
CI ACCORGIAMO DI LUI QUANDO NON C’E’
« Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa… »
Giovanni 14,2329
Gesù, congedandosi dai suoi, li rassicura promettendo di inviare lo Spirito, come segno della sua presenza continuata nel mondo.
Lo Spirito Santo, questo sconosciuto, questo dimenticato, questo parente povero nella famiglia della Trinità, acquista tutta la sua importanza decisiva di Protagonista proprio quando viene dimenticato.
Vorrei dire, paradossalmente, che ci accorgiamo di Lui… quando non c’è.
Avvertiamo la sua presenza insostituibile, nel mondo, nella Chiesa, nella nostra esistenza personale, durante la sua assenza.
Ci sono delle assenze più « rilevanti » di ogni presenza.
Ecco alcuni esempi che illustrano le conseguenze, i guai provocati dalla dimenticanza dello Spirito.
Atteggiamento di difesa. Ci si rifugia nelle sacrestie, si moltiplicano i bastioni, si alzano muri, per proteggersi contro il mondo esterno. Si vedono nemici da per tutto. E, così, si sta anche al riparo dal « soffio » impetuoso dello Spirito, troppo scomodo per certe abitudini ormai codificate.
Si creano opposizioni arbitrarie, irriducibili, tra realtà che andrebbero invece armonizzate, conciliate, tra antinomie che andrebbero composte. Impegno politico e contemplazione. Sacro e profano. Chiesa e mondo. Tradizione e rinnovamento. Autorità e responsabilità. Obbedienza e coscienza. Carità e giustizia. Umano e soprannaturale. Preghiera e amore al prossimo. Lo Spirito, invece, è principio di unità.
Accentuazione del ruolo dell’istituzione. « Lo Spirito è l’anima della Chiesa. E allorché si trascura l’anima si tende, per conservare la coesione dell’insieme, a rinforzare la carcassa » (j. C. Barreau). Donde un’ipertrofia dell’apparato esterno, dell’organizzazione, delle opere, delle strutture.
Ci si preoccupa più dell’impalcatura che delle persone.
Si bada più al funzionamento regolare che alla vita (e alla gioia di vivere).
Proliferazione di leggi, regolamenti, norme dettagliate. Quando si attenua la tensione del « soffio » originale, si tende a sostituirlo con i codici. Venendo meno lo Spirito, passa in primo piano l’ordine, la disciplina esteriore.
Quando « cade » il vento impetuoso della follia evangelica, si leva l’aria gelida dei formalismo e dell’osservanza esteriore. L’originalità è combattuta, soffocata. L’uniformità dei comportamenti si sovrappone alla vera unità dei cuori nel Cristo. La profezia gode di cattiva fama. Il conformismo domina incontrastato. L’intolleranza impedisce la manifestazione delle divergenze più legittime. Manca un vero pluralismo di esperienze. Viene scoraggiato ogni tentativo di ricerca. Lo « stampo istituzionale » tende ad annullare la varietà dei « volti » espressa dall’azione multiforme dello Spirito.
L’elenco potrebbe continuare per un pezzo.
I guai denunciati, però, mi sembra siano sufficienti a sottolineare la gravità e la drammaticità di quell’assenza.
Non resta che convincersi dell’urgenza di spalancare le porte allo Sconosciuto che si fa sentire soprattutto quando non c’è.
Gesù parla dell’azione dello Spirito in termini di memoria e fantasia.
- Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto ».
- Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete ancora capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera… e vi annunzierà le cose future ».
Lo Spirito, dunque, ci fa guardare indietro per ricordare, ma ci obbliga anche a guardare avanti per inventare, per anticipare.
La memoria non può adagiarsi nel passato in senso nostalgico. Deve, invece, fare in modo che il passato riviva nel presente e prepari il futuro.
La memoria non deve rendere l’uomo schiavo del passato, ma libero per l’oggi.
Léon Bloy ha una definizione folgorante: « Profeta è colui che si ricorda dell’avvenire »! Ecco composti i due termini in opposizione: memoria e anticipazione.
Senza fantasia, la memoria diventa una prigione.
Senza memoria, la fantasia rischia di fard girare « in folle ».
A certi inguaribili nostalgici del passato, ossia di una tradizione intesa come conservazione di cose e non in senso dinamico, vorrei soltanto ricordare alcune cose:
Il nostro potere di conservazione è rigorosamente proporzionale alla nostra capacità di rinnovamento e di creazione.
E’ una (poco) pia illusione credere che l’incartapecorimento e l’irrigidimento delle forme esteriori serva a mantenere intatto lo spirito e a diffondere fedelmente il contenuto del messaggio. La vita viene protetta e garantita soltanto dalla vita, non dalle forme esteriori. « Cerca la vita e troverai la forma. Cerca la forma e troverai la morte »: è la « ricetta » di un noto autore teatrale.
La visione del passato è giusta e doverosa. E’ utile. Ma dev’essere operativa, non contemplativa.
Un terreno incapace di far germogliare semi nuovi è inadatto anche a conservare e alimentare le piante che possiede già.
In altre parole: non si tratta, come si sente dire da più parti, di « salvare il salvabile ».
Per salvare il presente, bisogna garantire il futuro.
Il vero attaccamento al passato si dimostra… guardando in avanti.
Se si ama veramente il passato, preoccupiamoci dell’avvenire!
Alessandro Pronzato
Commento alla Sesta Domenica di Pasqua