di Gilberto  Borghi
12 Aprile 2025
Per gentile concessione di
http://www.vinonuovo.it

Una parola di origine biblica, che nel linguaggio popolare indica il passaggio da una fede ad un’altra. In realtà questo modo di pensare genera l’idea che la conversione sia qualcosa che accade in modo “puntuale”, in un certo giorno preciso, una volta per tutte. Perciò, per il fatto di essere battezzato, la “posizione” di fondo della persona cristiana rispetto a Dio debba essere data per assodata e corretta.

Questa visione della conversione è drammatica per la vita di fede del credente, perché rifiuta di accettare il dato biblico evidente che mostra la conversione come un processo continuo che non ha mai fine, fino a che siamo sulla terra.

Paolo, in ciò è molto chiaro: “ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6); “e noi tutti (…) siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito. (2 Cor 3,18).

E pure gli autori delle lettere ai Colossesi e agli Ebrei sono sulla stessa linea: “vi siete rivestiti del nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che l’ha creato (Col 3,10); “corriamo con perseveranza la corsa che ci sta davanti, fissando lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede” (Eb 12,2).

Questo ci dice che tutti e sempre abbiamo bisogno di conversione, perché Dio non è un “qualcosa” che può essere conosciuto e raggiunto in modo definitivo. Quando trovo cristiani che hanno già tutto chiaro e non si spostano mai dalle loro posizioni, mi vengono forti dubbi su quale sia il Dio a cui fanno riferimento.

Se, invece, Dio è “qualcuno” con cui ci relazioniamo nell’amore, qualcuno vivo e attivo, che vive la relazione con noi affinché noi possiamo diventare come lui, allora, come per tutte le relazioni autentiche di amore, il processo di trasformazione di uno nell’altro, che l’amore produce, non ha mai fine.

E questi è proprio il significato biblico del termine “conversione”: un cambiamento continuo, che ci conforma sempre più a Dio, cambiamento del nostro modo di essere vivi, di pensarci nella vita, di sentire la realtà nostra, di Dio, degli altri e del mondo. Per il cristiano vivere è cambiare, cioè convertirsi!

Ma convertirci nella direzione rivelataci da Dio. A partire da una vita vissuta come lotta per la sopravvivenza e/o l’affermazione di sé, dove Dio viene percepito o come giudice che ci può condannare o/e come strumento al nostro servizio per primeggiare sugli altri. Per salire un po’ ad una vita vissuta come ricerca di appartenenza, dove la sopravvivenza e l’affermazione di sé sono più garantire, perché appartenere definisce l’identità di sé, dove Dio rischia di essere necessario per dare senso all’esistenza, generando una relazione tra noi e lui, non di gratuità, ma di dare e avere.

E crescendo ancora, convertirci ad una vita che richiede ordine e verità, in cui appartenenza e identità di sé sono più certe, potendo conferire alla vita stessa un senso sufficiente, dove Dio diviene la verità delle cose che ci precede e rischia di “obbligarci” alla regolazione che ne consegue. Ma poi potendo convertirci ancora alla promozione del bene comune e alla ricerca della felicità per tutti, perché si è colto che il senso della vita richiede questo, dove Dio diventa la forma di quel bene e l’energia che lo promuove, e noi cominciamo a vivere più per Lui che per noi.

Fino anche a poterci convertire ad una vita intesa come regalo gratuito che Dio ci ha fatto e continua a farci, perché vivere per lui è molto più “vita” del vivere per noi o solo per il bene comune. E dove l’unico desiderio che resta da vivere è quello di consegnarsi a Lui totalmente nell’amore, come atto di ringraziamento al semplice dato di essere vivi.

Nel giubileo, perciò, c’è spazio per la conversine di tutti. A qualsiasi livello di fede siamo, non importa. Dio non è preoccupato del livello, ma se la nostra conversione è ancora viva o si è fermata. Perché Dio è sempre oltre.