[Il secondo tema teologico – il Regno di Dio – è estratto dal testo di CHRISTOPH BOTTINGHEIMER: Il messaggio di Gesù sul Regno di Dio – Il centro perduto della fede cristiana – Queriniana 2024. pag7-24 e pag. 87-103.]

La causa del regno di Dio costituiva il senso centrale della vita e dell’opera di Gesù che riteneva la sua missione fosse quella di introdurre nella storia il Regno di Dio come realtà salvifica escatologica.  Il regno di Dio costituiva il tema centrale della predicazione di Gesù a partire dalla sua vita pubblica; e l’affermazione “il regno di Dio è vicino” è la sintesi appropriata dell’annuncio di Gesù.

Il regno di Dio era il concetto dominante del suo annuncio. Gesù vi vedeva il fine ultimo delle vie di Dio, l’adempimento di ogni promessa, l’essenza di ogni salvezza, di ogni beatitudine. E annuncia il regno di Dio come luogo definitivo e insuperabile della salvezza realizzato da Dio e compiuto nel presente/futuro e viceversa.

In Gesù, l’annuncio della Signoria di Dio e del suo regno avviene nella forma di un’accoglienza certa e senza limiti nella comunione con Dio. Con la conversione al regno di Dio si collega un riorientamento che si condensa nella liberazione di ogni genere di anti regno. Il fascino emanato da Gesù, più che alla sua persona, è legato al regno di Dio che annunciava.

È da prendere atto che il Vangelo contiene innanzi tutto un’affermazione teologica precisa: il fondamento essenziale della gioia è la signoria di Dio e il suo Regno, che adesso raggiunge il presente nell’opera di Gesù, gioia che si fonda nella salvezza divina, che giunge nella svolta assoluta in modo che tutto quello che è corrotto venga rivoluzionato.

Negli ultimi decenni le scienze bibliche e la teologia sistematica sono arrivate alla conclusione unanime che il regno di Dio costituisce l’essenza della predicazione di Gesù. Il messaggio del regno di Dio non sta solo alla base della vita pubblica di Gesù, ma rappresenta il nucleo della fede cristiana.

Ma oggi si deve partire dalla fede di Gesù che ha motivato e sostenuto tutta la missione.  La situazione di crisi della fede nella chiesa non è la mancanza di volontà nel credere, perché è lo stesso contenuto della fede della chiesa a essere diventato un problema. È un fatto che la chiesa riprende l’insegnamento di Gesù sul regno di Dio solo dopo il Vaticano II. Ma il tema del regno di Dio ha un ruolo significativo nella teologia della liberazione post conciliare, una ricezione analoga è decisamente mancata nella teologia europea.

Per gran parte dei cristiani il regno di Dio è marginale dal punto di vista teorico e pratico. È diventato una dimensione liturgica lontana dalla vita quotidiana. Raramente è realtà che tocca immediatamente i cuori e infiamma gli spiriti, perché il flusso di energia per l’esistenza e per il contenuto è come interrotto. Dalla predicazione di Gesù sul regno di Dio, non sembra che scaturisca alcuna capacità di attenzione. La questione, in realtà è diventata un tema marginale che crea imbarazzo. 

Aspetto generale.

Il Regno assume un posto di rilievo nell’annuncio di Gesù che si dimostra estremamente sfuggente e pluridimensionale. Quindi non meraviglia che nell’ambito della ricerca esegetica non ci sia accorda sull’oggetto e sui tempi della venuta del regno di Dio nell’annuncio di Gesù che poteva presupporre che fosse noto il concetto di “signoria di Dio” e quindi riferirsi all’attesa messianica di Israele.

A causa della mancanza di un concetto comune di regno appare difficile dare una risposta chiara alla domanda su quale fosse il contenuto semantico (elementi che descrivono il loro significato) che Gesù attribuiva a questo concetto.

Gesù descrive la natura del regno di Dio ricorrendo sempre a nuove parabole ed essa traspare in particolare nel suo comportamento, perciò non è sufficiente una semplice indagine letteraria e concettuale. È da tener presente il Vaticano II nell’affermare che nella rivelazione “le opere …  manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (DV 2). Pertanto occorre considerare l’intera vita pubblica di Gesù.

Gesù invita entrare nel regno di Dio, a introdursi in esso, a ereditarlo o accoglierlo e inoltre non predica solo il regno, ma vive nella sua esistenza il dono della salvezza divina nella quale esercita la signoria di Dio, la realtà salvifica divina.  

—Il proprio del Regno di Dio.

Nella comprensione del regno di Dio, come realtà salvifica di Dio, sono correlate le parole di Gesù, a condizione che siano lette come metafore (la sostituzione di un termine con uno figurato – es. il re della foresta (come se il leone fosse un uomo) nelle quali il mondo quotidiano si sovrappone al mondo nuovo di Dio e la tensione ovvero la provocazione che se ne ottiene ha l’intento di spingere chi le ascolta a lasciarsi trasformare. In questo modo le parole trasmettono qualcosa della realtà dello stesso regno di Dio.

Il regno più che una signoria di Dio consiste in un ambito pervaso da Dio stesso (il nostro cuore, l’intelligenza della nostra fede in sintonia con la fede di Gesù) l’accento è posto chiaramente sulla volontà di Dio di essere Signore.

Al contrario, la traduzione “regno di Dio” non si limita all’azione di Dio, ma accentua il rapporto tra l’uomo e l’agire salvifico escatologico di Dio, e inoltre indica una realtà sociale tra gli esseri umani. Con esso è la fine di ogni dominio storico degli esseri umani tra loro; scaturisce una realtà che trasforma il mondo in pace e giustizia e rende possibile un’interazione tra tutti i soggetti senza un dominio, il che significa la crisi di ogni dominio terreno.

Nel regno di Dio non c’è un dominio di persone designate da Dio, né di un re-messia, ma solo Dio è la realtà che determina tutte le cose. Il regno non vuole indicare una caratteristica di Dio, un suo agire o il suo dominio con forza, ma definisce qualcosa fatti da lui che si riceve, che si accoglie e in cui si può entrare; una realtà realizzata dalla volontà divina di salvezza e di redenzione.

Il regno di Dio è una realtà relazionale; è là dove Dio viene riconosciuto e il suo essere arriva ad avere un effetto qualitativo interiore, divenendo così una forza determinante per le creature e i rapporti creaturali. Il regno di Dio va pensato come venuta e realizzazione efficacie della realtà di Dio, come nuova creazione determinata dalla presenza di Dio, come quel regno in cui Dio stesso viene ad abitare (Ap 21s, Es 29,45) .

Il regno di Dio non è un territorio chiaramente definito una qualche particolare area circoscritta, ma definisce un modo di esistere nel quale lo stesso Dio -che viene (la parusia) – è riconosciuto come la realtà che determina tutte le cose e giunge a realizzarsi in mezzo alla vita, individuale e comunitaria.

Nel messaggio della venuta del Regno di Dio e nella prassi della fede di Gesù diviene riconoscibile un nuovo mondo di vera umanità, che apre a tutti un futuro indiviso. La realizzazione di questo Regno è un affare esclusivo di Dio. Il Regno non viene creato o conquistato da uomini, è un affare esclusivo di Dio. Esso deve essere accolto come un bambino, viene dato come e cresce da solo come un seme.

Il nome Yavè esprime un Dio che è presente per salvare in modo efficace. Dio è colui che è presente e che viene (la parusia). Se Dio è presente per l’umano, il regno può essere cercato dove l’essere di Dio diviene sperimentabile e viene vissuto.

Il regno di Dio esprime una realtà sociale che viene intessuta, plasmata e determinata dall’essenza di Dio che indica la nuova creazione che non passa  (se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco ne sono nate di nuove,  2Cor 5,17) in cui si realizza esclusivamente la sua volontà di salvezza a tutte le convenzioni sociali, agli ordinamenti politici, la quale si sottrae a tutte le convenzioni sociali, agli ordinamenti politici e ai comportamenti ingiusti  dominanti. È un ambito in cui viene garantito a tutti la necessaria attenzione umana e il riconoscimento sociale per una vita in dignità, poiché qui norma e misura è esclusivamente l’essere di Dio.

Solo l’iniziativa di Dio è determinante; l’essere umano può solo aprirsi alla venuta di questo regno, e non da ultimo pregare perché venga. Il regno di Dio è quell’entità che riguarda le relazioni, le motivazioni e gli orientamenti, capace di determinare tutte le cose sia per quanto riguarda il progetto personale di vita, sia per quanto riguarda la convivenza sociale: se innanzitutto si cerca il regno di Dio e la sua giustizia, tutto deve essere visto, giudicato e concepito, sotto l’aspetto dell’eternità.

La novità dell’ethos escatologico di Gesù non consiste in una diversità materiale, ma nel nuovo contesto che lo fonda nell’ambito della promessa incondizionata del Regno: il Regno che viene annunciato crea una nuova azione-realtà che rinuncia a condizioni preliminari e dona la forza di vivere l’ethos del popolo escatologico di Dio che culmina con il comandamento dell’amore al prossimo, ovvero del nemico e con quello dell’amore di Dio. Per la missione di Gesù è determinante l’annuncio della venuta imminente del Regno di Dio, come anche che l’uomo sia corrispondente giusto davanti a Dio.

Per Gesù la vita nell’oggi è una indicazione per l’esistenza in vista alla venuta imminente del Regno di Dio. L’ethos urgente di Gesù è urgente non a causa di un giudizio finale incombente, ma a causa dell’iniziativa divina di salvezza, che non è al di là della storia, bensì all’interno della storia, quindi in quel momento presente in cui viene indicato l’avvento imminente del Regno.

La necessità dell’impegno risulta dalla promessa incondizionata di salvezza oggi e della svolta dell’eone (in teologia, l’eone è un’emanazione del Dio primo, o uno, e rappresenta un periodo di tempo), che si crede avvenuta, così come conseguenza della vicinanza del regno di Dio. Se il regno di Dio, benché comprenda il mondo intero, va inteso come una realtà sociale, ovviamente sono gli esseri umani i suoi primi destinatari ed esso non può diventare concreto se non attraverso di loro.

escatologia qualitativa.     

Dal punto di vista trinitario, la modalità della presenza del regno di Dio nella storia afferma che il regno di Dio è già presente come regno del Figlio e cresce nella forza dello Spirito, fino al giorno in cui sarà consegnato al Padre, giungendo quindi alla perfezione, quando Dio sarà tutto in tutto.

È stato soprattutto Oscar Collmann con la sua escatologia storico-salvifica ad aver formulato la dialettica del “già” e “non ancora”. Nella risurrezione di Gesù è già avvenuto il fatto decisivo, ma manca ancora la parusia di Cristo, si crea certamente una tensione tra il “già” e il “non ancora”, ma sostanzialmente il “già” e “non ancora” non riesce a fornire alcun contributo illuminante sulla questione temporale del regno di Dio.

Questo perché non si prende atto del contrario: il “non ancora” nel “già” che è proprio della parusia di Gesù, che si collega alla speranza del compimento della salvezza nel Regno di Dio, alla speranza della redenzione universale di tutto ciò che è stato creato da Dio e alla “vita nella luce” (la mistica).

La parusia di Gesù è dinamica della questione temporale del regno di Dio. Nella sinagoga di Nazaret Gesù afferma: “oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21). Il presente escatologico è nell’orizzonte del futuro escatologico e conforma la pienezza della divinità della quale già oggi il credente partecipa.

E afferma Paolo: “È in lui (Gesù) che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui” (Col 2,9-10). Con esso il “tutto” è già nella “parte”; realtà sostenuta anche dalla moderna filosofia della complessità, dal principio ologrammatico di Edgar Morin: “non solo la parte è nel tutto, ma il tutto nella parte”.

Gesù non proclama la presenza del regno di Dio, ma la sua vicinanza (la parusia), e fa apparire tale vicinanza con le sue parole, le opere e anche la Passione e risurrezione. È vicina perché viene; viene perché resta vicina. Il venire è la sua vicinanza, la sua vicinanza sta nel venire.

Nell’azione di Gesù si sviluppa l’iniziativa divina di salvezza in modo che il dono salvifico della vita eterna possa identificarsi con colui che dona la salvezza. Con la vita pubblica di Gesù la salvezza di Dio si è resa visibile e sperimentabile come traguardo, e per questo il regno futuro si è già avvicinato così tanto al presente da toccarlo nascostamente.

—escatologia e apocalittica. 

Il tema conduttore dell’apocalittica non è una qualche concezione catastrofica della fine dei tempi, ma la visione di un mondo nuovo, anche se questo nuovo mondo si coniuga con la speranza per lo più solo per quelli che sono salvati.

A questa visione attraverso l’aldiquà verso un mondo futuro, nell’aldilà, caratterizzato dalla giustizia divina e dalla pace universale si collega una posizione storico ed escatologica dalla quale si apre uno sguardo nuovo, di consolazione sugli attuali e nefasti corsi storici.

Questa visione è di natura dualistica: il mondo attuale non è solo un mondo transitorio, ma è segnato da situazioni catastrofiche, dalle quali non c’è via d’uscita. Questo mondo senza prospettive è caratterizzato dal male distruttivo che viene dal basso, mentre l’altro mondo, quello migliore di salvezza, è dall’alto.

Il nuovo eone (tempo che abbraccia più ere geologiche) lascia definitivamente alle spalle il vecchio eone irredento, con tutto quello che questo ha di negativo e di distruttivo, i suoi confini e le sue contraddizioni. Non annienterà questo mondo, ma la conseguenza è una radicale cesura della storia. In tal modo è esclusa ogni continuità senza cesure e ogni crescita organica. Il risultato religioso dell’apocalittica è che il senso viene fondato su un presente sperimentato come assurdo.

L’avvento di Dio atteso alla fine dei tempi, ovvero il mondo nuovo atteso nel futuro, non possono essere dati già in mezzo a questa storia universale caratterizzata dalla morte e dalla violenza, ma solo alla fine del tempo; ciò che è già nascosto in cielo, irrompe dall’aldilà nell’aldiquà e sostituisce l’attuale tempo universale, il vecchio eone.

L‘apocalittica, di conseguenza, leva lo sguardo verso una salvezza che deve essere organizzata in modo del tutto nuovo da Dio, per il quale non esiste più alcun tipo di analogia nella precedente storia della salvezza. Prima però non di rado quello apocalittico è un tempo di catastrofi che sfocia nel giudizio su tutte le potenze ostili a Dio, così ad esempio Giovanni il Battista vive e predica basandosi su un’estrema attesa di prossima apocalittica: egli parla di una fine della storia vicinissima di prossimità apocalittica: egli parla di una fine della storia vicinissima e annuncia il giudizio definitivo dell’ira di Dio che si abbatte inesorabile (Mt 3, 7-12).

Nell’apocalittica la realtà della salvezza viene pensata in maniera strettamente dualistica, in definitiva puramente nell’aldilà, che significa una cesura completa con il mondo precario e necessario dell’aldiquà. Certamente viene attestata l’incapacità del mondo attuale di salvare, ma per gli apocalittici non c’è dubbio che alla fine sarà Dio a vincere.

Secondo la disposizione di Dio, infatti, l’eone attuale e nefasto viene annientato da catastrofi cosmiche e sostituito da un eone completamente nuovo ed eterno, cosa che per gli apocalittici di regola appare già vicina “pensare in maniera apocalittica significa pensare le cose alla loro fine” (Moltmann) e certamente in senso temporale,

La fine del tempo e della storia, da una parte, è il fine che dà senso, dall’altra, non devono necessariamente coincidere, il senso della vita umana non è necessariamente apocalittico, ossia da determinare temporalmente e da collocare in una idea di linearità temporale.

Comunemente, il fine che dà senso alla vita umana non viene assimilato alla morte intesa come fine temporale. Il senso quindi deve potersi cogliere non solo nella fine oppure in vista della fine, di sicuro non in riferimento alla vita umana.

La differenza più importante tra il Kerigma cristiano e l’apocalittica giudaica consiste […] nell’ipotesi che Dio opera nel mondo e nella storia; nel fatto che la svolta decisiva del mondo verso la salvezza viene considerata non come bene nel futuro, ma come un evento già avvenuto che dà impulso.

Certamente l’èschaton, nel senso del regno di Dio che si è manifesto a tutti, non è ancora presente, tuttavia a chi crede che il tempo finale sia iniziato con Gesù Cristo, già ora è dato di partecipare al dono divino della salvezza che è la vita eterna.

Per questo l’èschaton, se non viene pensato in termini temporali ma qualitativi, non coinvolge l’umanità semplicemente come speranza futura ma come dono e compito divino. Il dono divino della salvezza, che è la vita eterna, è quella disposizione antropologica interiore per la quale l’essere umano, in forza del suo essere-umano, è continuamente chiamato da Dio, e a favore della quale può decidersi liberamente.

Questo fine che dà un senso qualitativo non è necessariamente connesso alla fine della storia, ma può essere connesso all’uomo in maniera iniziale durante la sua vita, proprio come Gesù con la sua opera ha ritenuto che fosse giunta la pienezza del tempo, il Kairòs (Lc 4,21, Mt 11,2-6).

 Il Kairòs si pone in contrapposizione al chrònos per una percezione qualitativa e non quantitativa. Vista così l‘apocalittica è una forma determinata, in particolare temporale, di escatologia e pertanto non si identifica affatto con quella.

il presente dell’azione divina della salvezza.

Gesù ha annunciato il regno di Dio senza seguire lo schema dell’escatologia apocalittica tradizionale. Infatti, non era tanto interessato a una datazione a una localizzazione del regno di Dio e neppure alla rivelazione di eventi e di segreti apocalittici.

Gesù non aveva delle visioni di piani celesti nascosti e di eventi futuri, ma incarnava l’azione salvifica di Dio nel presente e annunciava il regno per mezzo di parole ispirate alla realtà quotidiana.  Per lui, anche l’accentuazione del dualismo tra mondo ed èschaton, quindi l’accrescimento della negatività intramondana, non portava all’irruzione del regno di Dio; la salvezza non arriva in modo catastrofico e distruttivo, ma come liberazione e compimento. Per la vita pubblica di Gesù è centrale la proclamazione dell’attuale azione divina, andando chiaramente al di là della tradizione giudaico-apocalittica.

Secondo il vangelo di Marco è arrivata la svolta storico-salvifica del tempo: “il tempo è compiuto”, sebbene il regno di Dio non sia ancora arrivato, ma si sia soltanto avvicinato -la parusia- (Mc 1,15). quindi il Kairòs e il regno non sono semplicemente identici, cosi come, da una parte, la svolta salvifica o del tempo e la svolta dell’eone, dall’altra.

Ha ragione l’autore che afferma -Volker Gaclde – che il regno “viene ancora atteso escatologicamente sulla terra come un luogo e come un tempo di salvezza”. Anche se il regno di Dio non è ancora arrivato, basandosi sull’iniziativa divina l’essere umano può già ora partecipare in ogni caso alla pienezza della salvezza che si effettua in Cristo, fare esperienza del perdono dei peccati e della riconciliazione.

Così, assolutamente nel senso di un’escatologia qualitativa, la salvezza di Dio comprende già ora il presente sotto forma di “giustizia, pace e gioia dello Spirito Santo” (Rm 14,17) e la salvezza di Dio opera efficacemente con e per mezzo di Gesù già in mezzo al vecchio eone, facendo giungere l’eone alla pienezza dei tempi.

Nella prevedibilità della fine si delinea un passaggio dal passato al nuovo eone, cioè al regno di Dio atteso escatologicamente. Anche se Dio agisce ora e oggi in Gesù Cristo per la salvezza dell’umanità, il Regno è un evento puramente futuro, al cui avvento è orientata l’azione di Gesù e che si avvicina all’agire di Gesù che salva, raduna, ecc.

L’agire salvifico di Dio prepara l’avvento del Regno, ma la pretesa messianica di Gesù non implica la realizzazione del Regno; piuttosto il suo agire, ne è il presupposto. Sulla base dei vangeli non può essere fondata un’interpretazione complessiva dell’opera di Gesù come realizzazione, conseguimento, attualizzazione, preavviso, anticipazione, indizio, avvio o principio del Regno o addirittura come escatologia realizzazione e attualizzazione del futuro. Di conseguenza, il Regno di Dio è il risultato, escatologicamente ancora mancante, della missione di Gesù ed è pertanto un evento estremamente futuro.

Con l’opera di Gesù non si è ancora compiuto il regno di Dio alla fine dei tempi. Peraltro l’escatologia di Gesù non è in primo luogo di genere apocalittico, bensì qualitativo; il Vangelo, con il suo carattere di rimando al regno di Dio che viene, può essere accolto già ora nella fede di Gesù, il dono della salvezza può essere ricevuto e la condotta si può regolare su di esso. Poiché già ora la storia si trova dotto l’agire salvifico definitivo di Dio, Gesù no spera in un aldilà, ma proclama il futuro regno di Dio come un evento che già ora influenza e determina il presente.

Il vangelo del regno di Dio va pertanto accolto e accettato qui e ora e si deve riflettere nei modi di vivere e di agire. È l’agire presente che proviene da Dio, che è amore, poiché il futuro che viene da Dio non è più una minaccia. 

Anche se nel suo annuncio del Vangelo del regno di Dio Gesù si è certamente servito di concezioni apocalittico- escatologiche, ovvero ha formulato la sua predicazione nel contesto di un’attesa prossima e quindi l’apocalittica non gli era estranea ma faceva parte “della matrice della sua teologia” egli non era tuttavia apocalittico in senso proprio. Certamente, con il suo annuncio Gesù era senz’altro interessato ai temi escatologici e. anche se riprendeva delle concezioni apocalittiche, insieme a queste ha espresso sempre anche degli elementi anti apocalittici.

E questo non solo per il fatto di aver preso le distanze da Giovanni Battista e dal suo messaggio apocalittico, ma anche perché non disponeva di un sapere apocalittico segreto né aveva interesse alla descrizione di eventi apocalittici finali, e non da ultimo perché la sua predicazione non rinnegava il mondo, gli serviva come elemento di confronto nelle sue parole sul regno di Dio, ma esattamente il contrario, il mondo gli serviva come elemento di confronto nelle sue parole sul regno di Dio.

Gesù non era un veggente; con il suo messaggio, rilevante per il presente, sulla venuta imminente del regno di Dio si atteneva anche certamente alla dottrina dell’opposizione tra i due eoni, in mezzo al vecchio eone irredento. Però Gesù viveva già l’iniziativa divina di salvezza in vista dell’instaurazione prossima del regno di Dio.

Legando l’ingresso nel regno di Dio alla decisione a favore della decisione a favore della sua persona, ha modificato la rigida divisione all’interno schema dei due eoni dell’apocalittica giudaica. La sua predicazione è rivitalizzazione dell’apocalittica in forma profetica. Su questo sfondo non si può escludere che alcune sue affermazioni apocalittiche abbiano piuttosto un significato metaforico.

Il messaggio di salvezza ha delle connotazioni di tipo escatologico e allo stesso tempo è modellato dall’azione salvifica di Dio nel presente a cui partecipa colui che crede al Vangelo di Gesù e che per mezzo del battesimo, con lui è morto e risorto alla vita eterna.

Così all’umanità già ora viene dato di partecipare al bene salvifico nella forma della comunione con Dio e della vita eterna, anche se otterrà la pienezza della salvezza solo nel futuro regno di Dio. Così la nuova ed eterna creazione già penetra nel vecchio eone transitorio e diventa l’inizio del futuro già presente.

I cristiani pertanto vivono già nel tempo messianico. “Qui, sulla terra, vi è un “prima” e “un dopo” e un divario di tempo che abbraccia secoli e perfino millenni. Ma “dall’altra parte” nel mondo della resurrezione, nell’eternità, non esiste questo tempo esteso, questo tempo della transitorietà.

L’escatologia di Gesù spazza via spazio e tempo, viene proclamato il processo potente con cui l’azione salvifica di Dio travolge il presente. A Gesù interessa la situazione finale della storia e una semplice realizzazione della salvezza puramente nell’aldilà, ma la proclamazione di un tempo salvifico liberato, che spazza via e qualifica in modo nuovo il presente, anche se nel tempo presente resta come compito esistenziale la lotta contro la negatività fino quando verrà il regno di Dio alla fine di tutta la storia. Sulla base dell’inaugurata comunione di vita con Cristo, ossia dalla salvezza donata, il vecchio eone ha perso di importanza per i credenti.

Poiché con la fine dei tempi è arrivata la fine del tempo, il tempo cronologico della salvezza divina è adempiuto e così il tempo finale va inteso come tempo escatologico, come kairòs. “Non sei lontano dal regno di Dio” (Mc 12,34), dice Gesù allo scriba che lo aveva interrogato su quale fosse il primo di tutti i comandamenti (Mc 12, 18-34).

Tale vicinanza va intesa in senso qualitativo e non temporale. Lo scriba con la sua prassi e la sua mente già sperimenta l’azione di Dio. Nonostante questo dono di salvezza nel presente, sarebbe però errore credere che il Regno possa essere presente nelle condizioni di questo tempo storico e universale. Il Regno non è ancora presente fino a quando sussiste il tempo terreno con i suoi mali e l’essere umano continua a esistere nel presente corrente, legato alla necessità di prendere decisioni sempre nuove, che comprendono anche la possibilità dell’abuso della libertà umana.

Il regno di Dio nel senso della salvezza di Dio è presente solo nella misura in cui può essere colto nella fede e “ricevuto” nella forma di vita eterna. Il regno, in quanto dono della vita eterna, è dato ai credenti e così è già attivo in maniera nascosta. Mancano ancora, però, la pienezza della realtà e l’efficacia della potenza, cioè il loro essere accessibili ciascuno e a tutti. Gesù intende il presente come svolta salvifica di un dominio di Dio che si impone, che modella già ora il presente come compimento escatologico.  La salvezza divina si rende percepibile nella riconciliazione riuscita, nella giustizia praticata, nella libertà garantita, nell’amore donato ecc.

Quale che fosse la prospettiva entro cui Gesù si muoveva, questo tempo storico che ancora continua va interpretato cristianamente alla luce della sua fine, e quindi oltre il tempo stesso, alla luce di un regno di Dio destinato ad attuarsi in pienezza, sempre più vicino e quindi è sempre più prossimo.

Questo regno di Dio che si fa sempre più prossimo sotto forma di salvezza divina, ovvero di dono salvifico della vita eterna, nelle condizioni storiche vigenti, tra i bisogni e gli interessi umani negativi e disgreganti, in contraddizione tra loro, può essere percepito solo in modo nascosto e paradossale: “Noi siamo trattati come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo… come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto” (2Cor 6,9-10).

L’elemento nuovo, vero ed efficace del messaggio di Gesù sul regno di Dio e del suo raduno nel regno di Dio è che la volontà di salvezza di Dio si impone già ora come realtà nella storia, in particolare ovunque Dio si fa forza determinante “dove la convivenza umana così “permeabile alla signoria di Dio, da assumere una forma sperimentabile nei diversi ambiti della vita”.

La lotta tra il vecchio mondo e il nuovo mondo […] è in realtà decisa, e la lotta prosegue inevitabile, e noi siamo coinvolti. Così l’apocalittica, sebbene in seguito all’iniziativa divina di salvezza nel presente sia qualitativa superata, non ha perso fondamentalmente la sua importanza, cosicché la nascita e la formazione del cristianesimo primitivo si è svolta nell’ambito di un confronto critico con l’apocalittica.

Manca ancora la manifestazione consolidata del regno di Dio come compimento escatologico della creazione terrena, e come fine della creazione terrena coincide quella del vecchio eone cioè del tempo universale e storico concausati dalla libertà umana.

Legato al tempo universale, l’èschaton, in quanto forma completa del regno di Dio, non può di conseguenza essere pensato se non come la fine del tempo storico lineare.

Contro il Regno completo e illimitato, non più minacciato da alcun abuso della libertà, si pone ancora il vecchio eone, la decadenza della creazione, i regni terreni distruttrici e contrari a Dio – il regno dell’egoismo, della violenza ecc.

Paolo collega la speranza della salvezza all’escatologia universale, in modo che la morte e le potenze ostili a Dio siano definitivamente sconfitte (Ef 6,12). il tempo messianico non può venire instaurato già con la forma completa del regno di Dio, quanto piuttosto all’interno dell’escatologia deve essere garantito lo sguardo universale, poiché, la dottrina della creazione è fondamentalmente orientata verso la liberazione degli uomini, la pacificazione della natura e la redenzione degli esseri umani e della natura dalle potenze del negativo e dalla morte.