I Domenica di Quaresima – Anno C
Lc 4,1-13
1 Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2 per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3 Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». 4 Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».
5 Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6 e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. 7 Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». 8 Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
9 Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10 sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; 11 e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». 12 Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
13 Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
(Letture: Deuteronomio 26,4-10; Salmo 90; Romani 10,8-13; Luca 4,1-13).

Sandro Botticelli, Tentazioni di Cristo, Cappella Sistina
Gesù, tentato come noi
Enzo Bianchi
È la prima domenica del tempo di Quaresima, tempo severo ma “favorevole” (2Cor 6,2) per il cristiano: soprattutto, tempo di lotta contro le tentazioni. Per questo la chiesa all’inizio di questo tempo ci offre sempre il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, tentazioni che secondo Luca saranno sempre presenti nella sua vita, fino alla fine (cf. Lc 23,35-39). Anche Gesù sapeva che sta scritto: “Figlio, se vuoi servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1).
Gesù era stato immerso nel Giordano dal suo maestro Giovanni il Battista, e durante quell’immersione lo Spirito santo era sceso su di lui dal cielo aperto, mentre la voce del Padre gli diceva: “Tu sei il mio Figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). È stato l’evento che ha cambiato la vita di Gesù, le ha dato una nuova forma, perché da quel momento egli non è più solo il discepolo del Battista, ma è unto come profeta, ripieno dello Spirito. Per questo lascia Giovanni e gli altri membri della comunità e si allontana dal Giordano, inoltrandosi nel deserto di Giuda. Proprio lo Spirito che è sceso su di lui lo spinge a questo ritiro, alla solitudine, per pensare innanzitutto alla missione che lo attende. Lo Spirito lo ha abilitato, lo ha spinto con forza verso questa nuova forma di vita, che vedrà Gesù quale predicatore e profeta, ma egli deve fare opera di discernimento: come attuerà la sua missione? Con quale stile realizzerà la sua vocazione? Come continuerà a essere in ascolto di Dio, il Padre che lo ha generato (cf. Sal 2,7, che secondo alcuni codici costituisce il contenuto della voce del Padre al battesimo)? Come si opporrà a tutto ciò che contraddice la volontà divina?
Il ritiro nel deserto è dunque necessario: un ritiro di quaranta giorni, lungo, ma con un limite temporale perché in vista di qualcos’altro. Gesù sa che andare nel deserto significa in primo luogo spogliazione di tutto ciò che uno ha; sa che la solitudine è dimenticare ciò che uno è per gli altri; sa che la penuria di cibo è verifica dei propri limiti umani, della propria condizione di fragilità, dunque di mortalità. Ma solo nella radicale nudità l’uomo conosce la verità profonda di se stesso e del mondo in cui è venuto: e in questa spogliazione la prova, la tentazione è necessaria, da essa non si può essere esenti. Già questo passo di Gesù indica come egli avesse alla base della sua scelta l’adesione alla realtà, alla condizione umana. Quel tempo di quaranta giorni – già vissuto da Mosè (cf. Es 24,18; Es 34,28; Dt 9,9-11.18.25) e da Elia (cf. 1Re 19,8), già sperimentato nei quarant’anni di Israele nel deserto (cf. Nm 14,33-34; Nm 32,13; Dt 2,7; Dt 8,2-4; Dt 29,4), dopo l’uscita in libertà dall’immersione nel mar Rosso – è un tempo di prova che implica fatica, rinuncia, scelta.
Luca esemplifica in numero di tre le tentazioni che in realtà per Gesù devono essere state molte, e con sapienza antropologica le riassume in quelle del mangiare, del possedere, del dominare. Ma mettiamoci in ascolto puntuale del testo. “Gesù non mangiò nulla per quaranta giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane’”. Gesù ha fame e sente in sé tutto il potere della divisione che lo abita, sente la voce del diábolos, di colui che divide. Se sperimento un bisogno impellente, una pulsione forte, quella della fame che morde lo stomaco e provoca le vertigini, come uscirne? Facendo qualsiasi cosa pur di sfuggire al bisogno, si sarebbe tentati di rispondere: una tentazione tanto più forte, quanto più imperioso è il bisogno. Ma Gesù ha digiunato liberamente, non costretto, volendo imparare a dire dei no, a fare una rinuncia. Certamente la tentazione del cibo è unica per Gesù, uomo come noi ma in una vocazione e missione uniche ricevute da Dio, che lo ha appena proclamato suo Figlio amato. Se Gesù può partecipare alla potenza di Dio, perché non ricorrere al miracolo, mutando un sasso del deserto in pane, e così potersi saziare? Con quel miracolo, però, rinuncerebbe a ciò che ha scelto divenendo uomo: “mettere tra parentesi” gli attributi della sua divinità, condizione che condivideva con Dio, per essere in tutto un uomo, un terrestre come ciascuno di noi (cf. Fil 2,6-8). La tentazione è dunque quella di dimenticare l’umanizzazione scelta, di rinunciarvi, e di usare la potenza di Dio per saziare la fame e riempire l’estrema spogliazione. Ma Gesù resiste, perché conosce la parola: “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Dt 8,3a). Sì l’uomo non è solo fame di pane, ma anche – come evidenzia il parallelo matteano che cita per intero il passo del Deuteronomio – “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3b; Mt 4,4).
jNella seconda tentazione Gesù vede dall’alto tutti i regni della terra, la loro ricchezza, la loro arroganza, la loro scena mondana. Tutta questa ricchezza può essere a sua disposizione, tutto questo potere che è dominio sugli umani e sulla terra può essere da lui esercitato, a una sola condizione: che Gesù adori la ricchezza e il potere, personificati dal diavolo. Se Gesù si sottometterà agli idoli della ricchezza e del potere, questi in cambio saranno nelle sue mani, come strumenti per la sua missione, come garanzia di efficacia: egli riuscirà, riuscirà, in “un’inarrestabile ascesa” (Sal 48,19)… Ma anche di fronte a questa pulsione che abita tutti gli umani Gesù sa dire no. È venuto per servire non per dominare (cf. Mc 10,45; Mt 20,28), è venuto nella povertà, non nella ricchezza (cf. 2Cor 8,9). Ciò non solo non faciliterà la sua missione, ma ne segnerà visibilmente il fallimento secondo l’evidenza mondana; Gesù, però, non pensa alla sua missione come a una conquista, a un grande raduno di credenti su cui dominare. Per questo è libero di rispondere, citando ancora la Torà: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” (Dt 6,13).
Segue poi la tentazione più alta, per questo l’ultima, la grande tentazione che per pudore non spiego pienamente ma alla quale solo alludo. Dal punto più alto della costruzione religiosa per eccellenza, il tempio, Gesù vede sotto di sé l’abisso, che è anche il nulla, il vuoto, perché la ragione ci dice che nell’abisso non c’è niente, neanche Dio, ma si è abbandonati per sempre, come se non si fosse mai nati: l’abisso dà le vertigini… Cosa deve fare Gesù davanti a questo buco nero? Gettarsi giù, costringendo il Dio che lo ha dichiarato Figlio a fare il miracolo, cioè inviando angeli a salvarlo per impedirgli la caduta, come lo tenta il diavolo citando la Scrittura (cf. Sal 90,11-12)? Oppure accettare la sua situazione, quella di chi vede il fallimento, il vuoto, ma resta fedele a Dio e non lo tenta, non lo provoca (cf. Dt 6,16)? Sì, questa è la tentazione delle tentazioni, già provata da Israele nel deserto quando, di fronte alle difficoltà, alle contraddizioni e all’apparente smentita delle promesse di Dio, si domandava sgomento: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7). Ciò avviene anche nei nostri cuori, quando il sentimento del fallimento dell’intera nostra vita ci coglie, ci sorprende e ci confonde, fino a farci dire dentro di noi: “È stato tutto un inganno! Dio non c’era nei nostri inizi, oppure ci ha abbandonato!”. Oso pensare che questa sia stata “la grande tentazione” di san Francesco alla fine della sua vita, quando nella solitudine della Verna fu pigiato come uva. Questa è la tentazione che vuole contraddire la fede, la fiducia posta in Dio: non bestemmiandolo, non litigando con lui, ma semplicemente negandolo, cioè estromettendolo dal proprio orizzonte e dalla vita.
Gesù ha subito queste tentazioni in quanto uomo come noi. Non ha fatto una scena esemplare, ma ha veramente vissuto questi abissi, imparando così ad aderire alla realtà: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8). Dopo questa prova del deserto, Gesù ormai sa come svolgere la missione e come portare a termine la sua vocazione, consapevole che lo Spirito santo è con lui e che della forza dello Spirito è ripieno. Questa però non è per Gesù una vittoria definitiva: il diavolo tornerà a tentarlo, cercando sempre di renderlo diviso, schizofrenico, in modo che la sua volontà neghi la volontà del Padre. Ma Gesù sarà sempre vincitore, uguale in tutto a noi eccetto che nel peccato (cf. Eb 2,17; Eb 4,15): per questo trionferà sulla morte e, quale Risorto, vivrà per sempre.
Le tentazioni? Non si evitano, sono da «attraversare»
Ermes Ronchi
Le tentazioni di Gesù sono le forze, le lusinghe che mettono ogni uomo davanti alle scelte di fondo della vita. Ognuno tentato di ridurre i suoi sogni a pane, a denaro, di trasformare tutto, anche la terra e la bellezza, in cose da consumare.
Ognuno tentatore di Dio: fammi, dammi, risolvi i miei problemi, manda angeli. Buttarsi nel vuoto e aspettare un volo d’angeli, non è fede, ma la sua caricatura: cercare il Dio dei miracoli, il bancomat delle grazie, colui che agisce al posto mio invece che insieme con me, forza della mia forza, luce sul mio cammino.
Ognuno tentato dal piacere di comandare, decidere, arrivare più in alto. Io so la strada, dice lo Spirito cattivo: vénditi! Vendi la tua dignità e la tua libertà, baratta l’amore e la famiglia…
Le tre tentazioni tracciano le relazioni fondamentali di ogni uomo: ognuno tentato verso se stesso, pietre o pane; verso gli altri, potere o servizio; verso Dio, lui a mia disposizione. Le tentazioni non si evitano, si attraversano. Attraversare le tentazioni significa in realtà fare ordine nella propria fede.
La prima: che queste pietre diventino pane! Non di solo pane vive l’uomo… Il pane è buono ma più buona è la parola di Dio. Il pane è indispensabile, eppure contano di più altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni, l’eterno in noi. L’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Dalla sua parola sono venuti la luce, il cosmo e la sua bellezza, il respiro che ci fa vivere. Sei venuto tu, fratello mio, mio amico, amore mio: parola pronunciata da Dio per me. L’uomo vive di vangelo e di creature.
Nella seconda tentazione il diavolo rilancia: venditi alla mia logica, e avrai tutto. Il diavolo fa un mercato con l’uomo: io ti do, tu mi dai. Esattamente il contrario di Dio, che ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio.
Vuoi avere le folle con te? Assicura pane, potere, successo e ti seguiranno. Ma Gesù non vuole “possedere” nessuno. Lui vuole essere amato da questi splendidi e meschini figli. Non ossequiato da schiavi obbedienti, ma amato da figli liberi, generosi e felici.
La terza tentazione è una sfida aperta a Dio. «Buttati giù, chiedi a Dio un miracolo». Ciò che Pietro, con la sua irruenza, chiede al Maestro, una sera sul lago: fammi venire a te camminando sulle acque. Fa tre passi nel miracolo eppure comincia ad affondare. Tocca con mano il prodigio, lo vive, eppure nasce paura e comincia ad affondare. I miracoli non servono per credere: Gesù ha fatto fiorire di prodigi Galilea e Samaria, eppure i suoi lo vogliono buttare giù dal monte di Nazaret.
«Nel mondo ce ne sono fin troppi di miracoli» (M. De Certeau) eppure la fede è così poca, così a rischio.
Avvenire
LA STRADA DIFFICILE: RESISTENZA O RESA?
Don Augusto Fontana
L’uomo moderno conosce l’esperienza del deserto?
La risposta è affermativa. E’ diventato luogo comune della psicanalisi, della sociologia, del cinema e delle riviste, descrivere la società come un deserto nel quale l’uomo è solo e nel quale abbondano l’incomunicabilità, l’alienazione, l’abbandono e la paura. Deserto è la città, la fabbrica, il quartiere dormitorio. Deserta è la campagna e deserte sono le chiese. Però non è lo Spirito che ci ha spinto in questi deserti; sono state le strutture che ci siamo create, i nostri miti, appetiti, la nostra economia. Questo deserto non ci richiama l’immagine paradisiaca che sembra insinuare il vangelo (nella versione di Marco 1,12-13) dove l’uomo/Adamo/Gesù vive in pace con le bestie selvatiche, dove il lupo convive con l’agnello, dove gli angeli servono il cibo. In questo nostro deserto infernale vengono date pietre al posto del pane ed anche il pane è frutto di un gioco spietato ed è oggetto di una continua conquista. Più che un deserto, è una giungla; infatti oggi si parla di giungla retributiva, burocratica, fiscale, finanziaria, edilizia e chi più ne ha più ne metta. Se però a quest’uomo moderno si chiede se egli nel deserto faccia anche l’esperienza di essere tentato da Satana, egli risponderà quasi certamente di no. L’idea del diavolo è estranea all’uomo moderno che oltre ad aver lasciato Dio fuori dalla città, ci ha lasciato anche Satana.
Ma le cose non stanno così. Certo, se il diavolo è un signore con le corna, l’uomo colto ed emancipato ha ragione di non crederci. Ma se si interroga la tradizione biblica per sapere chi è veramente Satana, le cose sono diverse. Infatti per la Bibbia il diavolo non è il contrario di Dio, ma la caricatura di Dio. Satana è tutto ciò che si attribuisce i connotati di Dio senza essere Dio, i poteri di Dio senza essere Dio, l’assolutezza di Dio senza essere Dio. Egli è l’usurpatore. E’ l’idolo che prende il posto di Dio facendosi credere Dio. E non viene mai a mani vuote: ha sempre qualcosa da promettere. Paolo nella 2 Lettera ai Corinti (11,14) dice che “si camuffa da angelo della luce” e quindi diventa un surrogato di Dio.
Ebbene, il deserto di questa città industriale che rifiuta Satana unitamente a Dio, è in realtà piena di aspiranti al ruolo di Dio. Sono una legione. Ognuno vuole porsi come criterio assoluto: il potere, la legge, l’ordine, il denaro, la proprietà, il mercato, il sessismo, il consumo, la libertà, la scienza, il partito, lo Stato, l’ideologia, la Chiesa. Ogni cosa, anche buona, nella misura in cui pretende di trascendere l’uomo e di sedersi al di sopra di lui, diventa un idolo, un dio mondano. Naturalmente ognuna di queste cose, divinizzandosi, diviene deforme e corrotta. Può essere combattuta, ma non brandendo un altro idolo.
L’assenza di Dio impedisce di liberarci dalle copie di Dio. Al contrario il vero Dio, il Padre di Gesù Cristo, è il solo criterio possibile per smascherare le caricature di Dio. Cristo ha fatto resistenza a Satana dopo essere stato battezzato dal Padre. Gesù ci ha messo in grado di smascherare i demoni camuffati e di sottrarci al potere degli idoli. E’ solo a partire da questo momento che nella nostra conversione comincia il regno di Dio e il Vangelo è creduto.
Il <credo> storico di Israele.
Il credente Israelita non trova Dio al termine di una elucubrazione filosofica, ma nella trama di una storia che Dio fa insieme al suo popolo. Il catechismo ebraico, più che contenere una serie di formule astratte, è un racconto delle azioni di Dio. L’ebreo non si domanda <Chi è Dio?> ma: <Che cosa è stato Dio per noi?>. La fede di Israele nasce dall’esperienza di un Dio che si presenta non come <Colui che è>, ma come <Colui che c’è>, ossia è qui, agisce, interviene.
Nel frammento del <Credo> storico che leggiamo oggi, si mettono in evidenza tre azioni di Jahwè:
- La scelta (vocazione), a cominciare dai Patriarchi. Una scelta gratuita che cade su una realtà debole: “Mio Padre era un arameo errante” (o con altra traduzione “…era un arameo ormai vicino alla fine” cioè indebolito dalla carestia che lo spinge ad andare in un paese straniero dove vive senza diritti civili nè cittadinanza). Notare anche l’insistenza del Nome “Signore-tuo-Dio” che diventa come un nome proprio e che definisce il rapporto personale ed esperienziale di ogni israelita con Dio: “Ascolta Israele! Oggi sei diventato il popolo del Signore-tuo-Dio“(Deut. 27,9)
- la liberazione: “Il Signore ci fece uscire…“.
- il dono della terra: “Ci diede questo paese…“.
Il dono delle primizie.
La confessione della fede storica si trasforma in liturgia. Nel testo ebraico, al versetto 10, il termine we’attah si deve tradurre con “perciò” e non (come traduce in modo scialbo la CEI) con “ora“: la fede celebrata nella liturgia nasce dalla fede sperimentata nella storia. La liturgia dei gesti e dei segni diventa espressione di una vita riconoscente e non una poesia da recitare.
Anche il Salmo 91 celebra il <Credo di Israele>, e quindi il nostro <Credo>. Chissà quante volte Gesù lo ha proclamato e pregato! Il Salmo è stato scelto dalla liturgia odierna per l’esplicita citazione, nel testo evangelico, dei versetti “ai suoi angeli darà ordine, perchè essi ti custodiscano” e “essi ti sosterranno con le mani perchè il tuo piede non inciampi in una pietra“. La preghiera e la meditazione del Salmo in versione integrale potrà costituire opportuno nutrimento per questa prima settimana di Quaresima. Il Salmo è usato dalla liturgia della sinagoga ebraica come preghiera della sera e del Sabato. Anche la tradizione cristiana lo usa come Salmo per la chiusura della giornata. S.Bernardo (1090-1153) in un Sermone diceva che questo Salmo era adatto “ad incoraggiare i timidi, ad ammonire i negligenti e istruire chiunque si trovi ancora distante dal traguardo della perfezione“.
C’è un arrivo al Tempio (per pellegrinaggio o per diritto d’asilo politico), un pernottamento nella veglia di preghiera, una partenza per il ritorno alla durezza della vita quotidiana (sera, notte, pieno giorno). Attraverso simbologie e immagini efficaci, benchè un po’ estranee al linguaggio contemporaneo, vengono elencati i pericoli e le prove a cui il fedele è stato e sarà sottoposto: trappole tese, malattie, ostilità aperte (frecce), empi idolatri, pietre di inciampo, disgrazie, colpi mancini, veleni di ogni genere, poteri forti (drago e leoni). Su questo shock esistenziale si stende il balsamo della benedizione sacerdotale che utilizza simboli e immagini di Dio adatti a creare fiducia: il riparo, l’ombra, le ali protettive, lo scudo, il rifugio.
Il <Credo> di Gesù.
Oggi ci viene chiesto di lasciarci <tentare> (saggiare, mettere alla prova, smascherare) sulla nostra speranza di fondo. Su chi contiamo davvero? A chi stiamo dando piena fiducia? Chi ha la nostra fede e fedeltà? La grande riforma socio-religiosa di Giosia, da cui nasce il testo della prima lettura, ci ha rivelato che la fiducia veniva posta in Dio solo sulla base della fedeltà dei suoi interventi. Ora vedremo Gesù che pronuncia il suo <credo storico>. Noi, come singoli e come comunità, possiamo richiamare alla memoria avvenimenti nei quali Dio è intervenuto per noi e sui quali fondiamo la certezza di poter contare su di Lui con fiducia totale? Su chi ci basiamo quando si tratta di decidere qualcosa da cui la nostra vita resta seriamente determinata? Gesù rifiuta di mettere alla prova Dio (ma quale Dio sarebbe, se fosse costretto a giustificarsi davanti a noi? Non saremmo noi a pretendere di essere dio di Dio?). Non bisogna, d’altra parte stupirci per le fratture e le fatiche che questa fedeltà a Dio provocherà. Luca è attento a saldare il Battesimo di Gesù con l’evento delle tentazioni. C’è una strategia che non lascia dubbi non solo per capire la vita di Gesù, ma anche quella della Chiesa: “Ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano“(Luca 22,31).
La tentazione nella vita di Gesù.
La presenza della tentazione lungo tutta la vita di Gesù è storicamente credibile. I racconti corrispondono ad alcuni dati sicuri del Vangelo:
- Gesù pone un rifiuto ad ogni richiesta di un “segno” che sia solo un prodigio per la propria utilità o senza valore spirituale;
- Gesù entra in conflitto di coscienza sulla interpretazione della modalità fallimentare del proprio ruolo messianico;
- Gesù vuole purificare le speranze messianiche dei discepoli.
- C’è una relazione tra Battesimo e tentazione; la vita di fede non è al riparo dalle tentazioni, come dice Siracide 2,1:” Figlio se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione“.
- C’è uno scontro tra due diversi modi di leggere le Sante Scritture.
- Le tentazioni di Gesù sono il paradigma delle tentazioni della Chiesa. Luca chiude il racconto dicendo che “Satana si allontanò da lui per tornare al tempo opportuno” che è il tempo della Passione e il tempo della Chiesa; la confessione di fede fatta da Pietro a Cesarea ne è un esempio: Pietro, dopo aver fatto un’ortodossa dichiarazione di fede (Tu sei il Cristo) non vuol sentir parlare di andare a Gerusalemme (ciò non accadrà mai) e Gesù scaccia il Satana/Pietro (Vai dietro a me, Satana, perchè non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini).
Raccogliamo le Parole del giudizio:
Deserto: C’è deserto e deserto; c’è quello costruito dalla nostra mortifera e distruttiva resa e c’è quello preparatoci dallo Spirito come luogo di Rivelazione e di esodo, di parto e di resistenza. Devo decidere in quale deserto accettare la tentazione.
Satana: è una legione di caricature di Dio, di piccoli assoluti pieni di promesse e di pretese. Nel primo deserto, il satana vive subdolamente come parassita nelle pieghe delle stanche abitudini familiari o aderendo, come un polipo, all’anatomia della nostra struttura professionale, politica e religiosa; nel secondo deserto il satana viene stanato, smascherato e diventa aggressivo, pulsante, “altro” da me. Devo decidere con quale Satana convivere.
Dio: “Colui che è” o “Colui che c’è“? E’ una ipotesi o un’esperienza mia che posso raccontare? Devo decidere quale <Credo> vivere e a quale Dio offrire le mie primizie.
Io: nel primo deserto vivo pitturato sull’asfalto delle cose come le strisce pedonali, incollato agli eventi come un nastro adesivo, omologato alle pressioni conformiste; nel secondo deserto vivo in piedi anche se ammaccato, do’ battaglia, amo, penso, obietto, opto, progetto, creo, condivido, abbraccio, piango, desidero, canto e quando mi inginocchio è solo per pregare.
Quaresima per condividere la Parola e il pane
Romeo Ballan, mccj
“Nel deserto un uomo sa quanto vale: vale quanto valgono i suoi dèi” (A. de Saint-Exupéry); cioè i suoi ideali, le sue risorse interiori. “Nutriti con il pane della Parola e fortificati dallo Spirito”, nel deserto del mondo siamo entrati a celebrare nuovamente la Quaresima, “segno sacramentale della nostra conversione”, per poter vincere -con le armi mai sorpassate del digiuno, preghiera ed elemosina– “le continue seduzioni del maligno” (orazione colletta). La Quaresima ripropone i temi fondamentali della salvezza, e quindi della missione: il primato di Dio e il suo piano d’amore per l’uomo, la redenzione che ci viene offerta in modo gratuito nel sacrificio di Cristo, la lotta permanente al peccato, i rapporti di fraternità e rispetto con i propri simili e con la creazione… Sono temi propri del deserto quaresimale.
Le tentazioni (Vangelo) non sono state per Gesù un gioco-finzione; sono state vere prove, come lo sono per il cristiano e per la Chiesa. “Se Cristo non avesse vissuto la tentazione come vera tentazione, se la tentazione non avesse significato nulla per lui, uomo e Messia, la sua reazione non potrebbe essere un esempio per noi, poiché non avrebbe a che vedere con la nostra” (C. Duquoc). E proprio perché è stato provato, è di esempio e di aiuto a chi è nella prova (cfr. Eb 2,18; 4,15). S. Agostino commenta: “Se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando sei tentato”.
Gesù si è veramente scontrato con satana sulla scelta di possibili metodi e cammini per realizzare la Sua missione di Messia. Le tre tentazioni sono una sintesi significativa di un lungo periodo di lotta contro il male, sostenuta da Gesù nei quaranta giorni di deserto (v. 2) e durante tutta la sua vita, compresa la croce, quando il diavolo ritornò al “momento fissato” (v. 13). Quel momento arrivò nell’ora delle tenebre, la passione di Gesù in croce, quando Egli fu nuovamente tentato: Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce e crederemo (cfr. Mt 27,40.42). Ma restando sulla croce, Gesù dà la sua risposta, mostrando fino all’ultimo il senso della sua esistenza: dare la vita per gli altri.
Le tentazioni rappresentano modelli diversi di Messia. E quindi per noi anche di missione! Per Gesù le tentazioni erano “tre scorciatoie per non passare attraverso la croce” (Fulton Sheen). Erano il sovvertimento dei rapporti con le cose materiali, con le persone e con Dio stesso. Erano tentazioni di diventare: -1. un riformatore sociale: convertire le pietre in pane per sé e per tutti avrebbe garantito il successo popolare; -2. un messia del potere: un potere basato sul dominio sulle persone e sul mondo avrebbe soddisfatto l’orgoglio personale e di gruppo; -3. un messia miracolistico: con gesti da spettacolarità e fama.
Gesù supera le tentazioni: sceglie di rispettare il primato di Dio, si fida del Padre e del suo piano per la salvezza del mondo. Rinuncia a strumentalizzare egoisticamente le cose materiali per il proprio profitto (nel deserto non cambia le pietre in pane per sé, ma più tardi moltiplicherà pani e pesci per le folle affamate); rifiuta di dominare sulle persone e preferisce servire; mantiene sempre un rapporto filiale con il Padre fidandosi della Sua fedeltà. Accetta la croce per amore e muore perdonando; solo così, spezza la spirale della violenza e toglie alla morte il suo veleno: la morte è vinta dalla Vita.
Gesù affronta e supera le tentazioni nella forza dello Spirito Santo, del quale è ripieno (v. 1). È lo Spirito del Battesimo (Lc 3,22), della Pasqua e di Pentecoste. Ed è lo Spirito della Missione. A volte si è creduto che potere, denaro, dominio, presunta superiorità, super-attivismo… fossero vie apostoliche. Il missionario è spesso tentato da tali illusioni; perciò ha bisogno dello Spirito di Gesù, il protagonista della Missione (RMi 21ss). Lo Spirito ci fa capire che il deserto quaresimale è un tempo di grazia (kairós): tempo delle cose essenziali, le uniche che valgono; un dono da vivere nel silenzio, lontani dagli inquinamenti del chiasso, fretta, denaro, mondanità; un tempo di condivisione missionaria!
La Quaresima è un tempo di salvezza, centrato sulla fede in Cristo morto e risorto (II lettura): è Lui il Signore di tutti i popoli, che offre abbondantemente la salvezza a chiunque invoca il Suo nome, senza distinzioni di appartenenze (v. 12-13). Questo primato di Dio emerge anche dall’offerta delle primizie dei frutti della terra (I lettura). Si tratta di un segno di gratitudine e di propiziazione. Ma anche una forma di condivisione con chi è nel bisogno: l’offerta delle primizie, infatti, era destinata anche al forestiero, all’orfano, alla vedova, “perché ne mangino nelle tue città e ne siano sazi” (v. 10-12). C’è qui una preziosa indicazione di percorso spirituale e missionario: chi si avvicina a Dio e vive in sintonia con Lui scopre anche il prossimo, vicino e lontano. E diventa solidale e generoso!
Chi voglio essere? La domanda di tutta una vita
Gaetano Piccolo
Quello che siamo
La vita ci mette continuamente alla prova. Ci troviamo continuamente davanti a situazioni in cui dobbiamo scegliere, ci capita di attraversare l’esperienza della sofferenza e del male, momenti della vita in cui la nostra fiducia in Dio è messa in discussione, abbiamo anche talvolta la possibilità di donare noi stessi, il nostro tempo, il nostro amore, ma anche lì la decisione non è sempre semplice, perché a volte ci sembra di perdere qualcosa di noi.
Tutta la vita è in fondo una prova, proprio nel senso del verbo peirazo, il verbo della tentazione, che viene usato nel brano del Vangelo della liturgia di questa domenica. Questo verbo, infatti, vuol dire far venir fuori: la vita in se stessa dunque è una prova/tentazione, perché continuamente veniamo fuori per quello che siamo, attraverso le scelte che operiamo.
Decidersi
Nel Vangelo di questa domenica, anche Gesù sceglie chi vuole essere, più precisamente sceglie che tipo di Messia vuole essere. L’episodio delle tentazioni, infatti, viene collocato da Luca tra il battesimo di Gesù e l’inizio del suo ministero a Nazareth. Se il battesimo è il momento in cui Gesù riceve la missione dal Padre, il tempo delle tentazioni è il tempo in cui Gesù si prepara a intraprendere il suo ministero.
In altre parole, Luca ci sta presentando una sorta di discorso programmatico di Gesù: attraverso le sue scelte e attraverso le risposte alla tentazione, Gesù mostra che tipo di Messia vuole essere. Sulla figura del Messia infatti c’erano molte attese, diverse e ambigue. Anche noi siamo spesso circondati da attese diverse su di noi e talvolta è necessario fermarsi per decidere di se stessi e non essere travolti. Gesù infatti è spinto dallo Spirito Santo nel deserto, ha bisogno di prendere le distanze e riconoscere quello che c’è nel suo cuore. Solo così le nostre azioni non saranno casuali e impulsive, ma consapevoli e meditate.
Una vita intera
Gesù rimane nel deserto quaranta giorni, un tempo lungo che ricorda i quarant’anni nel deserto del popolo di Israele. Tutte le risposte che Gesù dà al tentatore sono infatti citazioni tratte dal libro del Deuteronomio. Gesù rivive l’esperienza del suo popolo, un tempo prezioso per Israele, perché il deserto non era stato solo un tempo di paure e di tradimenti, ma anche un’esperienza di profonda intimità con Dio. Ma ‘quaranta’ indica nella cultura ebraica anche il tempo di una vita piena, dunque è la vita stessa, che nella sua pienezza, dall’inizio alla fine, ci mette davanti alla domanda su chi vogliamo essere.
Contro il privilegio
I tre momenti di tentazione descritti da Luca, rappresentano tre atteggiamenti emblematici della nostra relazione con noi stessi, con gli altri e con Dio. La prima tentazione riguarda la fame, quasi a far vedere come i momenti di prova non sono delle eccezioni, ma, come il mangiare, accompagnano l’ordinarietà della nostra vita. Anche il primo peccato, quello di Adamo, riguardava infatti il mangiare. Mentre però Adamo decide di approfittare, pensando al suo interesse personale e immediato, Gesù sceglie di prendere le distanze.
Non ci sarebbe nulla di male a mangiare dopo un lungo digiuno. Gesù ha il potere di trasformare le pietre in pane. Nessuno lo vedrebbe. Eppure, Gesù decide di aspettare, perché quel potere non gli è dato per il suo interesse, quel potere è per sfamare gli altri. In fondo è anche la tentazione di tutti coloro che vivono il potere, grande o piccolo che sia, per soddisfare i propri interessi e tradiscono la logica del servizio. Gesù rifiuta invece la logica del privilegio, la tentazione di pensare prima di tutto a se stessi.
Contro il compromesso con il male
Anche la seconda tentazione è molto frequente oggi: spesso infatti diciamo di fare il male a fin di bene, ci alleiamo con logiche perverse con il pretesto che serva a operare qualcosa di buono. Eppure, quando scegliamo di allearci con il male, ciò che facciamo alla fine, nonostante le apparenze, non è mai buono e prima o poi farà emergere il suo veleno.
Il Nemico propone a Gesù di conquistare l’umanità passando attraverso la sua logica. Una volta conquistato il cuore degli uomini potrà farci quello che vuole. È un inganno sottile e, purtroppo, molto presente nel nostro modo di ragionare. Per quanto sia più difficile e doloroso, Gesù sceglie invece di arrivare all’umanità attraverso la logica della croce, che è la logica dell’umiliazione.
Contro la provocazione
L’ultima delle tre tentazioni mette in gioco il rapporto con Dio, il bisogno di essere rassicurati. Soprattutto quando viviamo il silenzio di Dio, la sua apparente assenza, siamo tentati di metterlo alla prova, ci comportiamo come bimbi capricciosi che pretendono di essere accarezzati. Il Nemico chiede a Gesù di buttarsi dal pinnacolo del Tempio, perché se è vero che Dio lo ama, non lo lascerà cadere. Gesù ci insegna invece a essere figli adulti, che portano nel cuore la certezza di essere amati. Siamo certi che quando sarà opportuno o necessario, Dio ci sarà!
L’auto-salvezza
Come nella vita di Gesù, così anche per noi, la tentazione ritorna soprattutto nei momenti in cui siamo più deboli. Quello è il tempo fissato. Per Gesù infatti la tentazione ritornerà nell’orto degli ulivi, mentre è in agonia, e sulla croce, quando tutto sembra perduto. E, non a caso, ritorna nella forma della tentazione dell’auto-salvezza: salvati! Pensa prima a te! Anche in questo caso si tratta di una modalità molto frequente anche nella nostra vita: soprattutto nelle difficoltà, siamo tentati di pensare prima a noi stessi. Gesù ci insegna a rispondere abbandonandoci e mettendoci con fiducia nelle braccia del Padre.
DIOS NOS HA CREADO “LIBRES”, por eso confiemos en Él siempre y en cada momento, procurando hacer lo que Él nos propone.
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