Corpus domini, festa dell’alleanza
Divo Barsotti

Siamo un solo corpo
Dio si ordina totalmente a ciascuno di noi
(…) Dio è uomo in Cristo Gesù. È questo che ci insegna proprio la festa di oggi. Oggi si tende un po’, c’è questo pericolo, a risolvere la presenza del Cristo nella Chiesa, nella istituzione ecclesiastica, nella comunità, nell’assemblea, cioè in qualche altra cosa come nell’umanità, nei poveri. In questa risoluzione noi, veramente, non soltanto perdiamo il Cristo, ma perdiamo noi stessi. Bisogna renderci conto che il Verbo di Dio, il Cristo, non può essere risolto in nulla. Tutte le cose, piuttosto, acquistano una loro realtà in Lui stesso: non è cioè il Cristo che si risolve in socialità, ma è la società che diviene reale, vera, solo in Lui, Cristo Gesù. Non è il Cristo che risolve la Chiesa, è la Chiesa che, se vuole sussistere, è Lui o non è nemmeno la Chiesa. Cristo è veramente al disopra di tutto, trascende ogni cosa ed è Lui che dà realtà ad ogni cosa.
Che cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che io ho bisogno, per vivere le mie nozze eterne, d’incontrarlo coi miei occhi, di toccarlo con le mie mani, di ascoltarlo con le mie orecchie, come dice l’apostolo Giovanni nella sua Prima Lettera: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita…noi lo annunziamo anche a voi…”; la presenza reale del Cristo!
Vorreste voi che Nostro Signore, amandoci, ci trasformasse soltanto in una pappa, in una colla? A che mi serve? O l’amore termina nella persona o non è amore. Non è nemmeno un amore, non dico divino, ma nemmeno umano, perché l’amore umano termina nella persona. Ma anche il mio amore deve terminare in una persona e la persona è la presenza del Verbo. Questo è il contenuto della festa di oggi: la presenza reale del Cristo sotto il segno del pane, sotto il segno della Comunità, sotto il segno del Vangelo, sotto il segno dei poveri, ma sempre Lui, il Figlio di Dio. Bisogna rendersi conto di questo. Si parla troppo poco, oggi, della persona reale. Il mistero cristiano è mistero di nozze. Il Cristo si dona realmente a ciascuno, e ciascuno può vivere con Luì il rapporto più personale, il più intimo ed eterno. È questa la salvezza vera dell’amore. Non è vero che non vi è altra salvezza di quella che può operare l’amore? E questo amore è eterno ed infinito.
Prima Cristo…
Ora, queste nozze eterne che io debbo vivere implicano che io sia: se così non fosse, Nostro Signore chi ama? Se cessa l’amato, cessa anche l’amore. Dio e l’uomo. L’uomo e Dio. L’uomo sono io; l’altro è il Cristo, il Figlio di Dio. Voi mi dite: ma allora gli uomini, in questa unione con Lui, non vengono distrutti? No! É questo il mistero di una presenza reale del Cristo nel quale ciascuno di noi è più che in sé medesimo. Io non posso né vedere, né salvare nessuno di quelli che amo, se non li ritrovo in Lui. Veramente anche gli altri non li amo che in Cristo Gesù, non li ritrovo che in Cristo Gesù. Prima di tutto, dunque, s’impone per me il trovare Lui. Se trovo gli altri prima di Lui, è un’immagine falsa, imperfetta. Dice san Paolo: tutte le creature sussistono, cioè trovano la loro realtà nel Cristo Verbo di Dio. Questo, che è vero per le creature in sé, è vero massimamente per le persone. Ognuno di noi è in quanto è Lui. Egli è l’idea archetipo di tutte le creature, in ognuno di noi.
Per venire, dunque, al punto fondamentale di questa meditazione, noi dobbiamo vivere un rapporto reale, concreto, personale, con Cristo Gesù. Dobbiamo maneggiarlo nelle nostre mani, cullarlo con le nostre braccia. Non è questo, in fondo, tutta la vita cristiana dei nostri santi? Il Cristo è mai stato un mito per loro? È mai sfumato in una pura idea, in una pura norma teologica o morale? È mai sfumato in una legge? Se il Cristo si risolve in un mito, in una legge astratta, tutte le cose perdono la loro realtà perché, se è vero quello che diceva san Paolo, la realtà dì tutte le cose trova il suo fondamento solo nella realtà del Verbo fatto presente in Cristo Gesù.
Di qui ne deriva che io debbo vivere un rapporto personale con Lui ed importa che Egli sia qui, sia realmente presente e che io Lo veda. Cristo Signore; Lui, Figlio di Dio, Lui la verità, Lui reale. Lui dona realtà e vita a tutte le cose, ad ogni amore anche terreno, ad ogni gioia umana, a tutto quello che è positivo nella vita dell’uomo. Dobbiamo vivere soltanto per Lui. È questo che deve distinguere il cristiano di oggi e se esso non ritrova questa presenza reale di Cristo, non troverà più modo di salvare la sua fedeltà alla Chiesa che risulta per lui alienazione; non troverà più modo di salvare nessun valore umano, nemmeno l’amore umano perché anche questo sarà alienazione. Dobbiamo quindi incontrarci con Cristo Gesù.
La festa di oggi ci dice che Cristo è presente realmente. Non è andato in Cielo. L’ascensione del Cristo alla destra del Padre non è un allontanamento del Cristo dall’uomo; è piuttosto una presenza che è intima a ciascuno dì noi. L’ascensione gloriosa è soltanto la partecipazione dell’umanità del Cristo agli attributi che sono propri della Sua divinità. E come Dio è invisibile all’uomo per eccesso di luce, perché l’uomo non ha la capacità di accogliere l’infinita luce di questa verità senza fine, che è Dio, così l’uomo, ora, non ha la capacità dì vederlo coi propri occhi ma ora Egli è presente, Egli è qui. Adesso noi dobbiamo vivere il nostro incontro con Cristo; tutta la nostra vita non deve essere che questo incontro con Lui, questa comunione viva con Lui. Questa è la vita cristiana.
… e in lui l’universo intero
Potremo vivere l’incontro con Cristo attraverso la processione, con l’adorazione davanti al Santissimo Sacramento, con quello che volete, in tanti modi: ma quello che è il contenuto reale, vero, distintivo della vita cristiana, non è altro che questo rapporto personale col Cristo Figlio di Dio. Possiamo viverlo in diversi modi, come facevano nell’Ottocento o nella forma, che è diversa, di oggi. Ma se viene meno il rapporto col Cristo, viene meno la Chiesa. Sì, la Chiesa, se cessa di essere per me il Cristo, è un’impalcatura vuota. Io voglio vivere il mio dono a Cristo nella Chiesa che è il Cristo presente. Il Cristo è tutto; fuori di Lui non c’è nulla. Fuori di Lui è sacrilega ogni immagine che voglia sostituirsi al Figlio di Dio. È soltanto il Cristo che assicura la mia verità di dedizione alla Chiesa, di venerazione al Papa. Il Cristo solo. Perciò, dico, non è il Cristo mai che si deve risolvere nella istituzione, nella morale, nella teologia. Ma la teologia è la traduzione di questa presenza, traduzione concettuale; così, la morale sarà soltanto la traduzione del mio rapporto con Lui, e sarà un rapporto di fedeltà, di umiltà, di amore, di purezza. È chiaro. Se il Cristo è vivente io non posso non essere puro, perché se non sono puro, non amo. Tutto il mio rapporto col Cristo è anche quello che definisce tutta la morale, tutta la teologia, così come il mio rapporto con la Chiesa e con gli uomini. Guai se perdo di vista Lui; guai se Lui si fa da parte per me; guai se qualche cosa si sostituisce alla Sua presenza viva.
Il Cristo! Ecco il Corpus Domini! Noi celebriamo la solennità di questa presenza reale nella quale ci troviamo, con la quale viviamo. Dobbiamo vivere questo rapporto e sentirlo in un modo sempre più concreto e reale. Non parlare di Gesù, ma parlare a Lui perché, anche questo è vero, si rischia sempre di trasformare Dio in un idolo quando si parla di Dio e non si parla a Dio, proprio perché la vita religiosa è essenzialmente un rapporto personale. Nella misura che tu non vivi un rapporto personale, Dio tende di per sé a divenire, per la tua intelligenza, una norma e un ideale astratto di santità, a divenire un mito.
Il vero teologo è colui che prega. La vita religiosa è un rapporto di amore. Il fine dell’uomo è un fine religioso. La vita dell’uomo non può essere altro che un rapporto di amore. E lo è. Prendete, infatti, la letteratura: non fa altro che cantare l’amore, anche troppo, diceva Manzoni. È vero, perché la vita dell’uomo è, in gran parte, un rapporto d’amore: di sposi, di madre, di figli. Ma tutto questo è significativo di un altro amore: se l’uomo è essenzialmente religioso, il suo amore non può essere che un rapporto con Dio, divenuto possibile soltanto nell’Incarnazione del Verbo. Noi possiamo dubitare che il nostro rapporto con Dio sia qualche cosa di reale: Dio non vive forse una solitudine infinita? Dio non è forse Colui che trascende infinitamente ogni esperienza umana, ogni concetto umano in maniera che, la parola dell’uomo, quando parla di Lui, risulta sempre menzogna? Tutto questo è vero se non c’è la rivelazione cristiana e se non c’è il Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ma per me, cristiano, non è possibile accettare tutto questo. Dio si è fatto realmente presente. Non ci si può fermare all’atteggiamento buddista per il quale, se Dio non ha parlato, non si può dire che Dio c’è o non c’è; se c’è una vita eterna o se non c’è. Si deve tacere. Il concetto umano tradisce la trascendenza; nello stesso momento che tu la vuoi imprigionare, tu la tradisci e la riduci alla tua portata. Perciò l’atteggiamento più fedele al mistero è quello del puro silenzio. Capisco questo atteggiamento nel buddismo e lo trovo logico, conseguente.
Ma se Dio ha parlato, Egli stesso fa sì che la parola dell’uomo divenga il segno della Parola di Dio. Certo che la parola dell’uomo non si identifica alla Parola di Dio; tuttavia sono inseparabilmente congiunte, una volta che Dio ha voluto incarnarsi. C’è un fatto: il mistero della rivelazione, dell’Incarnazione di Dio. Ora, ecco, se la mia relazione con Dio è impossibile sul piano naturale – ed ecco il buddismo – , nel piano in cui ci ha posto la rivelazione di Dio, non soltanto è possibile, ma diviene il contenuto stesso di tutta la vita: Dio si è fatto realmente presente in Cristo Gesù. San Pietro, quando parlava a quell’uomo che era figlio di Maria, con chi aveva rapporto? Il figlio di Maria era l’umanità in generale o era una persona che sussisteva in questa natura umana? Questa persona era la Persona del Verbo; Maria entrava in rapporto con questa Persona quando toccava Gesù, quando Lo accarezzava, quando Lo teneva sopra le sue braccia. E San Pietro lo stesso, aveva rapporto col Figlio di Dio, quando parlava al Figlio di Maria. Il rapporto è stato possibile. Si noti bene: i rapporti in Dio non sono altro che Dio: infatti, se vi sono rapporti in Dio, sono quelli che costituiscono le Divine Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Come è possibile vivere in rapporto con Dio?
Come c’entriamo noi? C’entriamo per il fatto stesso che Lui liberamente è entrato nel mondo umano, si è fatto uomo perché noi potessimo entrare in rapporto con Lui. Ed Egli è entrato in rapporto con noi. Egli, infatti, ci ha risanati, è morto per noi. Viveva in rapporto col Padre, in questo rapporto con noi, e noi ugualmente ora possiamo vivere con l’umanità che Egli ha assunto.
Ora, ecco, che rapporto viviamo con Dio? Oh, è semplicissimo. Avete mai considerato i rapporti in Dio? Suppongono l’unità della natura, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ma lo sposo sceglie una della propria famiglia, una sorella, una della propria natura, della propria carne, o va a prendere la propria sposa al di fuori, in un’altra famiglia? Va fuori di casa a prenderla. Ora, ecco, Dio è in rapporto con l’uomo; non è un rapporto di Padre e Figlio, che suppone la stessa natura, ma è un rapporto nuziale. Il Verbo di Dio è disceso al di fuori del seno del Padre per incontrare la sposa che è ciascuno di noi e si è donato a ciascuno di noi. La sposa è al di fuori della propria famiglia ed è questa sposa che, invece, ora è portata, mediante l’unione nuziale del Verbo, nella casa del Padre. Divenuti una sola carne, un solo spirito con Lui, noi entriamo a far parte della famiglia di Dio, noi entriamo nella casa del nostro Sposo, nel seno di Dio. Non è vero? La nostra casa è precisamente il seno di Dio. È la sposa che entra liberamente, gratuitamente: non le apparteneva quella casa. Questo è il contenuto del cristianesimo che suppone la realtà della presenza del Cristo. Vivere questo.
Ecco quello che chiede la festa di oggi, la festa dell’alleanza. Tanto la prima Lettura quanto il Vangelo richiamano l’alleanza. L’alleanza, secondo i Profeti e secondo il IV Vangelo, è data dalle nozze, dalle nozze del Figlio di Dio con l’uomo. Vivere queste nozze vuol dire vivere un rapporto reale che realizza l’unità e suppone l’attualità. Dobbiamo essere uno, ma in due; dobbiamo essere due per essere uno. Tutto questo implica non avere nulla che non sia e dell’uno e dell’altro, e l’unità dell’amore suppone la presenza reale. lo e Lui, il Signore. Ciò suppone realmente la concretezza della Sua presenza nella mia vita. Quando la perdiamo, perdiamo la coscienza, l’esperienza della realtà e noi offendiamo coloro che amiamo, perché non li amiamo più nella loro realtà ultima, nella loro veracità finale. Io incontro veramente l’altro in Cristo Gesù. Anche quando una madre ama il figlio, se non lo ama in Cristo, non Io ama così da salvarlo, ma ne ama un’immagine ancora imperfetta, al di fuori della sua realtà vera. Certo, non è detto che noi dobbiamo aver presente questa realtà; dobbiamo però renderci conto che il nostro amore diviene veramente salvezza efficace per gli altri, opera un nostro rapporto verace con loro se noi li amiamo in Cristo Gesù, perché tutte le creature sono più in Lui che in sé stesse.
Dunque, la realtà della presenza del Cristo salva non soltanto noi, ma salva ogni nostro amore, salva realmente anche tutto il mondo. Di qui l’importanza che ha nel cristianesimo il mistero della presenza reale del Cristo.
È qui davvero il Paradiso perciò è Lui che è qui.
Vivere questo. Dobbiamo vivere sempre il Paradiso perché è vivere sempre l’amore nella sua perfezione ultima.