di Sergio Di Benedetto
22 Maggio 2025
Per gentile concessione di
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Pare, da vari resoconti giornalistici, che i cardinali (assai loquaci prima e dopo il conclave, in queste settimane del 2025) abbiano sottolineato nelle congregazioni generali la rilevanza della “collegialità” e della “sinodalità”, manifestando il proprio legittimo desiderio di essere coinvolti nelle decisioni che il Papa dovrà compiere nella guida della Chiesa universale.

È un fatto molto positivo, segno che, ormai, la collegialità figlia del Vaticano II e la sinodalità rimessa al centro del discorso ecclesiale e della prassi pastorale da papa Francesco sono ormai elementi consolidati.

C’è da dire che papa Leone in questo sembra non solo ‘aver compreso’ il messaggio, ma lo ha fatto proprio, a partire da quel cenno alla «chiesa sinodale» del suo primo saluto la sera dell’8 maggio fino al richiamo al «camminare insieme» dell’omelia di inizio pontificato.

Dunque, coloro che tra i 251 cardinali (elettori e non elettori) hanno preso la parola alle congregazioni generali potranno sentirsi rassicurati. Però, forse manca una sottolineatura del discorso di chi chiede collegialità al vescovo di Roma, e riguarda la collegialità e la sinodalità che essi sono disposti a vivere nelle loro diocesi o nei loro incarichi di governo. Perché, è bene dirlo, si tratta di una richiesta buona, questa del ‘camminare insieme’, ma è altrettanto buona (e credibile) quando poi viene accolta, soprattutto nelle rispettive chiese particolari, altrimenti si domanda ciò che poi non si è disposti a dare. E questo sarebbe un’incoerenza poco giustificabile.

Sappiamo tutti che è più facile ‘rivendicare’ un potere che condividerlo: ma siamo certi che molti membri della gerarchia che hanno domandato sinodalità siano poi sostenitori convinti della stessa quando un fratello vescovo, un fratello sacerdote, una sorella consacrata, una sorella laica, un fratello laico domanderà condivisione, collegialità, sinodalità, ascolto, parola.

E suona allora come un poco stonato che i vescovi italiani abbiano impiegato 8 anni (e tre presidenze) a recepire la richiesta, insistente, del vescovo di Roma ad aprire un Sinodo italiano; così come suona un poco stonato che il documento proposto poche settimane fa alla seconda assemblea sinodale italiana avesse accolto molto poco del cammino condiviso degli anni precedenti, tanto da essere sostanzialmente respinto e ‘rimandato’ in autunno. Piccoli incidenti di un cammino complesso, certamente. Ma sono dati che vanno raccolti e non dimenticati, nella speranza che il futuro sia più comunionale.

Val la pensa ricordare (soprattutto ai 7 cardinali italiani che hanno responsabilità di diocesi nella penisola): chi di sinodalità ferisce, di sinodalità (per fortuna) perisce.