Alessandro Maggiolini
Per gentile concessione di
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Me lo diceva, giorni fa, una signora – una Rossi, una Brambilla qualsiasi, non una specialista – : già, è facile affermare che si deve pregare; ma io ho tre figli: al mattino è un cataclisma, quando ci si sveglia: si fanno i turni al bagno; il latte non bolle mai; poi c’è il maggiore da portare a scuola e gli altri due che occupano tutto il giorno: sapesse, non lasciano requie; non si può togliergli gli occhi di dosso perché buttano roba dal balcone, e anche ai giardinetti, se non si sta attenti, litigano, mettono ogni cosa in bocca… Mio marito è operaio: sa com’è, ci si saluta a colazione e non ci si rivede che a sera, stanchi morti… Come si può pregare in questo bailamme?

Già, come si può pregare in questo bailamme?

Signora, sarò sbagliato; ma penso che qualche lembo di tempo occorra rubarlo alla giornata per la preghiera. Se vuole, ci riesce. La preghiera coi bambini, che insegnano anche a noi grandi. La preghiera con suo marito. La preghiera – perché no? – da sola. Ricorda il Vangelo? «Tu, quando preghi, entra nella tua stanza, chiudi la porta e prega il Padre tuo che è nei cieli…».

Sarò sbagliato, ma diffido delle persone che assicurano che tutta la loro vita è preghiera. Giocano a fare i grandi mistici per non recitare le orazioni del mattino e della sera. Santa Teresa la grande, san Giovanni della Croce potevano essere immersi in faccende caotiche e aver sempre Dio sullo sfondo come un’idea fissa da cui non potevano distogliere il pensiero e l’affetto… Ma noi, poveri diavoli?

Normalmente, la giornata non è per nulla una preghiera: è una corsa ad ostacoli, è un ballo di san Vito – dove il Santo non c’entra per nulla -, se non c’è un momento chiaro e preciso dedicato a Dio. Provi a pensarci e risponda con sincerità… E poi c’è la questione delle occupazioni. Dunque, la preghiera è qualcosa di riservato a monache ed a frati che non hanno altro da fare?… È anche impegno loro, e c’è da augurarsi che lo eseguano davvero, senza sfarfallare in tante vicende che non li riguardano troppo. Ma una mamma con tre figli, un operaio a orario fisso e un po’ stretto, come fa?

Signora, ricordo un bancario qualsiasi che, quando va e torna dall’ufficio, nel traffico ingorgato e nervoso delle ore di punta, non si mette a premere sull’acceleratore urlando a quello della macchina davanti e imprecando ai semafori troppo brevi e al verde che non esce mai: si infila al dito il suo rosario basco e si mette a recitare i suoi padrenostro e le sue avemaria. Lei può riderne; ma lui è contento. Del resto, non fa che applicare, in edizione rinnovata e corretta, quanto ci insegnavano i vecchi maestri di spiritualità, i quali invitavano a dire le «giaculatorie» – le chiamavano così, e il termine è bellissimo, se compreso – quando si vedeva un campanile, si sentivano suonare le ore o ci si staccava un istante dal lavoro… In un orecchio, le dirò che anch’io, in autostrada ad esempio, quando viaggio solo, conto le avemaria con i cartelli dei chilometri. Anche qui, sorrida pure; ma a me la monotonia passa e l’interesse per la preghiera è perfino più forte della mesta processione dei cartelli di propaganda… Tranquillizza, mette di buon umore… Se certi psicologi conoscessero il rosario, ponga, prescriverebbero forse meno sedativi e meno sonniferi ai loro clienti. Parlo sul serio, e senz’ombra di disprezzo.

Per dire che, per pregare, non occorre entrare in un’aria rarefatta, introdursi in una sorta di vuoto spinto; si entra nel colloquio con Dio portandovi quel che si è e quel che si fa: i nostri pasticci quotidiani, che però han bisogno di trovare un senso e una dignità. E Uno cui raccontarli: Uno che non ci snobbi, ma ci faccia capire che la vita ha un valore…