Questa meditazione alla quale diamo come titolo: il mistero del Figlio dell’Uomo, comprende i brani che Marco ci presenta tra il capitolo 8 e il capitolo 10.

Entriamo nel più profondo del mistero del Regno di Dio. Di conseguenza, ancora di più, la comprensione di quanto ora andiamo leggendo, deve avvenire più nella preghiera che non nella considerazione teorica di quello che si ascolta.

In qualche maniera, ciò che ora dobbiamo capire più profondamente è quello che san Paolo desiderava comprendere quando, nella Lettera ai Filippesi, dice: «Conoscere Lui e la potenza della sua risurrezione, ed essere messo a parte dei suoi patimenti » (Fil 3, 10).

Già nella meditazione delle parti precedenti il cap. 8 si può intuire come la sorte del seme calpestato e soffocato è, in ultima analisi, quella di una persona;’ cioè, la sorte di Gesù stesso.

Il seme è la parola di cui si diceva al cap. 4: la parola evangelica, ma la parola evangelica è Gesù. Il mistero del regno presentato oscuramente nelle parabole come mistero di nascondimento, mistero di crescita nell’oscurità, di crescita faticosa e contrastata, si rivela più chiaramente, nella seconda parte di Marco, come il mistero del Figlio dell’Uomo. ,

Il catecumeno che ha detto di sì a Gesù Figlio di Dio, quando si è sentito chiamare presso il lago, esperimenta, nella prova di fede alla quale viene condotto attraverso la sequela di Cristo, che egli è introdotto in una situazione inattesa e nuova; situazione nella quale valgono le leggi dell’incontro personale, dell’umiltà, dell’attesa, della pazienza. Questa è la scuola che Gesù fa nei primi otto capitoli di Marco.

Lo stare con lui porta i discepoli a comprendere gradualmente che la vita che hanno abbracciato non è un’esistenza in cui valgono le leggi dell’efficienza, del. successo, del potere, ma piuttosto le leggi del nascondimento, dell’incontro personale, della piccolezza.

Dopo il cap. 8 questa velata conoscenza del mistero, che avviene soltanto attraverso accenni, si chiarifica. Incomincia così la seconda parte del Vangelo di Marco.

Per comprendere bene questo, occorre premettere che Marco si divide chiaramente in due parti quasi uguali, che si differenziano tra loro per molti aspetti. Per esempio, ci sono vocaboli che ricorrono di frequente nella prima parte, e non ricorrono più nella seconda e viceversa. Vocaboli caratteristici della prima parte sono verbi come: comprendere, incapacità a comprendere, capire, vedere, avere il cuore accecato, indurito; ascoltare, conoscere, nascondere, rivelare; verbi che indicano come Gesù chiede la comprensione del Regno attraverso la fiducia nella sua parola. Si lamenta che gli uomini hanno il cuore chiuso, che i discepoli non comprendono. Gesù vuole suscitare l’attenzione, in maniera che la mente sia tesa verso ciò che Egli sta per manifestare.

Ad un certo punto, però, la richiesta di Gesù cambia: l’insistenza non è più tanto sul comprendere, sull’aprire gli occhi, sul capire, ma sul fare qualcosa per il Regno, sul dare se stessi, dare la propria vita, pagare di persona. Ecco allora le tipiche frasi della seconda parte, come: solo chi perde la propria vita la salverà; occorre lasciare casa, fratelli, parenti, figli per il Vangelo; anche la mano, il piede, l’occhio vanno sacrificati per il Regno.

Nella prima parte si tratta di comprendere il Regno, nella seconda parte si tratta di entrare nel Regno.

Qual è l’evento che segna il passaggio dall’attenzione al Regno all’entrare nel Regno? L’evento che conduce dalla prima alla seconda fase della predicazione di Gesù?

È l’episodio della confessione messianica di Pietro a Cesarea. Esso è il punto centrale a partire dal quale troviamo un mutamento nei temi della predicazione di Gesù. Ed è nella seconda parte che Egli si dà, in particolare, ad una formazione più accurata del gruppo dei Dodici. Nella prima parte essi lo seguono, vedono ciò che fa; nella seconda parte Egli si rivolge a loro con maggior frequenza ed intimità.

Perché la confessione di Pietro ha una parte centrale?

Perché da questo momento comincia il Regno sulla terra. Il fatto che Gesù da questo piccolissimo gruppo, piccolo come un granello di senape rispetto al mondo di allora – da Pietro, cioè, e dai Dodici insieme con Lui – venga riconosciuto nella sua vera identità, segna l’inizio del Regno, di quel Regno che Gesù viene a portare sulla terra. Questo fatto cambia tutto il contenuto della predicazione di Gesù. Egli comincia a parlare non più per enigmi ma chiaramente.

Vediamo allora alcuni elementi della seconda parte del Vangelo di Marco; ‘in particolare, le predizioni della Passione. La prima predizione segue immediatamente la confessione di Pietro e le altre due si succedono a intervalli di un capitolo ciascuna; cioè, a intervalli regolari.
Questa successione ritmica, in Marco, è evidentemente intenzionale.

Perché, innanzi tutto, tre predizioni? Perché ciò che è essenziale occorre sia ripetuto: tre volte. Si tratta allora di un insegnamento estremamente importante. Proprio per questo appare collocato subito, all’inizio della seconda parte.

a) Prima predizione: Me 8, 31-37

«Gesù cominciò ad insegnare… »: evidentemente è un nuovo inizio, un suo nuovo modo di parlare, un nuovo momento della formazione dei Dodici.

Cosa insegna Gesù? «Che il Figlio dell’uomo deve soffrire molte cose ed essere respinto dagli anziani ed essere ucciso e dopo tre giorni risorgere. E apertamente diceva la parola ».

Gesù insegna, dunque, una cosa che non era mai stata menzionata prima, e penetrava veramente fino in fondo al suo mistero. Insegna che « deve »; cioè, che quanto comincia appartiene al piano di salvezza; che è disegno di Dio per la redenzione dell’umanità.

«Il Figlio dell’Uomo »: è designazione misteriosa che, nella tradizione apocalittica, esprime una connotazione gloriosa del Messia, ma che qui viene, invece, utilizzata in un contesto di estrema umiltà e di totale umiliazione.

«Soffrire molte cose ed essere respinto»: essere respinto dai presbiteri, dai sommi sacerdoti, dagli scribi; cioè, dalla gente di cultura, dalle categorie sociali che allora contavano.

«Ed essere ucciso e dopo tre giorni risorgere. E apertamente diceva la parola »: questa ci fa capire, appunto, che finora Gesù non ha parlato apertamente.

Egli ha attratto i suoi – in particolare i Dodici – con il fascino proveniente dalla sua persona, dal suo potere miracoloso, dalla sua bontà; li ha riempiti di fiducia verso di Lui. Adesso che sono un piccolo gruppo, ormai ben compatto, può parlare loro con chiarezza.

E le parole chiare sono estremamente dure, perché si parla di morire: essere respinto ed ucciso. Appare, è vero, in prospettiva anche la risurrezione, ma in una forma tanto misteriosa che i discepoli non capiscono ancora.

Il mistero perciò è presente nella sua interezza e crea immediatamente nei Dodici un senso di sgomento e di smarrimento che si esprime, subito dopo, nell’intervento di Pietro (v. nb-33). Esso manifesta la reazione dell’uomo comune, di ciascuno di noi: questo non dev’essere, questo non va, non ha senso. Esprime la nostra incapacità a capire il mistero di Dio così come ci si manifesta nella sua realtà e verità, in Gesù Cristo.

Quando – da una conoscenza esteriore del mistero di Dio in Cristo – passiamo alla sua vera comprensione, cioè al mistero del Cristo respinto e morto per noi, la nostra prima reazione potrebbe essere bene espressa dalle parole di Pietro: ‘Ma come mai, perché? Questo non va assolutamente … ‘. Probabilmente i Dodici capiscono bene che se questo succede al maestro, a loro è destinato qualcosa di analogo; la loro sorte per l’avvenire non sarà certamente rosea. Tutto il loro orizzonte -si annebbia e si oscura. . E Gesù allora dice a Pietro che egli non capisce niente del piano di Dio. In Pietro, i Dodici vengono confrontati col piano di Dio così com’è, sono messi di fronte alla dura realtà del progetto del Signore; realtà misteriosissima, inaccettabile dal punto di vista della comune logica umana. Ma essi, ormai, per l’affetto che hanno verso Gesù, per il fatto che stanno con Lui, non la possono più respingere. Hanno reazioni interiori contrastanti, è vero, ma sono totalmente presi dalla persona del . Signore che Egli sa bene di poter parlare loro apertamente. Tuttavia la parola stessa rimane durissima.

Nei vv. 34-37 c’è, poi, la trasposizione ai discepoli. Gesù ha parlato di sé, ha parlato del proprio destino in maniera chiara, e ciò suscita la meraviglia, lo sgomento e lo smarrimento degli apostoli. Ora, gradualmente, incomincia a trasporre la propria via, il proprio mistero di Figlio dell’uomo, alla vita di quelli che lo seguono. Avviene proprio ciò che gli apostoli, forse inconsciamente, temevano: la via di Gesù è la via di coloro che sono i suoi.

Abbiamo così la sua parola: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso» (v. 34). Se pensiamo a Pietro che rinnega Gesù dicendo di non conoscerlo, possiamo affermare che la parola «rinneghi se stesso» vuole appunto dire: non mi conosco, non tengo più conto della mia vita, non mi prendo in considerazione. Così dirà Paolo – riassumendo la sua vita – nel discorso -agli anziani di Efeso, riportato in Atti 20, 18-24.

E Gesù continua: «Prenda la sua croce »; cioè, tutti i disagi che comporta la sequela del Cristo, e: «Mi segua ». Tutta la forza della frase è riposta nel verbo « mi segua »; cioè, tutte le altre cose dette prima e dopo, sono i preliminari necessari per poter essere con Gesù, per poter continuare ad essere con Lui.

Potremmo allargare la nostra considerazione e tutto ciò che nei capitoli seguenti, specialmente al cap. 10 viene specificato intorno a questa sequela di Gesù. Qui abbiamo soltanto la prima delle indicazioni di quello che comporta il mistero del Regno. Nei capitoli successivi viene specificata la stessa esigenza in vari modi.

Ho raccolto alcuni brani sotto il titolo: Gesù e i suoi, per mostrare che praticamente il suo insegnamento al piccolo gruppo dei Dodici si può riassumere nel modo seguente: chi ha accettato la chiamata personale a seguirmi, a essere con me, deve accettarmi così come sono. Cfr. Mc 10, 43-45; 10, 29; 10, 38; 13, 13.

E come viene descritta l’identità e l’agire di Gesù? Egli spiega che come e dove Lui è, anche gli altri devono essere. Dice, per esempio: io non sono venuto per essere servito, ma per servire; così chi di voi vuole essere come me, sia servo di tutti.

Io ho lasciato ogni cosa: il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo; così posso chiedere a voi di lasciare padre, madre, campi, figli ed ogni cosa.

Io sono venuto a voi come uno che non possiede nulla; così posso chiedere a voi che si lascino le ricchezze con le quali il Regno dei cieli non va d’accordo.

Io bevo per primo il calice della Passione; così posso chiedere che voi beviate il mio calice.

Io accetto la contraddizione, l’essere respinto dalla maggioranza del mio popolo; posso chiedere che anche voi accettiate ‘la contraddizione, la contestazione, da qualunque parte venga, perché il Figlio dell’Uomo è stato respinto per primo.

In altre parole Gesù, nei testi citati, chiede di scegliere coraggiosamente una vita simile alla sua. Di sceglierlo nel cuore, perché l’avere questa o quella situazione esterna non dipende da noi. Dipende da noi, invece, scegliere nel cuore una vita quanto più possibile vicina al suo modo di vivere fra gli uomini.

Non dipenderà da noi scegliere sempre il servizio più umile, la posizione meno appariscente, la condizione esteriore più modesta, ma dipenderà da noi l’avere nel cuore questo desiderio di essere, in quanto È possibile, dove Lui è.

E quindi, tra posizioni di maggiore o minore prestigio e potenza, preferire le seconde; tra condizioni di maggiore o minore ricchezza, preferire queste ultime; tra posizioni di servizio comodo o disagiate, preferire quelle disagiate.

Ecco come avviene in questa seconda parte di Marco, l’avviamento alle scelte evangeliche. Gesù si mette davanti, presenta se stesso e invita ciascuno ad essere là dove Lui si trova, almeno col cuore, almeno con il desiderio, perché questa è la maniera di capire profondamente il senso del Vangelo.

Questa è una scelta estremamente importante perché, al di là di tutte le teologie, di tutte le teorie, investe la capacità di capire il Vangelo dall’interno (E. 98, 146, 167).

Quando non si è fatta la scelta fondamentale dell’essere là dove Gesù è, non soltanto nella sua attività esteriore descritta nella prima parte di Marco, ma lungo l’itinerario che porta alla croce, descritto nella seconda, non sarà possibile inquadrare le altre verità evangeliche, dare loro il posto giusto, avere la Gestalt di cui abbiamo parlato; cioè, quel rapporto tra le singole cose e il loro sfondo, che mette ogni cosa al suo posto.

Ogni vera ripresa, ogni vero approfondimento dello spirito, ogni capacità di comprendere le situazioni nelle quali ci troviamo – la nostra situazione nel mondo, la situazione presente della Chiesa – parte da questa rinnovata adesione alla via di Gesù, così come ci è presentata nella seconda parte di Marco. È il segreto evangelico che ci dà il modo di capire il nostro posto, il posto della Chiesa nel mondo; è il cuore delle richieste di Gesù.

b) Seconda predizione della passione: Mc 9, 31-32

Essa è molto breve: «Stava ammaestrando i suoi e diceva loro: il Figlio dell’Uomo sarà dato nelle mani degli uomini che lo uccideranno, ma tre giorni dopo risorgerà. Essi però non comprendevano un tale parlare e avevano paura di interrogarlo ».

Abbiamo Gesù che, sempre più vicino al gruppo dei suoi, li forma all’unico punto essenziale e presenta il mistero centrale del Vangelo; cioè Lui, la sua morte e risurrezione.

Marco, tuttavia, ci fa notare come questo mistero sia difficile e vada ripensato continuamente nelle nuove situazioni, nelle nuove esigenze della nostra vita spirituale, e col crescere di questa.

Quella di Gesù è una proposta che è assolutamente incomprensibile, che non ha paragone con nessun’altra proposta umana.

Nessuna proposta umana oserebbe parlare di morte e risurrezione: siamo qui nel cuore della piena e pura fede richiesta al discepolo, la quale è l’unica via per arrivare ad una vera conoscenza di ciò che significa la vita evangelica.

c) Terza predizione della passione: Mc 10, 32-34

Essa è più ampia delle precedenti: «Mentre erano in strada verso Gerusalemme, Egli li precedeva e di dò si meravigliavano, mentre quelli che venivano dietro erano presi da timore … ».

Marco sembra voglia farci coraggio dicendo che gli apostoli ce ne hanno messo di tempo a capire; Gesù era amato da loro, stava in mezzo a loro, anzi andava avanti a loro, ed essi non potevano non seguirlo; sentivano un’attrazione intensa per Lui, però quanto a capire veramente il cuore del mistero c’era ancora una lunga strada da fare. Ed il cammino era estremamente faticoso.

« E tratti a sé i Dodici prese a dire loro: noi andiamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato in mano dei grandi sacerdoti e degli scribi e lo condanneranno a morte, lo daranno in mano ai Gentili, le scherniranno e gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo faranno morire, ma dopo tre giorni risorgerà ».

È di nuovo presente il mistero, con una notevole insistenza sui momenti in cui Gesù viene respinto e disprezzato. La predicazione diventa quindi una nuova richiesta agli apostoli di affidarsi a Lui e di accettare tutto il mistero. nella sua globalità, perché non c’è risurrezione senza il passaggio attraverso la sofferenza.

Che cosa poteva concludere il catecumeno che veniva educato gradualmente, attraverso questa lettura, a capire il mistero centrale del Regno di Dio?

Credo che il catecumeno viene implicitamente invitato – e ciò vale anche per noi – ad adorare, prima di tutto, nella preghiera, il mistero del disegno divino, riconoscendo che esso è estremamente difficile da comprendere. Che tutte le volte che ci imbattiamo in esso, non soltanto nella fantasia, ma nella realtà, proviamo una istintiva incapacità ad adattarci; ma è appunto nella preghiera che dobbiamo insistere, chiedendo di accettare il Cristo così come Egli è.

In secondo luogo, il catecumeno viene stimolato, insieme con noi, a ringraziare il Signore, perché si è manifestato con tanta chiarezza, e senza alcun desiderio di illuderei. In prospettiva, quindi, chiedergli di poter rendere grazie quando Egli si manifesta in noi con la stessa realtà di morte e di risurrezione, perché allora siamo al centro del Vangelo.

Perché tutte le situazioni, che a prima vista ci appaiono incomprensibili e inaccettabili – nelle quali sale in noi il grido: qualunque altra cosa, ma non questa – sono in realtà situazioni che ci pongono al centro della manifestazione del mistero di Dio.

Viene, infine, chiesto al catecumeno – e a noi – di insistere nella preghiera per chiedere che Gesù ci tenga con sé e ci porti con sé fino in fondo, convinti che questa accettazione è la chiave per la comprensione di tutti gli spiriti; nel quale, cioè, è possibile fare la discrezione, l’analisi delle diverse mentalità che operano in noi e nella Chiesa, perché a questo punto tutte le mentalità e i comportamenti non evangelici si disperdono, dissolvendosi. Tutti i sogni, tutti i castelli in aria, tutti i progetti puramente umani vengono meno, e rimane viva soltanto la verità del Vangelo. Il catecumeno viene, così, educato gradualmente e con insistenza a prendere coscienza che questa è la rivelazione fondamentale del Figlio dell’Uomo ed il mistero nel quale entrare se vuole superare una pura programmazione umana e collocarsi veramente nel cuore del Regno di Dio.