Il giudizio di Dio si sostanzia di un auto-giudizio che l’uomo si dà, di fronte alla Verità rivelatagli da Dio

di Gilberto Borghi
5 Aprile 2025
Per gentile concessione di
http://www.vinonuovo.it
Giudizio
Questa parola rimanda alla condizione degli esseri umani dopo la morte, in quelli che venivano chiamati “i novissimi”, cioè le cose ultime. Nell’idea tradizionale, il giudizio è pensato come un atto di Dio con cui valuta la nostra vita terrena e ne trae la decisione di “inviarci” alla nostra destinazione finale che ci siamo “meritati”: inferno o paradiso.
Il Catechismo della Chiesa cattolica dice: “Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola inferno” (1033). E ancora: “Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio, in cui si persiste sino alla fine” (1037).
Il Nuovo Testamento, dal canto suo, ha affermazioni diversificate, ma che sottolineano più la responsabilità dell’uomo nell’esito finale del giudizio, che non l’intenzione di Dio di punire o premiare: “chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (Gv 3,18); “con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,38); “con la tua durezza e il tuo cuore non convertito, accumuli la tua rabbia, per il giorno del giudizio” (Rm 2,5); “ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato” (Gl 6,7).
Sembra, perciò, abbastanza evidente che la forma del pensiero classico sul giudizio non corrisponda alle indicazioni di Cristo, ma piuttosto a quella del rapporto di “paura” dell’uomo peccatore, non ancora “salvato” di fronte ad un Dio percepito come “avversario”.
Certo che il giudizio resta di Dio, nel senso che è Lui a definire e a mostrare a noi la verità con cui ci misureremo. Ma l’azione che Dio compie in questo atto è solo quella di manifestare la verità della vita delle persone e della storia: “Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena” (1039).
All’uomo spetta, invece, di accettare definitivamente o no il suo amore, di fronte a questa verità. E in questo, di sancire egli stesso la propria destinazione finale, rendendo definitivo l’atteggiamento di apertura o chiusura all’amore di Dio avuto in vita. Se vogliamo essere onesti perciò dobbiamo dire che il giudizio di Dio si sostanzia di un auto-giudizio che l’uomo si dà, di fronte alla Verità su sé stesso, rivelatagli da Dio.
Anche nel giudizio Dio continua ad amarci. Lui ci rivela la verità della nostra vita, proprio per l’amore che ci porta. Questo significa che mostrerà di noi quel poco o tanto di amore vissuto che la nostra vita contiene, e in rapporto ad esso, il senso di tutte le scelte della nostra vita, anche quelle peccaminose. E Dio farà questo nella speranza che noi non abbiamo abdicato compiutamente al nostro desiderio profondo di amare, affinché noi non rifiutiamo definitivamente la sua offerta d’amore.
Per questo il giubileo non può essere vissuto sotto la cappa del senso di “paura”, per il timore della condanna definitiva sempre in agguato, ma sotto lo sguardo supplichevole di Dio verso di noi, che ci ama gratuitamente in un modo che difficilmente riusciamo a credere. Non siamo noi che con fatica dobbiamo arrancare per “raggiungerlo”, ma è lui che ci supplica di lasciarci abbracciare e amare, come Paolo scrive: “lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20).
Per favore mi potreste inviare la Parola 13 del Giubileo?
Mi scuso e ingrazio per il favore.
franca.fusato@gmail,com
"Mi piace""Mi piace"