Se noi pensiamo a Dio, uno, noi allora dobbiamo dir che Dio non può essere in rapporto con le cose. E nemmeno in sé stesso è diviso, non può conoscere nemmeno sé stesso, perché il Dio uno è un Dio immutabile, ma fermo, si direbbe senza vita.

Di qui la necessità e l’importanza per noi di capire che se entriamo in rapporto con Dio, se Dio entra in rapporto con noi, è perché Egli è trino nelle persone, senza una moltiplicazione di rapporti dentro la Divinità che rimane come muta, rimane senza vita, senza conoscenza, senza amore.

Dante era cristiano, però, se voi leggete con attenzione alcuni passaggi della Divina Commedia, vedrete che Dante riconosce che il Dio uno è sì un Dio che è amato, ma che non ama. “L’amor che muove il sole e le altre stelle” è Dio in quanto muove le creature, le creature tendono a Lui perché in Lui trovano la loro perfezione, ma Dio non ha alcun rapporto con la creazione, nessun rapporto con queste anime che lo cercano perché è un Dio si direbbe morto.

Per vivere abbiamo bisogno di comunicare e la vita in Dio è la trinità delle persone.
Infatti Dio è Padre, ma se è Padre c’è il Figlio altrimenti non sarebbe Padre!
Avete mai visto voi qualcuno che fosse padre senza avere figli? Se uno è padre avrà un figlio, sarà un figlio adottivo, ma bisogna che sia un figlio senno dire padre è sbagliato.
Se voi mi chiamate padre vuol dire che vi sentite figli di questo stupido che sono io, se non vi sentite figli usate un linguaggio che non ha senso.

Ora Dio invece è Padre, Figlio e Spirito Santo e nel rapporto che si stabilisce fra ogni Persona divina e l’altra Persona correlativa è il principio e la pienezza di ogni vita perché ogni vita non può essere altro che una lontanissima partecipazione alla vita immensa di un Dio che è amore infinito, che si dona all’altra Persona e l’altra Persona che diviene amore ugualmente infinito che ritorna alla sua sorgente.

Vivere per partecipazione l’immensità divina

Noi tutto questo lo diciamo e lo viviamo, ma senza accorgercene: forse anche il sacerdote tante volte dice male l’oremus. Che cosa avete detto alla fine dell’Ora media? “Per il nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nello Spirito Santo…” Sempre la preghiera nel cristiano implica un entrare per noi in questo mirabile infinito, in questa corrente infinita di amore che passa dal Padre al Figlio e dal Figlio ritorna al Padre nell’unità dello Spirito Santo. Senza di questo la nostra preghiera non vale nulla! Per noi sarebbe impossibile stabilire un rapporto con Dio se non vivessimo una certa partecipazione alla vita di Dio, alla vita trinitaria.

Una mistica cristiana è sempre una mistica trinitaria, non è la mistica del Dio uno, perché la mistica del Dio uno è impossibile: se Dio è uno e non è personale rimane bellezza, rimane tutto quello che volete: grandezza, immensità, onnipotenza. Ma è un’immensità muta, una immensità come morta perché non entra in comunione con nulla, né nulla entra in comunione con essa.

Voi sapete infatti che stando alla creazione, senza che noi possiamo parlare di quella economia divina per la quale Dio è entrato in comunione con il mondo, con la creazione Dio non entra in rapporto con le cose, rimane nella sua solitudine infinita ed eterna. Magari sono gli uomini, secondo quello che diceva Plotino, che aspirano a Lui, ma Lui non aspira a nulla, Lui non vede nulla, Lui non ama nulla. L’amore di Dio implica l’amore del Padre al Figlio, l’amore del Figlio ai Padre nell’unità dello Spirito Santo.

Vivere dunque l’esperienza di Dio vuoi dire vivere questo nostro entrare misteriosamente nel mistero stesso di Dio, la nostra vita non può essere altro che una partecipazione lontanissima ma reale, alla vita stessa di Dio: e Dio è vivente ! È vivente proprio perché è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Dio per mezzo del Figlio si comunica al mondo nello Spirito Santo

Voi vedete l’importanza che hanno certi misteri, che sembrano lontani dalla nostra vita e, invece, senza di questi, non si capisce nulla. Se Dio non fosse Trinità sarebbe un Dio morto: d’altra parte ogni persona divina è tutto Dio ed è un unico Dio.

Parlare dell’esperienza di Dio vuoi dire parlare di questa esperienza dell’uomo che conosce Dio come trino, lo ama partecipando all’amore infinito che passa da una Persona divina all’altra Persona correlativa.

Di fatto chi è Dio per noi? La preghiera cristiana come si esprime? Precisamente si esprime in tal modo che noi comprendiamo che nessun rapporto è possibile nell’uomo verso Dio se non in quanto Egli è il nostro Padre.

Lo sapete il Padre nostro? Lo conoscete? La preghiera cristiana già ci mette di fronte al Padre: non di fronte alla immensità, perché davanti all’infinità si rimane muti. Ma se questa infinità, ma se questa immensità è il Padre tuo, tu vivi una certa partecipazione a questa immensità divina, tu vivi una certa partecipazione a questa sua santità infinita.

La cosa importante è questa: la vita implica un rapporto. Dio è rapporto infinito di amore nelle tre Persone divine. Dio si partecipa e in Sé medesimo Dio partecipa Sé stesso. Piuttosto che partecipare, dona Sé stesso, travasa Sé stesso dal Padre nel Figlio e fa sì che il Figlio poi totalmente ritorni al Padre nell’unità dell’amore, ma di un amore che di per sé non esiste: è una comunione di vita! L’amore è unione!

Parlare di esperienza di Dio vuol dire dunque parlare dell’esperienza che noi dobbiamo avere di questa nostra partecipazione alla vita divina. Come avviene questa partecipazione alla vita divina? Come è possibile che avvenga questa partecipazione alla vita divina? Se la vita divina si esprime e si fa presente nella trinità delle persone, come noi viviamo la vita di Dio? È semplice! Tutto il mistero della vita soprannaturale nasce da questa verità: dal Padre, per mezzo del Figlio, Dio si comunica al mondo nello Spirito Santo.

Nello Spirito Santo, per mezzo del Figlio, tutta la creazione ritorna in Dio

Il Padre dunque è all’inizio della vita spirituale ed è al termine: all’inizio perché tutto procede da Lui, alla fine perché tutto a Lui ritorna ed in Lui tutto trova riposo. Tutto dal Padre procede, infatti dal Padre è generato il Figlio di Dio. Il Figlio di Dio non sarebbe Figlio se non ci fosse il Padre. È il Padre che si travasa in qualche modo nel Figlio unigenito, ma il Figlio unigenito non vive in sé. È Figlio e pertanto, vive in rapporto col Padre; perciò tutto il Figlio vive ora nella contemplazione del Padre, vive nel donarsi al Padre.

E tutto questo come avviene? Nell’unità dell’amore, non dell’amore del Dio uno, ma nell’amore che è proprio della vita delle Persone divine in quanto vivono e in quanto sono questa comunione immensa di amore, questo braciere infinito, questo incendio di amore che è la vita intima di Dio.

Allora, vedete, che cosa è la vita spirituale cristiana? Se vogliamo conoscere l’esperienza di Dio dobbiamo dire chi è il Padre? Come vive il Padre per me? Come il Padre si comunica a me? Di fatto, voi lo vedete, la preghiera della Chiesa e sempre rivolta a Dio Padre, pochissime volte è rivolta al Figlio e quasi mai allo Spirito Santo, almeno nell’Oremus. Non c’è nemmeno un’Oremus che abbia come termine lo Spirito Santo, come Persona della Trinità alla quale mi rivolgo. Ci sono le Sequenze, ci sono i Responsori che possono dire: “Vieni o Spirito creatore, vieni Santo Spirito” ma non è la preghiera ufficiale, la preghiera della Colletta. Nell’Oremus è sempre il Padre perché non posso entrare in rapporto con Dio che in quanto sono figlio.

Ecco l’importanza della nostra divina adozione filiale! Se non fossimo figli, noi saremmo totalmente sconosciuti a Dio e Dio sarebbe totalmente sconosciuto a noi, non ci sarebbe nessuna, nessuna possibilità di stabilire un qualunque rapporto con Dio. Perché capite, se noi fossimo in rapporto con Dio, indipendentemente dal Padre che cosa succederebbe? Succederebbe che la Trinità sarebbe Padre, Figlio, Spirito Santo e Divo Barsotti. Ma non è così! La teologia non vede questa possibilità. Rimane la Trinità delle Persone divine, non si aggiunge nessuno ma le persone create possono partecipare della vita della Trinità.

Come fanno a partecipare della vita della Trinità? Vi ho detto sempre che vi è un abisso infinito fra la creatura ed il Creatore: se ora dico che l’uomo non può entrare in rapporto con Dio se non vive in Dio, questo vivere in Dio come è possibile, dal momento che l’uomo non potrebbe mai superare l’infinita distanza che lo separa da Dio? È semplice! Perché Dio si è fatto uomo!

Il Creatore si è fatto creatura

Voi capite, e per me è assolutamente certo, ma se togliete l’Incarnazione del Verbo e la Trinità di Dio, non esiste religione, non può esistere nulla, nulla, nulla! Ma se esiste l’Incarnazione, se veramente l’Incarnazione è un fatto reale, allora essa diviene il fondamento di ogni vita religiosa. Cosa implica infatti l’Incarnazione? Una cosa meravigliosa, la cosa più bella e stupenda che si possa pensare. Una bambina, qui ci sono anche delle persone abbastanza giovani, ma la Madonna è la più giovane di tutti voi: non c’è nessuno qui che abbia 14 anni, Maria Santissima aveva 14 anni. Non aveva studiato: voi avete studiato o almeno siete andati alle elementari, Maria Santissima no. Ebbene questa bambina può dire ora a Dio: “Tu sei mio Figlio”, perché era Figlio di Maria ed era Dio; cioè l’Incarnazione ha reso possibile un rapporto. Facendosi uomo, Dio si fa Figlio di Maria.

È un rapporto essere figli. Dio diviene Figlio dell’uomo, Figlio della Vergine. La Vergine diviene la Madre di Dio. L’Incarnazione è il fondamento di ogni vita religiosa perché è per mezzo dell’Incarnazione che noi ora possiamo entrare in rapporto con una Persona divina, con la Persona del Figlio. Noi entriamo in rapporto con la Persona del Figlio perché nel Figlio noi siamo generati dal Padre, dal Padre dunque per la sua volontà, per suo decreto Egli genera il Figlio non più nell’eternità, ma nel ventre di una bambina.

La vita cristiana è questo. Dio che entra dentro di noi, ci fa partecipi della filiazione del Figlio di Dio. Voi capite allora che la nostra vita è una partecipazione, anche se infinitamente lontana, alla vita stessa di Dio. Il Padre è Padre mio perché sono figlio adottivo, ma non come nel mondo. L’adozione filiale ci fa partecipi della natura divina, siamo in qualche modo trasformati. Il Padre ci genera nell’atto stesso in cui genera il Figlio suo. Dice infatti la sacra scrittura: “Ci generò nella Parola, nel Verbo della verità, cioè nel Figlio.” Generando il Figlio di Dio, il Padre genera anche noi, ma capite che cosa vuol dire questo? E come è possibile che non impazziamo?

C’è davvero da impazzire! Vuol dire che Dio, nella sua infinita grandezza, Dio, il Padre, tutto si travasa in me: io non posso riceverlo perché sono una creatura, ma da parte di Dio non c’è una partecipazione, da parte di Dio, in quanto Dio è ed è infinitamente semplice, egli si dona tutto o non si dona. È l’uomo che dà una misura al dono di Dio, nella sua fede, ma se l’uomo fosse capace di una fede che lo rendesse capace di accogliere l’infinito, accoglierebbe l’infinito, perché Dio quando si dona non si può dare per parte: se si potesse dare per parte non sarebbe più Dio perché non sarebbe l’Essere semplicissimo che non si divide, l’Essere semplicissimo che non si moltiplica, l’Essere semplicissimo che è Uno e che è infinito.

Ora, la vita spirituale: prima di tutto è questo essere generati. Ecco una delle cose più grandi! Vivere la vita cristiana vuoi dire questo: accogliere Dio in te, Dio che si comunica a te.

Si è detto qualche volta che la vita cristiana ha una analogia con la vita umana, anche con la vita sessuale: ma è vero questo perché di fatto il primo atto della vita cristiana implica che il Padre celeste, comunicando a me la sua parola che è seme, concepisce questa parola in me e il Cristo nasce da me. Non è più il Figlio di Dio nella sua natura divina, ma è il Figlio di Dio stesso nella natura umana che ha assunto. È una natura dunque che dice non più l’infinità di Dio, ma una partecipazione reale da parte dell’uomo alla vita intima divina. Il Padre ci genera nel Figlio suo!

L’eterna generazione del Figlio al Padre: essenza della nostra vita spirituale

La generazione del Verbo nell’eternità, è una generazione nella quale io sono coinvolto. È come un fiume che trascina con sé tutti gli arbusti, tutti i sassi, ed anch’io sono quei sassi. Ma questa corrente infinita di amore non può non trascinare con sé, portare con sé tutto l’universo nel seno del Padre, perché il Padre si comunica a tutto l’universo nel dono della parola, del seme. E col seme, con la parola, il Verbo viene concepito. Non vive più soltanto nel seno del Padre, vive nel seno di Maria, nel ventre di Maria. Pensate: dal seno del Padre, per nove mesi, vive nel seno della Vergine! Eppure è il Figlio di Dio ed è più dell’infinito, è Dio stesso.

Egli vive nel ventre di una donna e così noi dobbiamo vivere la vita spirituale. Ci basti pensare questa cosa: siccome Dio è eterno, e Dio non può compiere un atto che finisce perché l’atto suo è un atto di eternità, ne viene che il Padre ci comunica in questo momento il suo Figlio. Vivere la vita spirituale vuol dire dunque accogliere in noi il Verbo di Dio, vuol dire accogliere in noi il Padre celeste che si comunica a noi nel Figlio suo. Io non posso sentirmi separato, dipende da me se voglio accettare o meno il Figlio di Dio, ma il Padre mi dona costantemente, in un atto unico, eterno, suo Figlio che diviene mio Figlio. Egli vive in me.

La prima cosa della vita spirituale è questa: è un atto del Padre che comunicandoci il Figlio suo, vive in noi e ci fa suoi figli. Questo atto è tutta la vita. Io lo posso vivere mentre faccio la prima colazione, lo vivo in questo momento che vi parlo, lo posso vivere quando prego più attentamente, sottraendomi ad ogni altro pensiero o ad ogni altro atto.

Ed è questo che dice la vita cristiana: siccome l’atto divino è un atto unico che dura eternamente, è necessario che la vita cristiana tenda sempre più all’unità e diventi sempre più una sola cosa, e non invece molteplicità di fatti, di devozioni, di preghiere. Noi abbiamo bisogno di una certa molteplicità perché abbiamo bisogno di risvegliarci ogni volta, però in una visione non nuova nel senso, ma nuova nella forma; allora ci risvegliamo un po’, altrimenti l’abitudine fa sì che perdiamo il contatto con questa verità così grande.

Però, di fatto se l’atto del Padre è unico ed eterno, l’atto nel quale Egli genera il Figlio genera anche noi nel Figlio suo. Se questo atto è eterno, vuole dire che in ogni momento io posso accogliere Dio. Non si tratta di accogliere qualsiasi grazia, di essere più buoni, ma di accogliere Dio, Dio stesso che si comunica a noi in questo momento… domani, oggi, in ogni istante della mia vita, se cammino, se dormo, se cammino, se sto fermo, se mangio, se bevo. Sempre e comunque vivere questo atto.

È forse anche l’atto di una madre che genera il suo bambino? No, è qualche cosa di più e di molto più grande ancora, perché quello che viene generato in Maria è il Figlio di Dio che diviene sì, suo Figlio, ma rimane anche Figlio di Dio. Maria santissima è la genitrice di Dio, e la Madre di Dio. Questo Figlio di Dio che è anche Figlio di Maria, lo è pienamente, perché la Vergine santa ha vissuto una fede che supera la perfezione di fede di tutte le altre creature.

La santità di Maria dipende dalla sua fede, perché tanta è la fede dell’uomo, tanta è la capacità dell’uomo di accogliere Dio. Si tratta di accogliere Dio in ogni istante, di accogliere Dio che è l’infinito. Non avremo mai una fede così grande da poterci aprire ad accogliere in noi l’infinito, così da poter vivere pienamente la vita di Dio. Ma comunque non vivremo mai come ha vissuto Maria, perché la fede della Vergine è quello che maggiormente fa di Lei la creatura più santa di tutte le creature.

La nostra santità non è nostra, sarebbe un errore dire che la nostra santità è qualcosa di nostro, perché la prima cosa che fa Dio è togliere la proprietà: tutto è Lui, tutto deve essere Suo. Non si tratta dunque di volere una nostra santità, si tratta di accogliere la santità di Dio, ed è quello che noi viviamo: se noi viviamo la Santa Messa, non riceviamo forse il Corpo, il Sangue, l’anima e la divinità di Cristo Signore? L’esperienza, dunque, di Dio, esige che noi in qualche modo entriamo nel mistero della vita intima di Lui, entriamo nel mistero della vita di Dio per la volontà positiva, ma infinitamente libera, di Dio che vuole comunicarsi al mondo. E Dio si comunica al mondo precisamente nel medesimo mistero nel quale il Padre si comunica al Figlio e il Figlio ritorna al Padre nell’unità dello Spirito Santo. Non c’è altro! Tutto qui.

Se poi, nell’Incarnazione, noi vogliamo capire il perché della morte di croce, la cosa è semplice, perché divenendo un solo uomo con tutti noi, Gesù deve assumere non solo la nostra natura, ma i nostri peccati, deve assumere la nostra responsabilità di peccato. Tutti i peccati del mondo si rovesciano su di Lui, non in quanto Egli pecca, ma in quanto subisce il peso di tutta la responsabilità umana che lo fa schiavo, condannato alla peggiore delle sentenze, perché la crocifissione era propria degli schiavi (san Paolo, pure condannato, non viene crocifisso, perché era cittadino romano). Gesù è lo schiavo che si addossa tutto il peso dei peccati, ma è sempre lo stesso Figlio di Dio che, facendosi uomo, si fa uno con tutti noi ed uno con noi non può farsi che assumendo la responsabilità universale.

Però prima di parlare di Gesù parliamo appunto di questo primo atto, del primo aspetto di questa vita spirituale: è il Padre che genera il Figlio, è il Padre da cui procede lo Spirito Santo, insieme al Figlio. Ecco, la prima cosa è questa. La vita spirituale ci riporta a vivere la generazione eterna del Figlio al Padre. La nostra vita spirituale non può essere una generazione dall’eternità perché non c’eravamo. Non può essere dunque eterna da prima, cioè non è eterna in noi perché non siamo nati all’origine, ma è eterna per il futuro… la morte non esiste! Veramente questo atto per il quale Dio si dona rimane in eterno. La morte non tocca quell’atto di Dio: noi viviamo.

Si tratta di vivere questo accogliere Dio in noi. Pensate: è Dio che dobbiamo accogliere ed in ogni istante, anche ora Egli è qui! Ogni istante può essere una comunione spirituale nella quale il Padre si comunica a noi, si dona a noi, come dice il Vangelo di Giovanni e come tante volte ripete la liturgia nella Messa: il Padre genera il Salvatore e lo Spirito Santo, dice la liturgia. Tutto qui: il Padre che ci dona il suo Figlio.

Il dono dei Figlio per la nostra vita eterna

Ci dona suo Figlio perché ci fa una cosa sola con Lui, ci dona suo Figlio perché fa sì che il Figlio che è generato da Lui venga in noi, venga in noi ad essere concepito come uomo. Ed ecco allora qui, Maria, che è una donna in carne ed ossa.

Però se anche si comunica ad una creatura già esistente, la comunicazione che fa Dio di Sé a questa creatura è la comunicazione del Figlio di Dio: ne fa una sola cosa con il Figlio di Dio, generando il figlio di Dio in Lei, per Lei. Si tratta dunque di accettare questo dono di Dio.

Ecco, vedete come è semplice la vita cristiana: è la Trinità santa che in qualche modo si riflette, non so, come uno specchio: qua c’è la realtà del Dio uno e trino, ma la realtà del Dio uno e trino si riflette nella sua luce sullo specchio della creazione, e la creazione sono io nella misura in cui la mia anima è tersa e la mia anima vive nella fede la riflessione di questa luce che viene dal Padre. Ed essa si riflette in questo specchio che è la mia anima e io divengo uno come ciò che è stato Gesù, ma in modo diverso. Divengo come il sacramento della sua presenza, perché Dio in Sé non lo conosco, Dio in Sé non lo posso vedere, ma lui si riflette in me e in me lo riconosco.

Ed è per questo, vedete, che noi se conosciamo Dio, non lo conosciamo in Sé stesso, ma lo conosciamo in Cristo Gesù. Ve lo ricordate quello che dice il prologo nel Vangelo di Giovanni? “Iddio, nessuno lo ha mai visto, l’unigenito Figlio che è nel seno del Padre Egli ce lo ha rivelato”. Perché Lui che è infinito mistero nell’azione del Figlio incarnato nel ventre di Maria, si rende presente, perché chi è vissuto al tempo di Gesù lo ha visto e vedendo Lui ha veduto il Figlio di Dio. La rivelazione che noi abbiamo di Dio è questa rivelazione riflessa. È Dio che in qualche modo si riflette nello specchio della creazione.

Perciò noi diveniamo, e questa è la missione del cristianesimo, la prima missione del cristianesimo, diveniamo testimoni di questa presenza, diveniamo sacramento che rivela al mondo Dio medesimo. Dio in Sé rimane puro mistero, ma Dio comunicandosi all’uomo, fa ora dell’uomo lo specchio in cui si riflette la divinità perché Dio, generandoci come figli, non distrugge la nostra natura umana, ma si manifesta nel nostro corpo mortale, si manifesta nella nostra vita umana semplice e povera, ma è sempre Lui ed è soltanto Lui.

Ecco la prima cosa che vorrei che voi meditaste: l’esperienza di Dio è l’esperienza della vita trinitaria in quanto si riflette e si comunica misteriosamente, in un certo modo, al mondo. Dobbiamo allora capire una cosa: che la vita spirituale ha principio in Dio e non in noi, nella nostra volontà, ma nella onnipotenza del Padre che, solo, agisce. È Lui che inizia la nostra vita, è per Lui che la nostra vita può proseguire, sempre in dipendenza da Dio. È stolto pensare che noi possiamo camminare verso Dio: è Lui che ci porta, è Lui che discende fino a noi e ci unisce a Sé ed è Lui che traendoci a Sé ci solleva poi al Padre nel Cristo.

Ma la cosa che vorrei che vi rimanesse è proprio questa: rendetevi conto della nostra dipendenza da Dio fin dall’inizio. Non c’è principio nell’uomo alla sua vita spirituale: il principio, l’arché, la sorgente, è il Padre celeste. Dal Padre, ricordatevi la formula che è molto semplice ed è facile da ricordare, dal Padre, per il Figlio nello Spirito Santo, Dio si comunica al mondo. Dal Padre: ecco la sorgente di tutto l’archè, ma il Padre non si può comunicare che per mezzo del Figlio e nel Figlio medesimo, nel Figlio che si fa uomo, nel Figlio che, non cessando di essere Figlio di Dio, diviene anche Figlio dell’uomo, diviene nostro fratello, diviene nostro sposo pur rimanendo Figlio di Dio. Ma il fatto che noi siamo un solo figlio e perciò riceviamo il Padre in noi e viviamo in questa unione col Padre la nostra filiazione divina, tutto questo non può avvenire che per opera dello Spirito Santo.

Perché, chi è lo Spirito Santo? Ecco un’altra cosa che dovremmo dire: ha un nome lo Spirito Santo o non ha nome? Noi diciamo: Spirito Santo; dunque ha un nome! Eh no, perché anche il Padre è Spirito e anche il Padre è Santo, anche il Figlio di Dio è come il Figlio e come il Padre, cioè è Spirito anche il Figlio di Dio ed è Santo anche il Figlio di Dio. Il termine Spirito Santo è un termine generico di per sé, ormai si usa questa espressione per parlare dello Spirito Santo perché l’ha usata anche nostro Signore, però nostro Signore ha detto anche che Egli è il Paraclito, il consolatore.

Il nome vero, secondo San Basilio, dello Spirito Santo sarebbe il dono. È Dio infatti che per mezzo dello Spirito Santo si dona, si riversa verso di noi. Noi non abbiamo alcun diritto di possedere Dio, ma Dio si comunica a noi nello Spirito Santo, nel dono che Egli fa di Sé stesso: questo sarebbe il dono!

Vorrei che voi vi fermaste soltanto a questa considerazione che è totalmente, come dire, comprensiva di tutto il mistero, di tutta la vita spirituale. Cioè di come nella Trinità divina il Padre è l’archè è la sorgente perché è dal Padre che è generato il Figlio ed è dal Padre per il Figlio che procede lo Spirito Santo, ma sempre dal Padre. Così anche nella vita spirituale tutto nasce dal Padre che per mezzo del Figlio che Egli ci dona, ci unisce a Sé nello Spirito Santo.

Vivere per riportare a Dio tutti i suoi doni

Perciò ritorna l’espressione che dicevo prima: dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, Dio si comunica al mondo. Si comunica a me, si comunica a voi, sempre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, ma sempre il Padre. Però, se Dio si comunica a noi, ora noi diveniamo capaci di comunicarci al Padre. Il Padre ha bisogno poiché ha donato Sé stesso nella generazione del Figlio in noi e dunque sarebbe senza il Figlio. Ma ecco ora, invece, il Padre riceve il Figlio attraverso di noi. La vita spirituale ora diventa una risposta a Dio che esige da noi Sé medesimo.

È Dio che ora esige da noi il suo Figlio ed è questo che fa la Chiesa. Ma che cosa fa realmente la Chiesa? Dona il Figlio al Padre! Senza il dono della Chiesa il Padre sarebbe senza il Figlio, cioè Dio esige da me Sé medesimo, Sé medesimo infinito! Da te, Dio medesimo, Sé infinito reclama, da te, da ciascuno di noi! Dio infinito, Dio medesimo Sé infinito reclama! Ed ecco allora tutta la vita spirituale, Dio aspetta da noi la sua vita, aspetta da noi Sé medesimo infinito, perché avendo donato Sé stesso nella generazione del Figlio non può fare senza.

E quale sarà l’atto della Chiesa? Il resto sono tutte cose importanti ma non risolvono nulla. La vita della Chiesa tutta si raccoglie nel fatto che io celebro la Messa. Cosa è la Messa? È il dono del Figlio al Padre. È una offerta!
Se leggete il canone romano, la prima preghiera eucaristica, tante volte si parla di offrire, offrire, ma che cosa offri? Il pane e il vino? Ma che cosa se ne fa nostro Signore? Scusatemi tanto! No, da te Dio vuole Sé stesso, non può volere che Sé stesso. Dio, d’altra parte, non è che questa volontà di essere Lui, perciò tutta la volontà di Dio di essere Sé medesimo ora, diviene esigenza con la quale Egli chiede a te il suo Figlio. “Tutti i doni che mi hai donato, ecco io li riporto a Te, li dono a Te”. E i doni sono uno solo, il Figlio di Dio! È per questo che noi dobbiamo essere il Figlio perché se non siamo il Figlio, Dio non sa di che farsene di noi! Ma se noi siamo una sola cosa col Figlio, un solo corpo, un solo spirito con Lui, il Padre non può fare a meno del nostro dono perché è quasi attraverso di noi che il Padre riceve sé Stesso.

Esercizi di Muzzano
(Luglio 1999)

http://www.figlididio.it/meditazioni/index.htm