Nelle tre predizioni Gesù annunzia la via della Passione che poi percorre con coraggio fino in fondo.

Noi siamo chiamati a seguirlo, almeno con l’affetto, nella contemplazione che ci avvicina a Lui con il cuore, per realizzare in qualche modo ciò che Pietro non ha potuto, pur avendolo desiderato; cioè, il « dovessi morire con Te! » (Mc 14, 31).

Capiamo come Pietro avrebbe voluto essere col Maestro, fino in fondo, ma che lo sarebbe stato in seguito, dopo essere passato attraverso a dura lezione che Gesù si appresta a dargli, subendo la Passione.

A) La meditazione della Passione, così come è costruita nel racconto, è sempre per vari motivi, molto difficile e lo era già per la Chiesa primitiva.

Prima di tutto era difficile rispondere alla domanda del come storicamente era potuto accadere un fatto simile. Esso comporta, infatti, una inspiegabile serie di errori, di decisioni affrettate e maldestre, di reazioni a catena, di palleggiamenti di responsabilità dall’uno all’altro dei protagonisti. Perché non c’era nessun motivo di far morire Gesù!

Come poi si sia giunti a questo così velocemente, in una confusione di passioni, di sbagli, di tergiversazioni, di paure, certamente mette in imbarazzo chi tenta di raccontarlo.

L’evangelista si dilunga nel racconto della Passione, appunto per far comprendere gradualmente questa serie di fatti tragici e drammatici e, di per sé, non adeguatamente motivati.

Un’altra domanda difficile si presenta alla Chiesa primitiva e al catecumeno che meditava la Passione: che cosa può avere di grande una morte?

Tutti coloro che, per vari motivi, hanno qualche familiarità col mistero della morte, sanno come immediatamente, di fronte a tale fatto, tutta la retorica cessi.

Non c’è niente di meno umano che la morte. L’uomo che muore assume, di solito, un’espressione banale e goffa; oppure, forse, tormentata e incredula. Non c’è situazione nella quale l’uomo è meno se stesso del momento della morte.

Appunto perché realtà alla quale è difficile dare un senso, la morte è un non-senso per l’uomo che vive.

L’uomo morto rappresenta qualcosa di incomprensibile, qualcosa che non dev’essere.

Ora, pensare che questa realtà, cioè i non-senso per la vita, è stata affrontata da nostro Signore Gesù Cristo, costituisce appunto il mistero dei misteri. Come Gesù, cioè la vita stessa, abbia voluto ridursi a tutte le espressioni di degradazione umana insite nella morte, è inspiegabile.

La Chiesa primitiva sentiva profondamente questo mistero perché aveva davanti agli ochi la reale figura del Crocifisso. Per essa il grande problema era: come leggere questa realtà di per sé illeggibile, come darle un senso? E ciò da un duplice punto di vista:

1) Dal punto di vista dell’uomo: come leggere tutte le altre realtà della vita che sembrano mancare di senso, che sembrano pura perdita, pura carenza; ciò che non può essere, e quindi che non si vuole?

2) Dal punto di vista di Dio: come Dio poteva essere con Lui anche nella Passione e nella morte? Non l’ha, forse, abbandonato?

B) Questi i problemi che agitavano il cuore dei primi cristiani nel meditare la Passione. Il lungo racconto, presente in ciascuno dei Vangeli, è la risposta a tale interrogativo.

Abbiamo detto che esso è lungo. In Marco comprende, infatti, due capitoli; gli è dedicato uno spazio estremamente sproporzionato rispetto al resto. Per il catecumeno e per ciascuno di noi, questo vuol dire che la Passione richiede una lunga considerazione; che bisogna contemplarla molto, la Passione del Signore; che essa deve avere grande parte nella nostra conoscenza di Lui.

La Passione è un lungo racconto che introduce un mistero difficile, ed è a sua volta presentato da alcuni fatti che ne danno il senso.

Il senso fondamentale da essi espresso è mutuato dal profeta Isaia: «Quia ipse voluit» (Is 53,7: volgata latina; cfr. testo ebraico: Is 53,10°.12c). La Passione non è accidentale, ma è Gesù stesso che ha accettato fino in fondo questa estrema umiliazione; allora essa comincia ad acquistare un senso, perché diventa un atto umano di Gesù.

Quali sono gli episodi che sottolineano il «Quia ipse voluit» ?

L’unzione di Betania, dove Gesù dice: «Ciò che essa ha fatto, l’ha fatto per ungere in anticipo il mio corpo per la sepoltura » (14,8); cioè Gesù va verso il mistero di degradazione umana che coscientemente accetta.

Durante la Cena: « Il Figlio dell’Uomo va, come è scritto di Lui» (14,21); quindi, Gesù entra in un disegno del Padre.

Sempre durante la Cena, ancora più chiaramente: « Questo è Il sangue versato per molti» (14,24).

L’Eucaristia è il mistero che mostra come Gesù accetta di cuore e anticipa in sé la Passione.

E finalmente nel Getsemani, l’ultima parola che riprende questo tema: «Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (14, 36). Tutta la passione va quindi meditata riportandola, per così dire, nell’intimo del cuore del Signore che è andato incontro a questo tragico fatto volontariamente.

Voglio sottolineare, a questo proposito, un aspetto che è conseguente al modo con cui la Passione ci è presentata da Marco: Gesù è andato incontro alla morte, perché ha voluto venirci incontro fino in fondo; cioè, non ha voluto tirarsi indietro di fronte a nessuna conseguenza del suo essere con noi, affidandosi a noi completamente.

Ha compiuto la missione di essere con i suoi, fino ad accettare le ultime conseguenze drammatiche di questo affidarsi agli uomini con fiducia, con buona volontà, col desiderio di aiutarli.

Da queste riflessioni sul «Quia ipse voluit», psiamo concludere che l’unica cosa che può dare senso alle nostre sofferenze, è che anche noi giungiamo ad accettarle con Lui.

E questo è facile certe volte, per le sofferenze che riusciamo a percepire come tali (per esempio malattie non troppo gravi), e che possiamo prendere dalle mani di Dio con pazienza, offrendole per gli altri.

Ma quando le sofferenze diventano parte di noi stessi, quando diventano difficoltà che si identificano con il nostro essere, quando finiamo per trovarci in certe situazioni a cui è estremamente difficile dare un senso, allora l’accettazione diventa sempre più problematica, perché non ci si sente liberi e distaccati di fronte ad essa. Possiamo quindi dibatterci per anni, in uno stato di disagio, di insofferenza magari inconscia, di rivolta interiore verso situazioni che non siamo capaci di accettare. Certe volte, anzi, la cosa più pesante a cui acconsentire è costituita proprio da noi stessi.

Gesù ci insegna che finché non giungiamo a questa accettazione cosciente e libera, le nostre sofferenze non hanno veramente senso. Esse cominciano ad averlo quando le abbiamo in qualche maniera guardate in

faccia, come Lui ha fatto, e le abbiamo accettate con Lui.

Questa credo sia una delle chiavi di comprensione del perché della Passione di Gesù: «Quia ipse voluit ».

C) Venendo alla Passione in se stessa, propongo un modo di contemplarla che, penso, sia consono alla struttura di Marco. Nel suo Vangelo la Passione è tutta un susseguirsi di piccoli quadri che descrivono situazioni umane, cioè confronti di persone.

Non è tanto un resoconto concatenato di eventi, e neanche uno studio sulla concatenazione delle cause, anche se questo è presente.

Il modo di raccontare di Marco è piuttosto quello di una serie di quadri in cui i diversi personaggi di questo mondo entrano in confronto diretto con Gesù, vivendo ciascuno il mistero della propria chiamata e della propria presa di posizione verso il Regno.

Gesù continua, nella sua Passione, la sua missione di presentare il mistero del Regno alle persone più diverse e più lontane, a quelle che più sembrano respingerlo, per compiere sino in fondo la sua missione di essere con noi.

In qualche modo si verifica ancora la parabola del seminatore: Gesù si presenta – come seme – in diversi terreni e in ciascuno va incontro ad una sorte diversa.

È possibile allora meditare la Passione come una serie di episodi, di situazioni, in cui Gesù continua eroicamente ad essere il Maestro buono, che insegna come perdere la vita per acquistarla, come rinnegare se stessi, come prendere la croce, come farsi servo e schiavo di tutti; realizzazione, cioè, del programma che egli ha enunciato nei capitoli 9 e 10 di Marco.

Possiamo contemplare questi quadri, uno per uno, considerando in ciascuno il mistero del Regno come

seme evangelico che riceve risposte diverse. Ne indico 14 in maniera da potere eventualmente servire

per una « Via Crucis ».

1° Gesù e Giuda 2° Gesù e le guardie 3° Gesù e il sinedrio 4° Gesù e Pietro 5° Gesù e Pilato 6° Gesù e Barabba con la folla 7° Gesù e i soldati8° Gesù e Simone di Cirene 9° Gesù e i crocifissori 10° Gesù e i derisori 11° Gesù e il Padre 12° Gesù e il centurione 13° Gesù e le donne presso la croce 14° Gesù e gli amici

Tutta una galleria di persone che si confrontano con il seme del Regno. Ciascuno con una diversa risposta, davanti a un Gesù sempre uguale nel suo atteggiamento di disponibilità e di offerta di salvezza.

Basta prendere una dopo l’altra queste scene e contemplarle. C’è in esse una certa progressione, un crescendo continuo di umiliazioni sino alla scena decima, quella dei derisori.

Un altro particolare importante, in queste scene, è il silenzio di Gesù. Parla brevemente all’inizio, parla a Giuda, parla alle guardie, al sommo sacerdote, parla ancora nella quanta scena, a Pilato. E poi tace.

Tutti girano attorno a Gesù come in una drammatica giostra ed egli, col suo silenzio, domina tutto. Contempliamo il contrasto tra le persone che si agitano, che fanno e dicono una cosa o l’altra e Gesù che, con

la sua silenziosa presenza, è al centro, dominatore di, tutta una situazione caotica e convulsa.

Col suo solo esistere, col suo solo essere là, Gesù parla, Gesù giudica.

Ed infine l’ultima parola di Gesù, il grido,:.. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (15,34), che esprime, al tempo stesso, l’apice e il fondo del cammino della croce, percorso sino all’estremo della desolazione, ma che, insieme, manifesta una immensa fiducia (cfr. Sal 22 21, 1.20.32).

Al centro di tutto, nella scena undecima, sta questa parola di Gesù, la sua invocazione al Padre. Da questo punto comincia un fluire graduale di consolazione e di pace. Già nella Passione, così come è raccontata, nasce dunque il senso della consolazione e della pace che durerà fino al sepolcro, preparando la scena della risurrezione.

Possiamo senz’altro tener conto di questa progressione e poi del graduale subentrare di una nuova atmosfera, quando Gesù è sulla croce. Assaporiamo il mutamento che misteriosamente il Crocifisso arreca a coloro che gli sono vicini: le donne, gli amici.

Ecco alcune indicazioni per una riflessione su queste scene della Passione. Esse devono costituire un frequente argomento della nostra contemplazione perché sono il contravveleno quotidiano a quella atmosfera del mondo in cui viviamo e di cui parla Paolo scrivendo agli Efesini, al cap. 6 (cfr. in appendice, pag. 105 ss.).

È nell’attenta contemplazione della Passione che si sciolgono i nodi di situazioni difficili a comprendersi e si chiariscono i giudizi su situazioni ambigue. Confrontato con questo paradigma, ciò che è scoria viene a cadere e rimane, invece, ciò che evangelicamente vale.

È forse per mancanza di riflessione, di meditazione, di contemplazione sulla Passione di Gesù, che oggi assistiamo a molte confusioni. La Passione ha una parte così preponderante nei Vangeli, proprio per offrirci un elemento sicuro di discernimento.