Nel bel mezzo di un cambiamento epocale che tutto travolge, anche la figura del prete cambia, si evolve, ogni tanto si involve, ma nonostante tutto è ancora presente, tra di noi e per noi.

di Sara Giorgini
30 Maggio 2025
Per gentile concessione di
http://www.vinonuovo.it
C’era una volta il prete, colui che veniva accolto e inserito in una comunità parrocchiale e a cui si poteva sempre fare riferimento, disponibile e sempre reperibile. Oggi il prete si trova sostanzialmente isolato, costretto ad amministrare contemporaneamente più parrocchie – sempre più deserte – e a destreggiarsi tra i suoi vari incarichi: di amministrazione della parrocchia, d’insegnamento e di ricerca, tanto che la sua presenza – non più scontata – è sempre più un miraggio.
C’era una volta il prete, colui che sapeva chiaramente dov’era il bene e il male, il cui giudizio era quasi una sorta di rivelazione, ci si affidava a lui cecamente in una sorta di eteronomia e il suo profilo era innalzato dall’ impronta sacrale che gli veniva associata, indipendentemente dalle sue qualità umane e spirituali. Oggi una deviata concezione di sinodalità crede che ogni giudizio morale del sacerdote sia giudicante, anche quando il suo pronunciamento esalta quanto espresso dal Vangelo e quella che dovrebbe essere la coerenza di vita del cristiano.
C’era una volta nell’immediato post-concilio il prete teologo, che tentava di tener unite rivelazione, tradizione e ricerca. Non pretendeva di fondare lui cos’era il bene o il male, ma di discernere lo spirito dell’eticità delle norme contestualizzandole, affinche la loro formulazione potesse essere sempre generatrice di vita. Oggi non è raro incontrare preti che sono evidentemente a disagio circa le questioni basilari dell’etica, che cercano consenso, o che auspicano più al numero delle pubblicazioni che al servizio ecclesiale, quando il primo dovrebbe essere in funzione del secondo.
C’era una volta il prete, che non rincorreva studi decennali ma si affidava e valutava con discernimento e buon senso le varie situazioni della vita. Oggi la riscoperta e l’approfondimento delle varie scienze umane fanno sì che la prima competenza di un sacerdote non sia la teologia, ma le altre discipline che esaminano nella sua integrità l’essere umano.
C’era una volta il prete, la cui vocazione era sentita ed accompagnata da un’intensa saggezza e spiritualità, oggi non sono pochi coloro che vedono il sacerdozio un’opportunità o una scelta di comodo: economica, accademica e sociale, che frequentano più gli studi televisivi che le Chiese.
C’era una volta il prete – e c’è ancora – alla ricerca di un equilibrio e nel riposizionamento di consistenti cambiamenti sociali, in un tempo di grande crisi vocazionale sacerdotale, ma soprattutto in un tentativo di costante riforma educativa e formativa ecclesiale, che possa escludere errori e abusi ecclesiastici perpetuati nel corso della storia, superando altresì quei privilegi gerarchici che si mascherano dietro la categoria del sacro.
Se prima si dava per scontato la sua presenza, il fattuale calo di vocazioni religiose ci porta a non dare per scontato la sua presenza e la sua reperibilità.
Se prima ogni suo pronunciamento era considerato “ipsissima verba”, oggi, a seguito di sistemi totalitari, del tono d’accusa mainstream nei confronti del “tu-devi” kantiano, delle diverse forme di di plagio, ma anche di estraneità dinanzi ad alcuni problemi della vita che richiedono specifiche competenze, si sottolinea l’importanza per ogni singolo cristiano di valutare personalmente le più diverse situazioni della vita mediante la propria coscienza, in perenne formazione.
Se prima il dibattito morale oscillava tra eteronomia o autonomia, la risposta più adeguata si rivela essere quella della teonomia partecipata, dove la grande sfida oggi si gioca nel discernimento delle singole situazioni e nell’accompagnamento pastorale che segue la legge di gradualità, ma non muta in una gradualità della legge.
Se prima il sacerdote poteva pronunciarsi indipendentemente da una preparazione scientifica in altre discipline, oggi la complessità dell’essere umano impone di considerare tutte le dimensioni dello stesso, perché come dice GPII ragione e fede sono le due ali con cui l’animo umano s’innalza alla scoperta della verità.
Se prima c’erano sacerdoti che sentivano una forte chiamata a scegliere questa strada di servizio, non dobbiamo pensare che oggi ciò non avvenga o che nel più o meno recente passato non si siano manifestate delle deviazioni (tutt’altro).
C’era una volta il prete e c’è ancora, guidato da quel provvidenziale spirito che da più di duemila anni accompagna la Chiesa in fedeltà al ministero apostolico e ai fondativi insegnamenti di Gesù Cristo. Cercare di capire cosa in mezzo a tanto disorientamento antropologico ed ecclesiale non sia inferno, è comprendere la distinzione tra quel santa e peccatrice, quel già ma non ancora che è stato, che è e che sarà il compito di ogni cristiano, prete e laico che sia.