L’itinerario spirituale dei Dodici
Ottava meditazione
La risurrezione
(e la vita nascosta di Gesù)
In questa ultima contemplazione voglia1no rispondere a due domande:
1) come mai Marco, nel cammino che propone al catecumeno, non fa alcun accenno all’infanzia di Gesù e quindi alla presenza di Maria nella vita del Signore?
2) perché al catecumeno viene data una brevissima istruzione sulla risurrezione? Soltanto otto versetti, alla fine di Marco?
1) Il catecumeno è chiamato a convertirsi a Gesù Cristo Figlio di Dio, a seguirlo rispondendo alla sua chiamata, ad andare con Lui fino alla Passione; cioè, a partecipare al destino del Regno che si sviluppacome ci mostra Marco stesso – nell’umiltà, semplicità, nascondimento, come un seme che aspetta di essere ricevuto. Troverebbe quindi un grande vantaggio a meditare l’infanzia di Gesù.
Infatti, le considerazioni sull’infanzia ci presentano due caratteristiche importanti dell’opera di Gesù: una serie di caratteristiche esteriori – proprie della sua opera – ed un’altra serie di caratteristiche che si potrebbero chiamare interiori.
Quali le caratteristiche esteriori? Innanzitutto Gesù, tra i tanti modi possibili di manifestarsi al mondo (per esempio nello splendore di un evènto cosmico quale gli viene chiesto in Me 8, 11-12: «Dacci un segno dal cielo »), sceglie il mezzo meno appariscente. Sceglie di nascere in povertà, in un angolo remoto del mondo, fuori dalla propria stessa casa; sceglie di essere presentato al tempio nel nascondimento, come uno qualunque; sceglie di mangiare il pane amaro dèll’emigrazione; sceglie di vivere per decenni nella più assoluta insignificanza anche di fronte ai suoi, i quali, poi, come ci dice Marco, non riescono neppure a capirlo quando si ripresenta a Nazareth e dicono: ma costui non l’abbiamo già conosciuto? La sua vita tra noi non aveva alcuna importanza (6, 2ss).
Quindi caratteristiche esteriori di insignificanza. Tuttavia, in questo quadro esterno di azione senza sfarzo, di una vita in massima parte senza risonanza mondana, senza rilevanza sociale o religiosa o politica, come il seme che sembra dormire nella terra, Gesù non rinuncia a una delle coordinate essenziali del suo Regno. Ed ecco le caratteristiche interiori del Vangelo dell’infanzia; cioè, la presenza di alcuni cuori che gli sappiano dare il cento per uno.
Questo contrasto costituisce uno dei misteri fondamentali dell’infanzia: in una estrema povertà e semplicità esteriore, la presenza di persone a Lui totalmente dedicate, come la terra buona che dà il centuplo.
Vediamo allora come per decenni il seme evangelico fruttifica silenziosamente nel cuore di Maria, colei che dà, fin dall’inizio, il cento per uno; fruttifica nel cuore umile di Giuseppe; viene deposto nell’animo semplice dei pastori; di Simone e di Anna; di alcuni altri poveri di Jawhè che aspettavano la consolazione di Israele; trova – questo seme – anche le spine di Erode che tendono a soffocarlo; si rifugia nel terreno ben disposto di alcuni uomini fuori di Israele, come i Magi, animati da volontà buona e da rettitudine sincera.
I Vangeli dell’infanzia presentano la vicenda personale del seme che viene accolto in diversi terreni e che fa diverso frutto, ma senza alcuna pompa, nessuna risonanza esteriore di tipo mondano quale ci si aspettava da una manifestazione del Messia.
In questo senso i Vangeli dell’infanzia hanno un’importanza grande, perché programmatica, per la vita cristiana. Essi ci riportano ad una delle leggi fondamentali del Regno: poco sfarzo esteriore e molta interiorità. .
Marco non ha racconti dell’infanzia. Non li ha perché questi racconti suppongono, per essere accolti, uno spirito di fede maturo, suppongono un animo capace – avendo ormai accettato in pieno il mistero cristiano – di esercitarsi anche nelle cose più piccole e pii! semplici del Vangelo, di cogliere il significato salvifico delle realtà che sono apparentemente più insignificanti.
Questo viene fatto nella seconda formazione cristiana, in un momento più interiore. Ed ecco perché la predicazione primitiva non ha mai proposto i Vangeli dell’infanzia. Nella seconda formazione, invece, essi’
venivano proposti perché il catecumeno aveva già accettato il paradosso dell’umiltà del mistero di Cristo ed era pronto ad accoglierla anche in quei segni semplicissimi della vita a Nazareth, della nascita a Betlemme, del nascondimento di trent’anni.
Marco, sull’episodio della Chiesa primitiva, non ha presentato subito al catecumeno queste cose che richiedono una capacità di assimilazione più approfondita.
Se però riflettiamo all’itinerario dei Dodici con Gesù, così come Marco ce lo presenta, ci accorgiamo che, in fondo, la via per la quale essi sono guidati è la stessa.
Con altre parole, in maniera più evidente e più palese, viene esposto un identico cammino: si tratta di scoprire le leggi della salvezza del Regno, le quali si possono ridurre a tre fondamentali:
– 1a: La modestia degli inizi, il piccolo seme, esperimentato dagli apostoli nella semplicità della predicazione di Gesù, riconosciuta da alcuni, respinta, o poco capita, o non subito accolta da altri.
– 2a: L’insignificanza agli occhi di chi bada soltanto agli eventi che fanno notizia. Gesù non ha mai fatto notizia nel suo tempo, forse l’ha fatta la sua morte per qualche giorno, ma l’insieme della sua opera è stato pochissimo conosciuto nel mondo d’allora, il mondo religioso, politico e militare che badava soltanto ai grandi avvenimenti.
– 3a: La contraddizione, lo scandalo e le difficoltà alle quali abbiamo già accennato.
Sono queste le tre leggi che regolano il corso del ministero di Gesù e che gli apostoli imparano a conoscere stando con Lui, rendendosi sensibili a quelle che sono le realtà del Regno.
A che cosa sono dunque chiamati gli apostoli attraverso questa educazione? Sono chiamati a ciò cui è anche chiamato ogni cristiano che medita il Vangelo dell’infanzia: cioè ad amare Gesù così com’è; a convertirsi alle leggi e al modo di agire del Signore.
Il catecumeno della Chiesa primitiva è chiamato ad accettare un Gesù diverso da come l’avrebbe voluto, un Gesù che opera tra noi in maniera diversa da tutti i moduli religiosi o profani: politici e civili, che ci si può aspettare, e quindi a riconoscere che il mistero del Regno è, in definitiva, Gesù stesso, il suo modo di vivere e di morire.
E qui vediamo anche come il mistero di Maria, che non viene accennato quasi per nulla da Marco il quale non ricorda neppure la presenza di Maria presso la croce – è tuttavia un mistero posto al centro del Regno di Dio e delle sue leggi fondamentali, perché è un mistero di umiltà, di nascondimento e di fedeltà interiore ricchissima, ma non appariscente.
Per questo, nellaintroduzioneagli Esercizi, parlavo – citando un libro di Hans U. von Balthasar – della coesistenza nella Chiesa, insieme con un principio gerarchico – cioè della presenza visibile e fisica attorno a Gesù di coloro dai quali discende l’azione della Chiesa – di un principio mariano – cioè del valore, nella Chiesa, della fedeltà fatta di interiore nascondimento -.
Marco, pur non presentandoci il mistero di Maria – perché anche esso è un mistero che viene quando si è già accettato il Battesimo, quando si è entrati nella comprensione della vita cristiana – ci fa vedere l’uno e l’altro principio in opera: la visibile presenza e la nascosta fedeltà che formano il mistero della Chiesa. –
Queste riflessioni vogliono rispondere agli interrogativi riguardanti la prima parte della vita di Gesù, cioè la sua vita nascosta in quanto considerata da Marco.
2) Ora dobbiamo rispondere alla seconda domanda che ci fa riflettere sull’ultima parte della vita di Gesù; cioè, sulla vita del Signore risorto.
Perché al catecumeno viene data, al capitolo sedicesimo, una così breve istruzione sulla risurrezione? È vero che la narrazione continua con i versetti che vanno dal 9 al 20, ma sappiamo che con tutta probabilità non sono un finale letterario, ma un finale canonico del Vangelo di Marco. Gli esegeti discutono molto – senza giungere ad una conclusione – se il Vangelo sia da considerarsi terminato con Mc 16, 8 o se ci fosse un’altra finale perduta nella quale Marco parlasse di più della risurrezione di quanto non risulti a noi; oppure se la finale canonica, pur non essendo di Marco, sia stata aggiunta in maniera che debba essere considerata parte integrante anche della struttura evangelica e non soltanto del messaggio evangelico.
La maggior parte degli esegeti ritiene, comunque che Marco abbia finito il suo Vangelo al v. 8; cioè, abbia dato una brevissima istruzione sulla risurrezione. Una istruzione, poi, incompleta, perché in essa non appare Gesù risorto; vi si dice soltanto che è risorto e che lo vedranno.
Come mai questa carenza di Marco riguardo alla risurrezione? Cerchiamo di dare alcune risposte.
a) Prima di tutto bisogna dire, per spiegare Marco così com’è, che al tempo del primitivo kérygma, nell’iniziazione catecumenale era già stata data una parte notevole all’istruzione sulla risurrezione.
Possiamo, infatti, distinguere con molta probabilità un primokérygma, cioè un primo breve annuncio del Cristo, poi una catechesi più ampia che potrebbe essere appunto Marco, e infine una seconda catechesi per i battezzati.
Ora, nel primissimokérygmac’era già un’istruzione centrale sulla risurrezione, e la troviamo, per esempio, nei discorsi di Pietro in Atti 2, 24-36: è una istruzione più che sufficiente e duplice:
–apologetica; cioè la risurrezione è la giustificazione del Cristo, condannato e morto, ma risuscitato da Dio, e;
–storico-salvifica; cioè, la risurrezione è il centro del piano divino di salvezza predetto dalle profezie. Quindi una duplice istruzione – apologetica e storico-salvifica – si supponeva già come data al catecumeno. Essa sarà poi ampliata nella catechesi successiva, come possiamo rilevare nel magistrale capitolo 24 di Luca, che è una catechesi amplissima sul significato storico-salvifico della Risurrezione.
Un’istruzione, invece, morale ed ascetica sulla risurrezione è affidata soprattutto – sembra – alla catechesi post-battesimale, ed è quella che ritroviamo specialmente in certe lettere di san Paolo; la supponiamo, per esempio, in Col 3, 1ss che sviluppa la morale pasquale insegnata ordinariamente dopo il battesimo.
C’è, infine, sulla risurrezione un quarto tipo di istruzione; cioè, l’istruzione mistica o gnostica: quella in cui la risurrezione e la gloria del Risorto sono presentate come attuate nella vita stessa di Gesù e del credente. Una istruzione amplissima di questo tipo, che gli antichi chiamano gnostica, è data da Giovanni, il quale ci presenta Gesù come ancora vivente nella carne, e che addirittura nella sua stessa morte, manifesta la gloria del Padre.
Istruzione necessaria e importante, ma per uno stadio di maturità spirituale.
b) Che cosa viene dato, invece, al catecumeno nell’istruzione di Marco? Pur nella brevità del testo, vengono già offerte al catecumeno parecchie cose importanti.
–Un primo annuncio, nelle parole stesse dell’angelo: «Non abbiate paura» (16, 6). Tale annuncio riassume a questo punto tutti i rimproveri di Gesù e li porta al punto conclusivo. Ormai bisogna veramente abbandonare ogni timore!
–Poi un secondo annuncio: «Voi cercate Gesù il crocifisso: è risorto, non è qui »; cioè, lo stato di Gesù crocifisso non è lo stato nel quale dovete pensarlo sempre; quello definitivo. Esso è stato un passaggio; la sua nuova situazione è vita ed Egli vive ora presso di voi con un nuovo tipo di presenza.
–E il terzo annuncio: «Vi precede in Galilea» (16, 7). Anche questo annuncio è pregnante di significato. Gli esegeti discutono: che cosa significa la Galilea? Significa varie cose.
Nel Vangelo di Marco – che si svolge in massima parte in Galilea – è appunto il luogo in cui Gesù si è già mostrato la prima volta ai discepoli, nel quale si ripresenterà a loro nelle apparizioni che verranno poi narrate nella catechesi. È quindi il luogo dove con gli stessi gesti, con la sua stessa bontà e disponibilità, essi ritroveranno la presenza viva di quel Signore che hanno conosciuto. È il luogo in cui il Signore si manifesterà ad essi visibilmente e dove Gesù comincerà la ricostruzione della comunità, quella ricostruzione che veniva annunciata nella Passione, in Mc 14, 27: Gesù come pastore che precede il gregge, che presiede al gregge e lo ricostituisce gradualmente.
La Galilea è dunque il luogo dove la comunità dei Dodici sarà ricostruita.
Nelle parole dell’angelo vi è, probabilmente, anche un richiamo al cap. 13 che è il capitolo della speranza definitiva, della apparizione definitiva del Signore. Esso mostra come lo sviluppo evangelico della speranza non è lungo la linea di un’utopia mondana di progresso, ma secondo una linea evangelica di tribolazione, che è stata la linea del Figlio dell’Uomo. L’attenzione del catecumeno, quindi, viene portata verso questa speranza del ritorno di Gesù, che tuttavia dovrà essere preceduta da tribolazioni e prove.
Abbiamo tutta una serie di accenni che dovevano essere, poi, svolti nella catechesi, per insegnare a guardare al futuro e a considerare quale doveva essere l’attesa del catecumeno.
Ecco dunque alcune brevissime riflessioni sulla realtà del Risorto, sulla sua presenza viva tra i suoi, nel gruppo ricostituito della Chiesa, e sulla sua apparizione finale.
c) Tuttavia è chiaro che Marco non ci parla della risurrezione soltanto negli otto versetti citati. Se notiamo bene egli va letto e dev’essere letto sin dall’inizio alla luce della presenza di Gesù vivente. Inizia, infatti, con le parole – che non si trovano in tutti i codici, ma che con ogni probabilità sono originali – « … Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio»( 1, 1). Tutta l’attività di Gesù è proiettata come la presenza tra noi del Figlio di Dio, che la morte non può inghiottire, quel Figlio in cui Dio si compiace; e quindi, Colui che vive.
Di conseguenza, tutta l’iniziazione catecumenale è fatta non su un Gesù passato e finito, ma su Gesù che è il Vivente. Intanto, quindi, ha valore considerare le chiamate di Gesù, i Dodici con Lui, la vicendevole comunanza di vita, in quanto il catecumeno sa che questa esperienza è permanente, perché Gesù è il Figlio di Dio che non è rimasto nella morte, ma vive. Le parole che legge hanno un senso, oggi, e sono rivolte a lui.
Tutto il Vangelo di Marco è meditato nell’ipotesi, nella presupposizione, meglio, nell’accettazione che Gesù vive e parla oggi ai suoi e li chiama, cosi come ha chiamato presso il lago, o presso il monte, e continua a spiegare la sua vera identità nella Chiesa.
Si potrebbe, forse, valorizzare anche in questa maniera l’uso del presente storico in Marco. Sappiamo che egli usa volentieri il presente: Gesù va, passa, Gesù chiama, Gesù dice. Questo modo potrebbe non dal punto di vista di rigida prova esegetica, ma nella fede – essere stato scelto per presentare Gesù come Colui che oggi vive, chiama, annuncia, esige, invita, rimprovera, Gesù viene presentato come Colui che vive nella Chiesa, e può quindi essere fonte di chiamata, Persona che può venire concretamente seguita, accettata, riconosciuta ed amata.
Tutta la catechesi di Marco non è una catechesi del passato, ma una presentazione delle esigenze di Gesù vivente, ora nella Chiesa.
d) Come le realtà della risurrezione, espresse in Marco, possono essere vissute a livello della nostra attuale esperienza ecclesiale? Sottolineerei soprattutto due conseguenze:
La prima potrebbe essere ritrovata nella parola, ripetuta così spesso da Gesù: «Aprite gli occhi ». Cioè il Signore è risorto, il Signore vive; ma dove? Vive presso Dio e vive in mezzo a voi; quindi, l’invito a riconoscere la presenza viva di Gesù nella nostra esperienza.
Dov’è presente Gesù nella nostra esperienza? Tutte le volte che essa è in consonanza con l’esperienza descritta dal Vangelo. Gesù vive nei Dodici e in coloro che continuano a predicare dopo di loro; vive in tutti quelli che sono uniti con i Dodici per fare corpo con Gesù; vive, quindi, in tutta la vita della Chiesa e in tutta la sua santità, e in tutti i suoi sacramenti. Vive anche nella nostra stessa vocazione che è risposta alla chiamata di Gesù, e che è un miracolo agli occhi del mondo, un qualcosa di inspiegabile dal punto di vista umano. Perché ogni volta che una persona accetta di vivere una vita di fede, avviene qualcosa di incomprensibile e di misterioso. Ogni cristiano vivente è una manifestazione straordinaria, umanamente inspiegabile della risurrezione del Signore.
Questo Vangelo allora è un invito ad aprire gli occhi per vedere il Signore nella nostra esperienza.
La seconda conseguenza è non solo di vedere Gesù che vive, ma Gesù che viene.
Viene tutte le volte che ripetiamo i suoi gesti, le sue parole, tutte le volte che spezziamo il pane, tutte le volte che rifacciamo le azioni che Egli ci ha comandato di fare e che viviamo la vita che Egli ci ha insegnato.
È un invito, quindi, a riconoscere Gesù vivo nella Chiesa in quanto è espressione di umiltà, di oscurità, di cose che non appaiono, forse, esteriormente molto visibili e comprensibili, ma che viste con simpatia, dall’interno, ci. manifestano, la presenza viva della risurrezione del Signore.
* * *
In questo momento degli Esercizi, la scelta fondamentale che possiamo compiere è quella di vivere con riconoscenza la nostra vita così com’è, nella Chiesa. Scoprire, cioè, il tesoro che abbiamo nel nostro campo e ringraziare immensamente Dio perché ci permette di vivere con Lui una vita nascosta e non esente da contraddizioni, difficoltà ed oscurità, ma che proprio in esse manifesta la presenza viva del seme evangelico.
In fondo, la scelta fondamentale che spesso bisogna fare è quella di glorificare l’opera di Dio nella nostra vita concreta, con tutte le sue ambiguità, incertezze e debolezze, perché in queste debolezze; incertezze ed ambiguità si manifesta la potenza del Risorto.
La nostra vita quotidiana, infatti, nella sua apparente insignificanza. – perché ogni vita quando è vista da vicino e analizzata nelle sue componenti quotidiane appare estremamente semplice, povera, inadeguata a quello che è il mistero di Dio – porta già, proprio in questa inadeguatezza, i segni della risurrezione del Signore.
Essa può diventare una gloriosa manifestazione della potenza del Figlio di Dio nella umiltà: come il seme messo nella terra e nascosto che nasce per la potenza di Dio e per la fiducia che si ha nella sua parola.
In questo modo, mi sembra, il Vangelo di Marco ci riporta, dalla vita nella carne di Gesù, ad accettare e valorizzare, nella fede, tutta la ricchezza della nostra situazione presente.