GUIDA ALLA SETTIMANA SANTA
“Nella speranza siamo stati salvati”
Conferenza Episcopale Italiana

CELEBRARE LA SETTIMANA SANTA
Inquadramento storico, teologico e liturgico
«Centro di tutto l’Anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua» (Annuncio del giorno della Pasqua, nella solennità dell’Epifania, MR, p. 996). Come la vita e il ministero di Gesù, così anche la sequela dei discepoli conduce a Gerusalemme, perché tutto si compie nella Pasqua. Il tempo Quaresimale per la Chiesa si configura come «la strada dell’Esodo» (Prefazio di Quaresima V) in cui i discepoli assumono nella penitenza la piena configurazione a Cristo per vivere in pienezza il mistero pasquale.
Nei primi tre secoli cristiani la Pasqua costituiva la sola festa annuale e in essa si celebrava tutta la salvezza. Proprio a partire dalla celebrazione annuale della Pasqua si formano il Triduo e successivamente la Settimana Santa e gli altri tempi liturgici. Dal IV sec. a Gerusalemme e poi nelle altre Chiese, dalla celebrazione della sola Veglia Pasquale si giunse quasi naturalmente a strutturare il Triduo della passione e morte, sepoltura e risurrezione del Signore.
Sulla base della cronologia evangelica la comunità cristiana si è ritrovata nei tempi stabiliti e nei luoghi adatti per fare memoria degli eventi salvifici: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, l’istituzione dell’Eucaristia e la lavanda dei piedi, la morte di Gesù e l’adorazione della sua croce, la sepoltura e la notte di veglia in onore del Risorto con la celebrazione della vita nuova nel battesimo dei catecumeni.
Liturgicamente, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e gli ultimi giorni vissuti nella città santa costituiscono il memoriale che ogni anno la Chiesa vive nel tempo e nelle ritualità liturgica della Settimana Santa. Nella Settimana Santa la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme. Il tempo Quaresimale continua fino al Giovedì Santo. I primi giorni della grande Settimana, secondo la tradizione della Chiesa romana, sono i giorni in cui lodevolmente si celebra la riconciliazione secondo la sua forma comunitaria (cf. Rito della penitenza nn. 48-59 Appendice nn. 3-7).
Dalla messa vespertina «cena del Signore» inizia il Triduo Pasquale, che continua il venerdì santo «nella passione del Signore» e il Sabato Santo, ha il suo centro nella Veglia Pasquale e termina ai vespri della domenica di risurrezione (Congregazione per il Culto divino, Lettera circolare sulla preparazione e celebrazione delle feste Pasquali, 16 gennaio1988, n. 27). Questo spazio di tempo è chiamato giustamente il «Triduo del crocifisso, del sepolto e del risorto»; ed anche «Triduo Pasquale» perché con la sua celebrazione è reso presente e si compie il mistero della Pasqua, cioè il passaggio del Signore da questo mondo al Padre.
Con la celebrazione di questo mistero la Chiesa, attraverso i segni liturgici e sacramentali, si associa in intima comunione con Cristo suo sposo (Lettera circolare sulla preparazione e celebrazione delle feste Pasquali, n. 38). Tutto il Triduo è celebrazione della Pasqua. Esso non prepara, ma celebra tutta la Pasqua.
Il Triduo è una celebrazione unica che si dispiega in diversi tempi e spazi: esso crea continuità tra spazi – tempi liturgici con quelli della vita personale di ognuno; mette in relazione la dimensione comunitaria della fede con quella personale dei fedeli; coinvolge con le sue ritualità tutta le facoltà e i sensi della persona e gli elementi della creazione. Parola di Dio, ritualità ed eucologia del Triduo sono indissolubilmente unite e connesse e proclamano secondo una diversa gamma di registri l’unica Pasqua di Cristo.
Già dalla messa «Cena del Signore» – come un vero preludio rituale – sono presenti tutti i temi Pasquali che poi saranno celebrati nei tre giorni di venerdì, sabato e domenica. Questo segna l’inizio evidente dell’unica celebrazione del Triduo, in cui anche domenica. Questo segna l’inizio evidente dell’unica celebrazione del Triduo, in cui anche il digiuno si caratterizza per la sua valenza Pasquale e non penitenziale.
La fede popolare possiede una ricchezza di espressioni affettive riguardo alla passione di Gesù che durante la Settimana Santa e il Triduo contribuiscono notevolmente alla partecipazione dei misteri della salvezza. Le espressioni popolari legate alla passione e morte di Cristo, orientate sapientemente con i ritmi liturgici e celebrativi e integrate con altre che mettano in risalto la risurrezione, costituiscono un potenziale di evangelizzazione per la riscoperta della centralità liturgica ed esistenziale della Pasqua di Gesù.
Spiritualmente, nella grande Settimana prende forma sempre più immersiva la nuova creazione, perché con la Pasqua tutto si rinnova. Come i primi discepoli, anche noi ora entriamo con Gesù a Gerusalemme, saliamo al piano superiore del Cenacolo per fare Pasqua con lui, permettendogli di lavare i nostri piedi, accogliendo il suo testamento, immergendoci nella sua preghiera di Figlio. Così seguiamo e partecipiamo realmente alla passione e morte, sepoltura e risurrezione del nostro Salvatore e Signore, Gesù Cristo.
Domenica delle Palme: Passione del Signore
La Settimana Santa ha inizio con «la Domenica delle Palme: Passione del Signore» che celebra unitamente il trionfo regale di Cristo e l’annuncio della sua passione vivificante. La commemorazione solenne dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme e la proclamazione della passione connotano questo giorno e introducono i fedeli alla celebrazione del mistero Pasquale a cui ci si è preparati durante la Quaresima.
La catechesi di preparazione, la celebrazione in atto, l’omiletica mettano in risalto l’intima unione di queste due dimensioni. La solenne processione – che i cristiani per antichissima tradizione celebrano imitando le acclamazioni e i gesti dei fanciulli ebrei, andati incontro al Signore al canto dell’«Osanna» – sia preparata e realizzata come vera esperienza comunitaria, secondo quanto previsto dal Messale Romano.
Per il bene spirituale dei fedeli è opportuno che il racconto della passione sia proclamato integralmente e non vengano mai omesse le letture che la precedono. Laddove non sia possibile commemorare l’ingresso di Gesù in Gerusalemme né con la processione né con l’ingresso solenne, conviene pastoralmente che la sera del sabato o nella stessa domenica, ad ora opportuna, si faccia una celebrazione della Parola, che abbia per tema l’ingresso messianico e la passione del Signore (cf. MR p. 118).
Giovedì Santo «Cena del Signore»
«Con la messa celebrata nelle ore vespertine del Giovedì Santo, la Chiesa dà inizio al Triduo Pasquale e ha cura di far memoria di quell’ultima cena in cui il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, amando sino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio Padre il suo corpo e sangue sotto le specie del pane e del vino e li diede agli apostoli in nutrimento e comandò loro e ai loro successori nel sacerdozio di farne l’offerta» (Caeremoniale episcoporum n. 297).
Con questa liturgia la Chiesa entra nella celebrazione della Pasqua e accoglie il memoriale dell’istituzione dell’Eucaristia, del sacerdozio ministeriale e del comandamento nuovo del servizio e della carità fraterna. La messa «Cena del Signore» è il preludio rituale di tutto il Triduo. In essa tutto celebra e ritualizza quanto fece Gesù nella notte in cui si consegnava (cf. 1Cor 11,23).
L’evento della cena come Pasqua rituale è celebrato nella messa vespertina del Giovedì Santo. Il contesto Pasquale è annunciato dalla liturgia della Parola, visibilizzato dalla lavanda dei piedi, realizzato dalla preghiera eucaristica, partecipato con la comunione. Celebrare la messa «Cena del Signore» è entrare nella logica di Gesù che desidera ardentemente fare Pasqua con noi (cf. Lc 22,15).
L’accoglienza degli oli santi nelle parrocchie può essere fatta all’inizio della messa «Cena del Signore» (cf. MR p. 133).
Il rito della lavanda dei piedi e la solenne reposizione dell’Eucaristia lungo i secoli hanno creato nei fedeli una particolare sensibilità che si è espressa nelle forme della fede popolare. La lavanda dei piedi non sia una drammatizzazione spettacolarizzata ma un vero atto liturgico con il suo pieno valore anamnetico, scegliendo membri della comunità che la rappresentino ma esprimano anche la sua dimensione caritativa.
La preghiera eucaristica e la comunione – laddove è possibile preferibilmente sotto le due specie – siano compiute con la loro solennità propria e il pieno coinvolgimento dei fedeli sia con il canto e le acclamazioni sia con la processione per la comunione.
La predisposizione dell’altare della reposizione e gli addobbi non generino l’idea errata di un sepolcro. I fedeli siano catechizzati sul senso della reposizione, compiuta con austera solennità e ordinata essenzialmente alla conservazione del Corpo del Signore per la comunione dei fedeli nell’Azione liturgica del Venerdì Santo, per il Viatico degli infermi e per l’adorazione comunitaria e personale, silenziosa e prolungata, del mirabile Sacramento istituito in questo giorno. L’Eucaristia sia custodita in un tabernacolo chiuso, senza farne l’esposizione con l’ostensorio. Dopo la mezzanotte del Giovedì Santo, l’adorazione si compie senza solennità, essendo già iniziato il giorno della Passione del Signore.
Venerdì Santo «Passione del Signore»
«In questo giorno in cui «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1Cor 5,7), la Chiesa con la meditazione della passione del suo Signore e sposo e con l’adorazione della croce commemora la sua origine dal fianco di Cristo, che riposa sulla croce, e intercede per la salvezza di tutto il mondo» (Lettera circolare sulla preparazione e celebrazione delle feste Pasquale, n. 58).
La Chiesa in questo giorno fa memoria e celebra la passione vivificante e la morte redentrice del nostro Salvatore. Il tono che pervade la Liturgia delle Ore e l’azione liturgica pomeridiana, il digiuno e l’astinenza, è quello dossologico con cui si mette in risalto il valore salvifico e glorificante della morte di Gesù. Il mistero della croce si staglia in tutta la celebrazione odierna con i suoi ritmi orari e tutto converge alla celebrazione pomeridiana della passione di Gesù Cristo.
Questa celebrazione con la sua sobrietà rituale è scandita dall’alternanza ritmica tra silenzio e parola. La comunità entra nella celebrazione attraverso il silenzio adorante con cui si prostra dinanzi al grande mistero della passione di Cristo. Da questo silenzio scaturisce l’imperativo della Chiesa rivolto verso il Padre: «Ricordati, o Padre, della esperienza liminale, data dal mistero di cui fa memoria e dalle modalità con cui lo celebra.
Il mistero del riposo del Signore Gesù nel sepolcro e la sua discesa agli inferi costituiscono il memoriale che la comunità contempla. Al riposo di Cristo corrisponde la sosta della Chiesa in preghiera, nel silenzio e nel digiuno. La sosta ecclesiale orante è memoria della sosta delle donne di fronte alla tomba (cf. Mt 27,61).
Essa è anche collegata alla memoria che la fede popolare ha creato nella contemplazione e preghiera della Madre che sosta presso il sepolcro del Figlio. «In Maria, secondo l’insegnamento della tradizione, è come radunato tutto il corpo della Chiesa: ella è la “credentium collectio uni versa” (Ruperto di Deutz, De glorificatione Trinitatis, VII, 13). Perciò la Vergine Maria che sosta presso il sepolcro del Figlio, come la rappresenta la tradizione ecclesiale, è icona della Vergine Chiesa che veglia presso la tomba del suo Sposo, in attesa di celebrarne la Risurrezione.
A questa intuizione del rapporto tra Maria e la Chiesa si ispira il pio esercizio dell’Ora della Madre: mentre il corpo del Figlio riposa nel sepolcro e la sua anima è scesa negli inferi per annunciare ai suoi antenati l’imminente liberazione dalla regione dell’ombra, la Vergine, anticipando e impersonando la Chiesa, attende piena di fede la vittoria del Figlio sulla morte» (Direttorio su pietà popolare e liturgia, n. 147).
Il Sabato Santo ha una ritualità propria, generata dal mistero stesso di cui si fa memoria. Liturgicamente e pastoralmente questo memoriale si esprime in una vera e propria tensione rituale, attraverso la Liturgia delle Ore, i riti di preparazione prossima per gli eletti al battesimo e la celebrazione della penitenza.
Domenica di Pasqua «Risurrezione del Signore»
«Per antichissima tradizione questa è la notte di veglia in onore del Signore (Es 12,42), cosicché i fedeli, secondo l’ammonizione del Vangelo (Lc 12,35-37), portando in mano le lampade accese, sono simili a coloro che attendono il ritorno del Signore, in modo che, quando egli verrà, li trovi ancora vigilanti e li faccia sedere alla sua mensa» (MR 169, n. 1).
Durante la Veglia Pasquale, «madre di tutte le veglie» (S. Agostino, Sermone 219), tutta la Chiesa diffusa sulla terra celebra la resurrezione del Signore, compimento di tutto e senso di ogni cosa. La resurrezione di Cristo è celebrata da tutta intera la Veglia. Essa non è una rappresentazione sacra che prevede ad un certo punto la drammatizzazione della resurrezione.
La Veglia Pasquale, come le liturgie precedenti, possiede una sua intrinseca unità liturgica e teologica, declinata secondo una variegata ritualità. Il mistero e l’evento della resurrezione di Cristo Signore sono celebrati nella loro dimensione cosmica, storico-salvifica, ecclesiale, escatologica.
La dimensione cosmica della Pasqua è espressa dalla ritualità lucernale con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero, la processione e il canto del preconio Pasquale (MR pp. 169 176, nn. 8-18); la dimensione storico-salvifica è annunciata dalla ricca liturgia della Parola nell’alternanza tra letture, salmi e orazioni (MR pp. 177-180, nn. 19-35); la dimensione ecclesiale Pasquale è celebrata attraverso la liturgia battesimale dalla litania dei santi alla benedizione dell’acqua battesimale, dalla professione di fede alla celebrazione dei battesimi e della confermazione e all’aspersione di tutta l’assemblea (MR pp. 181-187, nn. 36-55); la dimensione escatologica della Pasqua è celebrata dalla liturgia eucaristica ai riti di comunione (MR pp. 188-190, nn. 56-64).
Per l’importanza che la Veglia riveste a livello ecclesiale, liturgico e pastorale, essa sia unica in ogni comunità cristiana, abbia le caratteristiche della festa e della gioia e si operi in modo che la partecipazione dei fedeli sia piena. L’intera celebrazione della Veglia Pasquale si svolge durante la notte e termina prima dell’alba. Il giorno di Pasqua costituisce il culmine del Triduo, la pienezza del mistero celebrato, nel quale già siamo entrati con la Veglia della notte.
Il giorno di Pasqua con le sue diverse celebrazioni diventa non solo la mèta del cammino ecclesiale ma anche il paradigma di vita e pastorale. Questo «giorno fatto dal Signore» (Sal 117,24) è la sorgente dell’esultanza piena in cui la Chiesa si rallegra. Questo giorno nuovo è spazio-tempo ecclesiale, in cui si celebra l’eucaristia che sazia la comunità e la rinnova, comunica lo Spirito e la sospinge alla gloria della resurrezione (cf. Dopo la comunione, MR p. 194).
L’unità del Triduo converge verso la solenne celebrazione del giorno di Pasqua, caratterizzata dalla memoria Pasquale battesimale con l’aspersione, l’annuncio apostolico kerigmatico con il canto del vangelo, la professione di fede come vera redditio symboli, la condivisione eucaristica. Il canto del Figlio Risorto che, rivolto al Padre, risuona nell’assemblea liturgica rivela il grande mistero e l’evento di questo giorno: «Sono risorto, o Padre, e sono sempre con te. Alleluia» (Sal 138,18). Ant. d’Ingresso, MR p.192)
L’intuito credente del popolo associa sempre il Figlio alla Madre sia nell’ora del dolore sia nell’ora della gloria. Il canto del Regina caeli e l’Incontro della Madre con Gesù Risorto la mattina di Pasqua mettono in risalto come Maria sia la prima a partecipare della gloria Pasquale.