di Giuseppe
8° – GIUSEPPE E LA SUA FAMIGLIA
- Giuseppe e i suoi fratelli
- La teologia della storia di Giuseppe
- Morte di Giacobbe
- Conclusione
1° ABRAMO
Preghiera di inizio
O Dio, Padre dei credenti,
che, offrendo a tutti gli uomini il dono della tua adozione,
moltiplichi nel mondo i figli della promessa
e nel mistero battesimale rendi Abramo, secondo la tua parola,
padre di tutte le genti, concedi ai popoli che ti appartengono
di accogliere degnamente la grazia della tua chiamata.
Per Cristo nostro Signore.
(dal Messale Ambrosiano)
1) Tradizioni e storicità del Pentateuco
In questo corso affrontiamo i capitoli dal 12 al 50 della Genesi. In Genesi possiamo vedere una sorta di dittico (quadro a due tavole che spesso si trova sugli altari) capp. 1-11 e capp. 12-50.
La prima tavola del dittico ha per oggetto la condizione umana in quanto tale, di cui si parla attraverso alcuni personaggi ed episodi emblematici (Adamo, Noè, il diluvio, la costruzione della torre di Babele, etc..
La seconda “tavola” (molto più ampia – non 11, ma ben 39 capitoli !) ha per oggetto il popolo di Israele nella sua storia, la vocazione e il dono della fede ai Patriarchi (parola che deriva dal greco “archè”= inizio), per designare la “radice” da cui si è sviluppato Israele e quindi anche la nostra fede.
Questo secondo dittico si divide a sua volta in tre cicli narrativi: quello di Abramo (capp. 12-25), quello di Giacobbe (capp. 25-36), quello di Giuseppe (capp. 37-50)Come si distinguono tra loro? Ognuno di essi è ben delimitato e circoscritto da una formula ricorrente: “Questa è la genealogia di…” formula che c’era già anche nei capitoli precedenti.
Quando si affronta un testo biblico, è sempre bene chiedersi perché è stato scritto.
La Bibbia non va letta alla lettera come una cronaca, ma è un libro scritto per la fede di coloro che sono stati i primi destinatari e per quanti sarebbero venuti dopo di loro, quindi anche noi! Per interpretarla correttamente bisogna avere un minimo di conoscenze sul perché e sul come è stata scritta e sul come va letta. A quali interrogativi doveva rispondere l’autore biblico?
I capitoli 12-50 rispondono a questi interrogativi: qual è la mia origine, da dove vengo, quali sono la mia identità di credente e il mio futuro. Quando il popolo ebreo era in esilio a Babilonia, essendo venute a mancare la terra, il Tempio e l’unità del popolo (oggetti delle promesse di Dio), ebbe la sensazione che le promesse divine fossero state vanificate e perse anche la sua identità di popolo. I capp.12-50 mirano a recuperarla.
LEGGIAMO GENESI 11,26 – 12,9
Capitolo 11
[26]Terach aveva settant’anni quando generò Abram, Nacor e Aran. [27]Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot. [28]Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. [29]Abram e Nacor si presero delle mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor Milca, ch’era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. [30]Sarai era sterile e non aveva figli.
[31]Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono.
[32]L’età della vita di Terach fu di duecentocinque anni; Terach morì in Carran.
Capitolo 12
[1]Il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. [2]Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. [3]Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
[4]Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. [5]Abram dunque prese la moglie Sarai, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso il paese di Canaan. Arrivarono al paese di Canaan [6]e Abram attraversò il paese fino alla località di Sichem, presso la Quercia di More. Nel paese si trovavano allora i Cananei.
[7]Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questo paese». Allora Abram costruì in quel posto un altare al Signore che gli era apparso. [8]Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. [9]Poi Abram levò la tenda per accamparsi nel Negheb.
Come si vede, l’autore biblico ha collegato l’inizio della vicenda di Abramo con quanto precede: il grande affresco di Gen.1-11, che mostra il rifiuto e l’allontanamento dell’uomo da Dio, con tutte le conseguenze negative, ma anche la misericordia di Dio che:
– si porta via Enoch, il quale non conosce la morte (Gen.5,18-24)
– salva dal diluvio il giusto Noè e la sua famiglia
– dopo Babele, con la chiamata di Abramo, attua un nuovo inizio.
Infatti attraverso Abramo e la sua discendenza, Dio si propone di recuperare tutta l’umanità all’ascolto obbedienziale della sua parola. Si può notare che la famiglia di Abramo porta ancora le ferite dell’umanità maledetta, i segni del peccato originale (la sterilità di Sara, la morte di Aran fratello di Abramo, in giovane età, la fermata a Carran, invece di raggiungere Canaan, la meta che si erano prefissi).
Gen 12,1: Il Signore disse ad Abram
Dopo un lungo silenzio (dal tempo della torre di Babele – Gen.11) Dio si rivela nella storia con un progetto alternativo a quello di Babele, che era contrario al piano di Dio, perché voleva azzerare le differenze tra i popoli (che invece erano volute da Dio) e sottoporle ad un unico regime dispotico. Dio ha un progetto che vuole realizzare nella discendenza di Abramo; Egli sempre predilige i piccoli, i poveri, gli infelici (es. Sara era sterile).
Dio benedice Abramo. Benedire significa dare pienezza di vita, armonia, felicità. In soli tre versetti, ci sono cinque benedizioni, probabilmente in contrapposizione alle cinque maledizioni dei capitoli precedenti (serpente, suolo 2 volte, Caino, Canaan).
MA PRIMA DI PROSEGUIRE E’ IL CASO DI CHIEDERSI:
quello che stiamo leggendo è avvenuto davvero così, parola per parola? Abramo è un personaggio storico?
Per rispondere adeguatamente occorrono dei ragguagli sul testo di Gen.12-50, oggetto del nostro approfondimento. E per fare questo dobbiamo prendere in considerazione tutto il Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, detti “Torah”, che sono Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio.
Fino al 1970, si diceva che il Pentateuco era il risultato della fusione di quattro tradizioni distinte: fonte jahvista del X sec. a.C., fonte eloista dell’ VIII sec. a.C., fonte deuteronomista del VII sec. a.C., fonte sacerdotale del VI sec. a.C.
A partire dagli anni Settanta si è messa in discussione questa tesi e ancora oggi si dubita dell’esistenza delle prime due fonti: jahvista ed eloista, dette così perché il nome di Dio era espresso col termine Jahve ed Eloim.
La tradizione scritta sarebbe nata nell’VIII sec. a.C. (e non nel X° sec. al tempo della monarchia di Davide e Salomone) e si sarebbe sviluppata in modo disorganico e poi, dopo l’esilio, si sarebbe realizzata una sintesi scritta organica ad opera dei sacerdoti che sta alla base della redazione finale, la quale è del IV sec.
Prima di questa c’è stata anche una narrazione storico-teologica dei fatti successi al popolo ebreo nel periodo monarchico, passata col nome di deuteronomistica, perché fa riferimento alle tradizioni legislative e ai fatti che confluirono poi nel libro del Deuteronomio.
Queste due sintesi che mostrano la nuova proposta di alleanza da parte di Dio all’umanità avevano lo scopo di sostenere la fede degli Ebrei in esilio, i quali pensavano fosse ormai fallita l’alleanza fra Dio e l’uomo stipulata sul monte Sinai per mezzo di Mosè, ma alla quale non erano stati fedeli. Consapevoli che avevano peccato, temevano di essere stati abbandonati da Dio. Recuperare il racconto dell’alleanza fra Dio e Abramo poteva aiutare il popolo in esilio a capire che Dio non li aveva abbandonati, ma che, nonostante le loro infedeltà, Egli era rimasto fedele.
Dopo l’esilio, nell’epoca persiana, anche per salvaguardare la propria identità nell’immenso e variegato impero persiano, Israele decise di unificare le due tradizioni, la sacerdotale e la deuteronomista; una nuova scuola di teologi si preoccupò di unificare le due sintesi e le due visioni storico-teologiche, cercando di rispettare l’originalità di ciascuna; per questo nel testo attuale non c’è una perfetta armonizzazione e compaiono dei “doppioni”, come vedremo a suo tempo.
Epoca storica dei Patriarchi
Qual è allora il livello di storicità nei libri del Pentateuco?
Certamente Abramo è esistito, ma non è detto che abbia compiuto le azioni e pronunciato le parole tali quali sono riportate nella Bibbia. Il racconto biblico riporta fatti tramandati oralmente e quindi soggetti a cambiamenti col passare degli anni; tuttavia un nucleo storico c’è: si parla di una persona che ha fatto un’esperienza di Dio molto forte e significativa e ha risposto alla chiamata di Dio con grande fede, un uomo vissuto nel II millennio a.C.
Più si va avanti negli anni e più gli studi, basati su ricerche archeologiche, si fanno precisi; portando alla luce gli archivi di antiche città-stato medio-orientali (come Mari, Nuzi ed Ebla) si possono conoscere meglio i tempi in cui vissero i patriarchi. Ad esempio: era diffuso a quel tempo l’uso di adottare il figlio avuto da una schiava, come fa Abramo con Ismaele.
Anche sui libri di storia le notizie subiscono mutamenti dovuti a nuove scoperte archeologiche. Per la datazione, si è fatto spesso riferimento a fatti storici extra-biblici, ma per l’esistenza di Abramo è difficile dire se sia vissuto nel 1800 o nel 1550 o nel 1200 a.C.; comunque per noi non è importante saperlo con esattezza, perché quello che conta è il messaggio che ci viene trasmesso.
Il testo che stiamo leggendo è stato redatto definitivamente nel IV sec. a.C. e riflette la storia, le problematiche e gli interrogativi di Israele a quell’epoca; inoltre testimonia le varie riletture fatte fino allora; anche dopo il IV sec. è stato oggetto di reinterpretazioni da parte del Giudaismo (termine che indica il popolo ebraico dopo l’esilio) e poi anche re-interpretato e attualizzato da parte dei Padri della Chiesa.
Noi ci porremo davanti al testo di Gen.12 (che abbiamo letto) cercando di spiegarlo – certamente, ma soprattutto preoccupandoci di cogliere il messaggio perenne che contiene, magari facendoci aiutare anche dalle riletture successive e lasciandoci interrogare da esso (cfr. le domande per la riflessione e la discussione poste al termine della lezione).
Vocazione di Abramo
Riprendiamo Gen.12,v.4: Abramo di fronte alla chiamata di Dio non chiede nulla, non dice nulla, ma agisce ed esegue subito quello che gli viene richiesto (v.4). Accetta di lasciarsi alle spalle tutto: la patria, il paese, la famiglia, le sue certezze, le sue sicurezze, e di andare verso una meta sconosciuta. Riscontriamo qui una caratteristica del Dio biblico: quando chiede qualcosa ad una persona, di solito lo fa per dargli molto di più. Infatti Dio promette ad Abramo un paese più grande, un popolo numeroso e che renderà grande il suo nome.
La prima tappa importante di Abramo è Sichem, più o meno al centro della Palestina (vedi cartina). Qui il Signore gli appare e gli specifica meglio il luogo che darà alla sua discendenza. Qui Abramo costruisce un altare (v.7). Poi passa a oriente di Betel, vi si accampa e di nuovo costruisce un altare. Infine passa nel Neghev, che si trova a sud di Bersabea e si estende fino alle pendici del Sinai.
Come si vede, Abramo “viaggia”, è pellegrino in una terra non sua, ma dei Cananei. L’unica certezza è la presenza di Dio e per questo ogni volta che si ferma innalza un altare per rendere culto a Dio.
In Genesi 12, 10-20 leggiamo che, a causa di una carestia, Abram è costretto ad andare in Egitto. Teniamo presente che nella vicenda di Abramo si trova la vicenda del popolo di Dio, è una retroproiezione della vicenda dell’Esodo. L’itinerario che fa Abramo verso l’Egitto è lo stesso che farà in senso inverso il popolo ebreo dall’Egitto alla terra promessa.
In Egitto avviene un episodio che ci lascia sconcertati. Secondo la cronologia della tradizione sacerdotale (P), Sara avrebbe 65 anni; ma probabilmente è più giovane, se Abramo teme che qualcuno, vedendola così bella, possa arrivare ad ucciderlo per sottrargliela; quindi la fa passare per sua sorella (secondo Gen.20,12, ella era effettivamente una sua sorellastra), esponendola alla mercè del 1° pretendente, come infatti sarebbe avvenuto: Sara sarà desiderata come moglie dallo stesso faraone. Siamo in un contesto culturale diverso dal nostro, molto maschilista, in cui la moglie era considerata proprietà del marito che poteva disporre di lei come voleva e quindi anche farla passare per sorella. Inoltre, a discolpa di Abramo, possiamo dire che, essendo preoccupato che senza di lui non potesse realizzarsi la promessa di Dio, di una discendenza, cerca di salvarsi con questo sotterfugio. Ma Dio interviene colpendo il faraone e la sua casa con grandi piaghe, finchè questi capisce e restituisce Sara ad Abramo, facendoli accompagnare alla frontiera perché lascino immediatamente il suo paese.
Dio interviene per salvare Abramo e Sara in difficoltà, così come al tempo della schiavitù sarebbe intervenuto mediante Mosè per liberare gli Ebrei dagli Egiziani: è ancora una retroproiezione di questa vicenda. Jahvè non lascia naufragare la sua opera: l’uomo cerca di arrabattarsi in tutti modi per cavarsela, ma poi è Dio che lo salva e non lo punisce per un’azione negativa perché capisce la sua debolezza.
L’alleanza tra Dio e Abramo
LEGGIAMO GEN. 15, 1-6
[1]Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». [2]Rispose Abram: «Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco». [3]Soggiunse Abram: «Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». [4]Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». [5]Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». [6]Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Nel capitolo 15 abbiamo ancora una visione (la 4°), in cui Dio ribadisce che la ricompensa per Abramo sarà molto grande. Per l’Oriente antico, era in vigore l’usanza, in mancanza di figli, di adottare un servo, che avrebbe ereditato il nome e i beni del padrone. Abramo si adegua a questa usanza, ma Dio gli dice che avrebbe avuto un figlio proprio suo, nato dalle sue viscere e che la sua discendenza sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo.
E qui c’è un versetto importantissimo, fondamentale, basilare, che dice in sintesi qual è la caratteristica di Abramo; è il v.6 Egli credette: il verbo ebraico corrispondente è “aman”, da cui il nostro “Amen”, un verbo che esprime l’idea di stabilità, sicurezza, fiducia. Nel linguaggio biblico credere non è tanto un’operazione intellettuale del tipo: “credo che Dio esiste”, ma è piuttosto il trovare la propria stabilità in qualcuno, fidarsi di lui! Così Abramo credette a Dio, si affidò a lui e trovò stabilità nella sua Parola. E Dio glielo accreditò come giustizia (v.6 b), cioè riconosce che la scelta di Abramo di fidarsi di Dio corrisponde alla giusta posizione dell’uomo rispetto a Dio. Secondo la Bibbia, “giusto” è colui che è come Dio lo desidera, colui che sceglie il bene e resta fedele a tale scelta e infatti la forma ebraica tradotta con “credette” corrisponde piuttosto a “continuò a credere”.
Ma il tempo passa e, come dice il cap.16, dopo 10 anni da quando abitavano in Canaan Abram e Sarai non avevano ancora avuto figli. Allora Sarai propone al marito di unirsi con la sua schiava Agar (anche questa era una consuetudine tipica del tempo quando una coppia era sterile) e infatti Agar partorisce ad Abramo Ismaele; ma neppure questo è il “figlio della promessa”: lo sarà Isacco.
Dio aveva fatto tre promesse:
– una discendenza numerosa
– una terra (quella che si estende dal fiume Egitto all’Eufrate, come vedremo)
– la benedizione (già vista) e l’alleanza con Dio.
A quest’ultima, un tema fondamentale nella storia biblica della salvezza, si riferiscono 2 episodi di genesi: al cap.15 e al 17.
LEGGIAMO GEN. 15, 7-21
[7]E gli disse: «Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese». [8]Rispose: «Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». [9]Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione». [10]Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. [11]Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abram li scacciava. [12]Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco un oscuro terrore lo assalì.[13]Allora il Signore disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in un paese non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. [14]Ma la nazione che essi avranno servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. [15]Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice.[16]Alla quarta generazione torneranno qui, perché l’iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo».
[17]Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. [18]In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate; [19]il paese dove abitano i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, [20]gli Hittiti, i Perizziti, i Refaim, [21]gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei».
Il v.7 è molto interessante, perché è un chiaro esempio di come si è costituito un racconto patriarcale, unendo elementi storici e di memoria-richiamo ad avvenimenti ritenuti importanti per la propria identità e storia. L’espressione “Io sono il Signore che ti ha fatto uscire….” non può non ricordare l’identica frase che troviamo in Esodo 20,2: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto”. Per gli uditori di questo testo l’antenato Abramo diventa allora il precursore dell’alleanza degli Ebrei schiavi in Egitto.
Ancora: “ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei”; qui notiamo un altro elemento utile per la datazione del testo. Il termine “caldei” sembra essere utilizzato in Babilonia solo a partire dal 7° sec. a. Cr. Esso rimanda dunque ad un’altra schiavitù, quella degli ebrei esiliati nel 586 a. Cr. in Babilonia. Anche in questo caso l’uscita di Abramo da Ur non può non rievocare alla mente il ritorno dall’esilio babilonese nel 538 a. Cr.
Così il racconto della storia di Abramo mette insieme l’epoca dei patriarchi (2000 a.C.), l’uscita dall’Egitto (1250 a.C.) e la fine dell’esilio in Babilonia (550 a.C.).
Dio ribadisce le sue promesse e nel capitolo 15 Abramo chiede un segno (v.8). Seguono quindi la preparazione del rito, la visione in sogno di Abramo e la stipulazione dell’alleanza. Anche ritroviamo elementi degli usi del tempo (2° millennio a. Cr.). Per stabilire un patto, un’alleanza politica o economica, un accordo di qualsiasi genere, si seguiva questa modalità: prendere degli animali (qui: una giovenca, una capra, un ariete) e dividerli a metà (in ebraico “karat”=tagliare, da cui l’espressione “karat berit”,,= “tagliare”, cioè fare un’alleanza del v.18). Ogni metà dell’animale veniva disposta per terra o appesa a dei pali, una metà di fronte all’altra dello stesso animale, in modo che ci fosse un corridoio nel mezzo. I due contraenti il patto passavano in mezzo agli animali divisi pronunciando una formula di giuramento, che comprendeva un’automaledizione del tipo “Che io sia tagliato in due parti come questi animali, se non rimango fedele all’impegno che oggi assumo!
La cosa eccezionale, nel nostro testo, è che solo il Signore, rappresentato simbolicamente dal fuoco (v.17), passa in mezzo agli animali divisi, cioè Lui solo “taglia l’alleanza”, Lui solo si impegna in modo del tutto libero e gratuito nei confronti di Abramo e del popolo ebraico, perché LUI SOLO E’ JAHVE’, nome che significa “Colui che è presente nella storia”.
Ecco la grande novità proclamata in questa narrazione: l’alleanza è propriamente un dono di Dio, un dono che Dio fa e garantisce per sempre al patriarca e ai suoi discendenti, ai quali non è chiesta nessuna contropartita, nessuna risposta specifica, se non quella di CREDERE, cioè fidarsi di Dio e delle sue promesse, accogliendo il suo dono come fondamento della propria vita.
Nei vv.18-21 abbiamo il contenuto dell’alleanza-dono di Dio: alla discendenza di Abramo verrà data la terra (oggetto di una delle tre promesse), dopo una serie di vicende descritte nei vv.13-16 che costituiscono una sorta di sintesi dell’Esodo. Così Abramo viene a sapere che solo alla sua discendenza verrà data la terra (egli ne potrà avere solo un piccolo pezzo, come si vedrà al cap.23 di Gen.). Le promesse sono poi riproposte da Dio ad Abram nel cap.17
LEGGIAMO GENESI 17, 1-16
[1]Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse:
«Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro.[2]Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto». [3]Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: [4]«Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. [5]Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. [6]E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re. [7]Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. [8]Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio».
[9]Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione. [10]Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio. [11]Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. [12]Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione, tanto quello nato in casa come quello comperato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. [13]Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comperato con denaro; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. [14]Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza».
[15]Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. [16]Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei».
Quando Abram ha 99 anni, Dio gli appare per la 5° volta e di nuovo gli ripete che farà alleanza con lui, gli darà il paese di Canaan come possesso perenne e che la sua discendenza sarà molto numerosa; anzi, gli cambia il nome di Abram in quello di Abraham, che in ebraico significa “padre di una moltitudine” (da “av” padre e “am “ popolo); per la verità questa è una etimologia popolare (come spesso nella Bibbia); quella scientifica dà un’altra spiegazione a questo nome abbastanza frequente ai tempi: dal semitico “Abi-ram”= “mio padre è nobile”, cioè “sono di nobile stirpe”, oppure – se con mio “padre” si intende la divinità: “Il mio Dio è grande”.
Quello che importa è il cambiamento del nome di Abram, che – come sempre nella Bibbia – indica la chiamata a una certa vocazione: quella di essere il padre nella fede di immense moltitudini.
E poi questa volta Dio chiede ad Abramo una contropartita: ”Questa è la mia alleanza tra me e voi: sia circonciso ogni maschio” (v.10) e seguono disposizioni precise sul da farsi.
Ora, anche la considerazione di questa pratica è illuminante per capire come è nato il testo che stiamo leggendo.
La pratica della circoncisione era largamente diffusa nell’antichità: la si trova in Africa, Asia, America, ma non tra gli Indoeuropei né tra i Mongoli. Essa era praticata anche dai vicini di Israele: Egiziani e Cananei.
Le ragioni che spiegano questa pratica possono essere di carattere medico o igienico, giustificazioni sociali (tuttora tra i Kikuyu del Kenya è un rito iniziatico legato all’adolescenza), o motivi religiosi.
Possiamo ritenere che Israele l’abbia praticata come i vicini, senza avanzare immediatamente ragioni religiose. Ma è durante l’esilio che il popolo, smarrito e minacciato di dispersione, ha bisogno di segni forti di identificazione. E allora, assieme al sabato, anche la circoncisione diventa uno di questi segni distintivi, tanto più che i Babilonesi (Caldei) non osservavano questo rito.
Sotto l’influenza dei sacerdoti il rito ha assunto un forte senso religioso ed è diventato rigorosamente obbligatorio; il testo in cui è dettagliatamente presentato il rito della circoncisione è dunque del VI° sec. a. Cr., quando il rito diventa segno dell’alleanza.
La fede di Abramo – spunti di attualizzazione
A) Dio dice ad Abramo: Vattene dalla tua patria…
Qual è il messaggio di questa pagina? Il fatto che il cristiano è fondamentalmente un pellegrino (cfr. 1° Pt 1,17 e 2,11), e dunque non può attaccarsi a nulla di quaggiù, perché tende alla vita eterna…“La voce di Dio è come un grido potente che squarcia il silenzio della notte: <Vai! Esci!> Dio non usa né un esortativo: potresti andare, né un ottativo: non sarebbe bello se…, né un interpellativo: non ti piacerebbe…, ma un imperativo netto: vai!
E non scende a patti con le nostre lungaggini” (G. Balconi, Scintille nel canneto, pp.14-15). Un grande teologo anglosassone vissuto a cavallo tra il 7° e l’8° sec. d. Cr., Beda il Venerabile (673-735) così applica ad ogni cristiano il triplice distacco di Abramo:
E’ chiaro che tutti dobbiamo imitare Abramo. Noi usciamo dal nostro “paese” quando rinunciamo ai piaceri della carne; dalla nostra “patria” quando, nella misura possibile ad un uomo, ci sforziamo di svestirci di tutti i vizi con i quali siamo nati; “dalla casa di nostro padre” quando, per amore della vita celeste, vogliamo lasciare il mondo stesso, con il suo capo, il diavolo.
B) Gen. 12,4 a “ Allora Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore”
L’obbedienza di Abramo è un “obbedire alla Parola” (“come gli aveva ordinato il Signore”). La fede è obbedienza alla parola di Dio. E Abramo è nostro padre nella fede. Chiediamoci: che spazio ha la Parola nella mia vita, nel mio quotidiano?
C) Dio benedice più volte Abramo: “In te si diranno benedette tutte le genti”
Dunque anche noi siamo portatori della benedizione di Abramo e benedizione significa “vita – fecondità – positività”. Siamo davvero “benedizione” per gli altri? Ancora: Dio ci benedice = Dio “dice bene” di noi, è contento di noi. Anche noi “bene-diciamo” = “diciamo bene” degli altri?
D) Riguardo all’episodio di Abramo e Sara in Egitto
Abramo, pure prototipo del credente, è comunque un uomo limitato, ansioso, che ricorre a dei sotterfugi per garantirsi l’incolumità davanti al pericolo e ai potenti. Abramo è un uomo con tutti i limiti della condizione umana. E noi, siamo consapevoli che Dio ci sceglie e ci chiama così come siamo? Quali sono i nostri difetti che più ci pesano e di cui ci vergogniamo?
2. ABRAMO E LOT
Origini storiche di Israele
Dopo l’episodio di Sara in Egitto, Abramo torna nel Negheb con Lot, suo nipote, che aveva adottato alla morte del fratello. Per capire il cap.13, bisogna rifarsi alla storia d’Israele e al significato di questo racconto, reso più chiaro anche dalle numerose recenti scoperte archeologiche e fonti sociologiche e antropologiche; analizzando i costumi di alcune tribù primitive contemporanee si riesce, per analogia, a capire le usanze del passato.
L’origine d’Israele si colloca tra la fine dell’età del bronzo (1500-1200 a.C.) e l’inizio dell’età del ferro (1200-1000 a.C.). Gli archeologi hanno scoperto nella zona collinare e montuosa della Palestina i resti di centinaia di piccoli villaggi risalenti al 1250 a.C. Il territorio di Canaan era diviso in città-stato di 15.000 abitanti l’una, sorte sotto l’influenza egizia. Si è scoperta una fitta corrispondenza fra i re cananei e il faraone egiziano (1300-1200 a.C.), dove i re di Canaan chiedevano l’intervento del faraone per dirimere i loro piccoli conflitti; questi però rispondeva di non poter intervenire. Si viene a sapere che c’erano tante spese per guerre che gravavano sulle tasche dei più poveri. Molti agricoltori cananei cominciano a fuggire proprio verso la zona collinare e montuosa dove fondano villaggi non fortificati; dai ritrovamenti si rileva che conoscessero tecniche di coltivazione di buon livello; pare che, oltre a questi, ci fossero gruppi di “Abiru” che si rifugiavano là per condurre una vita più tranquilla: erano mercenari, gruppi di combattenti che volevano cambiare vita e offrivano alla gente dei villaggi una collaborazione basata sulla loro preparazione militare. Da questo termine “Abiru” deriverà il nome “Ebrei”. Si ebbero vasti insediamenti di questi gruppi che collaboravano tra loro nella lotta contro le città-stato. La loro religiosità era basata sulla concezione di un unico Dio che si era rivelato e offriva loro guida e protezione incondizionate. Ad un certo punto questi gruppi sempre più collegati tra loro inventarono un nome che esprimesse la loro unità e la protezione del loro Dio: Israele.
Isra-el – Dio governa. Storicamente questo nome appare per la prima volta nel 1.200 a.C. su un’iscrizione di pietra. Questi gruppi confederati avevano ciascuno la propria storia, ma unificarono le loro storie e le loro tradizioni per dare un senso di unità e rafforzare i loro vincoli sociali. Raccontare le loro storie era un modo per dimostrare che c’erano degli antenati comuni e quindi la genealogia aveva più un intento socio-economico che storico. Storicamente Abramo non ebbe Isacco, perché questa è la redazione finale, ma il clan di Abramo si unì al clan di Isacco.
Capitolo 13: separazione tra Abramo e Lot
Tornando al cap.13, si vuole sottolineare che c’erano legami tra la tribù di Abramo e quella di Lot. Quando decidono di separarsi, Abramo lascia al nipote la possibilità di scegliere la parte di terra che preferisce ed egli sceglie la parte pianeggiante, più fertile. I discendenti di Abramo, della tribù di Giuda, furono quelli che occuparono l’attuale Palestina. I discendenti di Lot furono i Moabiti e gli Ammoniti che diventarono nemici d’Israele.
Capitolo 14 e la figura di Melchisedek
Il cap.14 è uno dei più difficili del ciclo di Abramo. Secondo alcuni è un pezzo antichissimo, secondo altri è tardivo. I nomi dei re sono in parte reali e in parte inventati. Qui Abramo è presentato come un guerriero che si organizza per liberare il nipote Lot che era stato fatto prigioniero. È una vicenda che serve al redattore per comunicare qualcosa. Con 318 servi Abramo sconfigge un esercito più numeroso, libera Lot e recupera tutti i suoi beni. È un fatto quasi inverosimile, ma che serve a sottolineare che il capostipite del popolo ebreo, con un numero ridotto di guerrieri, ma con l’aiuto di Dio, riesce a sconfiggere un esercito più numeroso: con l’aiuto di Dio si ha la meglio sui nemici.
Melchisedek significa “re di giustizia” e viene inserito a metà del racconto per motivi importanti. Questo re di Salem rifocillò Abramo e i suoi guerrieri: il valore dell’ospitalità assume qui un significato sacrale. Il Dio, creatore del cielo e della terra, a cui rivolge la sua benedizione Melchisedek, è lo stesso che verrà chiamato Jahvè quando appare a Mosè. Nella Bibbia si nomina anche nel salmo 109-110 che si trova nei vespri festivi. È un celebre salmo messianico e descrive il re-messia. Nella lettera agli Ebrei si parla di Melchisedek come sacerdote eterno che riceve la decima di Abramo: è figura di un sacerdote ben più importante, Gesù Cristo che offre in sacrificio se stesso, un sacrificio di altra natura rispetto a quello degli Ebrei. La venuta del Figlio di Dio inaugura un nuovo modo di offerta a Dio, pur conservando gli elementi del pane e del vino. Con l’eucarestia, Cristo si riallaccia all’offerta di Melchisedek, abbracciando tutta la storia sacra e sottolineando il valore spirituale dell’offerta di pane e vino, superiore a quello materiale dei sacrifici inaugurati da Mosè e dagli Ebrei (immolazione e sacrificio di animali). L’economia della legge viene superata da quella della fede. Altra analogia: con questo rito Melchisedek ringraziava per la vittoria concessa ad Abramo sui suoi nemici; con l’eucarestia si rende grazie a Dio per la vittoria sul male ad opera di Gesù Cristo attraverso la sua morte e resurrezione.
In quanto all’offerta della decima, gli esegeti trovano due finalità:
- il racconto è rivolto a quei gruppi che, al tempo di re in Israele, erano restii a sottomettersi alla monarchia: con l’esempio di Abramo si invitano tutti a considerare cosa giusta la tassa al re;
- il racconto può essere opera di un autore che voleva giustificare la tassa per il tempio introdotta dopo l’esilio, tassa di cui si parla anche nel Vangelo e alla quale si sottopone anche Gesù.
Capitoli 18-19 e la vicenda di Sodoma e Gomorra
Preghiera di intercessione di Abramo perché Dio risparmi Sodoma e Gomorra dalla distruzione. Il “grido” è la denuncia dei peccati di Sodoma e Gomorra. Dio decide di intervenire mandando due uomini (due angeli) da Abramo ad annunciare la sua decisione. Per gli antichi, la libertà personale era molto ridotta e la solidarietà era massima e quindi, se c’era una maggioranza di peccatori, il castigo colpiva tutti. Con Abramo, viene introdotta una novità rispetto alla mentalità del tempo: si fa riferimento ad una responsabilità personale più che ad una colpa comune. Dio allora decide non solo di salvare alcuni innocenti; ma, se ci fossero dei giusti, promette di salvare tutti; rovescia il principio della solidarietà nel principio della vicarietà: pochissimi giusti valgono più di moltissimi peccatori. Nasce così un concetto teologico che verrà sviluppato col Cristianesimo: il bene compiuto da pochi può essere più forte dal male compiuto da molti. Con Isaia ed Ezechiele si ribadisce lo stesso concetto, cercando nel popolo d’Israele anche una sola persona giusta: Dio è disposto a perdonare a tutta la città di Gerusalemme se si trova anche un solo giusto.
Nella settimana santa, si leggono i famosi canti del servo di Jahvè del profeta Isaia, perché prefigurano ciò che sarebbe avvenuto a Gesù nella sua passione. Con il sacrificio di uno solo si sarebbe ottenuta la salvezza non per una città, non per un popolo, ma per tutti.
Quando i due messaggeri di Dio arrivano da Lot, molti uomini vanno da lui e gli chiedono dei due stranieri per poterne abusare. Lot non vuole perché sono suoi ospiti: il valore dell’ospitalità era allora più importante del peccato dell’omosessualità, tanto è vero che Lot arriva ad offrire le sue due figlie vergini purchè gli ospiti fossero rispettati. È un fatto sconcertante, ma i due angeli salvano Lot e respingono gli assalitori. Lot, pur nell’indecisione, accetta di lasciare la città come proposto dagli angeli. C’è una base storica alla distruzione di Sodoma e Gomorra: ci fu un terremoto vicino al Mar Morto che diede origine a incendi a catena a causa del bitume. Il racconto comunque ha un intento didattico. Sodoma e Gomorra sono il simbolo del male che si diffonde. L’invito a Lot perchè fugga sta a significare che dobbiamo prendere le distanze e mettere un abisso tra noi e il male; non bisogna voltarsi indietro, cioè non bisogna avere nostalgia delle cose lasciate, perché la fede è avanzamento e cambiamento verso il bene.
3.°ABRAMO E ISACCO
Genesi 18,1-15: annuncio della nascita di Isacco
La visita della divinità all’uomo fedele è un motivo narrativo presente nelle antiche letterature. In Ovidio c’è il famoso episodio narrato nelle Metamorfosi, in cui due vecchi coniugi Filemone e Bauci ricevono la visita di due divinità, Giove e Mercurio, senza che essi li riconoscano e per la loro ospitalità vengono premiati: gli dei trasformano la loro capanna in tempio ed esaudiscono il loro desiderio di morire insieme.
All’età di 99 anni Abramo riceve una misteriosa visita. Il narratore sa di più del protagonista, cioè parla subito della visita del Signore, ma Abramo non lo sa. Pur non sospettando minimante che si tratta della visita di Dio, Abramo si mostra gentile, premuroso, generoso e ospitale. Per la mentalità semita, essere ospitali significava esercitare la virtù del timore di Dio nelle relazioni con gli uomini. Anche se è il momento più caldo della giornata e Abramo sta senz’altro riposando, appena arrivano questi ospiti, si dà da fare e si fa preparare un pranzo abbondante coinvolgendo la moglie e i servi. Mentre i tre ospiti mangiano, egli se ne sta in piedi e in disparte.
Nella seconda parte dell’episodio è riportato un dialogo fra Abramo e i tre ospiti che si rivelano a lui come messaggeri del Signore e gli rinnovano la promessa di una discendenza, dicendo che Sara, nonostante l’avanzata età e la sterilità, l’anno dopo avrebbe avuto un figlio perché nulla è impossibile a Dio.
Abramo aveva avuto un figlio da Agar, la schiava di Sara, che aveva chiamato Ismaele e che giuridicamente che sarebbe diventato figlio di Abramo e Sara. Ad Abramo (che aveva 99 anni) era stata fatta la promessa di un figlio suo, ma probabilmente egli non ne aveva parlato con Sara; di qui il suo riso quando sente queste parole, riso che viene solitamente interpretato come segno di incredulità.
Perché all’inizio si parla di tre personaggi? La risposta è nel primo versetto del cap.19: “i due angeli arrivarono a Sodoma…”. I tre personaggi di cui si parla prima sono allora il Signore Dio accompagnato dai due angeli. Un’altra interpretazione è quella della prefigurazione della Santissima Trinità immortalata poi in un’icona di Andrei Rublev, molto famoso in tutto il mondo. “Nulla è impossibile a Dio” trova una chiara eco in Luca cap.1, 37.
Capitolo 22: il sacrificio di Isacco; lettura ebraica e lettura cristiana
Nel cap.21 si parla della nascita di Isacco, della sua circoncisione e del significato del suo nome: “riso segno d’incredulità” e “riso motivo di gioia”. Con la nascita di questo figlio sembra realizzata la promessa fatta da Dio ad Abramo. Ma Dio mette alla prova Abramo (cap.22). È un testo difficile, oggetto di varie interpretazioni e di molteplici opere d’arte.
L’episodio del sacrificio di Isacco è il vertice del ciclo di Abramo e appartiene ad una tradizione antica; era forse una leggenda cultuale relativa alla fondazione di un santuario, in cui si voleva sottolineare che in Israele non si fanno sacrifici umani, ma di animali e questo evidenzia la differenza tra Israele e gli altri popoli. I sacrifici umani erano un’abitudine frequente presso i popoli antichi; presso Cananei, Moabiti, Ammoniti, Edomiti si sacrificavano agli dei i bambini dopo averli sgozzati o bruciati vivi; per qualsiasi necessità si sacrificava agli dei ciò che si aveva di più prezioso. Quando gli Israeliti entrarono in Canaan, conobbero questi popoli e le loro macabre consuetudini e così iniziarono a fare sacrifici umani; ma quando capirono che Jahvè era il Dio della vita e non voleva la morte degli uomini, passarono al sacrificio simbolico del primogenito, cioè lo consacrarono a Dio e offrirono al suo posto un agnello. Purtroppo re degeneri fecero ancora sacrifici umani, ma in Israele si instaurò l’idea che Dio non volesse sacrifici umani e questo costituì un’idea rivoluzionaria per quell’epoca.
Nel racconto del sacrificio di Isacco, non c’è nessun accenno alla fondazione di un santuario, ma “Moria” viene identificato come il monte su cui sorgerà il tempio di Gerusalemme. Moria significa “Dio vede e provvede”. Se oggi andiamo nella moschea di Omar che sorge sulla spianata del tempio, troviamo ancora la pietra del sacrificio di Isacco che è un luogo sacro per Ebrei, Cristiani e Musulmani.
In che cosa consiste la famosa “prova di Abramo”? C’è chi crede che Dio metta in difficoltà l’uomo e questa è un’idea sbagliata. Anche Gesù viene messo alla prova prima di iniziare la sua vita pubblica. La “prova” esiste, ma è parte della vita; è una situazione in cui si trova il credente, quando i valori che l’hanno sempre guidato vengono messi in discussione; egli deve fare delle scelte che dimostrino che crede veramente in quei valori. Nella Bibbia troviamo tanti passi in cui si dice che Dio mette alla prova il suo popolo, soprattutto nell’Esodo.
La prova è anche la situazione in cui si affaccia il mistero di Dio e fa sorgere nell’uomo grossi interrogativi. La prova è anche un momento in cui l’immagine di Dio si presenta in modo più vero e autentico.
La richiesta fatta ad Abramo è sconcertante, ma fa capire che tutto è dono di Dio e noi non dobbiamo ritenerlo nostro possesso. Abramo obbedisce, anche se le richieste di Dio sono assurde e contraddittorie; egli continua ad aver fiducia in Dio e accetta di andare fino in fondo perché si fida di Dio sapendo che non può volere il male. Di fronte alla gloria e alla potenza di Dio, l’uomo sente timore. Isacco, legato e preparato per il sacrificio, è prefigurazione del sacrificio di Cristo sulla croce.
Leggendo la lettera agli Ebrei e le lettere di Paolo ai Galati e ai Romani troviamo la sottolineatura della grande fede di Abramo: egli è nostro padre nella fede. Abramo è uscito dalla prova purificato e rafforzato nella fede. C’era un progetto di Dio che si stava attuando in Isacco, ma si stava trasformando in progetto dell’uomo perché quel figlio tanto atteso e desiderato era diventato per Abramo un punto di riferimento per i suoi progetti.
Un famoso midrash detto “la legatura di Isacco” immagina la reazione di Isacco che acconsente al sacrificio per obbedire sia al padre che a Dio. Il racconto della legatura di Isacco si rilegge in ogni famiglia ebraica la notte di Pasqua; in questo episodio si vede il simbolo di ogni sacrificio, del sacrificio dell’agnello, perché Isacco si fa legare i polsi e le caviglie proprio come si fa con l’agnello sacrificale.
Abramo impugna il coltello, cioè accetta di andare fino in fondo per fare la volontà di Dio, ma l’angelo del Signore lo ferma perché vede che teme Dio: ha quindi superato la prova perché ha mostrato una pienezza di fede nel Dio trascendente, esprimendo un senso di timore davanti alla grandezza di Dio. Abramo si è fidato di Dio fino in fondo sapendo che non può volere il male: è quindi un luminoso esempio di fede.
Agli autori del Nuovo Testamento la figura di Isacco richiama la figura di Cristo, il figlio prediletto di Dio Padre, come Isacco lo era di Abramo. Isacco viene posto su un altare come un agnello sacrificale e anche Gesù è chiamato da Giovanni Battista “l’Agnello di Dio”. Isacco viene offerto in sacrificio dal padre, come Gesù viene offerto in sacrificio da Dio suo padre per la salvezza dell’umanità. Isacco caricato della legna che cammina verso il luogo del sacrificio, prefigura Gesù Cristo caricato della croce che sale verso il monte Calvario. Il giudaismo evidenzia nel sacrificio di Isacco soprattutto l’aspetto della sofferenza, perché è terribile questo gesto richiesto da Dio. Durante il capodanno ebraico si legge questo episodio per chiedere misericordia a Dio perché non vengano sacrificate le sue creature.
Per i Musulmani, nel Corano, Abramo è chiamato amico di Dio perché ha insegnato all’umanità il culto del Dio unico e ha dato l’esempio di una sottomissione eroica mostrandosi disposto a sacrificare suo figlio a Dio. Gli Islamici celebrano la figura di Abramo in una festa detta del “montone”, in cui le famiglie sono invitate a sacrificare un montone per ricordare il fatto che Isacco è stato risparmiato e sostituito con un ariete.
La religione di Maometto celebra Abramo come il primo “sottomesso” a Dio. Il figlio di Abramo e della schiava Agar, Ismaele, diventerà il capostipite degli Arabi. Agar e Ismaele sono sepolti addirittura nella Kaaba della Mecca.
Il racconto del sacrificio di Isacco, pur essendo molto enigmatico e lasciando anche sconcertati per il modo con cui viene espresso, serve a spiegare che Dio non vuole sacrifici umani. Anche quando non si capisce Dio, bisogna fidarsi di lui. Abramo era circondato da popoli che compivano sacrifici umani e quindi forse si è posto questo problema. Il racconto serve a dare una risposta.
Corso di Ileana Mortari
(cfr. il sito www.chiediloallateologa.it