Vogliamo portare la nostra. riflessione su un episodio della vita di Gesù raccontato in Mc 9, 14-29. Esso ci mostra un suo tipico modo di agire, in un momento difficile. Vogliamo, cioè, vedere in questa meditazione, come Gesù parla, come agisce, come si muove, come si comporta, in una parola Gesù in azione.

Mc 9, 14-29 è un episodio lungo, circostanziato, che si riferisce ad un momento storico della vita del Signore.

Perché veniva tramandato nelle comunità primitive con tanta dovizia di particolari? Possiamo azzardare un’ipotesi: perché nella comunità primitiva si praticavano molti esorcismi, alcuni dei quali fallivano. L’episodio del fanciullo indemoniato vuole, allora, venire incontro all’insuccesso, in modo da poter superare lo scandalo degli esorcismi mancati. Esso si propone di far vedere che l’esorcista non dev’essere troppo sicuro di sé, perché anche gli apostoli non sono riusciti; l’esorcista non deve gloriarsi del suo potere perché anche lui è soggetto a mancare, se non possiede le condizioni qui segnalate.

Probabilmente, però, è presente anche qualche elemento che fa pensare ad un riflesso di catechesi battesimale; pare, cioè, che Marco aiuti il catecheta ad indicare alcuni aspetti del battesimo. Possiamo dividere l’episodio in sei parti.

1) Mc 9, 14-16. La scena:
è costruita accuratamente. Attraverso una serie di immagini visive. si suscita l’interesse del lettore.

Gesù, dopo la Trasfigurazione, scende dal monte con i tre apostoli, raggiunge gli altri, vede una gran folla, gli scribi che discutono, la gente che alterca e che, al vederlo, corre a salutarlo. Questa confusione indica l’esistenza di un grave problema che interessa tutti. E Gesù interroga gli apostoli: «Di che cosa discutete con loro? ».

2) Mc 9, 17-18. Il caso:
viene presentato il problema attraverso la parola del padre del ragazzo:

« Maestro, ti ho condotto il mio figliolo che ha uno spirito muto e, dove l’afferra, lo abbatte; egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho domandato ai tuoi discepoli di cacciarlo, ma non ci sono riusciti ».

La scena si concretizza, così, in un caso difficile. Difficile per la tragicità, per il ribrezzo, per il disagio che desta, e ancor più difficile perché gli apostoli non sono riusciti a cacciare il demonio. Comincia, in tal modo, tutta una discussione sulla inanità della predicazione apostolica. Il caso è molto serio, se si pensa, inoltre, che Gesù ha scelto i Dodici per essere con Lui, mandarli a predicare e avere potere di cacciare i demoni. Essi falliscono quindi nella loro missione essenziale. La loro situazione è drammatica.

3) Mc 9, 19-20. Le reazioni di Gesù.
La prima (v. 19), si configura come uno scatto di ira violenta. Essa è veramente grave, perché sembra dire: ‘non ne posso più di stare con voi’. Sembra quasi messo in questione il permanere di Gesù fra gli uomini, nel mondo. Se non di tutti, si può dire che Gesù si lamenta almeno del pubblico che lo circonda: ‘Non siete degni della mia opera’.

Qual è la causa di questo grido di sdegno, cos’è offensivo per le persone alle quali è diretto? È l’incredulità, la mancanza di fede. La stessa constatazione di ira, stupore e rimprovero l’abbiamo in 6, 6 e in 6, 14. Gesù per tutta la vita, deve affrontare una simile situazione di incredulità. L’uomo che non ha fiducia in Lui, che non si abbandona a Lui e non crede al suo amore. La colpa fondamentale – e la ritroviamo anche negli altri rimproveri di Gesù in Marco – è sempre l’incapacità ad abbandonarsi al suo mistero, quella rigidità che non permette di varcare il confine della fede, della fiducia nel Signore.

La seconda reazione (v. 20), sembra diametralmente opposta: la calma, il sangue freddo di Gesù.

Dalle parole: «Conducetelo a me. E glielo condussero e veduto che ebbe Gesù, lo spirito subito lo fece dare in convulsioni, ed egli cadde a -terra, rotolandosi e spumando», possiamo intuire che Gesù non si scompone, ma domina con distacco la situazione. È importante questo prendere le distanze compiuto dal Cristo! Per Lui non è un atteggiamento passeggero, ma descrive un abituale stato d’animo. Di fronte alla crisi degli apostoli e del malato, innanzitutto Gesù osserva con tranquillità la situazione. Viene in mente quello che Paolo dice in 1 Cor 7, 29-31 quando descrive gli atteggiamenti del distacco cristiano, nelle situazioni difficili. Alla lista di paolo potremmo aggiungere: ‘Chi governa, come se non governasse;

chi opera pastoralmente, come se non lo facesse ‘; cioè, non dobbiamo essere travolti dalla situazione. Dobbiamo imparare a guardarla, a osservarla con distacco.

Come la osserva Gesù? La osserva con Gestalt. Questa parola tedesca, intraducibile, significa: tenere conto di tutto il complesso di una situazione, inserendo ogni elemento – col suo giusto rilievo – nell’insieme. Di qui nasce la constatazione che, di solito, le forme di degradazione psicologica non nascono dal fatto che non si veda bene l’oggetto, ma dal non saperlo inquadrare nella situazione con il dovuto distacco.

Vediamo Gesù che, appunto, applica uno sguardo di Gestalt: di rapporto immagine-sfondo, a tutto ciò che avviene. Egli vede il malato, ma vede -anche il padre, vede gli apostoli, vede la folla e colloca tutto nel quadro della sua missione.

Così lo sguardo di Gesù domina ciò che accade. Non è travolto dal fatto particolare del ragazzo che gli si rotola innanzi, ma tiene conto di tutta la situazione.

Come avviene, concretamente, nella psicologia umana di Gesù, questo distaccarsi dal particolare e la sua capacità di considerarlo nel quadro di insieme? Facciamo attenzione ad una nota finemente psicologica riportata da Marco. Gesù non si occupa del ragazzo, ma del padre; egli passa mentalmente ad un altro aspetto della situazione.

Cosa succede quando noi ci fermiamo a considerare soltanto un aspetto delle cose? Che questo aspetto ingigantisce e ci ipnotizza. La situazione di distacco si ha quando da un particolare si passa ad un suo contrario, o presente o possibile, e quindi si comincia ad allargare il quadro della realtà considerata.

In realtà cosa fa Gesù? Vede il ragazzo che grida, schiuma, si divincola, ma riflette che il vero malato è il padre. Capisce quindi che la via da prendere è un’altra. Attraverso una riflessione attenta e distaccata trova il vero punto d’appoggio che è nuovo, diverso, e a cui nessuno aveva pensato. Gli apostoli si erano messi a gridare, à fare preghiere sul ragazzo, ma avevano cominciato dalla parte sbagliata; erano stati incapaci di vedere una nuova apertura nella situazione.

4) Mc 9, 31-24. Il colloquio.
Gesù incomincia, quindi, il colloquio con il padre; un esempio di pastorale dialogica. «Da quanto tempo ciò accade? ». La domanda è molto semplice, quasi banale, ma è fatta con un tono cordiale che manifesta la partecipazione e che quindi scioglie il cuore del padre. Egli è appunto il grande protagonista della situazione, da tutti ignorato.

E vediamo come il cuore del padre si scioglie. Di! una risposta quasi monosillabica: «Dall’infanzia », passa, sentendosi capito, a dire altre cose. Incomincia a descrivere i sintomi del male del figlio, e poi dal suo cuore viene finalmente fuori ciò che è il nocciolo del problema: «Ma se tu puoi aiutaci, mosso a pietà di noi! ».

Siamo così giunti al momento in cui dal semplice rapporto con un ragazzo da guarire si è giunti ad un cuore che chiede, che si volge con umiltà al Signore per invocare aiuto.

Gesù continua il colloquio e corregge, amabilmente, le parole troppo timide del padre, rimandando il gioco a lui: «Hai detto, se posso; ma tutto è possibile a chi crede! ». In altri termini: stai chiedendo qualcosa che devi cominciare a fare tu stesso. Allora il padre comprende e grida: «Credo, aiuta la mia fede! ».

Siamo arrivati al centro, al nodo, al punto veramente difficile della situazione. Gesù, trascurando i dati esteriori della realtà, con gradualità e dolcezza, ha trovato il bandolo della matassa; comincia, cioè, a guarire l’incredulità di quest’uomo. Il grido del padre è molto bello .nella sua semplicità. Dice: «Credo, aiuta la mia poca fede ». Mostra l’apertura, il desiderio di essere aiutato, è un umile atto di fede, e insieme un riconoscimento di essere ancora molto indietro, di avere bisogno di qualcosa d’altro.

Esso è il monito che nella comunità viene ripetuto agli esorcisti imprudenti e spavaldi: ‘Attenzione! ci vuole molta fede per operare tali grandi cose; non crediate di essere onnipotenti, ma riconoscete a fondo la vostra debolezza e chiedete aiuto’.

Se l’episodio – nella catechesi della Chiesa primitiva – ha un riflesso primario verso gli esorcisti, ne ha anche uno nei riguardi della catechesi catecumenale. Il catecumeno, infatti, di fronte alle esigenze troppo grandi di Gesù, al mistero del Regno che comincia a vedere in tutta la sua povertà, la sua durezza, la sua aridità quotidiana, è tentato di non farcela più, di bloccarsi. Con questo episodio è invitato, invece, a non spaventarsi della sua paura, ma a manifestarla umilmente al Signore; è invitato a trarre vantaggio anche da questa sua sofferta povertà e debolezza, per farne oggetto di umile preghiera.

5) Mc 9, 25-27. L’esorcismo:
esso è un esempio tipico nel suo genere. C’è la menzione dello spirito, la menzione di chi fa l’esorcismo, la menzione del suo potere di comando e la menzione di ciò che si chiede con autorità. Segue il parossismo delle manifestazioni del male nel ragazzo stesso, poi il suo cadere come morto, e, infine, la scena di Gesù che lo rialza guarito.

.In tutto l’episodio, oltre al tema dell’esorcismo propriamente detto, ci sono, forse, anche elementi che davano appigli ad una primitiva catechesi battesimale. Non soltanto nel senso che il battesimo libera l’uomo dal potere di un male che lo rende chiuso agli altri, ma in un senso ancora più specifico.

Al v. 26, infatti, si insiste due volte sul tema della morte: «E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano che era morto »; e subito dopo, al v. 27, vengono usati due classici verbi della risurrezione: «Gesù lo prende con la sua mano, lo rialza e lo fa risorgere ».

È certo che, con l’impiego di questi quattro verbi, due di morte e due di risurrezione (il Cristo morto per i nostri pecca. ti, il Cristo risorto per la nostra giustificazione), la catechesi primitiva spiegava il battesimo come un morire con Cristo, e un risorgere con Lui e per virtù di Lui.

6) Mc 9, 28-29. La conclusione:
«Entrato poi in casa, i discepoli gli chiedono: perché noi non siamo riusciti a cacciarlo? Risponde Gesù: questa specie di demoni in nessun modo si può cacciare se non con la preghiera».

Questo insegnamento di Gesù aveva un riflesso molteplice nella catechesi primitiva.

A livello dell’esorcista, era, appunto, l’invito a non presumere di sé, ma a pregare, a riconoscere che il potere è di Dio e non proprio.

A livello del catecumeno, il quale si trovava di fronte a difficoltà apparentemente insormontabili nella sua sequela del Signore, è la via. della croce, era !’invito a pensare che. solo attraverso la preghiera, l’affidarsi totalmente a Lui, il chiedere umilmente a Lui, avrebbe potuto superare le proprie difficoltà.

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L’episodio del ragazzo. indemoniato, quindi, da una parte è qualcosa che riguarda Gesù stesso, presentato in un momento forte della sua vita, mentre agisce con distacco, con semplicità e profondità nello scoprire le cause del male; dall’altra parte è un insegnamento per la chiesa primitiva e per il catecumeno che si è dato alla sequela di Gesù e che viene cosi- a comprendere come è possibile seguirlo con fiducia.

Gesù stesso ci invita a pregarlo per ottenere la forza di fare tutte le cose difficili, per vincere tutte le difficoltà apparentemente insormontabili che ci sono richieste, e ci dice che Egli è venuto per aiutarci a superarle.