V Domenica di Quaresima – Anno C
Giovanni 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
(Letture: Isaia 43,16-21; Salmo 125; Filippesi 3,8-14; Giovanni 8,1-11).
Il perdono gratuito di Dio
Clarisse Sant’Agata
Gesù è seduto ad insegnare nel tempio, ma i farisei vengono per metterlo nuovamente alla prova e gli presentano un caso da risolvere, un adulterio. La donna è un accidente, a loro interessa solo vedere come se la cava il Maestro famoso con questa situazione: lui che fa tanto il misericordioso come rispetta la legge di Mosè? Si tratta semplicemente di emettere la sentenza. Gesù però prende la situazione da un altro punto di vista affrontando, in modo insolito, il problema di come tenere insieme legge e uomo. Questa storia è un intrigo di ingiustizie che porterebbero all’omicidio.
“Gli condussero una donna sorpresa in adulterio”. C’è una parzialità di giudizio. Dicono a Gesù “ora Mosè nella legge ha detto di uccidere donne come questa”. In Levitico 20,10 (e il passo parallelo Dt 22,22) leggiamo “se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera devono essere messi a morte”. Innanzitutto devono essere messi a morte tutti e due e si deve partire dall’uomo, ma qui l’uomo dov’è? Se sono stati colti in flagrante adulterio l’uomo c’era. A loro non interessa nulla della donna; hanno bisogno solo di una trappola per Gesù. La donna non è che un oggetto, non viene mai interpellata e solo Gesù le darà la parola alla fine. Gesù non si appella a nessuna di queste ingiustizie perché il problema non è qui, ma il problema è la prospettiva, il punto di osservazione. Gesù lo mostrerà in vari modi soprattutto con dei gesti. Gesù ci farà capire che ciò che è sbagliato è il modo in cui questa gente mette in relazione la legge con quella donna al di là dei contenuti di quella legge.
“Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”. C’è la donna in mezzo, tutta la gente intorno e Gesù che si abbassa. Si abbassa rispetto agli interlocutori e si mette ad un altro livello rispetto a loro, e anche rispetto alla donna, la guarda da un altra posizione e facendo quel gesto forse vuole invitare i suoi interlocutori a fare lo stesso, a guardare da un’altra posizione perché la donna appaia in tutta la sua dignità. Gesù si mette ai piedi della donna. Poi scrive sulla terra con il dito. Rimanda come Dio aveva scritto con il dito sulle tavole di pietra. Gesù scrive la legge, ma ai piedi della donna e la scrive sulla terra, su ciò di cui siamo fatti, ma la terra anche si cancella, non è una norma astratta assoluta senza una storia. Gesù non giudica un caso, ma dice una parola ad una persona. Questa è una legge a servizio dell’uomo, una legge che è per l’uomo e non contro l’uomo. Gesù si abbasserà sempre di più, fino ad entrare nella profondità della terra, fino a liberare l’uomo dall’abisso della morte perché possa vivere in piedi, da figlio che guarda il volto del Padre, che si rimette in relazione con Lui e vive della Sua volontà.
“Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Gli interlocutori però non hanno ancora capito, insistono e Gesù li provoca per fare un altro esercizio interiore e cioè provare a mettersi al posto della donna. E’ facile applicare senza misericordia la legge agli altri, ma quando la legge giudica noi? “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Quando colui che è in questione sono io la legge subito si umanizza, diventa subito a misura d’uomo. Il problema non è solo il peccato di lei, ma il peccato di tutti e Gesù è come se chiedesse ai suoi interlocutori di prendersi la responsabilità di uccidere colei che accusano. L’unico testimone del peccato altrui può essere solo chi è senza peccato, chi non ha lo sguardo oscurato dal peccato. “Se tu non arrivi a versare lacrime sui tuoi peccati – dice Giovanni Climaco -, piangi almeno per non esservi giunto!”. Tale rivelazione della propria miseria, del proprio peccato è frutto di una vera e propria grazia di Dio. Davanti alla risposta di Gesù, pur di non riconoscere pubblicamente il loro peccato, se ne vanno via tutti. L’unica assolta alla fine sarà la donna, gli altri se ne vanno con i loro peccati.
“Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Gesù non nega che ci sia il peccato in quello che la donna ha fatto e sa che fa per primo male a lei, ma concepisce la legge a servizio dell’uomo non contro l’uomo. La legge sta al servizio, ai piedi dell’uomo, non lo sovrasta, è lì per essergli di liberazione. Gesù, rimasto ora solo con la donna, la interpella, le fa dire qualcosa, non è più un caso, ma una persona e fa pronunciare a lei l’esito del giudizio: “nessuno ti ha condannata?” “nessuno Signore”. Sant’Agostino lapidariamente commenta: “Rimasero in due: la misera e la misericordia”. Lui e lei, l’innocente e la colpevole, sono posti l’uno di fronte all’altra, con sguardi incrociati della sorpresa, ma in realtà raccolti dal segno della misericordia. Il giudizio non mi viene da un altro ma siamo noi a giudicarci nella misura in cui ci mettiamo davanti a Lui. Gesù mette il sigillo “neanche io ti condanno” (Gv3,17 “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”).
Gesù rimette nel giusto ordine gli elementi: una legge che è per l’uomo e non contro l’uomo, per la sua libertà, ma per questo Gesù pagherà con la vita. Nel Vangelo di Giovanni (in 8,59 e 10,31) Gesù è minacciato di lapidazione e alla fine pagherà con la vita, nel dono di se sulla croce, questa liberazione dell’uomo.
Sorelle Povere di Santa Chiara
Monastero Santa Maria Maddalena
http://www.clarissesantagata.it
Quando Gesù apre le porte delle nostre prigioni
Ermes Ronchi
Se ne vanno tutti, cominciando dagli anziani. È calato il silenzio, Gesù rimane solo con la donna e si alza, con un gesto bellissimo! Si alza davanti alla adultera, come ci si alza davanti ad una persona attesa e importante. Si alza in piedi, con tutto il rispetto dovuto a una presenza regale, si alza per esserle più vicino, nella prossimità, occhi negli occhi, e le parla.
Nessuno le aveva parlato prima. Lei e la sua storia, lei e il suo intimo tormento non interessavano. E la chiama Donna con il nome che ha usato per sua Madre.
Non è più l’adultera, la trascinata, è la donna.
Gesù adesso si immerge nell’unicità di quella donna, nell’intimo di quell’anima. Ed è soltanto così che anche noi possiamo trovare l’equilibrio tra la regola e la compassione. Immergendoci nella concretezza di un volto e di una storia, non in un’idea o una norma. Imparando dall’intimità e dalla fragilità, maestre di umanità.
«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?»
Dove sono quelli che sanno solo lapidare e seppellire di pietre? Non qui devono stare.
Il Signore non sopporta gli ipocriti, quelli delle maschere, del cuore doppio, i commedianti della fede; e poi accusatori e giudici. Vuole che scompaiano. Come sono scomparsi quel giorno, così devono scomparire dal cerchio dei suoi amici, dai cortili dei templi, dalle navate delle chiese, dalle stanze del potere.
Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno. Gesù adesso scrive non più per terra ma nel cuore di quella donna, e la parola che scrive è: futuro.
E la donna di colpo appartiene al suo futuro, alle persone che amerà, ai sogni che farà. Il perdono di Dio è un atto creativo: apre sentieri, ti rimette sulla strada giusta, fa compiere un passo in avanti, spalanca futuro. Non è un colpo di spugna sugli errori del passato, ma è di più, un colpo d’ala verso il domani, un colpo di vento nelle vele della mia barca.
Va e d’ora in poi non peccare più: risuonano le sei parole che bastano a cambiare una vita! Gli altri uccidono, lui indica passi; gli altri coprono di pietre, lui insegna sentieri.
E d’ora in avanti… ciò che sta dietro non importa più. Il bene possibile domani conta più del male di ieri. Dio perdona come un creatore.
Tante persone vivono in un ergastolo interiore, schiacciate da sensi di colpa per errori passati. Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui trasciniamo noi stessi e gli altri. Lui sa bene che solo uomini e donne liberati e perdonati possono seminare libertà e pace.
Dice a quella donna: Esci dal tuo passato. Tu non sei l’adultera di questa notte, ma la donna capace ancora di amare, di amare bene. E di conoscere più a fondo di tutti il cuore di Dio.
Avvenire
Nessuna condanna, solo misericordia
Enzo Bianchi
L’itinerario quaresimale all’insegna dell’annuncio della misericordia di Dio narrata da Gesù conosce un vero e proprio vertice nel brano evangelico di questa domenica: il testo dell’incontro tra Gesù e la donna sorpresa in adulterio. Questa pagina ha conosciuto una sorte particolarissima, che attesta il suo carattere “scandaloso”: è assente nei manoscritti più antichi, è ignorato dai padri latini fino al IV secolo e non è commentato dai padri greci del primo millennio. Al termine di un lungo e travagliato migrare questo testo è stato inserito nel vangelo secondo Giovanni, prima del v. 15 del capitolo 8, in cui è riportata una parola di Gesù che sembra giustificare tale collocazione: “Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno”. Va detto che il nostro brano presenta somiglianze con il vangelo secondo Luca, quello più attento all’insegnamento di Gesù sulla misericordia, e potrebbe essere agevolmente collocato dopo Lc 21,37-38: “Durante il giorno Gesù insegnava nel tempio; la notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo, al mattino, andava da lui nel tempio per ascoltarlo”. Noi però, in obbedienza al canone delle Scritture, lo leggiamo dove la redazione finale lo ha posto, nel contesto di una discussione sul rapporto tra Legge e peccato.
Mentre Gesù, seduto nel tempio, annuncia la Parola, “scribi e farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio”, per “metterlo alla prova”. Spesso i vangeli annotano che gli avversari di Gesù tentano di metterlo in contraddizione con la Legge, per poterlo accusare di bestemmia. Ma questa volta il tranello non riguarda interpretazioni della Legge, bensì una donna – o meglio, quella che è “usata” come un caso giuridico – sorpresa in adulterio e trascinata con la forza davanti a lui da quanti vigilano sull’altrui compimento della Torah invece che sul proprio. Fatta irruzione nell’uditorio di Gesù, questi uomini religiosi collocano la donna in mezzo a tutti e si affrettano a dichiarare: “Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa”. La loro dichiarazione sembra ineccepibile, ma in realtà è parziale: la Legge, infatti, prevede la pena di morte per entrambi gli adulteri (cf. Lv 20,10 e Dt 22,22) e attesta la stessa pena, mediante lapidazione, per un uomo e una donna fidanzata caduti in adulterio (cf. Dt 22,23-24). Ma dov’è qui l’uomo?
La durezza della pena prevista si spiega con il fatto che l’adulterio è una smentita della promessa creazionale di Dio e una grave ferita all’alleanza stipulata dalla coppia umana (cf. Ml 2,14-16). Ecco dunque che i gelosi custodi della Legge, irreprensibili in apparenza e ritenuti dalla gente “uomini religiosi” per la loro visibilità ostentata (cf. Mt 23,5), chiedono a Gesù: “Tu che ne dici?”. Tale domanda mira a coglierlo in contraddizione: se Gesù non conferma la condanna e non approva l’esecuzione, può essere accusato di trasgredire la Legge di Dio; se, al contrario, decide a favore della Legge, perché accoglie i peccatori e mangia con loro (cf. Mc 2,15-16 e par.; Lc 15,1-2)? Perché annuncia la misericordia? Quel “Che ne dici?” significa: “Tu che predichi il perdono di Dio, che dici di essere venuto a chiamare i peccatori e non i giusti (cf. Mc 2,17 e par.), che rispetto hai della Legge?”.
Sostiamo su questa scena. Alcuni hanno portato a Gesù una donna, perché sia condannata. Discepoli e ascoltatori sono distanti: qui c’è solo Gesù di fronte a questi uomini religiosi – giudici ingiusti, nemici – e, in mezzo, una donna in piedi, nell’infamia. Non c’è spazio per considerare la sua storia, i suoi sentimenti: per i suoi accusatori ella non ha solo commesso il peccato di adulterio, è un’adultera, tutta intera definita dal suo peccato. Ma Gesù si china e si mette a scrivere per terra: in tal modo si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti a lui! Il tutto senza proferire parola, in un grande silenzio…
Ma cosa significa il gesto di Gesù? Egli scrive i peccati degli accusatori della donna, come pensa Girolamo? Oppure scrive frasi bibliche, secondo l’opinione di alcuni esegeti? Non è facile interpretare questo gesto: a mio avviso va inteso in quanto azione dotata di una forte carica simbolica. Credo che si debbano vedere da un lato gli scribi e i farisei che ricordano la Legge scolpita su tavole di pietra; dall’altro Gesù il quale, scrivendo per terra, la terra di cui siamo fatti noi figli e figlie di Adamo, il terrestre (cf. Gen 2,7), ci indica che la Legge va inscritta nella nostra carne, nelle nostre vite segnate dalla fragilità e dal peccato. Non a caso Gesù scrive “con il dito”, così come la Legge di Mosè fu scritta nella pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18; Dt 9,10) e fu riscritta dopo l’infedeltà idolatrica del vitello d’oro e la rottura dell’alleanza (cf. Es 34,28).
Poiché però gli accusatori insistono nell’interrogarlo, Gesù si alza e non risponde direttamente, ma fa un’affermazione che è anche una domanda: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Poi si china di nuovo e torna a scrivere per terra. Ma chi può dire di essere senza peccato? Gesù conferma la Legge, secondo cui il testimone deve essere il primo a lapidare il colpevole (cf. Dt 13,9-10; 17,7), ma dice anche che il testimone deve essere lui per primo senza peccato! Certo, quella donna adultera ha commesso un peccato manifesto; ma i suoi accusatori non hanno peccati o in verità hanno peccati nascosti? E se hanno peccato, con quale autorevolezza lanciano le pietre che uccidono il peccatore?
Solo Gesù, lui che era senza peccato, poteva scagliare una pietra, ma non lo fa. La sua parola, che non contraddice la Legge e nel contempo conferma la sua prassi di misericordia, appare efficace, va al cuore dei suoi accusatori i quali, “udito ciò, se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani”: più si avanza in età, più numerosi sono i peccati commessi; questa coscienza dovrebbe impedire la nostra inflessibilità verso gli altri… Così una sola parola di Gesù, incisiva e autentica, una di quelle domande che ci fanno leggere in profondità noi stessi, impedisce a quegli uomini di fare violenza in nome della Legge che credono di interpretare con rigore. Solo Dio, e quindi solo Gesù, potrebbe condannare quella donna. Ma Gesù sceglie di narrare in altro modo l’agire di Dio, che non è mai condanna ma sempre perdono. Potremmo dire che Gesù “evangelizza Dio”, cioè rende Dio Vangelo, buona notizia. “Dio, nessuno l’ha mai visto” (Gv 1,18), ma molti pensano di interpretarlo e di agire in nome suo; e così raccontano l’immagine di un Dio perverso, mettendo una maschera sul suo volto. Gesù invece, l’unico uomo che ha narrato in pienezza di Dio, che ne è stato esegesi vivente (cf. ibid.), afferma che di fronte al peccatore Dio ha un solo sentimento: non la condanna, ma il desiderio che si converta e viva (cf. Ez 18,23; 33,11).
Solo quando tutti se ne sono andati, allora Gesù si alza in piedi e sta di fronte alla donna, finalmente restituita alla sua identità di essere umano, nel faccia a faccia con lui. È la fine di un incubo, perché i suoi lapidatori si sono dileguati e perché chi doveva giudicarla ora sta in piedi, come colui che assolve. Adesso è possibile l’incontro parlato, che si apre con l’appellativo rivoltole da Gesù: “Donna”, lo stesso riservato a sua madre (Gv 2,4), alla samaritana (Gv 4,21), alla Maddalena (Gv 20,15). Rivolgendosi a lei in questo modo, Gesù la fa risaltare per quella che è: non una peccatrice, ma una donna, restituita alla sua dignità. A lei Gesù domanda: “Dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella, rispondendo: “Nessuno, Signore (Kýrie)”, fa una grande confessione di fede. Colui che si trova di fronte a lei è più di un semplice maestro, “è il Signore” (Gv 21,7)!
Infine, Gesù si congeda con un’affermazione straordinaria, gratuita e unilaterale: “Neanch’io ti condanno. Va’ e non peccare più”. Il testo non è interessato ai sentimenti della donna ma rivela che, quando è avvenuto l’incontro tra la santità di Gesù e il peccato di questa donna, allora “rimasero solo loro due, la misera e la misericordia” (Agostino). Ecco la gratuità di quell’assoluzione: Gesù non condanna, perché Dio non condanna, ma con il suo atto di misericordia preveniente le offre la possibilità di cambiare. E si faccia attenzione: non viene detto che ella cambiò vita, si convertì, né che divenne discepola di Gesù. Sappiamo solo che, affinché tornasse a vivere, Dio l’ha perdonata attraverso Gesù e l’ha inviata verso la libertà: “Va’ verso te stessa e non peccare più”…
Le persone religiose vorrebbero che a questo punto Gesù avesse detto alla donna: “Ti sei esaminata? Sai cosa hai fatto? Ne comprendi la gravità? Sei pentita della tua colpa? La detesti? Prometti di non farlo più? Sei disposta a subire la giusta pena?”. Queste omissioni nelle parole di Gesù scandalizzano ancora, oggi come ieri! Ma Gesù non condanna né giudica – come dirà poco dopo: “Io non giudico nessuno” (Gv 8,15) – e annuncia la misericordia, fa misericordia eseguendo fedelmente e puntualmente la giustizia di Dio, perché la conosce come giustizia giustificante (cf. Rm 3,21-26).
Chiamato a scegliere tra la Legge e la misericordia, Gesù sceglie la misericordia senza contraddire la Legge. Quest’ultima è essenziale quale rivelazione della vocazione umana che Dio ci rivolge; ma una volta che il peccato ha infranto la Legge, a Dio resta solo la misericordia, ci insegna Gesù. Nessuna condanna, solo misericordia: qui sta la grandezza e l’unicità di Gesù. Infatti, ogni volta che egli ha incontrato un peccatore lo ha assolto dai suoi peccati e non ha mai praticato una giustizia punitiva. Ha anche pronunciato i “Guai!” in vista del giudizio, ma non ha mai castigato nessuno, perché sapeva ben distinguere tra la condanna del peccato e la misericordia verso il peccatore.
Non pietre! Dio salva amando
Romeo Ballan, mccj
La “vita nuova” è il tema delle tre letture di questa domenica. Gesù nel Vangelo ridona la vita alla donna adultera: “Va’ e non peccare più” (v. 11). Già il profeta Isaia (I lettura) parlava di vita agli esiliati di Babilonia predicendo il ritorno in patria: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia” (v. 19). La promessa era accompagnata da due segni eloquenti: una strada nel deserto e fiumi d’acqua nella steppa. Per Paolo (II lettura) la vita nuova è una persona, Cristo Gesù, l’unico tesoro, di fronte al quale tutto il resto è perdita e spazzatura (v. 8). È Lui l’unica meta da conquistare correndo con ogni sforzo. Paolo sente tale impegno non come un peso, ma come risposta d’amore verso Cristo che lo ha conquistato (v. 12). Da questa esperienza nasce l’impulso missionario di Paolo.
“All’alba” (Vangelo), sulla spianata del tempio di Gerusalemme, ebbe inizio la vita nuova anche per una donna “sorpresa in flagrante adulterio” (v. 2.4). Una donna da lapidare, secondo la Legge, buttata lì come uno straccio davanti a Gesù, unica accusata di una colpa che, per definizione, suppone un complice, che però si è abilmente volatilizzato… Gesù la salva dalla sassaiola compiendo gesti sorprendenti, che provocano un cambio totale della situazione. Anzitutto il silenzio disarmante di Gesù, poi quello “scrivere col dito per terra” (v. 6.8) con segni che la storia non riuscirà mai a decifrare, e infine la sfida a gettare per primi la pietra (v. 7). Sono gesti che smascherano l’ipocrisia di quegli accusatori legalisti dal cuore di sasso. La loro trappola per avere di che accusare Gesù era (quasi) perfetta: se egli salva la donna, va contro la Legge; se la condanna a essere uccisa, va contro l’Impero romano, che si è riservato il diritto di un’esecuzione mortale. Gesù scavalca tutti i tranelli e va al fondo del problema e della soluzione: chiama in causa la coscienza degli accusatori.
Alla fine, la donna e Gesù restano soli: “la misera e la misericordia”, commenta Sant’Agostino. Gesù parla alla donna: nessuno le aveva parlato, l’avevano trascinata fra spintoni e accuse. Gesù le parla non con linguaggio da strada, ma con rispetto, riconoscendone la dignità; la chiama ‘donna’, come Egli soleva chiamare sua madre (Gv 2,4; 19,26). Gesù distingue tra lei -donna fragile, certo- e il suo errore, che Egli però non approva: l’adulterio è e resta un peccato (Mt 5,32), anche nel caso di un desiderio disonesto (Mt 5,28; e IX comandamento). Gesù condanna il peccato ma non la peccatrice; non si ferma ad analizzare il passato, ma rilancia la vita, riapre il futuro. Il messaggio nuovo del racconto non è il peccato, ma il cuore di Dio che ama e vuole che noi viviamo. L’immagine di Dio-amore che Gesù vuole far passare è questa: che la donna sperimenti che Dio la ama così com’è. In tal modo la donna, sentendosi rispettata, amata, protetta, è in grado di accogliere l’invito di Gesù a “non peccare più” (v. 11). Dio salva amando. Non a colpi di legge o di pietra. Solo l’amore converte e salva!
Questo scomodo brano di Vangelo ha avuto una storia travagliata: è omesso in vari codici antichi, è spostato in altri. C’è chi pensa che l’autore non sia Giovanni ma Luca, dato lo stile e il messaggio molto simili alla parabola del padre misericordioso (vedi Luca 15, nel Vangelo di domenica scorsa), con i vari personaggi della parabola: la donna nei panni del figlio minore; gli scribi e i farisei in linea con il figlio maggiore; e Gesù nel perfetto ruolo del Padre. Lo sottolinea anche un noto autore moderno: “Testo insopportabile, che manca in diversi manoscritti. La coscienza morale, e anche la coscienza religiosa degli uomini non può ammettere che il Cristo rifiuti di condannare la donna… Essa è stata sorpresa in flagrante delitto; ha commesso uno dei peccati più gravi che la Legge conosca… Il Cristo confonde gli accusatori ricordando loro l’universalità del male: anch’essi, spiritualmente, sono degli adulteri; anch’essi in un modo o nell’altro, hanno tradito l’amore. ‘Chi è senza peccato…’ Nessuno è senza peccato, ed egli concluse dicendo: «Va’ e d’ora in poi non peccare più»: una frase che apre un nuovo avvenire” (Olivier Clément).
Il brano evangelico costituisce una intensa pagina di metodologia missionaria per l’annuncio, la conversione, l’educazione alla fede e ai valori della vita. L’amore genera e rigenera la persona, la rende libera; Gesù educa all’amore vissuto nella libertà e nella gratuità. Solo a queste condizioni si capisce perché dobbiamo lasciar cadere dalle mani le pietre che vorremmo scagliare sugli altri. Il fatto poi che i più anziani comincino a sfilare via (v. 9) rivela in loro un senso di colpa, di vergogna, o di aver capito la lezione? Infine risulta chiaro che chiunque opera e lotta onestamente per le pari opportunità tra donna e uomo, nei vari ambiti, trova in Gesù un precursore ideale, un pioniere e un alleato.
La mirada de Jesús va directamente al corazón y fiándose completamente nos marca el camino que nosotros queramos escoger para ser felices.
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